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Autore: Cattive Stelle    14/02/2022    0 recensioni
[I Bastardi di Pizzofalcone - stagioni 2&3]
Cos'è una notte insonne?
La fotografia di un'emozione, delle paure più profonde, dei pensieri più veri.
E' il rifugio delle anime più inquiete.
In questa raccolta di racconti, una notte e la dedica di una canzone per ognuno dei Bastardi di Pizzofalcone.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Contesto: I Bastardi di Pizzofalcone 2 ~ episodio 2x05  - Souvenir

Dopo aver finalmente chiuso quel caso di aggressione, dal risvolto inaspettato, del turista americano Ethan Wood, in cui i Bastardi si sono imbattuti per caso, Palma si ritrova solo, in un turno di notte di un sabato particolarmente freddo. Quell'amore, nato sul set di un vecchio film a Sorrento, porta il commissario a riflettere sulla sua vita, su quanti danni può fare un matrimonio sbagliato e soprattutto sulla paura sempre più presente di non essere capace di trattenere lei, quella donna di cui si è innamorato e che non fa altro che andar via.

 

 

 

Palma


♫ Quando (Pino Daniele)

 

 


 


II

Quando

 

 

Di addii ricorrenti e divani sempre più scomodi 

 

 

 

 

 

Davanti alla finestra della sala agenti del commissariato di Pizzofalcone, Palma guardava con uno sguardo vacuo i giochi di luce che quel sabato notte d'inverno si divertiva ad offrirgli.
Non riusciva a prendere sonno e, sicuramente, la dubbia comodità del divano usato in comune dai Bastardi, mista alla malinconia di quel weekend solitario, contribuivano alla causa.

Quella appena trascorsa era stata una settimana pesante, arrivavano da un caso difficoltoso, quello dell'aggressione all'Americano, Ethan Wood, e di tutto ciò che ne era seguito, e, così, quella domenica era diventata l'oggetto del desiderio dell'intera squadra.
Tranne per lui, ovvio.

Infatti, si era offerto subito di sostituire Romano per consentirgli di stare un po' con la piccola Giorgia che era stata ricoverata in ospedale nei giorni precedenti.
Sapeva che sarebbe stato più tranquillo nel trascorrere la notte insieme alla bimba e, d'altro canto, lui non aveva niente di entusiasmante da fare.
Per questo aveva concesso l'ennesima chance al "comodissimo" divano che da mesi minacciava concretamente tutta la squadra della comparsa di un'imminente scogliosi e di un conclamato cattivo umore per tutta la mattinata successiva al pernottamento.

Sempre guardando al di là del vetro, Palma realizzò quanto era cambiato Romano da quando avevano ritrovato quella bambina.
I figli so' pezzi 'e core, d'altronde.
Anche se non sono figli di sangue.

Stanco di stare in piedi, il commissario decise di arrendersi al divano.
Si coprì con un plaid consumato e si rigirò per qualche minuto nell'inutile tentativo di trovare una posizione comoda.
Maledette notti.
C'è troppo silenzio di notte - constatò con un filo di rabbia.
Sì, perchè di notte i pensieri si ingarbugliano, arriva immancabilmente l'ora dei bilanci e i conti non tornano mai.
Palma era abituato a quegli ammanchi, da anni.
Se ripercorreva la sua vita vedeva piccoli e grandi errori, sfortune e decisioni prese di fretta che avevano prodotto l'uomo che era, le mancanze che aveva.

Per esempio: ma perché mai sposarsi?
Non nutriva rancori verso quel matrimonio finito, ma a guardarsi indietro, con la consapevolezza del momento, era chiaro che si trattasse di un errore che si poteva tranquillamente evitare.
Per non dire che era stata una solenne cazzata.

Quel caso appena risolto, in realtà, lo aveva fatto riflettere su quanti danni può fare un matrimonio sbagliato, una di quelle unioni portate avanti per convenzione, convenienza o semplicemente per non ammettere di aver scelto una persona non adatta.

Aveva sbagliato Charlotte Wood a trascinare un rapporto con un uomo potente, che le aveva aperto molte porte forse, ma che non amava.
Quell'errore aveva, poi, cambiato irrimediabilmente le sorti di Mimì Capasso che era rimasto dall'altra parte dell'oceano, rinunciando ad un figlio e finendo poi per accontentarsi di un matrimonio di ripiego, con una donna a cui voleva bene, ma che aveva confinato nell'ombra del fantasma del grande amore che gli era sfuggito dalle mani.
Forse, l'unica che, in quella storia, era davvero riuscita a riscattare tutte quelle mancanze di coraggio era stata proprio Angela che, per suo figlio, aveva avuto la forza di mettere fine a quel matrimonio malato, spezzando una volta per tutte quella lunga catena di sbagli che sembrava essere ormai una questione ereditaria, di famiglia.
Errori di cui si è coscienti, di cui si ha il presentimento sin da subito e che, a lungo termine, si fanno sentire.

Riportando la questione su di sé e pensando a lei, alla donna che aveva sposato lui anni addietro, Palma non poteva non ammettere quanto, anche nel suo caso, tutto fosse stato tremendamente sbagliato.
Era innegabile: non c'entravano niente, l'uno con l'altra.
In questi casi non è colpa di nessuno, concluse tra sé.
Semplicemente si arriva ai trenta e si realizza che sta diventando troppo tardi.
Troppo tardi per cosa, poi?
 E allora ci si impone di mettere la testa a posto, di farsi una famiglia, eccetera eccetera eccetera.
Così, ovviamente, come nella migliore delle tradizioni, quando si forzano le cose, si fanno grandi danni. È un attimo che si finisce per illudersi che quell'incontro casuale sia provvidenziale e poi arrivano la conoscenza, la frequentazione, il matrimonio.
Poi, una volta esaurito l'entusiasmo iniziale, ci si ritrova uno a destra e uno sinistra, entrambi insoddisfatti, annoiati e imbronciati nell'amara consapevolezza di essere due pianeti lontanissimi, su orbite diverse. Con nulla in comune.
Lei non era la donna che lui avrebbe voluto per sé e lo stesso era valso viceversa.

Fissando il soffitto, Palma ammise a sé stesso che la più grande crepa di quell'unione era stata il futuro. Alla fin fine quella è la chiave di tutto: guardare avanti nella stessa direzione, allo stesso modo.
Lui in fondo non desiderava altro che una famiglia, lei invece no.
Non c'era nulla di male in questo, ma si era illuso - sbagliando - che con il tempo avrebbe potuto cambiare idea.
Anche se, in realtà, a pensarci bene, anche sforzandosi, non riusciva proprio a immaginarsela una famiglia con lei.
Mancava qualcosa, o forse tutto.
Sono cose che si sentono da subito, non c'è niente da fare.

Con lei, invece, lo aveva avuto chiaro da sempre, fin dal primo istante in cui l'aveva vista.
Quel pensiero gli suscitò un sorriso.
Si sentiva melenso o addirittura un po' ridicolo nell'ammetterlo, ma aveva saputo sin da subito che Ottavia avrebbe potuto o, meglio dire, avrebbe dovuto, essere la donna della sua vita.
Il commissario era convinto che la persona giusta fosse quella con cui non si fa alcuna fatica ad immaginarsi insieme, gli unici due persi in una deserta e silenziosa distesa di poltrone rosse al cinema, o sdraiati a trovare una posizione in cui dormire abbracciati nonostante un pancione ingombrante. E insieme anche nel farsi i regali sbagliati a Natale, a bisticciare inutilmente per una parola di troppo che poi non conta niente, ad arredare case non essendo d'accordo su nulla o a fantasticare sulle somiglianze del bambino che arriverà, andando un po' in paranoia.
"Chissà se avrà gli occhi come i tuoi?"
"E il mio sorriso sotto al tuo naso"
"La mia forma del viso o le tue mani grandi"
E via così...

E, da subito, per lui era infatti risultato semplicissimo vedersi con lei, distrutti sul divano davanti a un film con la casa a soqquadro o immaginarsi a passare notti in bianco avvicendandosi per ore nel cullare un neonato di pochi mesi che avrebbero poi inseguito per casa quando, tempo dopo, avrebbe iniziato a gattonare. 
Se assieme a lei, lo divertiva persino l'idea di sopportare antipatiche festività comandate con i parenti o di firmare una clamorosa prima insufficienza su un diario pieno di adesivi colorati.
Di discutere per la cottura della pasta o su chi ricadesse la tortura della prossima riunione di condominio. Di ridere di nulla, di bagnarsi sotto un solo ombrello troppo piccolo durante un acquazzone, di litigare per ore e poi finire a consumarsi facendo l'amore notti intere.
Istantanee di una quotidianità desiderata da sempre, con la donna che aspettava da tutta la vita.
Una donna che, tra l'altro, non era la sua.

A quel pensiero, Palma finiva sempre a provare una grande rabbia.
E non era di certo qualcosa che faceva propriamente parte del suo carattere o, almeno, non in questo frangente.
Ma, quando la sua mente percorreva quei pensieri impervi, si sentiva ferito, preso in giro dal destino.

Come spesso capita ai romantici a cui è stata riservata una lunga solitudine, aveva combattuto a lungo per abbattere quella speranza quotidianamente delusa di trovare un po' di pace, di trovare lei.
Si era infine arreso, come è normale, per non soffrire più per l'assenza di qualcuno che non sapeva chi fosse, dove fosse e soprattutto se esistesse realmente.
Ovviamente, col tempo, era poi subentrata la rassegnazione come legittimo meccanismo di autodifesa. E, seppur con il sollievo di non avvertire più il bruciore insopportabile e continuo che quella coltellata gli provocava sul petto, Palma, a quel punto, aveva avuto paura di non sentire più niente.

Eppure c'era qualcosa che non tornava.
Lo ricordava perfettamente.
Si trattava di una mancanza che faceva un rumore sordo e che si ripresentava continuamente nel silenzio delle notti come quelle, quando la gente se ne andava.

Era come sentire un richiamo insidioso, un lamento ancestrale e lontanissimo che lo tormentava costringendolo alla dolorosa consapevolezza che ci fosse qualcuno.
Qualcuno che inconsciamente lo aspettava, che aveva bisogno di lui e che a sua volta lui stava cercando disperatamente, seppur senza volerlo.
Pensò a lungo di essere diventato pazzo.

Ma poi era arrivato in quella maniera così rocambolesca a Pizzofalcone e l'aveva conosciuta.
Un fulmine a ciel sereno.
Si era sentito strano, la prima volta che si erano incontrati.
All'inizio, pensava che fosse tutta colpa dell'eco della novità, del torpore dell'emozione che si stava sciogliendo lentamente come neve al sole.

D'altronde, erano secoli che non si emozionava nel conoscere qualcuno, che non provava attrazione per una donna. Temeva, e contemporaneamente lo rassicurava, l'idea che tutto fosse amplificato da quel ritorno improvviso della primavera nella sua vita e che, in quanto tale, dovesse trattarlo come qualcosa di passeggero, fugace, che viene e che va.
Man mano però divenne sempre più evidente che non era così.
Non si poteva ignorare.

Quando se ne era accorto, maledisse il destino che aveva agito proprio quando non ci sperava più.
Era lei, maledettamente lei.
Ne aveva avuto la certezza la prima volta che l'aveva tenuta stretta tra le braccia.
Era stato come sentire un click.
Due parti di un antico e lavorato orologio con un astruso ingranaggio all'interno che si erano ritrovate dopo secoli nel loro perfetto incastro iniziale.
Durante quell'abbraccio, aveva incontrato il suo profumo e lo aveva riconosciuto subito, come se lo avesse avuto nella testa da sempre.
Era buono, intenso, dolcissimo.
Sembrava l'odore più familiare del mondo, quello di casa.
E davvero non riusciva a spiegarselo.

Quella stessa sera, avevano fatto l'amore.
Maledetto lui, maledetta lei, maledetti loro.
Maledetto il destino.
Quando si era svegliato, guardandola nuda addormentata su di lui, aveva realizzato che nulla sarebbe stato più come prima.

Sei fottuto, Palma - aveva pensato.
Perché era bastata quell'ora a legarlo a lei in modo indissolubile, con una catena indistruttibile dagli anelli d'oro.
Aveva capito che non avrebbe mai più potuto farne a meno, come davanti ad una dipendenza, una magia, un sortilegio antichissimo impossibile da infrangere.
Aveva bisogno di lei.

Perché erano fatti su misura.
Con il tempo e con il consolidarsi del rapporto, gli fu chiaro che le sue braccia erano state disegnate con il preciso scopo di proteggere il corpo di quella donna, così come l'incavo del collo per consentirle di poggiarci la testa e le mani, le dita per intrecciarsi soltanto a quelle di lei.

Sempre sdraiato sul maledetto divano della sala agenti, Palma realizzò quanto amava illudersi che tutto ciò, che quell'incastro meraviglioso, fosse opera di un sapientissimo artigiano che con mano esperta, delicata e decisa aveva lavorato di fino, notte e giorno per anni, millimetro per millimetro.
Anche se, con lei, ovviamente, aveva dato il suo meglio.
Non a caso, in quegli occhi scuri ci si poteva specchiare, su quelle labbra morire.
E poi c'era la sua profondità, che sembrava creata appositamente per custodire la loro unione, per accoglierlo come se fosse il posto più sicuro e caldo del mondo.
Nei mesi aveva imparato a perdersi completamente dentro di lei, nel corpo, nei pensieri, nella mente e nell'anima di quella donna che era meravigliosa, sempre, in qualsiasi modo, ma che lo stupiva diventando ancora più bella, ogni volta, appena finito di fare l'amore.
Quando era solo sua.

La cosa che ricordava in modo più nitido, però, erano le sue spalle.
Quelle spalle che erano l'ultima cosa su cui si posavano i suoi occhi quando lei si alzava dal letto e si voltava per andarsene.
Lo viveva come un addio.
Era un dolore insopportabile, ogni volta come se potesse essere l'ultima.
I primi tempi era ingestibile.
Poi aveva trovato un modo per esorcizzare il momento e soffrire di meno.
Così, non appena intercettava il suo girarsi di schiena, la afferrava per i fianchi e la tirava a sé, abbracciandola da dietro.
A lei veniva da ridere, opponeva resistenza, facendo finta di volersene andare.
Però, dopo poco, puntualmente, seduta tra le sue gambe sul letto sfatto, si abbandonava a lui, alle sue braccia, facendo aderire completamente la schiena al suo petto e buttando la testa all'indietro, sulla sua spalla inducendolo a baciarle il collo, le clavicole.

Mentre il sonno lo conquistava, Palma, disteso su un fianco, pensò a quelle immagini un'ultima volta, rimanendo senza fiato per quanto gli mancasse.
Con quei fotogrammi impressi nella testa, si addormentò.

Dopo un tempo difficile da quantificare, il commissario si svegliò che ancora era buio e con la convinzione di averla sognata, perché gli era parso di sentire il suo profumo invadergli i sensi.

Aprendo faticosamente gli occhi, ancora appesantiti dal sonno, la trovò lì, stesa su un fianco verso di lui. Di colpo, il cuore di Palma si riempì di tenerezza.
Doveva essere arrivata da poco perché bastò una carezza per svegliarla.
«Amore mio» - le sussurrò istintivamente, continuando a toccarla, mentre Ottavia gli rivolgeva un sorriso.
L'uomo si sdraiò sulla schiena per stringerla a sé, in modo da farle poggiare la testa sul suo cuore. In quell'attimo, con lei tra le braccia, Palma si sentì finalmente in pace, leggero, nuovamente padrone del proprio respiro.
«Quanto tempo abbiamo?» - le chiese all'orecchio, dopo qualche minuto di silenzio.
«Un paio d'ore» - gli rispose, con la mano sul suo petto quasi a seguire e vegliare il respiro tranquillo dell'uomo.
«Fa freddo, è buio, potevi dormire ancora un po'...» - continuò lui sempre a bassa voce.
«Ho lasciato un biglietto dicendo che avevamo un'urgenza.» - disse.
«Ah sì?» - ribatté lui sottovoce.
«Avevo bisogno di un bacio» - gli sussurrò lei, sollevando lentamente il capo verso il viso di lui che si stava, a sua volta, avvicinando.
Strofinarono i nasi per qualche istante per consentire alle labbra di sfiorarsi. Si baciarono appena per poi guardarsi ancora.
Palma sollevò il mento di lei con la mano destra per condurla di nuovo verso di sé e baciarle l'angolo della bocca. Le labbra iniziarono un lungo gioco di andate e ritorni, finché il desiderio, vincendo su tutto, fece diventare il bacio più profondo e lento, intimo. E, stando abbracciati con il plaid blu e rosso che li copriva sul solito divano scomodo della sala agenti vuota, continuarono a baciarsi per un tempo dilatato a dismisura da quel buio e quel freddo.

Quando la timida luce del giorno iniziò a filtrare dalla finestra, la sveglia del cellulare del commissario suonò, portando lei a stringersi a lui un'ultima volta.
«Te ne vai già?» - le sussurrò all'orecchio.
«Vado di là, così non ci vede nessuno» - disse Ottavia che, mentre lui le accarezzava ancora la schiena, gli diede un ultimo bacio sull'incavo del collo per poi alzarsi.
Lei si voltò di schiena e Palma rimase fermo a guardarla, ripetendo nella sua testa il solito becero copione che conosceva a memoria.
Stava andando via, un'altra volta.
Come sempre.

Nel vedere quelle spalle, sentì un crampo allo stomaco e, d'impulso, si alzò per abbracciarla da dietro.
Lei sorrise, come se lo stesse aspettando.
Sospirando, si voltò verso di lui, sempre circondata dalle sue braccia, e iniziò ad infilare nelle asole vuote i primi tre bottoni aperti della stazzonata camicia celeste con cui aveva dormito.
«Devo andare» - disse lei, sfiorandogli la barba sulla guancia.
«Tu devi sempre andare» - ripeté lui, guardandola negli occhi, mentre a malavoglia le sue braccia la liberavano.
Rimase a fissarla, mentre si sedeva alla scrivania per accendere il computer e slegava i capelli, sentendosi di nuovo terribilmente solo.

In quel momento, maledisse quel destino crudele che anche quella notte lo aveva illuso che lei fosse sua, quando in realtà non lo era.
E forse non lo sarebbe mai stata.
Ma sei mia - disse tra sé con la morte nel cuore - Sempre, anche quando vai via.

 

 

 

 

   
 
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