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Autore: Maryfiore    10/03/2022    3 recensioni
Levi non si era mai reso davvero conto di quanto lui e Hanji fossero agli antipodi fino a quando non avevano iniziato a vivere insieme.
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- Ha avuto il coraggio di chiedermi se fossimo sposati. -
- E tu... che gli hai risposto? - domandò di nuovo.
- L'ho mandato a cagare. -
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Levi non si era mai reso davvero conto di quanto lui e Hanji fossero agli antipodi fino a quando non avevano iniziato a vivere insieme.

Per prima cosa avevano due idee completamente diverse su come mandare avanti una casa. Se Levi spazzava tutti i pavimenti un giorno sì e uno no e li lavava ogni cinque, Hanji spargeva sporcizia tutte le volte che passava da una stanza all'altra. A causa dei suoi orari di lavoro serrati, la bruna si ritrovava spesso a consumare i pasti ovunque tranne che sulla tavola da pranzo, lasciando dietro di sé tracce di briciole e involucri di barrette proteiche che a Levi toccava raccogliere.
Direttamente collegato alla questione della pulizia, c'era il problema dell'ordine. Parola da sempre estranea ad Hanji, così come l'organizzazione.

Molte persone hanno almeno una sedia dove sistemare/accumulare i panni usati, ma Hanji nemmeno quella. Spesso si cambiava lungo il corridoio, lanciando i capi che si sfilava di dosso sopra i mobili, le mensole, o semplicemente per terra, e non importava che si trattasse di pantofole di spugna o di biancheria intima. Inutile dire che si approcciava allo stesso modo alla gestione dei suoi effetti personali. Ricerche di microbiologia infilate tra i libri di ricette, becker, provette e flaconi messi nello scolapiatti insieme alle tazze da latte, chiavi di casa inghiottite nei meandri del divano, portafogli lasciato nella tasca di un giaccone portato in lavanderia... e chi più ne ha più ne metta.

Cose tutto sommato gestibili, se non si conta quella volta in cui Hanji ebbe la brillante idea di mettere il suo "granulato assorbente ignifugo per oli e idrocarburi" nel barattolo dello zucchero, perché tutti gli altri contenitori erano da lavare.
Da quel momento Levi aveva imparato a sviluppare delle skill di analisi investigativa per scampare a ogni tipo di tentato avvelenamento degne di un telefilm poliziesco. Infatti l'unico motivo per cui nessuno dei due aveva ancora avuto un'intossicazione alimentare e non era ancora saltato in aria, era perché Levi aveva preso l'abitudine di attaccare post-it su ogni superficie che fosse visibile da Hanji. Note che le ricordavano delle sue riunioni, di dov'erano le chiavi, del piatto da scaldare al microonde, di mangiare ciò che riscaldava al microonde, e di altre cose che l'aiutassero ad arrivare sana e salva a fine giornata.

Fortunatamente avevano entrambi un lavoro che amavano, ma a differenza di Levi - che possedeva un modico tea shop e lavorava a orari normali - ad Hanji capitava di restare in laboratorio fino a tardi, per poi telefonarlo alle due di notte pregandolo di andarla a prendere. E state sicuri che quella notte sarebbe stata una di quelle rare notti in cui la sua insonnia avrebbe deciso di deporre le armi.

- La scienza è un'amante volubile, Levi - gli diceva.

Ah, già. Che stupido era stato fino a quel momento a credere che il suo amante fosse lui.

Ma Levi l'andava a prendere lo stesso, perché almeno aveva la decenza di mostrarsi dispiaciuta, e perché se lei gli teneva compagnia durante le sue notti in bianco, in qualche modo doveva renderle il favore.

Per quanto riguarda la cucina avevano concordato che fosse meglio che se ne occupasse Levi. Non perché Hanji non se la sapesse cavare nell'arte culinaria (a scapito di credenze popolari). Per lei la cucina era "come la chimica, ma meglio perché ciò che crei poi puoi mangiarlo"; e le prime volte Levi si era sorpreso del fatto che i suoi piatti, oltre a essere commestibili, avessero anche un buon sapore. Non aveva motivo di non fidarsi di lei in cucina...

Questo prima dell'episodio del granulato assorbente.

Da lì in poi si era assicurato che non preparasse nemmeno una tazza di tè senza supervisione.
Il tè era infatti un'altra cosa su cui divergevano. Mentre Levi non poteva iniziare una giornata senza una buona tazza di tè caldo, Hanji era una macchina la cui propulsione andava a caffeina. All'inizio, quando ancora si occupavano insieme della colazione, c'erano state delle piccole discussioni ogni volta che lui cercava di propinarle del tè. Così Hanji aveva iniziato a prepararsi il caffè da sola, tuttavia, nella fretta delle mattinate lavorative, dimenticava la moka sul fuoco o la tazzina da qualche parte, per poi bere caffè freddo pochi secondi prima di uscire. Levi, un po' per amore e un po' per pietà, aveva finito per preparare due bevande diverse ogni giorno, facendo in modo di farle trovare caffè caldo e zucchero sul tavolo in tempi decenti.

Nonostante la visione idilliaca che si potrebbe avere immaginando la scena, le loro mattinate restavano incasinate. Capitava che si urlassero un po' addosso perché Levi beccava Hanji a compiere atti abominevoli come bere direttamente dal cartone del latte o premere il dentifricio dal centro; o che Levi si rifiutasse di partire da casa prima di aver tolto di mezzo le stoviglie della colazione, avendo cura di asciugare ogni singola tazzina o cucchiaino che avevano usato.

Dall'esterno le persone si chiedevano come facessero a essere ancora lì insieme - nella stessa relazione e nella stessa casa - senza che nessuno dei due avesse ancora perso la sanità mentale.

Lo stesso Levi aveva impiegato parecchio tempo per darsi una risposta. Alla fine era arrivato alla conclusione che lui e Hanji, più che essere opposti, si compensavano, e nelle loro diversità trovavano il modo di funzionare meglio che da soli. Così come lei avrebbe passato ore a grattarsi la testa cercando di capire come programmare una lavatrice in sua assenza, lui avrebbe lasciato che i rampicanti sui muri e le piante del circondario crescessero fino a prendere possesso dell'abitazione senza di lei.
Non vivevano esattamente in aperta campagna, ma la loro era una casa indipendente che si trovava appena fuori il confine della zona urbana. Erano stati subito d'accordo sulla scelta: significava quiete per Levi e un sacco di materia organica da analizzare per Hanji.

Hanji vedeva il mondo come se tutto fosse interessante e pieno di infinite possibilità. Era una delle sue caratteristiche che più affascinava Levi, e vivere a stretto contatto con lei rendeva interessante anche il suo di mondo. Tirando le somme, con la convivenza aveva scoperto nuove cose che gli davano fastidio di Hanji nella stessa misura in cui aveva scoperto nuove cose che invece gli piacevano di lei.

Gli piaceva svegliarsi con lei che stonava canzoni nella doccia.
Gli piaceva prepararle il caffè la mattina, se ogni volta veniva ricompensato con un bacio veloce che sapeva di espresso e dentifricio sulla soglia della porta.
Gli piaceva dividere una ciambella davanti a un autogrill a notte fonda dopo che era andato a prenderla al laboratorio.
Gli piaceva quando non riusciva a prendere sonno e lei vegliava con lui, riempendo il silenzio con tutto quello che le passava per la testa.
Gli piaceva quando la domenica mattina si svegliava al suo seguito per andare ad aprire il negozio insieme.
Gli piaceva chiamare il suo nome sapendo che sarebbe stata lì nella stessa casa, e che non ci fossero chilometri di macchina a separarli quando certi desideri cominciavano a crescere nella parte bassa del suo stomaco.

Dio... amava il fatto che potessero essere rumorosi quanto volevano, senza bisogno di trattenere i gemiti, temere di essere interrotti o preoccuparsi della testata del letto che urtava contro la parete (un ulteriore vantaggio nel non avere vicini), per poi finire in un groviglio disordinato di arti e lenzuola (unico tipo di disordine che Levi accettava).

Ma la parte che Levi preferiva in assoluto era la sera: quando dopo aver cenato e indossato abiti puliti che profumavano di detersivo, si ritiravano a letto insieme. A volte Hanji si metteva a leggere ad alta voce e Levi semplicemente l'ascoltava, altre volte passavano un po' di tempo a raccontarsi delle reciproche giornate.

Quella sera Hanji aveva un libro in mano, una matita infilata dietro l'orecchio e un'altra usata come fermacapelli precario. Quando il corvino la raggiunse sotto le coperte e crollò con la fronte sulla sua spalla, abbandonò il libro aperto sulle ginocchia.

- Giornata pesante? - gli chiese, sistemandosi in modo da farlo stare in una posizione più comoda.

La risposta che ottenne fu uno sbuffo sulla spalla seguito da un - Mmh -.

Hanji ridacchiò, - Così brutta? -

Con una mano si riportò il libro davanti agli occhi, mentre con l'altra cominciò ad accarezzargli la nuca. Levi emise un suono di apprezzamento al gesto.

- Posso chiederti come mai? -

- Jaeger - bofonchiò lui, come se il nome bastasse a spiegare tutto.

Ad Hanji sfuggì un'altra risata, - Il minore o il maggiore? -

- Entrambi. -

- Ahia - commentò lei scherzosamente.

- I marmocchi sono venuti a studiare al negozio oggi. Armin ha un esame di biochimica marina o qualcosa del genere - spiegò, - Ovviamente c'era anche Mikasa, e se c'è Mikasa allora Eren lavora una merda. -

Hanji rise di nuovo e il movimento della sua spalla fece accigliare Levi, che sollevò le testa e la guardò indignato.

- Si può sapere perché continui a sghignazzare come un'idiota? - sbottò.

- Scusa, scusa! - La bruna si coprì la bocca con una mano.

- È solo che è talmente buffo e adorabile vederti fare il fratellone gelosone. -

- Il che cosa? -

- Con Mikasa. Il fratellone gelosone che non vuole che la sua piccola, indifesa ragazza esca con qualcuno perché è ancora troppo spaventato di vederla come una donna e odia il pensiero che qualche ragazzaccio possa spezzarle il cuore - affermò tutto d'un fiato.
Poi fece un sospiro drammatico e disse: - Ah... è così dura vederla crescere! Se chiude gli occhi può ancora vederla: una bambina. Un bambina con il vestitino rosa che gli chiede di prendere per lei il libro di favole dalla mensola perché è troppo in alto! -

- Ci sono almeno cinque cose sbagliate in tutto quello che hai detto. -

Hanji gongolò e si sfilò la matita da dietro l'orecchio per appuntare qualcosa sul suo libro, mentre Levi ritornò sulla sua spalla.

- Per prima cosa io e Mikasa non siamo fratelli - iniziò, - Mikasa è tutto tranne che indifesa e non ha mai vestito di rosa in vita sua. Inoltre già a undici anni era più alta di me, e nel periodo in cui è stata più bassa avrebbe preferito fare parkour sui mobili piuttosto che chiedere il mio aiuto per prendere uno stupido libro. -

- Però ti sta a cuore come se lo foste. Fratelli, voglio dire. -

Levi abbassò gli occhi per pensare.

Lui e Miakasa non erano fratelli ma le loro linee di sangue si univano da qualche parte chissà dove; l'ipotesi più probabile era che fossero lontani cugini.
Dopo che Mikasa ebbe perso entrambi i genitori da piccola, Levi ricordava che Kiyomi (una zia di sua madre che vedeva sì e no una volta all'anno al cenone di Natale) si era presentata sulla soglia della loro porta tenendo per mano questa bambina dai capelli nerissimi che somigliavano incredibilmente ai suoi, annunciando che si sarebbero trasferite nell'appartamento accanto al loro. Non erano fratelli, ma era vero che per un pezzo di strada erano cresciuti insieme.
Si incrociavano ogni mattina sul pianerottolo: lei per andare a scuola e lui per andare a lavoro. Quando Levi aveva preso la patente, aveva persino iniziato ad accompagnarla regolarmente, almeno fino alla terza media. Spesso era rimasta anche a dormire da lui e sua madre quando Kiyomi si assentava per lavoro. Erano entrambi silenziosi, quindi non si parlavano molto, ma si intendevano alla perfezione grazie ai loro caratteri simili, e Levi non poteva negare di esserle sinceramente affezionato.

Hanji, che lo colse nel bel mezzo della sua riflessione nostalgica, gli premette la matita sul naso.

Adorabile - ripeté.

- Tch, sta zitta. - Le allontanò la mano e nascose l'espressione nel suo pigiama di flanella. - E comunque non mi irrita il fatto che Mikasa stia uscendo con Eren, ma il fatto che quando ci sia lei in giro lui non capisca più un cazzo. L'unico motivo per cui non l'ho ancora licenziato è perché so che con i miei soldi ci paga le tasse universitarie. -

- Che cosa ha combinato stavolta? -

- Ha sbagliato tre ordinazioni, ne ha confuse due, ha rovesciato il bollitore sul bancone e io adesso ho questa - disse, mostrandole la fasciatura intorno al palmo della mano destra.

- Oh, non l'aveva vista! Avresti dovuto dirmelo... ci hai messo qualcosa? -

- Ghiaccio secco - rispose, mentre Hanji gli prendeva la mano per esaminarla.

- Conosco un composto naturale a base di arnica che aiuterà. Posso facilmente prepararlo domani con le cose che abbiamo nella dispensa botanica e farti un impacco. -

- Quello che vuoi, basta che la faccia guarire più in fretta. -

La bruna gli schioccò un sonoro bacio sulla mano e riprese in mano il libro.

- Con Zeke invece che cosa è successo? - gli domandò.

Levi sbuffò di nuovo. Il solo pensiero di quello scimmione barbuto gli faceva venire voglia di prendere a pugni qualcosa. Mentre il suo rapporto con Eren era - tutto sommato - abbastanza pacifico, lo stesso non si poteva del fratellastro del ragazzo.
Zeke Jaeger aveva frequentato lo stesso istituto superiore di lui e Hanji, e anche se erano in tre classi diverse questo non aveva impedito loro di avere a che fare l'uno con l'altro. Non era propriamente un teppistello (aveva il viso troppo angelico e voti troppi alti anche solo per sembrarlo), ma non erano mancati spesso commenti indiscreti sull'altezza di Levi e sul fisico androgino di Hanji.
Lei e Zeke erano i due studenti più intelligenti della scuola, considerati quasi dei prodigi, e circa la metà di tutti i premi e gli attestati dell'istituto erano stati vinti da loro. Un giorno, dopo una competizione nazionale dalla quale Hanji era uscita vincitrice, soffiandogli il primo posto per pochi punti, l'aveva presa da parte nel cortile, le aveva rifilato una manciata di pugni in faccia e le aveva rotto gli occhiali. Quando un Levi allora sedicenne l'aveva trovata poco dopo con uno zigomo viola, il naso sanguinante e gli occhi lucidi - anche se con un'aria fiera e tutt'altro che sconfitta - non ci aveva visto più dalla rabbia. Aveva fatto irruzione nei corridoi, aveva placcato Zeke contro il muro e lo aveva ripagato per bene. Vennero entrambi sospesi, ma era ovvio che Zeke avesse risistemato la sua reputazione molto più facilmente: dalla sua parte il bel faccino, la sua abilità retorica e nessun precedente, a differenza di Levi che - con i suoi occhi dal taglio affilato e scavati dall'insonnia - appariva un perfetto delinquente.

Come se non bastasse, il biondino eccelleva anche negli sport, soprattutto nel baseball. Evidentemente, in seguito alla rissa nei corridoi, aveva capito che Levi poteva anche essere piccolo di statura ma che la sua forza fisica era alla pari con la sua, se non superiore. Così aveva cercato altri modi per attaccarlo.
Durante un allenamento di baseball ad una lezione di educazione fisica, dove Zeke era nel ruolo del battitore, la prima palla da lui colpita si era scagliata dritta contro l'occhio destro di Levi. Risultato: una benda sull'occhio per sei mesi.
Tutti lo avevano liquidato come un incidente, ma Levi aveva visto il lampo malefico nel suo sguardo e il sorrisetto spavaldo che aveva rivolto verso le panchine prima che la palla volasse verso di lui, seguendo una traiettoria anche troppo precisa.

Quel giorno il suo odio per Zeke Jaeger raggiunse il picco massimo.

Aveva sperato che una volta lasciate le superiori se ne sarebbe finalmente liberato, poi era arrivato Eren e il suo cognome aveva già fatto suonare un campanello di allarme. Aveva pensato che dopotutto potevano benissimo esistere altri Jaeger, e che - diamine - quei due non si assomigliavano per niente. Quante probabilità c'erano che ci fosse aria di famiglia?
A conferma che a distanza di anni fosse una frana nel calcolo probabilistico, un uomo sulla trentina con capelli mossi, una folta barba bionda e un sorriso spavaldo si presentò una sera al suo negozio, affermando di essere venuto per dare un passaggio a casa al suo "fratellino".
Appena ebbe riconosciuto Levi, il suo sorriso si allargò e la prima cosa che gli disse fu: - Guarda com'è piccolo il mondo! - e a seguire: - Lo stesso si potrebbe dire di te, nonostante tutti questi anni. -

Levi fu tentato di sputargli nel ginseng che aveva ordinato, ma si trattenne perché c'erano ancora dei clienti.
Da allora Zeke aveva iniziato a presentarsi al negozio, con la scusa di venire a prendere Eren, a intervalli lunghi ma regolari. Ordinava sempre la cosa più costosa del menù, ma non consumava mai del tutto quello che prendeva. Ogni volta entrava con una sigaretta accesa all'angolo della bocca, e ogni volta Levi gli sbatteva in faccia il cartello "vietato fumare". Lui la metteva via con finta colpevolezza, mai mancando di soffiargli l'ultima nuvola di fumo in faccia.

Il corvino raccontò ad Hanji del suo incontro con lui quella sera.

- Ha chiesto di te - le disse, - voleva sapere se fossi attualmente in una relazione. -

- E tu che gli hai risposto? -

- Che scopiamo regolarmente ogni settimana. -

A quel punto Hanji scoppiò a ridere, facendo nuovamente sobbalzare il povero Levi dalla sua spalla. Questo sibilò un'imprecazione e si arrese ad affondare la testa nel proprio cuscino, anche se i suoi occhi non lasciarono la donna di fianco a lui. Non riusciva a evitare di guardarla: quando Hanji rideva l'aria vibrava, e a Levi sembrava di sentire il flusso della lava insieme alle collisioni e a tutti gli altri movimenti che avvenivano sotto la crosta terrestre. Lo faceva sentire investito di meraviglia.

Le ci volle un po' per riprendersi, e quando ritrovò la voce gli occhi le lacrimavano ancora.

- Cosa avrei dato per assistere alla scena! - Si asciugò gli occhi con la manica del pigiama e chiuse il libro, abbandonandolo definitivamente sul comodino. - Ora voglio assolutamente sapere come ha reagito! -

Levi si riscosse e la sua espressione tornò accigliata al ricordo.

- Ha avuto il coraggio di chiedermi se fossimo sposati. -

Il sorriso di Hanji si trasformò in un'espressione sorpresa e pensierosa allo stesso tempo. Raccolse la matita dalle lenzuola e cominciò a mordicchiare casualmente l'estremità.

- E tu... che gli hai risposto? - domandò di nuovo.

- L'ho mandato a cagare. -

L'unico responso che Levi ebbe questa volta fu un mugolio distratto. Si girò su un fianco e scrutò il viso Hanji, che era diventata improvvisamente silenziosa.
Analizzò la sua espressione per cercare di capire che cosa avesse detto per farla passare dal tenersi la pancia dalle risate a mangiucchiare una matita con aria così assorta e... nervosa?

Oh merda, era nervosa. Cosa diamine aveva detto di sbagliato?

- Oi, Quattrocchi - la chiamò, - metti via quella cosa. È piena di germi. -

Le tolse la matita dalla bocca, le prese il mento e la fece voltare verso di lui con delicatezza.

- Puoi pensare a voce alta, così posso sentirti? - le sussurrò, e sperò che lo rendesse parte di quell'elaborato processo mentale in cui era sicuro si stesse inabissando.

Hanji sollevò un angolo delle labbra davanti alla sua apprensione.
Temporeggiò per qualche secondo, pulendosi gli occhiali con la stoffa del pigiama, e poi parlò.

- Tu - cominciò con voce incerta, - cosa ne pensi? -

Levi la fissò senza capire.
Cosa ne pensi... Cosa ne pensi di cosa?

Doveva aver fatto un pessimo lavoro per nascondere la sua perplessità, perché la bruna aggiunse:

- Di quello che ha detto Zeke, intendo. -

Zeke aveva detto diverse cose. Si riferiva alla loro relazione? Un pensiero orripilante giunse dal retro della sua mente.

- Hai intenzione di scaricarmi per la scimmia barbuta? -

- Cos... No! Santo cielo, Levi! -

La vide sciogliersi in una breve risata, e si sentì subito sollevato nell'avvertire la tensione alleggerirsi (e una minuscola parte di lui anche dal fatto che avesse risolto quel suo dubbio aberrante).

- Quello che voglio dire - riprese Hanji, - è cosa ne pensi di noi due... sposati. Ecco. -

Oh. Oh.

- Vuoi che ci sposiamo? - le chiese senza mezzi termini.

- E tu? Tu vuoi che ci sposiamo? -

Levi la fissò con circospezione.

- La tua è una proposta o cosa? -

- Sì? Cioè... forse? Vuoi che lo sia? -

Lui scrollò le spalle. Era una cosa a cui non aveva mai pensato prima.

- Mi piace come stanno le cose tra di noi in questo momento - ammise sinceramente.

- Non fraintendermi, anche a me piace! Lo adoro, davvero! - disse lei in fretta.

- Ho solo pensato che sarebbe bello... e che non abbiamo dei veri motivi per cui non dovremmo farlo. Quindi perché non farlo? -

Levi sapeva che di certo non c'era bisogno di un anello o di qualche firma su carta per descrivere ciò che sentivano l'uno per l'altra. Tuttavia, non poteva impedire alla sua mente d'immaginare come sarebbe stato tornare indietro a qualche ora prima, davanti a Zeke Jaeger, rispondere affermativamente alla sua domanda e chiamare Hanji sua moglie. Suo zio Kenny probabilmente sarebbe rimasto sconvolto (credeva fermamente che qualunque cosa avessero lui e Hanji non sarebbe durata e che suo nipote sarebbe morto da solo), mentre sua madre sarebbe stata entusiasta di vedere Hanji con un abito da sposa... e anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, era una curiosità che allettava anche lui.

- In effetti non sarebbe male come idea...- mormorò con voce appena udibile, affondando mezzo viso nel cuscino per nascondere il rossore che gli stava tingendo il viso.

Fortunatamente Hanji aveva distolto lo sguardo da lui, concentrata a immaginare la pianificazione dell'evento. Il nervosismo di prima sostituito da una malcelata eccitazione.

- Potrei chiedere a Mikasa di farmi da damigella! Credi che accetterebbe?
Dovremmo invitare anche Armin e gli altri ragazzi del gruppo di studio che vengono sempre al negozio. Praticamente li abbiamo visti crescere: è come se fossero di famiglia. Sono sicura che ne saranno felicissimi!
Poi ovviamente ci saranno Erwin, Mike Nanaba, Moblit, Nifa, Petra, Oluo, Eld, Ghunther, Isabel, Furlan... Oh! Immagina la faccia di Zeke quando riceverà l'invito!-

Levi riemerse immediatamente dal cuscino.

- Scordatelo, lui non ce lo voglio. -

- Ma Levi! - insistè, - Pensaci: potrai goderti la sua espressione costipata per tutto il giorno. Inoltre, inviteremo Mikasa, no? È certo che lei porterà Eren, e cosa fai? Inviti Eren e non inviti suo fratello? -

- Senti, possiamo discutere degli invitati, del colore della carta dei segnaposto e altre stronzate del genere in un altro momento. Ora possiamo concentrarci sul decidere se vogliamo effettivamente sposarci o no? -

- Già, hai ragione. -

- Quindi? -

- Be', suppongo di sì. -

- Una risposta concreta, Hanji, cazzo. -

Hanji si girò verso di lui e un sorrisetto furbo comparve sulle sue labbra, - Mi servirebbe una proposta concreta. -

Il corvino le rifilò un'occhiataccia e lei sostenne il suo sguardo in segno di sfida. Potevano benissimo finirla in fretta con quel dannatissimo "sì", ma sarebbe stato troppo facile, ed era noto che ciò che era troppo facile risultava ad Hanji noioso.
L'atteggiamento naturalmente chiuso e criptico di Levi lo rendeva il suo soggetto preferito per le sue sperimentazioni sociali. In quel momento la tenue sfumatura di rosso sulla sua gote pallida la stuzzicava ed era determinata a scoprire fin dove poteva spingerlo in un campo a lui così avverso come quello del romanticismo.

- Sto aspettando - lo canzonò.

Levi soffiò e si arruffò come un gatto selvatico. Si passò ripetutamente la mano tra i capelli e sul viso tentando di cancellare l'imbarazzo.

- Dannazione, Quattrocchi! Hai tirato tu fuori l'argomento, perché non poni tu la domanda? -

- Suvvia, quante storie! Ti stai comportando come un bambino. -

- Ho avuto una giornataccia! - provò a difendersi.

- Prima finiamo prima andiamo a dormire, coraggio. Devi solo chiedere così che io possa risponderti. -

Dopo altri cinque minuti di ringhi e sbuffi, finalmente Levi chiuse gli occhi, inspirò profondamente ed esordì con:

- Facciamo questo fottuto matrimonio, Hanji Zoë. -

Hanji represse una risata e tamburellò con le dita sulle labbra. - Mh... non lo so. A me sembra più un ordine che una proposta. -

- Hanji Zoë, vorresti unirti in un fottuto matrimonio con me? - riprovò.

- Non sai fare di meglio? -

- No. -

Guardando il modo spazientito con cui Levi si coprì gli occhi con un braccio, Hanji decise che lo aveva torturato abbastanza. Si abbassò sotto le coperte e si avvicinò a lui per posargli il mento sul petto.

- D'accordo - gli sorrise, - facciamo questo fottuto matrimonio, Levi Ackerman. -

Levi scoprì gli occhi e la guardò.

- Sul serio? - le sussurrò con voce profonda.

Lei annuì. Gli occhi che le brillavano.

- Sul serio. -

Lui tornò ad abbassare il braccio e mormorò un secco - Bene -, anche se una leggerissima curvatura delle labbra tradiva la sua contentezza.

Hanji piantò i gomiti ai lati del suo torace e si sporse per baciargli quel mezzo sorriso. Visto che non incontrò resistenza, ne approfittò per approfondire il contatto.
Il bacio era sciatto: labbra che si muovevano pigramente le une contro le altre e lingue che si accarezzavano senza spingere. Hanji spostò il peso sul suo corpo e Levi le cinse la vita con il braccio che fino ad allora gli aveva coperto gli occhi. Lei scese con le labbra lungo il suo collo e si fermò su un punto che sapeva essere altamente sensibile, inumidì la zona con la punta della lingua e si godette il sospiro di Levi in risposta.

- Sarà divertente - gli disse, risalendo a baciargli l'angolo delle labbra.

- Mi sto già pentendo. -

Hanji sorrise e scosse la testa sconfitta. Dopotutto era già un grande risultato il fatto che fosse riuscito ad articolare una proposta di nozze.
Sistemò gli occhiali sul comodino di Levi e si allungò per spegnere la luce, poi tornò a stendersi parzialmente sopra di lui. Il vento che soffiava tra i rami degli alberi all'esterno, unito alle loro frequenze cardiache, creava un'armonia confortevole e perfetta.

Entrambi sorridevano ancora nel buio della stanza.

- E comunque la scimmia al matrimonio non viene. -

- Dormi Levi. -

   
 
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