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Autore: Longriffiths    27/01/2022    3 recensioni
Irrazionale, dato che era stato quello il suo lavoro, e nessuno meglio di lui ne conosceva l’origine. Ma Aziraphale era in grado di farlo dubitare di tutto, perfino di se stesso. Perfino di averle create non per comando di Dio, ma per qualcun altro e per quel lontano e futuro momento che adesso stavano vivendo.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Londra non era propriamente da definirsi una città dormiente, neanche quando il corso del naturale cambio di temperature e tinte annunciava che quello era il luogo e il tempo della fine. La fine del giorno, e quindi, di tutte le attività. L’odore di umido era più forte, e saliva in particelle circondando ogni cosa pregno dell'odore del ferro dei cancelli, o del legno e della terra al suolo. Non vi erano più, specie in quell’insolito inverno molto più freddo del normale, i tappeti di foglie colorate ad adornare il paesaggio cittadino britannico. Il gelo scendeva prominente costringendo la gente a passeggiare cauta, per non scivolare a causa della brina sulla fredda pietra. 

La notte era scura e priva di sfumature. La notte significava così tante cose, per le menti umane. C’era chi della notte ne faceva poesie, e chi i peggiori racconti d’orrore. C’era chi ne traeva sogni e magia, e chi paure. C’era chi guardava le stelle, e chi non riusciva a scorgere altro che le nubi cerulee nel cielo di quella che era la loro casa, da qualche tempo ormai.
Crowley non era solo un demone, era anche un rettile. Un predatore naturale. Ed era abituato a muoversi tra gli animali diurni come tra quelli notturni, perché anche quando scattata l’ora che segnava il Big Ben disciolto ormai dalle operazioni che ne privarono i rintocchi, una creatura come lui non interrompeva di norma la caccia. Le sue più specializzate sensorialità erano legate all’olfatto e all’udito, perché con quello scovava tutti i peccatori di cui vendere l’anima al proprio padrone. Aveva affinato queste capacità nel tempo sviluppando una certa destrezza nell’udire conversazioni altrui, senso puramente umano, e captarne i segreti che facevano degli umani delle facili prede. Per questo, aveva scelto lui la strada da percorrere quella sera, per orientare l’andamento del cammino. Tranquillità si era decisa, e tranquillità doveva cercare. E non era questo quello di cui andava più fiero. Il suo speciale talento, non gli serviva a tanto se esso non era completamente associato alla sua più fine abilità. Qualcosa che gli era molto difficile espletare a parole, perché sarebbe risultato un matto da legare persino all’angelo, se gli avesse detto di sentire l’odore del deserto a Carnaby Street, in cui stavano passeggiando per andare oltre, dove né flora né fauna umana o animale avrebbe fatto loro da contorno.
Il demone Crowley si era creato una speciale tavolozza personale, come il libretto d’armonie cromatiche che avevano trovato in ferramenta, quando erano andati a scegliere la nuance con cui avevano ridipinto il tetto della loro camera da letto. Crowley era estremamente bravo nell’associare gli odori ai sentimenti. Le uniche volte in cui respirava senza che qualcuno gli chiedesse di annusare un profumo o una pietanza, o a meno che non avesse l’angelo così tanto vicino da poterne sentire l’essenza, lo faceva con la bocca anziché col naso, di modo che l’aria potesse entrarvi ed essere analizzata dalla lingua. E così capiva chi aveva dinanzi, e che cosa stava provando. Fiutava i peccati.
Ogni sentimento rassomigliava a qualcosa di specifico, che in tutti era sempre uguale.
-’Preoccupato?’-
Le onde infuocate sotto la tenue luce calda dei lampioni incorniciarono gli zigomi del demone ricadendo dinanzi gli occhiali, quando voltò la testa in direzione del proprio accompagnatore. Non prima di aver assaporato l’aere con la stessa maestria di un sommelier.
-’Non più del solito, caro.’-
-’Sembra di essere a Sharm.’-
impareggiabile fu l’espressione di conseguenza a quell’ambigua affermazione, che portò la creatura occulta a sollevare una mano in segno di resa, avvolta in un guanto di pelle nera. Il riccioluto Principato sospirò.
-’Lo sai, non si nota perché solitamente siamo circondati da altra gente ma, sei strano parecchio anche tu.’- 
-'Parla quello che pensava che la pandemia fosse prima una punizione e poi un principio di rivalsa dalle fazioni.'- 

-'Sono timorato di Dio, e sono ipocondriaco, e sono passati quasi tre anni ormai, smettila di ripescare la cosa!'-
-’Pensavi ci stessero costringendo a rimanere in città per venirci a prendere.’-

Se c’erano momenti di cui Crowley non avrebbe proprio saputo restare digiuno, erano quelli in cui i decibel della voce umana che gli era stata assegnata si facevano così stizzosi ed acuti da solleticargli i timpani, e la smorfia del broncio di cui si riempiva gli occhi erano i suoi dettagli favoriti. Adorava schernirlo e prendersi gioco di lui, specie se l’angelo non smetteva mai di prenderla sul personale. Se solo si fosse reso conto che più gli dava soddisfazione più lo invogliava a proseguire, avrebbe smesso di dargli corda, e quel gioco non lo avrebbe divertito più. Ma Aziraphale era permaloso, ed era adorabile quando ne recitava la parte.
L’aria sapeva di lampone. Acida e frizzante, come il disappunto che proveniva dal cuore del biondo. Crowley addusse il braccio destro con cui non teneva l’ombrello, e lo avvolse intorno alle spalle del compagno, confidenza che ormai aveva il permesso di prendersi liberamente. Strinse quel corpo a sé trovandolo insolitamente freddo.
-’Ti prendo solo un po’ in giro. Che ne dici di darmi dello zucchero?’-
-’Oh non te lo meriti, vecchio insolente.’-

Una risata in comunione non servì poi così tanto a smorzare lo strano presentimento che ruminava le cinque del mattino, dove quelle che erano solo due sagome scure tentavano di ingannare ciò che sapevano, e che sentivano da un po’ di settimane a quella parte. L’atmosfera era pesante, aleggiava un’ombra metaforica strana, fatta della sostanza della malvagità nel nulla. La stessa sensazione che pervade i bambini alla sera, quando la lucetta sul comodino va ad intermittenza fino a estinguere i colori della cameretta ed inghiottire tutto nell’oscurità. I bambini non hanno paura del buio, hanno paura di non essere soli, nel buio, e la sensazione crescente nelle loro viscere pesava sulle spalle e tormentava la quiete. Quella sostanza volava sulle loro teste, come il rapace della sciagura sulle bestie morte.
Di non essere soli, loro due lo sapevano bene, nonostante fosse quello a cui stavano aspirando da quando il calore del sole e il profumo dei frutti di stagione era di nuovo un’opzione da tenere nel futuro prossimo. Ma di essere lasciati in pace quello sì, ed era esattamente quella certezza a vacillare adesso, nonostante nessuno ne aveva ancora fatto parola all’altro. I loro passi sul pavimento scavavano un sentiero di impronte che soltanto un occhio attento sarebbe riuscito a vedere, come gli stivali da campeggio facevano in un bosco di fanghiglia. Non c’era luogo per scappare e per nascondersi, ma ogni tanto avevano ancora bisogno di sentirsi soli, di godersi il sentimento che legava le loro anime senza nessuno spettatore.
La pietra posata sulle loro teste era molto più pesante del peso morale che contava l’aureola che entrambi avevano avuto. Istintivamente Crowley alzò gli occhi e Aziraphale emulò quella movenza, e le sue iridi del tono dell’etra più intensa e al contempo delicata furono macchiate da miliardi di astri brillanti. La meraviglia nei suoi occhi e no, non era rivolto al riflesso delle stelle in essi, costrinse il demone ad arrestare il passo e ad arrendersi a quella bellezza, portando repentino le labbra a quelle semi aperte dell’angelo. Un bacio più che rubato, carico e bollente come la temperatura delle nubi gassose sulle loro teste tale da farli bruciare e regalare loro quello spettacolo, e casto come il colore che arrivava ai loro occhi su quel manto nero. L’esatta rappresentazione delle loro forme più intime prive di corpo e di natura.

Trovava incantevole il modo in cui le stelle si ancoravano ai suoi occhi tanto perfettamente da essere distinte l’una dall’altra, talvolta aveva l’impressione che in realtà essere provenissero dalle sue retine, e che guardando il cielo venissero proiettate su di esso, ed ogni volta che l’angelo batteva le ciglia queste lo lasciavano per prendere posto nell’universo.
Irrazionale, dato che era stato quello il suo lavoro, e nessuno meglio di lui ne conosceva l’origine. Ma Aziraphale era in grado di farlo dubitare di tutto, perfino di se stesso. Perfino di averle create non per comando di Dio, ma per qualcun altro e per quel lontano e futuro momento che adesso stavano vivendo. Restarono lì, per qualche minuto.
-’Non ne ho mai viste così tante tutte insieme.’-
-’Se potessi, te ne farei delle altre.’-

Il leggero velo di rossore coprì le gote dell’inviato del Signore su quella Terra, e il sorriso sotto di esse gli diede il sapore della salsa agrodolce.
Nostalgia. Talvolta, era più lui a sentirsi in difetto, quando solo si accennava al suo passato da angelo. Questo perché Aziraphale avrebbe tanto voluto sanargli quelle ferite per cui nessuno aveva ancora sviluppato un unguento o un cerotto, o un sentimento abbastanza efficace. I loro toni erano bassi, e calmi. L’esatto opposto della tempesta che stava cambiando di posto tutti i loro organi interni, tanto da fargli sentire il cuore battere in gola e il cervello in chissà quale distretto remoto.
-’Quali di queste è opera tua, mio caro?’-
-’Tutte, angelo. Questa parte del Cosmo l’ho tappezzata per bene all’epoca.’-
-’Hai fatto davvero un buon lavoro. Sono stati regali bellissimi da fare all’umanità, riportano così tante emozioni. I giovani innamorati passano molto tempo a guardarle insieme, e a giurarsi amore eterno in notti serene come questa.’-
-’Diciamo che se vuoi smuovermi qualcosa dovresti passare alla parte in cui questi giuramenti vanno suggellati.’-
il biondo si costrinse parecchio a non scalciargli in uno stinco, o a roteare gli occhi.
-’Sai che si possono regalare? Le stelle, intendo. C’è un.. sito internet in cui puoi scegliere una stella e comprarla.’-
-’Si, non era questa la funzione ma se a loro sta bene così. Non è più affar mio ciò che ne fanno. A te piacciono?’-
-’Si dice che tutte le creazioni degli angeli siano la manifestazione delle loro essenze. Io le trovo.. splendide, e seducenti.’-
-’Ma non mi dire..’-
i loro volti fecero per riavvicinarsi, questa volta insieme, alla stessa identica andatura lenta. In quel momento, qualcuno pianse. Il cielo, oppure le stelle, o Dio stesso per le sorti delle sue creazioni, che avevano deciso di deviare dai binari del suo Grande e perfetto Piano, e per le conseguenze che ne sarebbero venute.
Non era insolito da qualche settimana che qualcosa arrivasse a disturbare un momento perfetto tra loro, quando se ne creava uno. Ci avevano messo del tempo per conquistarli, e molto di meno nel vederseli strappare dalle mani. Avevano imparato a mordersi la lingua per non imprecare, e a perdere le staffe ancora prima di contare per calmarsi. La frustrazione era tanta, ma l’amore era di più.
-’Aziraphale, comincia a piovere..’-
-’E allora andiamo, che ne dici?’- 
l’angelo, privo di qualsiasi protezione impermeabile, fece per interpellare i propri poteri, quando si sentì abbassare le mani e riempire lo spazio interdigitale di esse dalle dita del compagno.
-’E se lo facessimo nel modo tradizionale?’-
Una goccia sulle punte dei nasi prima che le labbra si sfiorassero, qualcuna sui soprabiti e infine, sui capelli e sotto gli occhiali. Aziraphale annuì, allontanandosi da lui quel tanto che bastava per fargli aprire l’unico ombrello -che inaspettatamente il rosso aveva avuto il buonsenso di portare- con un fluido movimento perché potessero ripararsi, posandolo perlopiù sul capo dell'innamorato. Tese il braccio restante a cingergli la vita e stringerlo maggiormente a sé, in un gesto molto più intimo e caldo di poco prima. L’angelo adagiò la mano sinistra su quella del demone impegnata a reggere il manico, inclinando dolcemente il capo fino a toccare la sua spalla. Percorsero la strada del quartiere di Soho così, indisturbati, tra gli ultimi superstiti alla movida della notte in lotta per correre ai ripari sotto le tende e le tegole dei bar ancora aperti, o di qualche negozio chiuso che dava spazio a un paio di persone nel portico dell’entrata. La pioggia era fitta e ogni goccia somigliava a una scheggia, mossa dal vento per orientarsi dovunque. Un turbinio d'acqua diviso in chicchi simmetrici e numerosi, che li avvolgeva come fossero l'occhio di un ciclone. Eppure, loro non rallentarono, ne accelerarono. Scelsero di godersi la passeggiata per cui avevano lasciato il loro cottage, poche ore prima. L’armonica melodia del ticchettio via via più preciso, continuo e rumoroso, i colori di cui ad ogni fulmine si colorava il manto nero all’orizzonte, il rombo del tuono proprio sulle loro teste. Vollero godersi quelle piccole sensazioni, sorridersi l’un l’altro mentre attorno a loro Londra finalmente si liberava delle persone, si ripuliva del fango e delle macchie per tornare a respirare un po’.
Perché era sempre saggio tornare sui propri passi, ogni qualvolta servisse una risposta. Una risposta a un dilemma che si era fatto fin troppo prominente nell'ultimo mese.

Lo sentivano che qualcosa era cambiato, o forse, in principio di mutare. Negli ultimi tempi l'unica cosa che avevano dovuto sopportare, ignorare e debellare era stata la paura. Vivevano sotto lo stesso tetto, e stavano insieme tutto il giorno come avevano scoperto di desiderare ardentemente nei primi mesi post-apocalittici, e avevano imparato che l’attesa sopportata era importante, che la felicità stava esattamente lì. Eppure era più unico che raro trovare per la coppia un attimo di respiro, in cui concedersi il lusso di abbandonarsi a loro stessi senza lucidità, senza pensare, senza vigilare o guardarsi intorno, alle spalle. Senza sobbalzare a qualsiasi rumore, a qualsiasi strepito a malapena percettibile anche nel cuore della notte, per rendersi conto solo poi di aver generato un fruscio, o che effettivamente agli scoiattoli piacesse zampettare sulle lastre di legno della loro abitazione.

La Bentley li aspettava fuori l’edicola, lucida e protetta da un preciso miracolo, di modo che ogni singola stilla d’acqua scivolasse via senza lasciare alcun residuo di sporcizia o alcun segno di aver mai sfiorato la carrozzeria. Non vi erano nuvole in alto, e fu come se la galassia stessa si stesse ribellando alla tempesta impedendo alle masse aeriformi di preservare alla terra quello spettacolo, accentuando invece la lucentezza dei suoi ospiti brillanti. Aziraphale interruppe la camminata arrestandosi al suolo, quando il demone gli baciò la fronte e gli lasciò l’ombrello tra le mani correndo al lato guidatore dell’auto, perché lui non si bagnasse.
-’Crowley?’-
-’Mh?’-
-’Aspetta, entriamo dentro.’-
-’Dentro dove?’-

Il biondo indicò la sua vecchia libreria con l’indice protetto dal pungente vento da uno spesso guanto viola, che da fuori sembrava ormai vuota e spoglia. La carta da parati era leggermente collassata dalle mura, e il mobilio tutto impolverato, così come la scritta sull'insegna. Da quando si erano trasferiti era diventata nient’altro che ciò che era sempre stata: la culla sicura di innumerevoli tomi, che l’angelo usava solo per tenerli lì, perché abbastanza spaziosa da ospitarli tutti. Non l’aveva mai veramente chiamata casa, no, era solo la sua libreria, ed era sì un luogo in cui aveva trascorso dei momenti bellissimi, ma nei suoi ricordi ne zampettavano anche di brutti. Questo perché quel luogo era stato anche il loro nascondiglio, quello in cui molti giorni e molte notti erano state trascorse in segreto a complottare nient’altro che la loro amicizia, proibita e sbagliata. Per questo Aziraphale aveva scelto di andarsene, perché non vi era più bisogno di stare lì, di tenerla aperta.
Uno schiocco di dita, e la serratura scattò.
Fu strano ritornare a respirare tutte le spirali percettive che la mente proiettava, replicando suoni e odori che nella realtà non vi erano, frutto solo della montagna di neve nella quale l’angelo si sentì scaraventato da nudo, al rammentare gli ultimi anni. Trovarsi lì era un punto, che sentiva di stare apponendo a quel tempo di libertà, e di felicità vissuta in pace. Restò fermo ad osservare i suoi amati libri, in un punto fisso e fermo, eppure ebbe l’illusione che tutto stesse ruotando come nella casa di Houdini. Non aveva voltastomaco né cerchi alla testa, aveva solo una costante e crescente vampata di terrore. Non si riconosceva in quel luogo, desiderava non trovarsi lì pur sapendo di essere esattamente dove doveva. Sentiva nel profondo di non poter tornare a casa se voleva godersi il reale scopo per cui si erano tirati a lucido quella sera, se voleva una serata tranquilla con la sua persona. Doveva restare lì, al sicuro, nascosto.
Per qualche attimo si scordò di ciò che stava facendo e vivendo, dimenticando anche di essere in compagnia. Fu per quello che nella penombra del locale, la vista e la squillante voce del fidanzato lo destarono con un brutale sobbalzo da quel vortice di tutt’altro che lucidi pensieri.
-’D’accordo adesso basta, dimmi che hai!’-
-’Non devi preoccuparti, è solo che è davvero strano per me tornare qui, sai quanto ci tenevo, e lo so che tre anni per un essere immortale.. beh diciamo, è dire davvero una bazzecola ma è molto d’impatto la carica che ho lasciato in sospeso qui dentro.’- 
-’Tu parli e l’unica cosa che io sento è l’odore di carne bruciata. Odio quando mi menti e odio vederti in queste condizioni!’-
Accentuò maggiormente la frase portando entrambe le braccia ad indicarlo come si fa con un lavoro ben riuscito. Il falso sorriso che il biondo si era costruito fu disintegrato da quell’atteggiamento, e tanto più dal fatto che gli ultimi venti secondi gli tornarono a solleticare i sensi dapprima inibiti, e si rese conto di non aver risposto a cinque volte in cui Crowley aveva prima accennato e poi urlato il suo nome, e sbattuto la porta per farsi dare ascolto invano. Crowley aveva riportato il tempo a scorrere.
-’E sai cos’altro odio? Che mi credi così tanto stupido, o così tanto indegno di quello che provi da nascondermi che stai morendo di paura! Che cosa sta succedendo Aziraphale?’-

Non erano lacrime quelle che sentiva appesantire gli occhi e pizzicare la faccia, quanto la vergogna e la rabbia, verso quella sconvenevole e fastidiosa situazione che dal canto suo non aveva un nome né una motivazione d’essere, e la sua incapacità nell'espletare la cosa tale da aver sorbito un così brutto effetto nell’unica persona a cui teneva sul serio. Tutto ciò spingeva l’interpellato a non riuscire a sollevare gli occhi sulla figura che aveva dinanzi, e ad avercela tantissimo con se stesso e con tutto quello che non riusciva a leggere, o interpretare, o condividere.

Ne era sicuro, Crowley empatizzava con i suoi stessi disagi, ma riusciva meglio ad occultarli e a scavalcarli lasciandoli in un angolo, anche se erano più che presenti in lui. Glielo leggeva negli sguardi, in ogni ruga del viso quando queste si riformavano a seguito di una parola o di un pensiero, lo sentiva al centro del petto. Aziraphale percepiva i sentimenti in modo molto diverso dalla sua controparte, ne avvertiva la forma e la capienza, ed anche il numero e la forza delle vibrazioni che arrivavano al suo cuore.
-’Mi dispiace, io non lo so che cos’ho.’-
Ne seguì soltanto il silenzio. Crowley afferrava sempre le mani di Aziraphale quando tremavano, esattamente come fece in quel momento con una innata delicatezza che a guardarlo bene, stonava con tutto di lui. Ma all'angelo piacevano tutti i suoi contrasti, ed il primo, se non addirittura l'emblema di essi, era proprio la loro coppia. Eppure era quanto di più bello potesse al mondo e altrove esistere, era in fondo la sua ragione d'esistere, qualcosa che non fosse mai esistita se il candore della neve non si fosse contrapposto tanto perfettamente al ceppo ardente in un camino, e se quelli non fossero stati seppur tanto diversi, gli elementi chiave di una giornata magica. Crowley era così, pieno di pieghe e di curve, l'oro rivestito di ottone e il cielo color magenta, un demone non proprio cattivo, magari minaccioso. Più che altro lo avrebbe definito dispettoso, impertinente.. un po’ uno stronzo ecco, un ironico cinico, qualcosa del genere. Rovinare una proposta di matrimonio al Ritz invogliando lui a sbagliare il nome di lei durante l’apertura della scatolina, era qualcosa che lui trovava divertente, non cattivo. ‘Se avessi potuto glielo avrei fatto sbagliare in un’altra situazione, là sì che mi sarei ritenuto soddisfatto angioletto, suvvia. E’ per ridere. E poi lo hai visto, è vestito di viola. Lo sanno tutti che il viola porta sfortuna durante una performance’. gli aveva detto durante la cena, dopo aver osservato tutta la scena a gambe accavallate e la sedia rivolta giusto verso quei due ragazzi. Non si va a segno stasera, idiota’, era stato ciò che aveva avuto il coraggio di dirgli mentre si rigirava al suo posto.
Il demone strinse le sue mani, carezzandone il dorso con i pollici.

-'Non devi fare sempre tutto da solo, angelo.'- 
-'È solo che lo sento, e non ho idea di cosa sia. Mi è venuto d'istinto entrare qui. Mi sento meno.. Mi sento più..'-
-'Al sicuro.'- 
-'Ma è solo una sensazione. Avrei voluto sedermi fuori su una panchina, guardare un po’ in alto insieme.'-

-’Qualcosa si può sempre fare.’-
Crowley accompagnò l’angelo su per le scale facendogli strada senza lasciargli la mano, in quello che doveva essere il piano di sopra che il biondo tempo addietro aveva allestito con una cucina, ed un letto quasi mai utilizzato. Lo condusse alla finestra, e con uno scatto secco la spalancò. Aziraphale sorrise.
-’Non arriva l’acqua, ma il cielo si vede solo da quest’angolo.’- sentenziò il biondo indicando solo una porzione di blu oltre i loro nasi, coperta da chili di cemento ridipinto e gesso.
-’Non ti porto mica a vedere le mie composizioni dal retro di un edificio angelo, sei impazzito?’- Il demone Crowley non era certo da definirsi romantico, ma l’eleganza era una parte importante di sé, e della sua vanesia. Salì sul cornicione della finestra tenendo le gambe fuori, e imboccò la scala d’emergenza che finiva al piano superiore quando il suo compagno ebbe replicato -seppur un po’ goffamente, e questo cristallizzò il cuore del demone più di quanto non volesse ammettere-, dove poterono attraversare la porta che li avrebbe condotti al tetto.

Erano completamente esposti, ma ciò non li fermò. Si gelava, ma l’uomo dietro le lenti scure non si lasciò scoraggiare. Si sarebbe arruffato e ghiacciato se necessario, solo per farlo sentire bene. Con un angolo della bocca sollevato, egli si liberò dell’opprimente peso che per giusta ragione teneva nascosto dentro di sé, come un fardello fisico. La sua schiena era magra e apparentemente troppo esile per un carico simile, e malgrado avesse scelto di restare su quella terra accettando tutte le conseguenze, il non poter esprimere la sua vera natura o parte di essa in qualche modo gli pesava. Prese un respiro che gli distese i nervi, e una moltitudine di piume nere come l’ebano schizzarono fuori dalle sue scapole, e la sensazione di giovamento che ne derivò fu come sempre impareggiabile.
-’E’ bello quando sono tutti rintanati come talpe, eh angioletto?’- affermò sistemandosi i crini ondulati, e avanzò sotto il getto d'acqua. Attese che Aziraphale lo seguisse, e poi protrasse un'ala spiegata al di sopra del suo corpo, mentre le gocce restavano intrappolate nelle penne e impregnavano la costosa stoffa dei suoi abiti.
-’Credo tocchi a me, questa volta.’-
-’Oh no, ti prego non farlo.'-
la creatura eterea sbiancò, afferrando il bordo dell'ala dolcemente, ma sicuro di sé. Addolcì i tratti del viso e inclinò la testa di lato, afferrando il volto del compagno tra i palmi delle mani.
-’La prima volta l’ho fatto io.. non voglio che tu lo faccia..’-
L’ultima
, era la conclusione che gli morì sulla punta della lingua. Il demone si privò  della barriera tra egli e il mondo esterno alla sua natura sul suo naso, e inchiodò lo sguardo nel ciano delle sue iridi. Non osò dire alcunché riguardo quella richiesta.
-’Ho lasciato l’ombrello di sotto però.’-
-’Magari non serve, che ne pensi?’-

L'interlocutore annuì, ritirando i segni del suo tradimento e della vergogna che facevano di lui un'anima marchiata e macchiata. Insieme camminarono sino al cornicione, fino a sedercisi con le gambe penzolanti nel vuoto sottostante. Aveva freddo, ne aveva sul serio. Probabilmente nel giro di un’ora ogni filmento delle piume si sarebbe brinato, e il gelo avrebbe anestetizzato così tanto il muscolo sottostante da impedirgli di ritirarle, o di prendere qualsiasi tipo di calore. Non era abituato, non più alle basse temperature come lo era Aziraphale apparentemente a suo agio con il clima, avvezzo ad abitare e sorvolare le nuvole e i venti dei piani alti. Lui ricordava e conosceva soltanto l’ustione di un fuoco rovente, ma avrebbe affrontato quella fine tortura per donargli un po’ di comfort. Attese pazientemente che gli rivolgesse la parola, non sapendo bene quale sentiero percorrere per cercare di infondergli la sicurezza necessaria a prendere le loro vite ancora al meglio, con il suo ottimismo e la gioia che straripava da ogni sua fibra corporea. Si limitò ad osservare i suoi ricci appiccicati alla fronte, l’acqua accarezzare la leggera gobbetta e poi la punta di quel naso che era uno dei tratti più belli e caratteristici secondo il suo parere, e le mani da sotto i guanti stringere il cemento. Come se tentasse un appiglio, come se dovesse essere spinto in basso da un momento all’altro. Guardò il cielo, e poi guardò Crowley. Allora sorrise sul serio, sinceramente, e tanto bastò a ripristinare qualcosa che era stato apparentemente perduto e offuscato. Nel bacio che si scambiarono non trovarono premura, soltanto un velo di timidezza che accompagnava quegli incontri ravvicinati di cui ancora non si erano abituati, e per fortuna. Gli piaceva anche più del dovuto farsi pervadere da tutto quello che portava l’amarsi, farsi sorprendere sempre di quanta capacità avessero i loro cuori e le le loro anime di accendersi così tanto, e di provare tutte le emozioni che avevano creduto impossibili, riservate a tutti fuorché a loro. Scoprire che la loro non era debolezza e non era peccato, ma era ciò che consentiva agli uomini di sentirsi vivi, di avere un posto e una metà per cui valeva la pena essere ed esistere, era ciò che li rendeva ancora belli nonostante fossero capaci di tanta barbarie e cattiveria. E Crowley si sentiva esattamente così con lui, e scopriva ogni volta di credere nei miracoli un po’ di più di quando di fatto ne creava uno, ogni qualvolta Aziraphale poggiava la mano sopra la sua, quando gli prendeva il viso per avvicinarlo a sé. Potevano dire di sapere esattamente cosa avrebbero provato nell’invadersi le bocche, nel sentirsi scottare da sotto la pelle, nel percorrere i corpi ed incastrarli alla perfezione, ma la capacità di sorprendersi ancora e di volere di più, desiderare che finisse tutto il più tardi possibile, era la fiamma che consentiva loro di restare in piedi e di combattere l’uno per l’altro, l’uno con l’altro, era come un fiore nato dall’asfalto. Raro, fuori ogni aspettativa, forte. Da proteggere a costo della vita, quella che avevano intenzione di spendere insieme all’infinito.
-’Stanno arrivando, lo sai anche tu no?’-
-’Ehi, bada bene che non ho sopportato tutto quel gran blaterare sul bene che vince su tutto, solo per sentire dalla stessa bocca questo tono di sconfitta.’-
l’angelo infatti, l’esatta sera in cui si era sentito pronto a fondersi con l’essenza del proprio innamorato lasciandosi trascinare dal fiume della passione, aveva compreso che il bene non erano gli angeli, o il Paradiso. Il bene erano loro due, che combattevano per giusta causa, e che su tutti avrebbero avuto la meglio purché fossero stati insieme. Lo aveva capito, mentre Crowley impiantava in lui ad ogni affondo una speranza e una certezza. Quel giorno ora sembrava così tanto lontano.
-’No, ma avrei voluto che la tregua durasse un po’ di più. Non credo di essere pronto per prepararmi mentalmente a perdere tutto questo.’-
-’Perché sei così convinto, che cosa è cambiato? Perché fasciarti la testa prima di rompertela?! Li abbiamo fottuti per bene una volta e lo faremo ancora se necessario.’-
-’Ma c’è comunque la possibilità di fallire. Si saranno preparati, e noi invece? Che abbiamo fatto per ovviare al loro ritorno?’-
-’Quello che li ha fatti incazzare di più angelo, e che ci ha dato il potere del timore su di loro, ce ne siamo altamente fregati. Ed è stata forse la cosa migliore che io abbia mai fatto, avrei dovuto farlo prima. Non ricordo un periodo più liberatorio di quello che abbiamo avuto!’-
-’Ed è esattamente per questo che non riesco a vedere altro che la probabilità di perdere! Sai, io ho vissuto facendo del bene, perché era quello che gli umani meritavano da me, e che io sentivo di dovere loro, ma.. non ho mai pensato molto alle speranze e ai sogni degli altri. Ma quando parli dei tuoi, Crowley, voglio che si realizzino tutti. Voglio che tu sia felice. Ma c’è un pesce troppo grosso in mare, tra noi e quella felicità.’ -
Lo sguardo del demone si soffermò dietro i loro corpi, in terra. Una pozza d’acqua arricchita da tante interruzioni piccole e circolari sul proprio specchio, la cui superficie rifletteva entrambi i due. L’attenzione della creatura eterea fu catturata dal compagno, intento ad accarezzare una guancia del riflesso biondo semi tremolante, e compiere in seguito l’azione sulla sua rappresentazione in carne ed ossa, compiacendosi del riuscire a toccarlo veramente.
-’Gli umani sono solo umani, e a volte credo che se la sappiano cavare da soli. Io non vedo tutti questi ostacoli tra me e te. Ci ho messo qualche migliaio d’anni, col cazzo che gliela do vinta, mi dovranno arrostire per bene.’-
Lasciarono volentieri che il temporale lavasse via loro le insicurezze portandole con sé nell’acqua cristallina che colava giù dal tetto, e che invece di essere d’impedimento come per il resto dell’umanità era un improvviso acquazzone per una qualsiasi attività, fosse una spinta in avanti. La sentivano infilarsi velocemente sotto i vestiti accarezzando la loro pelle accapponata, così tanto copiosamente da rendere le stoffe appiccicose. Fecero della tormenta una tenda, del freddo una coperta, dell’alone opaco che li avvolgeva un rifugio. 

Aziraphale respirava mandando via a ogni contrazione un briciolo in più di spavento, cercando la forza nelle braccia del demone. 'Se è solo una sensazione, mandala via.' gli aveva detto poco prima, mentre lavorava e costringeva se stesso a non scuotersi a ritmo dei brividi che il vento gli dava, e crogiolarsi in una secchiata di beatitudine nutrendosi del nettare che quell’angelo troppo sentimentale gli stava passando, intrecciando la lingua alla sua, e le mani nelle sue onde infuocate. Era strano per loro, sentire il bisogno di respirare quando si staccavano, e sentirsi affannati pur non avendo avuto necessità di trattenere l’aria nei polmoni.
-’Possiamo rendere piacevole questa uscita. Di sotto avevo un letto.’-
-’Dimentica il letto. Chi vuoi che ci veda?’-

Ma in realtà, nessuno dei due stava veramente controllando. L’aurora bagnò di nuove luci il giorno prossimo, spazzando quasi del tutto via le ombre. Le stelle si addormentarono lasciando spazio ai raggi del sole, nell’immagine e nella nenia del loro creatore scintillare in un bagliore proprio del tutto diverso ma della stessa sostanza di quello che ricordavano quando erano state posizionate lì, al loro posto. L’amore non lo aveva abbandonato né era stato perso, e adesso era tutto quanto dedicato a colui che ne controllava e ne generava i gemiti arrendevoli, supplichevoli di lasciarsi andare. L’albore preludio dell’alba accese il cremisi dei suoi capelli, scurito e attenuato dalla pioggia che s’era maggiormente infittita, nel tentativo di nasconderli ad occhi indiscreti. Aziraphale, dalla posizione dominante sovrastava il suo eterno rivale e nemico, e nessuna punizione al mondo per uno come lui fu migliore, da ricevere e infliggere. Ancora vestiti, se non per due paia di guanti ed uno di occhiali abbandonati al loro lato, si cercavano incapaci di decidersi su quale parte tenere un contatto. Il demone Crowley era praticamente abbandonato sotto la distesa metafisica e sovrumana della persona nella quale stava incanalando tutto ciò che aveva a disposizione da dare tutto se stesso. Gli teneva il palmo di una mano aperta sulla schiena spingendolo verso di sé, quasi tentando d’incastrare tra loro le ossa delle gabbie toraciche. L’altra mano era letteralmente aggrappata sul suo collo, liberato a malapena della camicia che lo fasciava. L’angelo invece, confondeva le gocce dal cielo con le lacrime colme dell’emotività di quel momento tanto profondo e delicato, tenendo le proprie mani sotto il corpo del demone, da sotto le braccia gli fasciava la nuca ed il retro del capo. Tra le loro fronti congiunte nel movimento sussultorio delle spinte sconnesse, intrise dal desiderio e dall’urgenza di unirsi, un fascio di luce s’intromise. Il cristallino nelle iridi dell’angelo rifletté ogni singola sfumatura dell’oro liquido negli occhi dell’amato, le labbra non conobbero freddo e distacco in quella giunzione fisica riservata soltanto a loro due, ed in quel momento la natura circostante si risvegliò. 
Non sapevano cosa aspettarsi di preciso, né se ne fossero usciti. L’unica cosa che sapevano era che l’avrebbero, come al solito, fatto insieme. E tanto bastava. 


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Niente, oggi mi sono messa a riguardare la copertina della seconda stagione, ed oltre ad averla trovata bellissima e degna di una rappresentazione ho ammesso a me stessa che mi mancano tanto, che fremo per sapere che cosa accadrà, per rivederli. Dovevo in qualche modo metterli in una situazione intermedia, e quindi, eccoli qua.
Puro e semplice momento che valeva la pena di essere riportato invece di lasciarlo alla mia mente. Grazie di aver speso del tempo per arrivare fin quaggiù.
A presto!
   
 
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