Questa
storia partecipa alla Challenge To
Be Writing Challenge 2022 indetta da Bellaluna sul forum Ferisce più la penna.
Sfida
di gennaio: song-fic.
Qualcuno che rimanga
You were alone, left out in the cold/Eri solo, lasciato fuori al freddo
«Famiglia
di Mangiamorte» sussurra qualcuno alle sue spalle, la voce grondante
spregio.
Quello
che vede, quando si volta, sono volti di uomini tesi in
un'espressione ostile, gli occhi feroci puntanti contro vati.
Lui
sgrana i suoi, baluginanti di tutta la confusione che una bambino può
avere.
Clinging to the ruin of your broken home/Aggrappato alla rovina della tua casa distrutta
«Che
cos'è un Mangiamorte?»
Zia
Joanne alza lo sguardo dal libro che stava leggendo, puntandogli
addosso due iridi chiare e fredde.
«Prego?»
chiede con gelida cortesia, aggrottando appena la fronte, così da
far intuire all'interlocutore che sarebbe meglio troncare
immediatamente la conversazione.
Peccato
che su di lui quell'invito silenzio non faccia il minimo effetto.
Anzi,
lo sprona ancor di più a pretendere delle risposte.
«Mangiamorte»
ripete Lance, vagamente spazientito, corrucciando il viso in una
smorfia. «Ho sentito questa parola mentre ero a Diagon Alley»
spiega spiccio, davanti all'evidente confusione della donna. «Lo
hanno sussurrato alle nostre spalle e vati
si è innervosito» continua, analizzando attentamente quanto
successo il giorno prima con una concentrazione davvero spaventosa
per un bambino di soli sette anni. «Quindi che cos'è?» esige di
sapere, imperioso, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni e
guardandola dritto in faccia.
Lei,
seduta composta sul divano del salotto principale di Burke House,
rimane per un momento immobile, prima di chiudere il libro con un
sospiro pesante e appoggiarlo accanto al suo fianco.
«Sai
che ci sono state due guerre magiche» esordisce asciutta. «Le quali
hanno provocato diverse vittime. Per farla breve... c'erano due
fazioni: Voldemort contro l'Ordine della Fenice. Sai chi era
Voldemort, vero?» domanda, soppesandolo con un'occhiata attenta.
Lui
annuisce, più volte.
«Il
più grande mago oscuro di tutti i tempi» risponde all'istante,
sicuro, ricordando quelle poche informazioni che il precettore
privato ha biascicato quando gli ha posto quell'interrogativo.
«Precisamente»
conferma zia Joanne, stringata, appoggiando la schiena
all'imbottitura rigida del divano e serrando le labbra in una linea
di disappunto. «I Rosier lo sostenevano» svela incolore, come se
fosse qualcosa di poco conto.
Lance
corruga la fronte e sbatte un paio di volte le ciglia.
«Perché?»
indaga sbalordito.
Lei
scrolla appena il capo.
«Il
solito motivo: il potere» dichiara lei, leggera, lisciandosi una
piega dalla sua veste scura di strega. «Ce n'erano altri, sia
chiaro, ma molti lo facevano per quello. I Mangiamorte erano i fedeli
seguaci del Signore Oscuro» rivela piatta.
Lui
abbassa un momento gli occhi, ponderando su quello che ha appena
scoperto, prima di tornare a guardarla con due iridi chiare offuscate
dal dubbio.
«Quindi
eravamo i cattivi?» deduce esitante.
Zia
Joanne inarca le sopracciglia, impassibile.
«Qualcosa
del genere» conviene fiacca.
«Ma
vati è nato dopo il conflitto» afferma Lance, rapido,
scuotendo il capo con genuina confusione. Continua a rivedere davanti
agli occhi l'espressione di disgusto che storce il viso di quelle persone a Diagon Alley. Fino a quel momento, complice anche il fatto che
raramente si è allontanato da Rosier Castle se non per recarsi in
qualche altra tenuta della famiglia o di qualche amico di lunga data,
non si è mai soffermato più di tanto a riflettere sull'astio che il
suo cognome suscita. Ci ha fatto caso solo quando, ieri, dopo aver
sentito quell'unica frase pronunciata con tale veleno da sembrare un
insulto, ha percepito immediatamente una cupa tensione piombargli
addosso. Ha osservato con due occhi sbigottiti suo padre irrigidire
la postura, voltare il capo all'indietro per rintracciare il
colpevole con il viso minaccioso. Al contempo, forse l'adulto nemmeno se
n'è accorto di aver serrato la mano intorno alla sua con più forza,
tremante di furia e di desiderio di protezione. «Non ha fatto nulla»
riprende sensato.
Zia
Joanne fa un breve cenno con il capo.
«Già»
ammette a bassa voce, fioca. «Ma alla gente non importa. Hai
un'eredità scomoda da portare sulle spalle» dichiara fissandolo
quasi con dispiacere. «Tienilo sempre a mente: anche se ormai la
guerra è finita da un decennio, molti non hanno dimenticato e
vedono negli eredi dei Mangiamorte i colpevoli per quanto è
successo».
«È
ridicolo» sentenzia lui, aspro.
«È
umano» lo corregge lei, pratica, giocherellando con la fede che
porta al dito. «La storia ci insegna che si è sempre cercato di
individuare un capro espiatorio, un nemico da additare e schiacciare
quando le cose vanno male» spiega noncurante. «E tu, tuo padre e i
tuoi fratelli siete gli unici Rosier rimasti» precisa laconica. «Gli
altri se li è portati via la guerra» osserva lugubre.
Lance
la fissa, abbassando un momento gli occhi al pavimento per riflettere
su quanto ha appena scoperto.
«È
per via di Evan?» ipotizza all'improvviso.
Zia
Joanne alza di scatto il capo, corrugando le sopracciglia con genuina
sorpresa.
«Dove
hai udito quel nome?» indaga perentoria, la voce di nuovo gelida.
«Anche
lui era cattivo?» replica il bambino, incurante dei rischi e
determinato a saperne di più.
«No»
dichiara lei, infine, sbrigativa. «Non lo era affatto» afferma
quasi dolente, quasi in un sussurro.
Lance
sbatte più volte le palpebre.
«Ma
se non lo era, allora perch-»
«Adesso
basta» sbotta l'anziana, brusca, inchiodandolo con due iridi roventi
di irritazione. «È già tardi, dovresti essere sotto le coperte da
un bel pezzo. Evita quell'espressione ribelle» lo avvisa dura,
alzandosi con un movimento fluido dal divano nonostante la sua età.
«Rischi solo di prenderti un'altra punizione e lo sai».
Lo
prende per mano e lo conduce nella sua camera da letto, al secondo
piano della casa. Dopo averlo aiutato a svestirsi e prepararsi per la
notte, gli rimbocca le coperte e gli scocca un rapido bacio sulla
pronte.
Lui,
appena sollevate così da sbirciare, la osserva tirare fuori la
bacchetta dalla tasca della veste e spegnere le fiaccole alle pareti,
risparmiando solo il fuoco che arde nel camino e qualche candela
sparsa sui mobili della stanza.
«Sei
fortunato, Lance, sei nato in tempi di pace» la sente sussurrare,
amara, quando ormai è sulla soglia. «Evan non ha avuto lo stesso
privilegio» considera tra sé, desolata.
I know
how it feels being by yourself in the rain/So
come ci si sente a stare sotto la pioggia da soli
We
all need someone to hold/Abbiamo
tutti bisogno di qualcuno che rimanga
«Evan».
Lui
volta il capo a sinistra, incrociando lo sguardo di Emmeline che,
sull'uscio del bagno, lo sta osservando con due occhi scuri
baluginanti di preoccupazione.
Fa
appena in tempo a drizzare la schiena, precedentemente piegata sul
lavandino, che lei si è avvicinata per controllare meglio il taglio
sanguinante sopra il sopracciglio sinistro. «Non è niente,
liebchen» la rassicura morbido, anticipando la sua domanda.
Emmeline
gli prende il volto tra le mani, così da poter scrutare meglio
quella ferita.
«Questa
volta» puntualizza amareggiata, scoccando un'occhiata di puro biasimo alla maschera da Mangiamorte che giace abbandonata sul mobiletto lì
accanto. Recupera la bacchetta dalla tasca della vestaglia e borbotta
un incantesimo di guarigione.
Evan
percepisce un lieve bruciore sulla fronte mentre la magia sta
guarendo e poi rimarginando il taglio. Con la coda dell'occhio, nota dallo specchio che il sangue che gli macchia la pelle è l'unica testimonianza rimasta di quell'unico attacco dell'avversario che è andato a buon
segno.
«Puoi
dire quello che provi» esordisce, stremato dallo scontro terminato
contro i nemici dell'Oscuro Signore, lasciandosi cadere sul bordo
della vasca da bagno.
«E
che cosa provo?» replica Emmeline, appena sarcastica, riponendo la
bacchetta al suo posto.
«Disgusto
per quello che faccio» risponde lui, con sicurezza, alzando il viso
per guardarla in faccia.
Lei
sostiene il suo sguardo, prima di inumidirsi le labbra e abbassare
per un momento gli occhi al pavimento.
«Non
condivido quello che fai ma questo non cambia nulla» afferma dopo
aver fatto un paio di passi così da essergli proprio di fronte.
Abbozza le labbra in un sorriso amorevole mentre allunga una mano per
sfiorargli la guancia. «Non ti abbandono» promette schietta.
Evan
si lascia sfuggire una smorfia affatto contenta.
«A
volte penso che amarmi sia la cosa peggiore che potesse capitarti»
constata a bassa voce, scuotendo il capo con rammarico. «Hai
rinunciato ad ogni cosa per me» afferma tornando a guardarla con due
occhi verdi ardenti.
Devi
scegliere, Emme, ha detto Sirius, l'ultima volta che si è
presentato a casa dei Vance e lo ha visto. Noi o lui,
ha sibilato a denti stretti e con il volto distorto per la furia.
Emmeline
non ha esitato un momento prima di mettersi in mezzo, così evitare
uno duello nel suo ingresso. Evan ha osservato la sua schiena, dritta
e rigida, mentre lei fronteggiava Sirius, intimandogli di andarsene
immediatamente.
Sa
che l'altra si è resa conto all'istante di cosa significasse quella
scelta: tagliare i ponti con l'Ordine e con tutti gli amici che ne
fanno parte, sopprimere con forza la tentazione di combattere contro
un male che considera degno di essere sradicato è stato il prezzo da
pagare per aver deciso di rimanere al suo fianco. Eppure lo ha fatto
senza incertezza, mettendo lui al primo posto.
Come
sempre.
«La
cosa peggiore sarebbe vederti sparire dalla mia vita» confida
Emmeline, amabile, guardandolo con due occhi scuri scintillanti dalla
dolcezza. «Non ti lascerò andare mai più» promette in un soffio,
facendogli appoggiare la testa contro il suo ventre e abbracciandolo.
At
the end of the day you were helpless/Alla fine
della giornata eri impotente
Can
you keep me close? Can you love me most?/Puoi tenermi vicino? Puoi amarmi di più?
«Lo
stai ancora leggendo?»
Lance
distoglie a fatica gli occhi dalla pagina del diario. Se li
stropiccia con una mano, cercando di scacciar via il sonno e la
stanchezza che hanno cominciato a diventare sempre più pressanti e
volta il viso verso il fratello, sdraiato sotto il piumone al suo
fianco.
«Ti
sta proprio piacendo» continua il più piccolo, la voce impastata e
flebile.
Lui
annuisce, chiudendo quel quaderno vergato dalla mano del suo antenato
e appoggiandolo con cura sopra il comodino.
«Evan
è interessante» confida ammirato, ben conscio che l'altro è
l'unico insieme a Jude a sapere che ha cominciato a leggere i diari,
conservati insieme ad altri cimeli dei Rosier, in soffitta. È
rimasto elettrizzato quando ha scoperto che la sua camera un tempo
era quella di Evan. È quella dei primogeniti, ha detto suo
padre, monocorde, troncando il discorso e facendogli ben capire di
non fare altre domande. «Non è affatto il mostro che credevo»
continua in un sussurro, accucciandosi sul fianco e tirandosi la
coperta fino al mento.
L'altro
inarca le sopracciglia, palesemente scettico.
«Per
via Emme?»
«Anche»
ammette Lance, placido. «Soprattutto per il modo in cui ha fatto
certe cose» cerca di spiegare, ripensando a ciò che ha letto. È
stato grandioso, si è detto più volte, rileggendo con vorace
interesse le imprese che il suo avo ha compiuto durante la guerra.
Lui sì che sapeva come
instillare il terrore e dubito che qualcuno abbia avuto il fegato di
sfidarlo come hanno fatto con vati. «Che c'è?» domanda
quando intercetta concentrato lo sguardo dell'altro.
Suo
fratello scrolla le spalle, sereno.
«Stavo
pensando che un po' gli assomigli» afferma con naturalezza,
sbalordendolo.
«E
quindi?»
«Sono
per te quello che Emme era per Evan?»
Lance
sbatte le palpebre prima di sciogliersi in un sorriso divertito.
«Mi
stai chiedendo se sarei capace di essere spietato?» chiede svagato,
elettrizzato all'idea di aver tutto quel potere tra le dita. Corruga
le sopracciglia, valutando attentamente quell'ipotesi. «Per voi
credo di sì, mause» riconosce più a se stesso che
all'altro.
«Familie
kommt zuerst» pronuncia il più piccolo, recitando a memoria il
motto di famiglia dei Rosier.
Lui
annuisce, concorde.
«Quello
sempre» dichiara convinto.
We all need someone to hold/Abbiamo tutti bisogno di qualcuno che rimanga
«Ehi!»
Lance
apre gli occhi di scatto, il respiro affannoso. Ci mette qualche
istante nei quali sbatte più volte le palpebre per rendersi conto di
essere sdraiato nel suo letto nella Stanza delle Necessità.
Una
mano gli scosta con gentilezza un ciuffo di capelli scuri che gli si
è incollato sulla fronte, attirando immediatamente la sua
attenzione. Volta il viso per incontrare, nella semioscurità
spezzata dalle sporadiche fiamme delle candele e dalla luce offerta
dal camino, le iridi chiare e incupite dalla paura di Dominique.
«È
stato solo un incubo» mormora lei, stranamente dolce, facendo
scivolare le dita in basso, così da accarezzargli la guancia.
Lui
annuisce, incapace di dire qualunque cosa.
Rimane
immobile, la schiena appoggiata al materasso e gli occhi che fissano
febbrilmente il soffitto del letto a baldacchino nella speranza di
scacciare il tremore che ancora gli scuote le membra.
Fa
dei respiri profondi, così da incanalare ossigeno e rallentare il
battito cardiaco.
«Che
cosa hai sognato?» indaga Dominique, tesa, la voce incrinata dalla
preoccupazione.
«Non
me lo ricordo» risponde Lance, roco, gli occhi azzurri guardinghi e
ostili mentre torna a guardarla.
Lei
inarca le sopracciglia, prima di piegare le labbra in una smorfia di
fastidio.
«Sei
un bugiardo migliore di così» considera a bassa voce, appena risentita.
«Non importa» decreta svelta, anticipando la brusca replica.
Si
fa ancora più vicina, sollevando quanto basta il busto per portare
la testa oltre la sua, sopra il cuscino, e allungare un braccio così
da stringerlo a sé. Gli sfiora la fronte con un bacio leggero mentre
le dita della mano sinistra hanno cominciato ad accarezzargli il
braccio con movimenti lenti e lievi.
Lui
aggrotta la fronte, perplesso, prima di alzare appena il capo con
genuina confusione.
«Che
fai?» domanda frastornato.
«Louis
mi coccola sempre dopo un incubo» spiega lei, con naturalezza e
senza imbarazzo. «Mi piace aver qualcuno accanto quando sono
spaventata» confida in un sussurro debole.
Lance
non ribatte, preferendo concentrarsi sulla respirazione. Di
riflesso pensa, mentre la ragione riprende il sopravvento e il cervello
cerca disperatamente di confinare in un angolo nella sua mente quel
ricordo che gli è apparso in sogno, che, sì, effettivamente il
tiepido calore di un altro corpo premuto contro il suo, è una
medicina efficace contro la paura.
Anche
se teoricamente sarebbe quello di un nemico.
Nemmeno
si accorge di abbassare le palpebre e di abbandonarsi in
quell'abbraccio confortante.
Hear
the fallen and lonely, cry out/Senti i caduti e
solitari, piangere
Will
you fix me up? Will you show me hope?/Mi sistemerai? Mi mostrerai la speranza?
Lo
ammetto: questa storia non doveva esistere. Tuttavia era da parecchio
tempo che fantasticavo di scrivere qualcosa su Evan e Lance, ma sono
sempre stata trattenuta perché ho sempre paura di lasciarmi sfuggire
degli spoiler.
Grazie
alla sfida di Bellaluna, ho colto la palla al balzo. La canzone che
ho utilizzato è Someone
to stay dei
Vancouver Sleep Clinic.
Piccola
precisazione per chi non conoscesse i miei personaggi. Nel mio
headcanon, i Rosier hanno origine tedesca e quindi conoscono bene
quella lingua. Evan l'ho collocato nella generazione di Sirius mentre
Lance nella Nuova Generazione.
In
qualsiasi periodo storico, purtroppo, i miei Rosier sono perseguitati
dalla sfortuna. C'è chi si è trovato nel bel mezzo di una guerra e
chi deve vedersela con qualcuna che è simpatica come il mal di
denti.
Se
desiderate saperne di più, vi dico che:
-
Evan ed Emmeline compaiono nella minilong Condannati;
-
Lance
e Dominique nella serie Someone
you loved;
-
Familie kommt zuerst
è una raccolta sui Rosier. Ogni capitolo è dedicato a un membro
della famiglia.
Come
al solito, vi ringrazio per aver letto anche questa storia.
Un
abbraccio e alla prossima,
Blue
Vati:
papà.
Mause:
topo.