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Autore: IlGattoSenzaRadici    21/02/2022    0 recensioni
Un pensiero dai suoni tragici sull'autolesionismo... ma è importante ricordare che dopo i giorni crudeli verranno giorni generosi.
Genere: Dark, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando ero più innocente, ci furono per me giorni crudeli. 
Si affacciarono sulla mia vita e i miei occhi divennero finestre sul mondo che mi circondava, per lo più formato dalle quattro mura domestiche poiché raramente mi ritrovavo coi piedi sull'asfalto; nemmeno quelle erano piacevoli e si macchiavano di urla e sangue. 
Io lasciai che dai miei occhi, i giorni crudeli si infiltrassero nel mio corpo e più le lancette dell'orologio si muovevano in avanti, più io desideravo voltarmi e affacciarmi su ciò che era stato il mio passato. 
Si accese la consapevolezza, come una lampadina che aveva smesso di funzionare, ma d'un tratto, proprio quando non se ne sente più il bisogno, ecco che s'illumina. 
Piuttosto, poteva essermi utile, ma i miei nervi non erano pronti. 
Accesi e spensi quella lampadina, per non consumarla mai del tutto, ma assaporai ogni secondo di luce amandolo, detestandolo, desiderandolo e evitandolo solo come si evitano le consapevolezze. 
I giorni crudeli presero la mia speranza e la gettarono lontana da me e io, paralizzata, non potevo alzarmi e raggiungerla. Le avrei certamente dedicato più attenzioni e cure, mi avrebbe ringraziato dandomi la forza di andare avanti. 
La mangiarono a piccoli morsi, davanti a me, che avevo avuto l'accortezza di nascondere dei minuscoli pezzi di speranza tra i tendini. 
Trovarono anche quelli, e i giorni crudeli divennero settimane, poi mesi, poi anni. 

Andai avanti tutto questo tempo per inerzia, si muove un passo dopo un altro solo per l'arte del meccanismo, non si pensa al terzo passo; anche quello verrà da sé. 
Nel mentre mi costruii uno scudo, fatto di mattoni in terracotta e cemento, era ovvio che nessuna lama avrebbe potuto scalfire il mio cuore, adesso.
Ma l'aria attorno era pesante, il respiro era affannoso. 
E succedeva che, quando sentivo di aver incontrato un'anima simile a me, liberavo il cuore dalla corazza e così faceva lei, ma le radici, che sono in fin dei conti il passato, finivano sempre per scontrarsi le une contro le altre. In qualche modo, mi pentivo sempre di aver abbassato lo scudo. 

Arrivò un giorno in cui trovai un'otre piena di gocce di speranza, e io decisi che fosse olio, e che l'olio fosse buono per la mia pelle, sicché me ne cosparsi le braccia. 
Profumava di gratitudine ed era forse più soffice delle nuvole del cielo. 
Ma i giorni crudeli tornarono, e si mangiarono anche le gocce di speranza che avevo spalmato sulle braccia. 
Questa volta, però, ogni loro morso lasciava una ferita, e io, fino a quel momento, non avevo mai conosciuto le ferite del corpo... perché il mio scudo in terracotta non mi aveva protetta? 
Adesso posso dire che il processo è simile; si apre la pelle, dopo un po' forma una crosta, nel tempo sì formerà anche una cicatrice e questa diventerà violacea, rosea, poi del colore della cute, e a volte sembrerà scomparire. Ma posso affermare che più la ferita è grande, più il periodo di guarigione è lungo. Non è vero che il tempo cura, nel cuore e nel corpo rimarranno sempre cicatrici molto grandi. 
Fatto sta che ogni singola volta che una goccia di speranza veniva mangiata dai giorni crudeli, essi diventavano più grandi, essendosi nutriti, e io diventavo più ferita. 
A volte, necessitavano di due gocce o tre.
Ecco, si precipita! 
Tre diventa quattro, quattro diventa cinque. Così via, fino a sessanta. 
Con sessanta ferite come si può pretendere di andare avanti? 
Ma quando le gocce finirono, io mi ero già affezionata alla sensazione di vulnerabilità e cercai nel terriccio qualche metodo per sopportare quella perdita e tornare lesa. Era come se, ad ogni ferita del corpo che aggiungevo, una ferita del cuore si rimarginasse un poco, e per un momento a quel dolore davo sollievo. 

Passavano gli anni, il mio segreto fu svelato, ma le uniche cicatrici che la gente vide, furono quelle delle braccia. 
Forse, ciò era una richiesta perpetua di attenzioni. 
Forse, ciò era una moda. 
Ma sicuramente, ciò che si celava sotto la pelle di un corpo così giovane non poteva essere sofferenza. 
Allora io mi ribellai e scappai, presi le mie robe, le stoffe, i fogli bianchi... 
Ricordo che mi portai dietro ogni singola cicatrice del corpo e dell'anima, e quelle del corpo erano di numero ottocento, circa. 
Non ne dimenticai mezza, ognuna era una lettera che componeva la mia storia, un segno, diventato così attaccato a me, che il tempo rese indelebile. 
Fuggii perché lo scudo di mattoni non funzionava più, quando gli altri giudicavano il mio malessere senza scopo e senza timore, e soprattutto senza quella consapevolezza sulla mia sofferenza che avevo colto accendendo e spegnendo la lampadina e passando in prima persona su quelle strade, dove i miei piedi sfioravano i rovi e nessuna rosa bella poteva essere colta a causa delle sue spine. 

Le braccia, così, divennero piene, e non mi bastarono più. 
Passai alle gambe, alla pancia, persino al seno, alle mani. 
Resi il mio corpo un covo malconcio e stanco e pieno, pieno di ferite. 
E mi accorsi che "solo un altro" era una bugia, una infima, perché il solo un altro di oggi diventa uno in più, e il solo un altro di domani diventerà uno in più, e così funziona, i giorni crudeli si presero prima il mio cuore, poi il mio corpo,  e divennero anni crudeli dai quali non seppi liberarmi.





Nota dell'autrice: e invece pare che io me ne sia liberata. 
   
 
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