L'arbitro fischia. Punto per noi. 

24 a 23, terzo set, finale di campionato. Match point per la Shiratorizawa.

Tocca a me servire. 

Anche oggi ho fatto molti punti per la mia squadra. 

Sono un capitano rispettato e ammirato, tutti mi vedono come un campione, forte, determinato, sicuro di me. 

Non sanno che la mia forza si trova in quel fuoco rosso lì davanti, sotto rete, in posizione opposta rispetto a me.

Ogni volta cerco quel fuoco, che mi dà la forza e la carica.

Mi metto in posizione per la battuta. 

All'apparenza sembro molto concentrato sul servizio, e lo sono, ma con la cosa dell'occhio lo scruto, in attesa.

Mi dà le spalle, rivolto alla rete, leggermente piegato in avanti. Sta giocherellando con le sue lunghe dita, il corpo teso pronto alla prossima azione. 

Non posso vederlo, ma so che in questo momento i suoi grandi occhi penetranti e curiosi stanno passando in rassegna gli avversari e che le sue labbra sono tese in un sorriso storto. Nella testa, probabilmente, una canzoncina ridicola. 

L'arbitro fischia. 

Mi preparo alla battuta. 

Ancora 8 secondi. 

Ancora un'attimo. 

Eccolo. Volta la testa. I suoi occhi intensi sono per me. Sa che lo vedo. 

Il nostro segnale. Che sa di notti insieme, di dolci risvegli, del bacio in spogliatoio prima della partita. Del nostro futuro insieme. 

Ora posso battere. 

Sarà un'ace.