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Autore: Eneri_Mess    09/03/2022    2 recensioni
“… l’unico souvenir che avrai sarà un dito medio, hai capito!? Puoi andare a impiccarti mentre non ci sono e usa quella tua nuova poltrona imbottita extralusso da Dirigente per farlo, così per quando torno sarà libera! Anzi no, la poltrona la voglio senza un graffio, vai ad annegarti!”
o anche:
Come Ango non riesce a venire a patti con i propri sentimenti.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ango Sakaguchi, Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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COW-T 12, quarta settimana, M1
Prompt: Brucomela, Bagnasciuga, Cristallo di rocca, Carta assorbente, Dubbio, In cima, Iguana, Luna piena, Lacci delle scarpe, Malinconia, Maglietta strappata, Poltrona imbottita, Essenza, Senza tregua, Sandali, Zoccolo, Acqua fresca, Gatto nelle braghe, Pornografia, Michelle Visage
Numero parole: 5000
Rating: Verde
Note: un’altra AngoChuuya però ormai ho preso il viaaa. Il plot originale di questa shot era molto più esteso, ma per esigenze di k ho dovuto limare e tagliare parti (addio porn).
Nota al titolo: ok non ha veramente senso, ma questa canzone il mio cervello la associa a sti due. Prendiamo quella C per Chuuya UU. 


You, You never said a word
You didn't send me no letter
Don't think I could forgive you
See our world is slowly dying
I'm no wasting no more time
Don't think I could believe you

[Prayer in C - Lilly Wood & The Prick and Robin Schulz]




 

Quel viaggio stava iniziando male già dalle premesse.

“… l’unico souvenir che avrai sarà un dito medio, hai capito!? Puoi andare a impiccarti mentre non ci sono e usa quella tua nuova poltrona imbottita extralusso da Dirigente per farlo, così per quando torno sarà libera! Anzi no, la poltrona la voglio senza un graffio, vai ad annegarti!”

Ango si abbandonò contro il poggiatesta concentrandosi sugli uomini in pista intenti a concludere le procedure per la partenza del volo, mentre il suo compagno di viaggio attirava l’attenzione dei pochi altri passeggeri in prima classe. La hostess lanciò al rosso occhiatacce che ribadivano il suo La prego, spenga il cellulare senza venir calcolata. Ango finse di non conoscerlo.

Erano arrivati insieme, ma il Quattrocchi - stanco com’era da una notte di dubbi e insonnia - non gli aveva dato troppa corda mentre sistemavano i bagagli a mano e Chuuya imprecava al telefono col partner.

Anche il cellulare di Ango non si era placato un secondo per quasi un centinaio di messaggi, ma, a differenza del rosso, lo aveva silenziato sia di suoneria che di vibrazione. Questo non gli impedì però di leggere le anteprime della chat con Dazai.

Ango, eddai! Almeno tu promettimi un souvenir!

Perché mi ignori?

Vuoi qualche consiglio su come trattare la Lumaca!?

Ho due o tre scherzi che potresti fargli in albergo… 


Il viaggio fu estenuante.

Ango si addormentò e si svegliò di continuo, tra sogni brevi e le continue imprecazioni di sottofondo di Chuuya perché Dazai aveva trovato il modo di chiamare direttamente la linea interna della prima classe senza dare loro tregua.

La spia non aveva neanche la forza di scrivere all’amico e pregarlo di smetterla di importunare il diciassettenne, perché stava influenzando l’umore generale degli altri passeggeri - che tuttavia il rosso aveva rimesso al loro posto appena si erano lamentati. Era un circolo vizioso.

L’arrivo, il trasferimento presso l’albergo e la sistemazione non andarono meglio.

Pur di avere cinque minuti di tranquillità, Ango si accollò le pratiche di registrazione presso la reception - avrebbe potuto compilare moduli a occhi chiusi - anche se essere fissato dall’iguana tenuta nel terrario lo mise solo più in soggezione. Non era un fan dei rettili e quella in particolare continuava a muovere, a sua impressione, l’occhio verso di lui.

«Samantha l’ha presa in simpatia, signore! I clienti con gli occhiali sono i suoi preferiti!» spiegò con una risata la receptionist. Ango produsse un assenso e un sorriso di circostanza, tenendosi per sé l’inquietudine, o più probabilmente quel senso di disagio che aveva iniziato a provare l’attimo dopo che il Boss gli aveva affidato l’incarico.

C’è da verificare l’affidabilità di un compratore in Italia. Sulla carta ha mandato ottime referenze, anche troppo ottime.

E fino a lì, Ango aveva accolto la richiesta come classica routine e un breve sospiro tra sé. Nulla di ingestibile, solo l’ennesimo viaggio in Europa. L’aggravante era sopraggiunta con un sorrisetto che su Mori significava solo possibili - o più che probabili - guai.

Il nostro compratore vorrebbe ammortizzare le spese rivendendoci parte della merce di cui si occupa, ma non è stato molto chiaro nel mandare referenze sulla qualità. Come sai, stiamo riorganizzando il Settore 2, quindi ci ha colti sfortunatamente impreparati. Vorrei dunque unire l’utile… all’utile.

Ango aveva recepito ancora prima che il Boss terminasse il proprio discorso. Una vocina nella sua testa aveva iniziato a rifiutarsi con dei No, no, no ti prego, no-

Visto che si tratta di un acquirente in fase di valutazione, è molto lontano e non siamo certi dell’accoglienza che potrebbe prospettarsi, sono dell’idea che affiancarti Chuuya-kun si dimostri vincente su più fronti. Avrai una scorta eccellente, la sua esperienza con le gemme sarà preziosa per valutare la merce e, soprattutto - e qui Mori stesso aveva sospirato massaggiandosi una tempia - avremo una tregua dalle minacce di morte costanti che lancia a Dazai-kun da quando l’ho promosso a Dirigente. Credo che una vacanza farà bene a tutti.

Vacanza, pensò Ango con tutte le emozioni contrarie che si potevano provare per una prospettiva del genere. Non era minimamente la sensazione che percepiva nello stare in uno dei paesi più rinomati al mondo per quel genere di leggerezze. La vista del mare era mozzafiato, l’odore nell’aria, arricchito da fiori ed essenze profumate sistemate strategicamente, era calmante e inebriante, la tranquillità generale invitava al riposo…

Eppure Ango aveva un peso nello stomaco che non gli permetteva di godere di nulla di tutto ciò.

Peso che divenne un morso quando avvertì la risata leggera di Chuuya prima di svoltare l’angolo che lo avrebbe portato alle loro suite.

Si arrestò a un passo dal palesarsi e restò immobile, come se avesse appena attraversato la strada senza guardare, vedendo arrivare un’auto che non si sarebbe fermata in tempo. Era esattamente come si sentiva nell’ascoltare il giovane mafioso mentre flirtava con la cameriera… in francese. Un brivido lo colse alla base della schiena e chiuse gli occhi, ripetendosi di essere un idiota senza speranze.

Il problema era riassumibile in poche parole: non riusciva a smettere di pensare a Chuuya. Ogni volta che il rosso finiva menzionato in una conversazione - e frequentando Dazai succedeva spiacevolmente spesso - Ango avvertiva un’emozione fuori posto che si muoveva tra stomaco e petto. Il culmine era stato sognarlo di notte - sognarlo con le mani su di sé - e non una volta sola.

Avendo una mentalità metodica, la spia aveva messo insieme i pezzi, per poi rifiutare il risultato finché all’ultimo, qualche giorno prima, Odasaku, con la sua silenziosa e discreta perspicacia, gli aveva domandato C’è qualcuno che ti piace?

Ango aveva avuto un breakdown davanti a un whiskey intonso. A posteriori, continuava a ringraziare che quella sera fossero stati solo loro due, perché Dazai lo avrebbe tormentato fin nella tomba per sapere cose che neanche lui riusciva ad afferrare.

Invece aveva avuto l’opportunità di sfogarsi come l’adolescente che non era mai stato, facendosi venire una crisi a guance paonazze nel descrivere, nelle stesse frasi sconclusionate, sia come si sentisse sia come non riuscisse a smettere di avere in testa il giovane mafioso. Un disordine di informazioni per cui ancora si vergognava, ma che Odasaku aveva accolto in silenzio, limitandosi ad alcune concise osservazioni che Ango non aveva ancora metabolizzato.

Non ci vedo nulla di male.

Era tutto sbagliato, invece. Tutto.

Non lo conosco personalmente, anche se Dazai me ne ha parlato. Sembra un tipo interessante.

È distruttivo, in ogni senso possibile.

Perché dovresti sentirti in colpa? Stai provando qualcosa per una persona, non trovi che sia una bella sensazione?

Le argomentazioni per controbattere Ango aveva dovuto ingoiarsele, sia le informazioni top secret - il dettaglio che Chuuya fosse un’arma scaturita da un esperimento, che forse non era neanche umano - sia quelle di natura etica e morale, come il fatto che il rosso avesse diciassette anni, che incarnasse il mafioso convinto e lui fosse invece una spia del governo.

Nulla avrebbe potuto funzionare.

Neanche restarsene piantato a quell’angolo di corridoio ad ascoltare il centro dei suoi pensieri sussurrare frasi a doppio senso a una ragazza conosciuta da cinque minuti.

«Ah-ehm» si fece coraggio, palesandosi e interrompendoli. Il tutto durò il tempo di morire di imbarazzo e marciare verso la propria stanza a sguardo basso. 

Ango avvertì gli occhi di Chuuya su di sé e fu come entrare in una doccia con l’acqua troppo calda. Si sbatté la porta alle spalle e si passò le mani sulla faccia, facendo cadere gli occhiali, e reprimendo un inarticolato verso di frustrazione.

Non sarebbe mai stata una vacanza, ma un lento cammino verso il patibolo per la sua sanità mentale.


“Quattrocchi, che diavolo sono quelle scarpe? E il completo?”

Chuuya, svaccato a uno dei tavolini nella veranda dell’albergo, si abbassò gli occhiali da sole e fissò critico le calzature dell’uomo. Realizzando solo dopo il gesto stupido, Ango abbassò gli occhi sulle proprie scarpe, senza capire. Erano semplici, scure, stringate.

“Ma neanche in vacanza riesci a rilassarti?” continuò il rosso, tornando a sfogliare la rivista su cui spiccava in copertina uno speciale su una certa Michelle Visage. Questo fece accigliare Ango, che si spinse gli occhiali sul naso. Faceva caldo ed era leggermente sudato, nonostante ci fosse della brezza a smuovere l’aria.

“Siamo qui per lavoro” gli ricordò, ma senza la solita rigidità, ancora concentrato sulla diva del magazine, chiedendosi scioccamente se così grandi interessassero al rosso. “Non credevo ti piacesse quel tipo di donna.” Parlò prima di rendersene conto.

Chuuya non sembrò farci caso e corrugò la fronte, per poi abbassare la rivista e guardare la cover come se la vedesse per la prima volta. Fece una smorfia.

“Ne ho presa una a caso” spiegò scocciato, per poi rivoltare il reale contenuto che stava leggendo verso la spia. Aveva una seconda rivista - pornografica - e Ango la fissò a bocca aperta, preso alla sprovvista.

“C-Chuuya-kun! P-Perché?” balbettò, guardandosi intorno e notando altri avventori intorno scrutarli. Si ricompose e anche il giovane mafioso tornò alla propria attività con una faccia di bronzo.

“Mi annoiavo ed ero curioso di sapere com’erano le riviste porno italiane, ma continuavano a fissarmi tutti e a borbottare come fossi un ragazzino. Non riesco a farmi capire quando li insulto e quindi-” alzò la doppia rivista, mettendo di nuovo in vista la diva. “Questa Visage sembra più adatta al pubblico qui.”

“Chuuya-kun…” iniziò Ango con un sospiro, togliendosi gli occhiali e passandosi la mano sulla faccia. “Non sei maggiorenne, quindi non ci si aspetta di vederti con certe cose in mano.”

“In mano ci tengo il cazzo che mi pare” lo rimbeccò, interessandosi a delle foto in particolare. “E il mio passaporto dice che ho vent’anni.”

Sì… ma il tuo aspetto e i miei sensi di colpa dicono il contrario.

Due riflessioni che Ango tenne per sé, preferendo guardare l’orologio al polso.

“L’auto dovrebbe essere qui tra dieci minuti” e nel dirlo, squadrò di nuovo il giovane mafioso. Aveva una maglietta bianca e sopra una camicia rossa hawaiiana, dei pantaloni in tela scuri e le infradito. “… hai poco tempo per cambiarti.”

Chuuya si sistemò gli occhiali dalle lenti viola in mezzo ai capelli rossi; non c’era davvero niente che gli stesse male. Se non forse la sua perenne aria incazzata, che smorzava gli approcci.

A meno che tu non sia una cameriera italiana che conosce il francese, pensò Ango pungolandosi da solo. Si chiese perché si volesse così male.

“Quattrocchi, ascoltami. Io non so cosa ti aspetti da questo tipo che dobbiamo incontrare, ma lascia che ti dica una cosa: non ne vale la pena.”

Ango ne rimase confuso.

“Cosa intendi?”

“Sei serio? Uno che chiamano Gatto nelle Braghe di soprannome pensi sia uno per cui sprecarsi a fare affari? Siamo nella patria della Mafia propriamente detta, ma questo sta fuori. Siamo qua solo perché Mori-san voleva mi dessi una calmata riguardo la promozione dello Sgombro. Non sono nato ieri.”

Evidentemente Ango sì, perché trovò del senso nelle parole del rosso e il quadro generale gli fu improvvisamente chiaro. 

Non era Chuuya che accompagnava lui come guardia del corpo ed esperto in materia di gemme. Era Ango che, da adulto qualificato, stava facendo da balia al più giovane dopo la delusione per l’avanzata di grado di Dazai.

Si sentì un idiota. Un idiota senza speranze.

“… vado a cambiarmi le ciabatte, tu aspettami nel parcheggio e andiamo a fare sta pagliacciata” borbottò Chuuya, dandogli una pacca sulla spalla di compatimento - un po’ troppo energica - mentre tornava verso la propria camera.

Ango si trascinò verso l’ingresso, odiandosi, ma tastandosi il punto dove Chuuya lo aveva toccato.


Ma dai, non avevi capito che eri la babysitter della Lumaca!?

Dazai non fu ovviamente di nessun conforto.

Mi sono documentato per conto mio su questo nuovo cliente…

Sai, ora che sono Dirigente ho risorse illimitate, ricordalo anche a Chuuya!

Ti racconto l’episodio per cui si è guadagnato la nomea di Gatto nelle Braghe!

Sembra che una volta si sia addormentato mentre era al gabinetto in uno dei suoi locali e che sia scoppiata una sparatoria. Nella fretta di andare a vedere, si è tirato su i pantaloni senza accorgersi che ci si fosse addormentato il gatto! Ahah! È corso con la pistola in mano per dare appoggio ai suoi e hanno anche vinto, perché gli avversari sono rimasti confusi dal rigonfiamento nelle sue braghe! Da qui il soprannome! Ti immagini?

Ango non era un tipo molto fantasioso, ma quando si ritrovò davanti il famoso “Gatto nelle Braghe” ebbe un’involontaria e chiara immagine dell’aneddoto citato dall’amico. Dovette simulare un lungo colpo di tosse per nascondere il fatto che, per non ridere, si stesse strozzando.

“Ohi, non sarai uno di quelli che si ammala per l’aria condizionata?” lo riprese Chuuya, mani in tasca, mentre osservavano la servitù della casa allestire il tavolo per il pranzo dove si sarebbero tenute le trattative.

Si trovavano su una terrazza in cima a una scogliera a strapiombo. Il rosso aveva già commentato con un Sai che bel volo da qui? abbastanza interessato, mentre Ango metteva a tacere il senso di vertigine - più l’ansia di cadere - cercando di concentrarsi su altro. Ma non c’era davvero molto su cui riporre l’attenzione.

Non voleva fissare il loro cliente, sia per una questione di educazione, sia perché non era un uomo particolarmente piacevole alla vista per le maniere e i vestiti stazzonati e sudaticci. Non voleva guardare neanche Chuuya, perché ce lo aveva fisso in mente già troppo spesso per scrutarlo ulteriormente. Ma il rumore dei suoi zoccoli sul pavimento attirava l’attenzione quasi quanto la sua testa rossa. Solo Chuuya poteva indossare delle cose del genere e continuare a sembrare appetibile.

Ango si riportò la mano alla faccia, passandosela sotto gli occhiali e biasimandosi. La sua testa non intendeva dargli tregua.

“Quattrocchi, ma che ti prende?” inquisì Chuuya, piazzandoglisi davanti e non migliorando la situazione. Avevano quasi venti centimetri di differenza, eppure pareva fosse il rosso a scrutarlo dall’alto in basso. “Se pensi di vomitare vai ad aspettare in macchina, qui faccio io.”

La spia corrugò la fronte, a disagio, cercando di rientrare nei propri panni.

“Sto bene” mentì. “È il jetlag” e non era una bugia totale, ma la più semplice. "Appena avremo finito mi riposerò…”

“Fa come ti pare, ma te l’ho detto, sarà una perdita di tempo…”


Andò a tutti gli effetti come il rosso aveva pronosticato. Ango non riuscì neanche a gustarsi il pranzo nonostante le portate emanassero un profumo magnifico, l’essenza stessa della cucina italiana. 

Chuuya non fece complimenti, buttando giù anche una quantità indecente di vino che sciolse ulteriormente la sua lingua. Per loro fortuna, l’interprete preso da Gatto nelle Braghe era mediocre e traduceva a spanne, abbellendo i loro discorsi per fare piacere al proprio capo. 

Per ovvie ragioni, Ango tenne per sé il fatto di capire l’italiano. Dato che tutto era una messinscena e che non si sarebbe stipulato nessun accordo alla fine dei giochi, restò sulle sue, limitandosi alle frasi di rito.

Questo fino a quando non arrivarono al piatto forte di quello che sarebbe dovuto essere il contratto, ossia la parte riguardante le gemme. Ango ringraziò tutta la propria esperienza da mediatore, perché se non ne uscirono crivellati di colpi - o se la terrazza non sprofondò dalla cima del promontorio in mare per la gravità - fu grazie al suo intervento.

Gatto nelle Braghe aprì una valigetta con quelle che lui decantava come un vero tesoro, qualcosa di essenziale per lo spirito - un evidente campanello d’allarme - che chiamò Cristalli di Rocca. Ango non era un esperto, ma persino lui capì la fregatura. Chuuya, al suo fianco, sembrò tornare abbastanza sobrio da sbottargli a ridere in faccia e uscirsene con quello che ormai era il leitmotiv di quel viaggio.

"Che ti dicevo, Quattrocchi? Una totale perdita di tempo!"

L’interprete divenne prima bianco e poi paonazzo, biascicando una traduzione anche troppo colorita, per una volta che il giovane mafioso non aveva neanche aperto il proprio dizionario degli insulti. 

Il padrone di casa non fu ovviamente contento del mancato rispetto verso la propria merce e Ango si trovò a prendere le redini della situazione, guardando in faccia l’interprete perché traducesse da un giapponese totalmente basico e scandito le sue scuse per le parole del compagno, che c’era stato un malinteso alla base e quasi due minuti buoni di intortamento da un repertorio diplomatico che la spia aveva appreso per momenti come quello.

Fu come recitare una poesia a memoria, salvo che non ci fosse nulla di malinconico o romantico, se non le loro vite in gioco. Erano pur sempre in due contro almeno una dozzina di guardie e c’era sicuramente qualche dotato di abilità lì in mezzo. Per quanto Chuuya potesse gestirli a occhi chiusi, lui rimaneva pressoché inutile in uno scontro. E non aveva alcuna intenzione di tornare in Giappone con una pallottola nello stomaco.

Il pranzo finì prima del dolce, ma nessuno sembrò rammaricato della cosa.


“Mi è rimasta la voglia di dargli un pugno in faccia, altroché il dessert!” sbottò Chuuya, strascicando i suoi zoccoli rumorosi nel corridoio dell’albergo. A parte la gentile receptionist - e Samantha l’iguana - non avevano incrociato nessuno.

A quest’ora sono tutti in spiaggia, aveva spiegato cortesemente la donna del personale, riconsegnando loro le rispettive chiavi.

Ango aprì l’uscio della propria camera sospirando, ma quello stesso sospiro gli si strozzò in gola quando fu rudemente spinto di lato.

“Ma poi chi si credevano di essere, a malapena il vino era buono!” blaterò il rosso, entrando nella suite e lasciando cadere in terra la camicia.

“E-Ehi! Questa è la mia stanza! La tua è quella di fianco!”

“Che gente inutile, mi hanno solo fatto venire mal di testa” continuò il rosso senza prestare la minima attenzione al Quattrocchi. Abbandonò con una scrollata di piedi i suoi preziosi zoccoli in pelle naturale e legno di tiglio - come amava descriverli - e si lasciò cadere sul letto della stanza. “Voglio passare il resto della vacanza ammollo in mare…”

E si addormentò, senza dare il tempo ad Ango di elaborare, ancora pietrificato sulla porta. Poté solo richiuderla e arrendersi. 


Oh no, avrei voluto esserci!

Dazai accolse il resoconto della spia con il solito entusiasmo fuori luogo. Le spalle del Quattrocchi si afflosciarono, abbandonando la digitazione del report sul portatile per prestare attenzione ai nuovi messaggi in arrivo.

Magari sarei morto cadendo in quel bellissimo mare mentre un mafioso italiano mi sparava! Sarebbe stato così scenico, ci avrebbero scritto un film!

Ango trovò a malapena la forza di rimproverarlo e lamentarsi che quel fiasco totale fosse stato umiliante. Finì l’ultimo sorso dell’acqua fresca con cui si stava rinfrancando lo spirito dopo il pranzo andato storto e si riempì un altro bicchiere. Dazai riprese a scrivergli.

Lo sai che mi scoccia dare ragione alla Lumaca, ma ora che sei lì e vi siete liberati subito dell’imcombenza formale, goditi la vacanza! Anche Odasaku è d’accordo! Brindiamo al tuo riposo!

La spia avrebbe dato di tutto per trovarsi al Lupin insieme ai suoi amici. Lanciò un’occhiata alle sue spalle e osservò come Chuuya, dopo un’ora, fosse totalmente nel mondo dei sogni, russando in maniera sommessa a pancia in giù e sbavando sul cuscino. Quando i suoi occhi si soffermarono sulla sua bocca, Ango si voltò repentinamente, arrossendo e reprimendo sul nascere certe idee.

Ma fece un errore di calcolo.

Col gomito urtò il bicchiere d’acqua e questo si sbilanciò, finendo sulla tastiera. In pochi secondi il portatile andò in errore e si spense, sotto la faccia incredula dell’agente, che non ebbe neanche la forza di imprecare.

Restò a osservare l’acqua gocciolare come sintesi dei propri sforzi inutili e riuscì solo a pensare che pure il verbale di quel viaggio disastroso era da ricominciare da capo. 

Chuuya mugugnò nel sonno e Ango si arrese, voltandosi a fissarlo e concedendosi un attimo di tregua. Se tregua si poteva chiamare, scrutare la persona che desiderava - senza neanche aver decifrato realisticamente cosa quel desiderio fosse - ma sapendo quanto restasse irraggiungibile. Si raccontò che lo fece per l’estetica, nutrendo la propria prematura malinconia di quei dettagli che un giorno, finita la sua missione sotto copertura, gli sarebbero mancati.

Quando l’acqua iniziò a gocciolargli sul ginocchio, Ango sospirò e si alzò per rimediare a quel piccolo incidente.


La terrazza dell’albergo era deserta, ma dalla spiaggia sottostante si sentivano arrivare coloriti schiamazzi che cullarono un po’ lo strascicare dei piedi del Quattrocchi. Non si era messo comodo una volta tornato, limitandosi solo a togliersi la giacca, la fondina e la cravatta. Non si era neanche riposato, per ovvie ragioni che occupavano il proprio letto. Però Dazai - e anche Chuuya - non avevano torto a ribadire che si sarebbe dovuto godere un po’ quel bel posto.

Rientrando dalla veranda del ristorante, Ango cercò qualcuno del personale per farsi dare della carta assorbente. Non incontrò anima viva, ma trovò quel che gli serviva. La sua attenzione fu però attirata da un mugugno concitato e soffocato.

Isolandolo dagli altri rumori ambientali, Ango lo seguì fino alla reception, limitrofa alla sala del ristorante, e al bancone dove c’era sempre qualcuno di servizio. Sotto lo sguardo fisso di Samantha, Ango trovò la receptionist a dimenenarsi per terra, legata, imbavagliata e in lacrime.

“Cos’è successo?” Ango fece appello ai propri nervi per rimanere saldo e parlare in un italiano piano. La giovane donna tirò su col naso una volta libera.

“Due uomini sono entrati e hanno chiesto di lei e del suo compagno. Mi dispiace tanto” singhiozzò.

La spia non ebbe neanche bisogno di fare due più due.

“Vada verso la cucina e si chiuda lì dentro. Non chiami nessuno o le cose peggioreranno.”

La receptionist fu anche più spaventata di prima, ma non si oppose. Ango invece tornò svelto verso il corridoio delle camere, iniziando a pensare. Non aveva incrociato per pura fortuna i due tizi - certamente mandati dal mafioso scontento - essendo passato da fuori invece che da dentro. Ma non aveva neanche sentito i familiari urli iracondi di Chuuya nel rispondere agli aggressori. Questo lo fece arrestare a metà corridoio, aumentandogli spiacevolmente il battito e il nervosismo.

Aveva lasciato il rosso a dormire, ma non riusciva a credere che non avesse già reagito, a meno che i due mandati non avessero un qualche tipo di abilità in grado di pareggiare la gravità.

Di riflesso, Ango si portò una mano al fianco, ma la mancanza della pistola gli ricordò che la propria fondina fosse in camera. Pensò alla svelta e si tolse le scarpe, sfilando da queste i lacci e se li girò intorno ai pugni, riprendendo a camminare scalzo verso la propria camera.

La porta era socchiusa e la spia si accostò al muro. Aveva sentito dei lamenti soffocati e qualche frase in dialetto che faticò a seguire, ma con un’occhiata circospetta riuscì a carpire la situazione.

Uno dei due uomini, il più grosso, era sul letto con Chuuya e il rumore elettrico di un taser riempiva l’aria insieme ai lamenti del rosso. Il secondo era al suo computer e imprecava cercando di accenderlo.

La spia prese un respiro profondo, prima di provocare un rumore abbastanza forte da attirare l’attenzione. Mentre il tipo sul letto lo ignorò, continuando a divertirsi con il taser, il secondo uscì dalla stanza per controllare.

Ango e l’azione non erano elementi vincenti insieme, ma non significava che non fosse in grado di elaborare una strategia basica e metterla in pratica. Come sorprendere alle spalle l’uomo e stringergli il collo con i lacci delle proprie scarpe con tutta la propria forza.

“Chuuya-kun!” chiamò a pieni polmoni, anche quando l’aggressore lo spinse contro il muro, facendogli sbattere la schiena e mozzandogli il fiato. “Nngh… Chuuya!

Il complice nella stanza rise sadico, per poi interrompersi all’improvviso. Il silenzio così repentino suonò irreale, ma incoraggiante.

“Fanculo, stavo facendo un bel sogno” si sentì dall’interno della stanza, prima che un tonfo riecheggiasse, seguito dal familiare scricchiolio del pavimento che si crepava.

Ango ringraziò per quel rumore e per i passi pesanti che fecero tremare il corridoio.

Chuuya si palesò sulla porta circondato da un'aura rossa che incorniciava e rispecchiava alla perfezione la sua incazzatura.

“Lascialo andare” e la spia mollò la presa sui lacci. Il secondo aggressore volò contro il muro, restandoci incastrato come un’istallazione artistica moderna.

“Stai bene?” chiese Ango, accasciandosi contro la parete per riprendere fiato, sordo al proprio dolore alla schiena.

“Starò bene quando avrò fatto ingoiare a quello stronzo tutti i suoi cristalli del cazzo” sbraitò il rosso, mentre constatava i danni alla maglietta strappata, da cui si intravedevano le bruciature del taser sul fianco. Poi lanciò una lunga occhiata al compagno. 

“Tu stai bene?” ma non lo fece neanche rispondere. “Porto con me l’immondizia, tu occupati di pagare i danni e fatti dare altre due camere. E poi vedi di riposarti, hai una faccia da schifo.”

Chiaro, semplice e diretto.

La spia sorrise debolmente, consapevole di essere perso, e sentendosi un idiota mentre stringeva la camicia all’altezza del petto.


Ango non si preoccupò delle onde che stavano infradiciando i suoi sandali. Arrivato a quel punto, non si stava preoccupando più di niente. 

Continuò a camminare solitario sul bagnasciuga della spiaggia, in una zona distante dagli schiamazzi della vita notturna e illuminato quasi del tutto solo dalla luna piena. Dopo l’aggressione di quel pomeriggio, un Ango razionale non avrebbe sposato l’idea di una passeggiata notturna in solitaria in un posto che invitava a un secondo attacco. Semplicemente, sapeva che non sarebbe successo.

Si era deciso a uscire quando, qualche ora prima, Chuuya gli aveva scritto dicendo che non sarebbe tornato a mani vuote, ma che ci avrebbe messo un po’. Stanco di preoccuparsi, stanco di tornare sugli stessi pensieri, stanco di indossare la propria pelle, Ango aveva fatto degli imbarazzanti risvolti ai pantaloni eleganti e alle maniche della camicia, aveva messo i sandali - che certamente il rosso gli avrebbe giudicato - ed era sceso in spiaggia.

Non aveva cenato, non aveva fatto nulla se non passeggiare, contemplare l’orizzonte insieme ai cambi di colore del cielo e, non ultimo, si era crogiolato nelle proprie riflessioni.

E continuò a farlo, fino a che qualcosa non lo colpì in testa, facendolo incespicare.

“Recuperami lo zoccolo prima che se lo porti via il mare!” urlò una voce alle sue spalle.

Tastandosi il punto leso, la spia neanche si voltò, ma fece quanto richiesto, afferrando dalla battigia quell’opinabile arma contundente e restituendola al proprietario. Non senza un muso corrucciato.

Chuuya rise, alleggerendo qualsiasi peso Ango sentisse sulle spalle.

“Allora la sai fare qualche espressione normale!” lo prese in giro, rimettendosi lo zoccolo.

“Non c’è bisogno che mi lanci cose in testa.”

“Io penso proprio di sì” puntualizzò il rosso, incrociando le braccia tronfio. Indossava ancora la maglietta strappata, ma come ogni cosa, gli stava bene anche così. “Serve a rimescolarti le idee, magari così ti togli di mente qualche dubbio inutile!”

Ango sbatté le palpebre, senza capire.

“Dubbio inutile?” ripeté stupidamente.

Il giovane mafioso sbuffò.

“Stai sempre con quell’espressione da martire, come se il mondo ti pesasse sulla schiena. Oppure hai quell’aria malinconica senza senso, si può sapere a che pensi?”

Ango distolse lo sguardo e questo provocò al rosso un secondo sbuffo.

“Ecco, lo vedi? Lo stai facendo di nuovo. Cos’è, non puoi parlarne?”

“Non posso” fu sbrigativo nel rispondere, ma anche onesto. Tuttavia, i sensi di colpa non lo risparmiarono, come non lo facevano quando era con Dazai e Odasaku.

“Va bene, sarà una di quelle cose top secret di voi dell’intelligence. Se ficco il naso poi il Boss mi spedisce a pulire i cessi e non ci tengo” cincischiò Chuuya, infilandosi le mani in tasca. “Però tocca che facciamo qualcosa.”

“Cosa intendi?”

“Abbiamo una settimana da passare qui e non voglio andare in giro con una lugubre palla al piede. Quindi scegli: o andiamo in discoteca, o ci scoliamo parte della riserva di vini che ho recuperato dalla villa di Gatto nelle Braghe, o ci facciamo il bagno per tutta la notte. Io voto tutte e tre.”

Ango restò a bocca spalancata come se Chuuya gli avesse proposto tre patiboli diversi. Allo stesso tempo, però, il nervosismo nel suo stomaco si trasformò in qualcosa di più tiepido che gli salì fino alle guance. Per fortuna la luce della luna era tutta catturata dai capelli del rosso. Non che questo servisse a salvarlo.

“I-Io non credo che… sia il caso.”

“Io credo proprio di sì, Quattrocchi” e al sorriso che sfoderò solo uno stolto avrebbe detto di no. Peccato che Ango si sentisse molto poco intelligente quando aveva il giovane dirigente intorno.

“Sarò magnanimo” riprese Chuuya. Le sue labbra si trasformarono in un ghigno. “Puoi scegliere se seguirmi di tua spontanea volontà oppure se farti portare di peso. Quale preferisci?”

Decisamente il cuore di Ango mancò qualche battito essenziale, facendolo strozzare con la risposta.

“N-No… I-Io…”

Chuuya decise per lui.


Aaaaango? Siete vivi? Perché nessuno mi risponde? Devo preoccuparmi?

Ohi, è pomeriggio inoltrato da voi! Che avete combinato!?

Inizierò a fare delle ipotesi.

I mafiosi vi hanno rapiti. In caso pagheremo il riscatto solo per te Ango, tranquillo!

Vi hanno messo dei lassativi nel cibo e non riuscite ad allontanarvi dal gabinetto!

Uno stormo di gabbiani vi ha rubato i cellulari!

Avete fatto nottata perché la Lumaca non sa stare lontano dal divertimento, dall’alcool e dal mare! È un’anima così romantica! Sono certo che scriverebbe una poesia sulla tua malinconia!

Ehi, ti ho mai raccontato di quella volta in cui ho drogato Chuuya e l’ho messo su un brucomela del Luna Park? Era così basso che sembrava un bambino! Gli ho disegnato degli occhi finti e nessuno se ne è accorto! Ha continuato a girare e girare per un’ora!

Ehiiii? 




 
   
 
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