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Autore: MauraLCohen    14/03/2022    1 recensioni
[Post!serie, Berkeley!fic]
Rebecca torna a Berkeley da donna libera. Lì prova a rimettere insieme i pezzi della vita che aveva lasciato, fuggendo via a vent’anni, ma non è sempre facile.
A Berkeley non c’è più niente che sia suo, non un amico, non un parente… E l’anniversario della morte del padre non fa che ricordarle quanto sia sola in quella città che, per metà della sua vita, era stata una casa.
Inaspettatamente, però, trova conforto nell’ultima persona al mondo da cui lo avrebbe cercato.
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kirsten Cohen, Rebecca Bloom, Sandy Cohen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sarà la prima e ultima volta in cui scrivo di Rebecca?
Ovviamente. 
Mi è piaciuto farlo?
Neanche poco poco. 
Avrei voluto scrivere di Kirsten che le strappa i capelli uno ad uno?
Certo. 
L'ho fatto?
No, perchè non credo nel fan service (non troppo, almeno).


 


La seguente One Shot partecipa alla challenge 
Domandate a me 
Del gruppo Facebook 

Hurt/Comfort Italia - fanfiction e fanart (Gruppo nuovo)

 




When The Rain
Stops Falling 



 

Rebecca Bloom era una donna che difficilmente si guardava indietro. La sua vita era stata un incedere incurante, sfrenato, che le aveva dato poco tempo per piangersi addosso. 
La notte in cui era scappata, abbandonando suo padre e l’amore della sua vita, si era convinta che per andare fino in fondo doveva permettersi di dimenticare ciò che avrebbe potuto avere se fosse rimasta. 
Non poteva restare a Berkeley, non poteva confessare e tradire i suoi amici, perciò non aveva scelta: doveva fuggire. 
E fuggì. 
Dimenticò Max e dimenticò Sandy, dimenticò il desiderio di avere una famiglia, quei cinque figli dai capelli ribelli come quelli di Sandy. 
Si lasciò alle spalle la felicità e quella scelta la fece andare avanti per anni. 

Poi, però, arrivò la notizia che Sandy la stava cercando: era andato a chiedere di lei ad un loro vecchio amico, mettendo a rischio la propria reputazione e chissà cos’altro. 
Quello cambiò tutto, cambiò lei. 
Di colpo, il desiderio di riappropriarsi del loro amore e di quella felicità perduta divenne un chiodo fisso, tanto da porre fine alla sua fuga. 
Era andata a Newport per incontrarlo, per sapere perché la cercava ancora dopo vent’anni e lì aveva scoperto che lui si era sposato con una donna che non aveva niente in comune con lei, che era felice… innamorato.
Sandy descriveva sua moglie come se fosse l’unica donna che avesse mai visto e, mentre parlava, nemmeno si rendeva conto di quanto, con le sue parole, la feriva. 

Rebecca odiava Kirsten. 

La odiava anche se non la conosceva; la odiava perché le aveva portato via Sandy, perché stava vivendo quella felicità che doveva essere sua. 

In quelle settimane non si era sentita in colpa nemmeno una singola volta nell’essere ancora innamorata di Sandy; non un cenno di rimorso ogni volta che sollevava la cornetta del telefono per farlo correre da lei. Sapeva che lui sarebbe corso, ma continuava a fingere di non vedere il vero motivo per cui lo faceva. Non lasciava Kirsten per lei, ma per pagare il debito che aveva con Max, eppure questo bastava per illudersi che qualche brandello del loro amore vivesse ancora in Sandy. 

La prima volta in cui Rebecca si guardò allo specchio, ripugnata da quello che vedeva, fu a Berkeley. 
Era tornata in città da poco, perché finalmente era arrivata la sentenza che l’assolveva per l’omicidio del custode. Era innocente e poteva ricominciare a vivere. 
Berkeley le era sembrata la scelta perfetta: era cresciuta lì, la casa di suo padre era lì, ma non avrebbe mai immaginato di ritrovare lì anche il suo amore. 
Quando lesse il nome di Sandy sulla targa dell’ufficio all’università, credette di svenire. 

Anche lui era tornato a casa e certamente non con Kirsten: Sandy le aveva raccontato di quanto sua moglie fosse attaccata alla città in cui era cresciuta e che, per questo, non l’avrebbe lasciata facilmente. 
Magari avevano divorziato, magari lui non era mai tornato a casa la notte dell’incidente, magari averla rivista aveva cambiato qualcosa… 
Invece non aveva cambiato niente. 
Sandy e Kirsten erano tornati a Berkeley insieme per crescere Sophie Rose, la loro bambina di appena sei anni. 
Biondissima, occhi azzurri, guance paffute e naso a bottoncino: era la fotocopia della madre. 

Così tornare a Berkeley aveva condannato Rebecca ad imparare a conoscere Kirsten, i figli che aveva con Sandy e la loro famiglia; uscivano di rado tutti insieme, con i vecchi amici che avevano in comune, e ancora più di rado capitava che lei riuscisse a scambiare qualche parola con Sandy e Kirsten. Era come se lui la tenesse a distanza dalla sua famiglia, come se cercasse di proteggere Kirsten e Sophie da lei.

Rebecca sapeva che le cose dopo la sua partenza da Newport erano diventate difficili tra Sandy e Kirsten, ma non pensava che lui la ritenesse una minaccia per la sua famiglia. Eppure era così. 

Per questo non provò nemmeno a chiamarlo la sera dell’anniversario della morte del padre. 
Lui non avrebbe risposto e lei non voleva elemosinare le sue attenzioni. 
In fondo non voleva neppure conforto, ma solo il permesso di andare nell’ufficio di Max, che era diventato l’ufficio di Sandy. 
Quello era il luogo in cui Max Bloom aveva trascorso quasi tutta la sua vita, sia prima sia dopo la partenza di Rebecca e lei voleva ricordarlo nell’unico luogo in cui lo aveva visto felice e soddisfatto di ciò che aveva realizzato nella vita. 
Quella sera, col telefono in mano e il numero di Sandy illuminato dal display, si disse “al diavolo!” - non aveva bisogno del suo permesso, quello era l’ufficio di suo padre. 
Così andò, sicura del fatto che non avrebbe trovato nessuno, dato che Sandy diventava matto pur di finire tutto il lavoro arretrato nel primo pomeriggio e fuggire a casa dalla sua famiglia. 

Parcheggiò l’auto sotto ad un vecchio albero che divideva il parcheggio in due aree. Suo padre ripeteva sempre che quello era il posto migliore di tutti: « con il sole e con la pioggia, l’albero protegge sempre l’auto. »
A Rebecca parve di sentire la voce di Max che canticchiava le sue spiegazioni campate per aria e sorrise. 
L’università era illuminata solo da qualche lampione e poche aule avevano ancora la luce accesa. Lei varcò il cancello, mostrò il tesserino alla guardia e corse dentro, nascondendo sotto al cappotto una vecchia foto incorniciata. 
Non l’avrebbe lasciata in quell’ufficio - non voleva che Sandy sapesse che era stata lì - ma quella era la foto che il padre teneva sulla scrivania da che lei riuscisse a ricordare. 
L’avevano scattata nell’ultima vacanza al mare, a sud, prima che la madre morisse. Quello era stato l’ultimo momento felice della sua infanzia e della vita del padre. L’ultimo in cui vi erano ancora tutti e tre. 

Rebecca guardò la foto. I visi sorridenti dei suoi genitori si rivolgevano verso di lei, appena ragazzina, che posava imbarazzata. 

« Perché te ne sei andato papà? » le parole le morirono in gola, strozzate dai singhiozzi. Sul vetro della cornice riposavano le lacrime stanche. 

Rebecca accarezzò il viso dell’uomo. « Mi dispiace così tanto » mormorò. « Per tutto. Per averti lasciato, per essere tornata troppo tardi, per - » Un rumore le fece sollevare il capo di colpo. I suoi occhi puntavano la porta: una figura longilinea era rimasta in piedi sull’uscio, senza proferir parola. 

« Kirsten! » Rebecca si arrestò con il dorso delle dita le ultime lacrime che cercavano di scappare. 

Avrebbe voluto nascondersi in quel momento, avrebbe preferito sprofondare sotto terra invece che essere lì, a farsi commiserare da quella donna. 

« I-io non… » Kirsten iniziò a balbettare, chiaramente in imbarazzo. Si limitò a fare un passo in avanti senza chiudere la porta alle sue spalle. « Mi dispiace » le disse. 

Rebecca abbasò gli occhi. 

Le dispiaceva? Perché avrebbe dovuto? Lei nemmeno lo conosceva suo padre.

« Non dovrei essere qui » si limitò a dire, allora. Fece per alzarsi, ma Kirsten la trattenne. 

« Non andartene. Non ce n’è motivo. So che questo era l’ufficio di tuo padre, Sandy ha braccato il rettore per settimane pur di averlo. Era molto affezionato a Max. » 

Involontariamente, il viso di Rebecca si distese: l’immagine di Sandy che stazionava davanti alla porta del rettore per giorni non poteva non farla sorridere. Era qualcosa che solo lui poteva fare. 

« So cosa stai passando. » Kirsten le si sedette vicino. « Anche mio padre è morto quell’anno. Pochi mesi dopo Max. Quando sono tornata a Newport mi sono rintanata nel suo ufficio quasi ogni sera. »

« È strano immaginarli altrove quando hanno dedicato tutta la loro vita al lavoro » aggiunse Rebecca. In quel momento i loro sguardi si incrociarono e Kirsten le sorrise. 

« Già. » 

Per un attimo entrambe rimasero in silenzio. 
Quella era la prima volta che si ritrovavano così vicine, come se fossero due persone che si conoscevano da tutta la vita e potevano permettersi di condividere quel vuoto che nessun altro poteva capire davvero.  
Era strano, per loro, ma in quel momento a Rebecca non importava. Guardava negli occhi di Kirsten e si sentiva realmente capita, quasi consolata dalla sua presenza. 
Forse era semplicemente dovuto al fatto che le parole di Kirsten avevano assopito la consapevolezza di essere sola, a Berkeley e nel mondo. Per quei brevi momenti sentiva di avere qualcuno con lei, anche se a tenerle la mano era la donna che odiava più di chiunque altro. 

« Mi dispiace davvero per tuo padre. Non deve essere stato facile per te perderlo proprio quando vi eravate riavvicinati. »

« È stato orribile. Ho sprecato tutti quegli anni a fuggire, senza rendermi conto di cosa stavo perdendo. E lui è restato solo. Era malato e io nemmeno lo sapevo. »

Kirsten le sorrise dolcemente, come avrebbe fatto per consolare il cuore di Julie. 

« Ma sei tornata in tempo. Gli hai permesso di realizzare il desiderio di riabbracciarti e tornando qui, riabilitandoti, lo hai reso orgoglioso. » 

Rebecca abbassò lo sguardo. Avrebbe tanto voluto che le parole di Kirsten fossero vere, che Max potesse sapere che aveva riabilitato il proprio nome. Avrebbe voluto sapere se fosse orgoglioso della donna che stava cercando di essere per onorare la sua memoria, ma era morto. 

« Lo sa. » Kirsten le strinse la mano, come se avesse sentito ogni singolo pensiero di Rebecca. « I genitori in qualche modo lo sanno sempre. » 

Rebecca, allora, le sorrise. 
Faticava a credere a quelle parole, ma il sorriso di Kirsten era talmente rassicurante che la convinse a volerci credere. Se non per sempre,  almeno per quella sera. 

« Avanti, sono quasi le otto » Kirsten si mise in piedi. « Se non temi la cucina di Sandy e Sophie, ti invito a cena. » 

Rebecca sorrise. « Non è necessario, davvero. »

« Lo so, ma non ti lascio qui da sola. E poi Max era importante anche per Sandy, farà bene ad entrambi affrontare questa serata insieme. » Kirsten le porse la mano nella speranza di convincerla. 
Non voleva mortificarla: sapeva che non doveva essere facile per lei accettare il suo aiuto, ma sapeva anche - più di chiunque altro, Sandy compreso - quanto fosse più difficile affrontare da soli  quei giorni. 

« D’accordo. » Rebecca le prese la mano e si lasciò tirare su. 

Per tutto il tragitto in macchina e poi a cena, si era resa conto che se c’era un’antagonista in quella storia, era proprio lei. 
Era consapevole che a parti inverse, non sarebbe riuscita a mettere da parte la gelosia per Sandy e cercare di essere amica di Kirsten. 
Non sarebbe riuscita a fare quello che Kirsten aveva fatto per lei quella sera. L’aveva raccolta dal pozzo di dolore in cui si era lasciata sprofondare e le aveva offerto il calore di un’amica. 
Mentre andava via da quella casa, Rebecca realizzò di essere stata il mostro sotto al letto di Kirsten per anni, ma lei era talmente buona da poter trovare del bene anche in lei.

 
 

Note dell'autrice 
 
Ebbene, è successo. 
Quello che credevo non sarebbe mai successo, è successo. 
Rebecca è apparsa su questo profilo. 
E forse con una One Shot che One Shot non è, dato che potrei scrivere il continuo. 
Sono turbata. 
Molto turbata. 
Intanto, però, un saluto a Francesca Lavuri che ha promptato: "Scrivi una storia sul personaggio che odi di più usando la parola mostro.". 
Inizialmente avrei voluto scrivere: Rebecca è un mostro. Semplice, esplicativo, con un pathos tutto suo. Sarebbe potuta essere una frase!fic degna di nota, invece... Invece diamogliela una chance a questo povero personaggio. In fondo la sua unica colpa è quella di essere innamorato di Sandy Cohen, povera anima. 
Non posso negare che l'idea di Rebecca a Berkeley faccia parte del mio headcanon da sempre: visto che Josh ha dichiarato che si pente di aver incrinato in quel modo i rapporti tra Sandy e Kirsten, voglio sperare che in un ipotetico sequel della serie, lui avrebbe scritto del ritorno di Rebecca nella vita di Sandy e Kirsten per farle capire cosa intendeva Sandy quando le disse: "There're days thai I think Kirsten and me are bulletproof. I don't wanna test thai theory.". 
Neither do I, Sandy. Neither do I. 
Un abbraccio, 
M.

 

 
   
 
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