Fumetti/Cartoni americani > She-Ra e le principesse guerriere
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Autore: kosmos67    07/02/2022    0 recensioni
"Ostinarsi a non credere eterna la sua partenza è, in fondo, il più delizioso di quei giochi a perdere in cui hai sempre eccelso".
Al risveglio, la partenza di Adora sembra esser ancora materia onirica, un'allucinazione che si potrà scacciare facilmente sfregandosi gli occhi. Eppure, Catra realizza ben presto quanto ruvida e opaca possa essere la vita nella Fright Zone senza la persona che ama, al punto che la sua assenza s'impone come chiave di volta del suo intero universo, in un modo o nell'altro.
Adottando il punto di vista di Catra, quando ho fatto ricorso al "tu" mi riferisco a Catra, appunto, mentre con il "lei" ho designato Adora.
Come sempre, ringrazio per l'incoraggiamento e i suggerimenti linguistici hyperktesis, mia mentora di scrittura da molti anni a questa parte.
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Adora/She-ra, Catra
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Zero sum game
 
A kitsune, cielo dorato che m’infonde levità e coraggio.
 
Lenzuola completamente stropicciate su cui non è difficile, qui e lì, scorgere dei piccoli squarci – decisamente ciò che, in passato, avrebbe innescato un litigio. Eppure, adesso, non ascoltare il suo proverbiale rimbrotto quasi ti provoca maggiore irritazione: indovinavi con facilità disarmante le pieghe che avrebbe assunto il suo viso imbronciato, e ogni volta arrestavi il suo disappunto a metà corsa semplicemente avvicinando le tue labbra alla sua guancia. Era il tuo personale modo, quello, di imitare i vostri giochi infantili, in cui la volontà di primeggiare a tutti i costi si mescolava dolcemente all’affetto che cresceva ad ogni evoluzione lunare.
La sua assenza, ora, ti brucia il petto, anche se, forse, ti costa maggiore imbarazzo passare in rassegna, una ad una come un plotone d’esecuzione, le menzogne con cui carezzava i tuoi capelli brulli. Sì, aveva rinforzato le tue ossa con le sue promesse, assicurandoti che crescere non sarebbe equivalso a sfiorire ineludibilmente: non finché ci sarebbe stata lei al tuo fianco. Inconsapevolmente, il tuo corpo si sforzava di avvicinarsi a tutti i costi al suo sole, un eliotropismo che ti spingeva fra le ombre solo per gustare più voracemente la luce dorata che promanava dal suo sguardo ammonitore e insieme rasserenante. Come un astro, d’altronde, lei aveva la capacità di incutere un maestoso atterrimento, unito ad un sentimento maldestro di gratitudine: ammirare una cassa toracica palpitare di così tanta energia, d’altronde, era uno spettacolo a cui le tue pupille non potevano che assistere incredule. Così, hai imparato a ritrarre gli artigli, a dischiudere i palmi delle mani in gesti tremuli, in cui sempre più rade si facevano le tracce di resistenza alla dolcezza con cui lei ti educava: nondimeno, continuavi a percepirti come una limaccia sperduta in un universo brulicante di fiori. La lezione più importante che ti ha impartito – “regola numero centoquarantotto, non dare in escandescenze per nulla!”, era solita ricordare a mo’ di un tenero buffetto -, probabilmente l’unica che ricorderai: anche fra gli sventurati permane sempre un’eco di fraternità. È la solidarietà di guardarsi specchiati nel medesimo baratro; ma il riflesso che questo ti restituisce adesso è solo un inverno spoglio. Come se l’ultima volta che lei ti ha attraversato il capo con le sue dita d’aurora avesse fatto precipitare tutte le foglie della tua chioma.
*
Il capitano in forza tuona gli ultimi rapporti dal campo, evidenziando ogni disfatta e vittoria con il medesimo piglio insopportabile – persuaso, forse per davvero, che il suo tono stentoreo avrebbe restituito all’uditorio il clangore delle armi a cui nemmeno lui aveva assistito. D’altronde, appartenere all’Orda significava innanzitutto abituarsi al concionare di chiunque potesse sfoggiare le luccicanti medaglie conferite da Lord Hordak: non che per te avesse una particolare importanza, nutrire ambizioni su una terra desolata come quella. Quanto diverso era il suo atteggiamento: ritta, pronta a scattare zelante, scevra d’ogni forma di pavidità. Determinata come tu non avresti mai potuto essere, adusa alle traiettorie oblique, ai binari imperfetti e sdentati con cui percorrevi un percorso non presente in nessuna mappa; la meta sfavillante a cui lei tendeva, invero, era così incombente da esser impossibile da sfuggire. Grado dopo grado, briefing dopo briefing, un addestramento completato con la massima performance alla volta, lei s’avvicinava al lucore dell’effigie del comando: divenire Force Captain era un traguardo alla portata; chissà se, giunta alle leve del potere, ti avrebbe consentito di manovrarle insieme. Il suo ritorno fra le tue braccia ruvide, l’unico sogno fragile a cui ti sorprendi ancora di affidarti – con la forza disperata di un naufrago incapace di avvedersi dei marosi che lo inghiottiranno; l’unico, ma non per questo meno condannato a contorcersi in questo mondo morente. Ostinarsi a non credere eterna la sua partenza è, in fondo, il più delizioso di quei giochi a perdere in cui hai sempre eccelso.
L’immagine che lo specchio persisteva nel mostrarti sembrava giorno dopo giorno deformarsi, quasi scavasse essa stessa le crepe che avrebbero determinato la frattura di quel grembo opaco: a stagliarsi vividamente, un fantasma smunto, le guance rigate dalle lacrime. Contrai nervosamente i pugni saldamente serrati e ben protetti dai guanti di stoffa grezza, cercando di recuperare il controllo sulle tue terminazioni nervose: per opporti all’imminente ibernazione o per prepararti all’ennesima scaramuccia che avresti gonfiato sino a farla esplodere in rissa. Al massimo della disperazione, hai ben presto appreso che l’unico compagno fedele a sorreggerti è il furore della sconfitta, l’esilio perenne dal trionfo, il definitivo confinamento dalla felicità; i suoi occhi morbidi, lucenti come turchesi, oramai lontani, lampeggiavano già per qualcun’altra, forse. Quale amore avresti continuato a coltivare, se quel sole feroce ha divorato perfino ogni tuo granello di cenere? Se non ti ha concesso nemmeno l’ultima scintilla di calore che geme sconfitta nella brace?
Le luci ad incandescenza dei corridoi della Fright Zone non si erano mai mostrate così implacabili come in quel momento; al punto che, presto, sarebbe sopraggiunta la squisita ebbrezza del delirio. In fondo, non potevi aspirare ad un narcotico migliore.
*
Percepire l’aria piegata sottilmente dai suoi respiri è stata la prima cosa che ti ha sorpreso, incapace di realizzare che l’intera volta celeste sembrasse contrarsi e rilassarsi al ritmo dei suoi polmoni. Il suo corpo si stendeva lungo l’intero orizzonte, e i tuoi occhi, per quanto temerari, non riuscivano a trovarvi scampo; l’universo ondeggiava dolcemente nelle sue orbite, maelstrom in cui saresti discesa ancora ed ancora per scoprire quale immenso e concavo firmamento celasse. Aveva il dono di rifrangere la sua bellezza su qualsiasi superficie su cui si riflettesse, al punto che la tua eterocromia e le forme costantemente incerte del tuo corpo sembravano compartecipare dell’incanto che seminava con la leggerezza di un tramonto. Nessuna luce era più morbida e soffusa di quella che promanava dai suoi occhi quando si posavano su di te; ora, di essa non è rimasto altro che un’ombra lunga che ad ogni passo si srotola inesorabilmente alle tue spalle. Aiutarti a scacciare via l’inquietudine di esser un paradosso ineffabile, un’ibridazione inaccettabile era la sua dote migliore; accudire il tuo sorriso sempre pronto all’assalto, disarmandolo, la sua carta vincente.
*
Con le gambe sospese nel vuoto, seduta sui tubi di acciaio che sovrastano il dormitorio delle giovani reclute, misuri la profondità del vuoto, il tempo che occorrerebbe per percorrerlo tutto: “sai, ho letto che si definisce appel du vide, l’urgenza di rispondere al richiamo che proviene dall’abisso”. L’ascoltavi così attentamente al punto da ricreare alla perfezione un dialogo perfino con il suo spettro, ora che l’unico motivo che ti convinceva a reagire con indifferenza a quel soave canto di sirena s’era tramutato in un confuso stridore nervoso.
Le volute di fumo che ascendono al cielo assumono forme malleabili, per chi dispera di scorgere un’immagine. Quelle colonne spiralizzanti, allora, possono trasformarsi in figure danzanti, in mani che s’intrecciano, in corpi che si nutrono delle reciproche intersezioni. Non facevi fatica a sovrapporre la fantasia ai ricordi, ad intorbidare gli uni con l’altra, ad evocare un frammento di realtà solo per decorarlo di illusioni vulnerabili; le tue dita, radici troppo deboli per bloccare l’alluvione, stavano smarrendo a poco a poco le tracce del loro passaggio sulla sua schiena nuda. Lontana da lei, realizzi che si può iniziare a marcire ben prima della morte; e che si comincia a deperire quando il corpo si allunga nella solitudine infinita e la fende senza attrito.
Con la devozione e la follia di una profeta, custodisci il torpore delle sue labbra come il più prezioso dei focolari. Sai che il pianeta rosso che si dibatte fiocamente nella tua gabbia d’ossa e carne dipende da questo compito quotidiano, che nessun altro alimento può accelerarne la guarigione o, al contrario, affrettarne il collasso. Preservare quello stato di sospensione incredula, per una volta, sembra essere perfino un modo ragionevole per continuare a sopravvivere. Come rassegnarsi al crollo di un impero, al rogo di una cattedrale, al cielo che si frantuma in mille coriandoli iridescenti? Come rassegnarsi al rimpianto di aver baciato l’oceano senza tramutarsi in nereide? Ti aveva cucito su misura una gioia così profonda da sterilizzare qualsiasi ubriacatura d’angoscia futura.
Quanta ingenuità avevi impiegato per credere fosse vero.
*
Il vento di ruggine e polvere ti sferza gli zigomi, levigati dall’attesa. La falange di bots scintillante innanzi a te, pronta a marciare; reclute, veterani e soldati d’avventura schierati nella retroguardia, non meno solerti delle loro controparti meccaniche. Un esercito sfolgorante, ringalluzzito dalle continue vittorie – dai raid completati con successo, dalle roccaforti della Ribellione cadute una ad una. Sulla torre di ogni fortezza espugnata davi il comando di erigere il vessillo dell’Orda assaporando sulla lingua il gusto ferroso di assistere alla propria volontà eseguirsi perfettamente, senza inciampi; tralasciando di considerare, certo, che nemmeno quel trionfo ti appartenesse realmente, che le coccarde militari che accumulavi senza posa, che la nuova uniforme adatta al ruolo di Force Captain non fossero altro che simboli vuoti. Combattevi disperatamente una battaglia che, in fin dei conti, non esaltava la tua identità più dell’inazione, o dell’oblio in cui, avidamente, ti tuffavi di notte, godendo di un sonno duro, compatto.
Le truppe sono oramai ammassate agli orli estremi di Whispering Woods, e alle tue spalle s’innalzano nient’altro che pinnacoli di fumo e fiamme – a cui gli insediamenti scarsamente popolati erano stati sacrificati, le ultime note mancanti della tua personalissima sinfonia piromantica. Annunciavi a Bright Moon il tuo imminente arrivo marchiandolo a fuoco, riservando al suolo e al cielo il medesimo destino di desolazione e decadenza cui sentivi d’esser avvinta sin dalla nascita: d’altronde, estendere la ruvidezza della Fright Zone al resto di Etheria era un progetto perfettamente inscritto sulla tua pelle, e come tale lampeggiava di una coerenza cui non riuscivi a sottrarti. V’è del piacere nell’eseguire il proprio compito – e forse di questa consapevolezza ne sarebbe fiera persino lei, che all’effimera gloria preferiva la costanza del dovere. In ogni lotta, anche in addestramento, riconoscevi nel suo sguardo una fierezza incrollabile, derivante da quella convinzione invincibile che anima soltanto i prescelti, i folli – o gli amanti, aggiunse una volta lei, spezzando la chiosa caustica di una tua battuta. Avrai modo di chiederle a quale categoria delle tre sentisse di appartenere, quando l’avrai rincontrata sul campo di battaglia.
*
Intravederla, seppur sfocata dalla polvere che incessante si solleva dal moto meccanico dei robot, ti causa un rimescolio di organi che non riesci ad evitare; il tentativo di ostentare imperturbabilità è già destinato ad un’accecante sconfitta, se finanche le lentiggini che costellano i tuoi zigomi cominciano a tremolare. A solo qualche miglio di distanza, lei imbraccia una spada dall’elsa dorata, così orgogliosamente e risolutamente da apparire una sentinella divina, incaricata di ripristinare la primavera del mondo a suon di fendenti ed affondi; sembra ancor più distante dalla versione di lei che pure credevi d’aver conosciuto, e che ora ti si para innanzi, rivelandoti l’assurdità di un’agnizione divenuta oramai impossibile. Lo sguardo fisso su di lei ti provoca il medesimo sentore di tempesta che ti piaceva anticipare nella compattezza delle nubi addensate sulla ferraglia della Fright zone, quando, interpretando la forma dei cumulonembi, indugiavi delicatamente nel più dolce degli inganni: una pioggia interminabile, capace di sciacquare via i colori, e con essi le differenze, le distinzioni. Ritrovarsi omogenei per azzerare le separazioni. Ed invece, lo schieramento della Ribellione sembra rifulgere di un marmo policromo, insopportabilmente bello perfino per occhi imbevuti di buio come i tuoi: resti quasi ammaliata dall’iridescenza degli scudi, delle uniformi, dell’esplosione vibrante di ritmi e calore che emerge da quel battaglione così eteroclito. Assisa sulla rupe, resti sbalordita dalla danza in cui le onde marine si esibiscono, ogni volta che l’impatto contro la scogliera genera una deflagrazione di petali d’acqua. Tuttavia, nulla eguaglia la sinuosità e l’eleganza dei suoi movimenti precisi, puliti – nessuna contrazione muscolare sprecata, ciascuna sorsata d’aria incanalata perfettamente nell’espansione del suo corpo oltre i suoi confini. Agitava la spada come lingue di fuoco avvolgono un edificio prossimo al crollo: con la differenza che a rovinare era la tua fanteria, impietosamente datasi alla fuga, mentre le viscere elettriche dei bots venivano denudate dai suoi colpi. Ammirare quello spettacolo maestoso, che pure decretava la tua disfatta, ti dona, dopo tanto tempo, un senso di appagamento quasi estatico: riscopri la delizia di crogiolarti nell’amore verso un essere eccezionale, e poco importa se il rovescio di quest’immagine ne mostri l’irreversibile stato di consunzione. La resa dei conti, indifferibile, rappresenta un’ascesa squisita al Golgota.
*
Corri verso di lei, convinta che seminerai tutto – la frustrazione dell’attesa del suo ritorno, le melodie che sforzavi di intonare a te stessa per tacere la sua assenza. Corri verso la lama che imbraccia contro di te, un ghigno di sfida dipinto sul tuo volto; esibisci la convinzione, folle, di chi s’immerge in una vasca di fiamme per trarre in salvo chi n’è rimasto intrappolato. Il balzo che compi alle sue spalle – disegnando un ghirigoro in aria – ti ricorda uno di quei trucchi da illusionista cui l’avevi abituata sin da piccola: quando, rincorrendoti, la stupivi sparendo dal suo campo visivo. Sebbene, ora lo riconosci distintamente, l’efficacia di quel numero risiedeva nella certezza rassicurante che saresti riapparsa, le braccia protese per schiudersi in un abbraccio. La stretta in cui adesso la costringi è ben diversa: assomiglia alla spirale che un crotalo incide attorno al costato della sua preda, inerpicandosi lungo la sua intera struttura. Una parte di te ancora si augura che la fame che stai provando sia l’astinenza dalla tenerezza dei suoi gesti, per quanto la tua bocca appaia irrimediabilmente corrotta dal veleno con cui hai cercato di cauterizzarla. Il vuoto della sua partenza, penetrato nei tuoi tessuti, ha cominciato ben presto a corroderli dall’interno: imponendoti come ultima soluzione l’estrema purificazione. Non sarebbe importato – ti ripetevi – che nel processo per guadagnare una qualsiasi forma di quiete avresti perso te stessa, scrollando i ricordi dalle spalle come mucchietti di polvere. Saresti divenuta il territorio d’ombra in cui persino un cocchiere del Sole avrebbe temuto di inoltrarsi.
Le graffi la schiena con violenza, ma i tuoi gesti incerti sono appesantiti dai residui di dolcezza che la memoria tattile oppone alla volontà di ferirla, atto contro-natura al pari di chi, si dice, desideri cambiare elemento, al punto da fabbricarsi delle ali. La tua indecisione le offre lo spazio di reagire, di rilasciare la potenza scintillante della sua spada, capace di sferrare un fiume elettrico che ti relega al suolo. Il cielo si sporca delle nuvole di fumo che l’impatto ha provocato, e quasi sembra perpetuare il tuo sogno atavico di indistinzione; avverti i suoi passi leggiadri avvicinarsi alle tue spoglie, inermi innanzi al potere tremendo di chi è in grado di condannarti alla salvezza o di liberarti nella morte.
Incrociando il suo sguardo terso, sai quale dolore sta per eternarsi.
   
 
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