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Autore: SidV    15/03/2022    0 recensioni
Eravamo schiavo e padrona. Eravamo gladiatore e lanista. Eravamo celta e romana. Eravamo due bambini, uno venduto e una che l'ha compato. Eravamo due ragazzini, uno che si allenava e l'altra che lo allenava. Eravamo io sporco di sangue e sabbia nell'arena e lei in balconata a osservarmi, belissima come sempre.
Eravamo Gavin e Aaria. Ed eravamo innamorati.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Gannicus, Nuovo personaggio, Spartacus
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Avevo circa otto anni quando i romani invasero le nostre terre. Ricordo solo che fu incredibilmente veloce: arrivarono con il loro enorme esercito come degli spettri, comparendo nella foschia mattutina e distruggendo tutto quello che osava intralciargli. Stavo dando da mangiare alle mucche, buttato fuori da casa perché mio fratello aveva da intrattenersi con l’ennesima ragazza. Me ne stavo lì seduto ad allungare paglia come mi capitava anche troppo spesso quando cominciarono le urla e vidi le prime case bruciare dopo pochi minuti. Rimasi lì impalato come un cretino a fissare la gente del mio villaggio cercare di mettersi in salvo inutilmente nel bosco, spiando la devastazione dalla piccola finestra come se ne fossi del tutto estraneo, forse neanche capendo fino in fondo cosa stesse accadendo, chiedendomi addirittura se mi fossi nuovamente appisolato e quello non fosse che un brutto sogno. Capii la verità solo quando vidi mio fratello uscire di casa di corsa, una spada tra le mani e il fiato corto. Appena mi vide mi spinse perentorio dentro la stalla, urlandomi di nascondermi e di non muovermi da lì. Tutto sommato era davvero un bravo fratello maggiore. Certo, beveva troppo già allora e aveva un qualche problema a tenerselo nei pantaloni, ma non mi aveva mai fatto mancare nulla dalla morte di papà, in uno scontro tra villaggi rivali qualche anno prima. Nostra madre era morta partorendomi quindi si poteva effettivamente dire lui fosse tutta la mia famiglia. Per gioco talvolta lo chiamavo mamma, sopratutto quando mi preparava la cena, orribile ovviamente essendo lui totalmente negato nelle faccende domestiche, oppure quando mi ammalavo e lui veniva a controllare in piena notte fossi ancora vivo.
- smettila di preoccuparti, mammina - gli dicevo. Lui mi rifilava un pugno giocoso sul naso e se ne andava brontolando sul fatto che i mocciosi non avevano più alcun rispetto. Avere una decina di anni più del sottoscritto a volte lo faceva comportare come un vecchio, eppure a dirla tutta la maturità non è mai stata la sua più grande qualità. Però combatteva bene, lo sapevo perché era entrato da giovanissimo tra i guerrieri del nostro clan ed io ero estremamente fiero di quel fratello si sconclusionato, ma forte come un toro. Ci vollero tre dei loro soldati per farlo cadere e ricordo bene come, prima di svenire, avesse controllato nella mia direzione io gli avessi ubbidito e mi fossi nascosto. Ovviamene no, non gli davo mai retta. Digrignò i denti, probabilmente mi mandò pure al diavolo, prima di crollare a terra e fu allora che scattai e corsi da lui, buttandomi sopra il suo corpo martoriato e afferrando la sua spada con due mani, tanto era pesante allora, cercando di difenderlo. Non potevo permettere mi ammazzassero quel grande cretino, non potevo perderlo e se così fosse finita, tanto valeva morire con lui, cercando di difendere il suo culo a mia volta. Non sortii un grande effetto a dirla tutta, i legionari davanti a me si misero a ridere, dandosi grosse pacche sulle spalle come se fosse incredibilmente buffo vedere un bambino combattere per sopravvivere. Imparai solo anni dopo che a tutti gli effetti i romani tendono a divertirsi da morire nel vedere la gente attaccasi alla vita in modo disperato. Pochi attimi dopo comparse quello che era il loro comandante, o almeno credo considerando il modo in cui i tre si erano messi sull’attenti e blaterò qualcosa che non capii assolutamente, ma alla fine non ci lasciarono vivere. Quello strano uomo, nella sua armatura luccicante, mi mise una mano sulla testa e io rimasi a fissarlo immobile, mentre lui mi spingeva verso il restante dei sopravvissuti, messi inuma angolo e accalcati tutti insieme.
- è tuo padre? - mi chiese.
Io scossi il capo - mio fratello -
Lui annui, come se la mia semplice risposta fosse più che sufficiente a chiarirgli tutta la faccenda - capisco - mi prese la spada dalle mani e alzò appena un sopracciglio quando opposi resistenza - questa dalla a me ragazzino. Sei un combattente e questo va bene, ma vedi di non essere un idiota -
Mi accigliai e feci cenno verso il corpo di mio fratello ancora steso terra dietro di noi - quello è lui -
Il vecchio scoppio a ridere improvvisamente - ah si? E quale è il tuo ruolo allora? -
Alzai le spalle - io bado a lui -
Se ne andò poco dopo verso il resto dell’esercito, ma solo dopo essersi perso la mia arma - ricordati quello che ti ho detto. Combatti e usa il cervello. Magari riesci a sopravvivere, ragazzino -
Non lo vidi mai più dopo quella volta, ma non so perché le sue parole le tenni bene a mente per il resto della mia vita. Effettivamente come raccomandazione era un po’ banale e forse anche troppo misera per quel che avrei dovuto affrontare da quel giorno in poi, ma non posso fare a meno di pesare che alla fin fine mi ha salvato la pelle in parecchie occasioni.
I romani ci misero delle grosse catene ai polsi e già nel primo pomeriggio eravamo in marcia verso quella che era la loro patria. Mio fratello, incredibilmente ancora vivo e legato accanto a me, perché non sia mai che neanche nelle peggiori delle miei giornate io riesca liberarmi della sua persona, mi raccontò che aveva sentito dire che i romani tendevano a fare parecchi prigionieri per poi venderli come schiavi una volta a casa.
- sei un bravo cuoco, forse potresti anche cavartela - disse parecchio tempo dopo quando ci fermammo per la notte. Ci avevano ammassati sul fondo del loro accampamento sorvegliati da qualche guardia ma comunque impossibilitati a fare alcunché. Eravamo neanche una cinquantina di sopravvissuti, solo un piccolo gruppo di guerrieri e per il resto solo donne e bambini.
Io poggiai la schiena alla sua, chiudendo gli occhi - e tu? Non sai fare nulla e hai la lingua lunga -
Rise forte, perchè quello scemo è uno che ride sempre, anche nelle situazioni più disperate - probabilmente mi metteranno in un bordello -
Sapevo stesse scherzando, sono ad oggi sicuro che sapesse che l’avrebbero cercato di rivedere come gladiatore, era dell’età e della corporatura ideale per quel tipo di impiego, ma sicuramente stava solo cercando di farmi sorridere comportandosi nel modo più abituale possibile. Dormii sulle sue gambe, cullato dal suo russare, con le sue braccia introno al corpo che cercavano di infondermi calore.
Non so dire quando ci impiegammo ad arrivare in quella enorme città che poi scoprii fosse Napoli, ma so che camminammo per settimane, che avevamo una fame incredibile e che non avevo mai visto tante persone in vita mia ammassate in un singolo posto, men che meno delle mura del genere, io che ero abituato a case fatte in legno e paglia.
Ero ancora perso nei miei pensieri a guadarmi intorno quasi affascinato da tanta imponenza, quando un gruppetto di uomini ci raggiunse e cominciò a smistarci. Poco prima eravamo stati tutti venduti ai commercianti della zona, quello mi era abbastanza chiaro, era sufficientemente vicino per poter origliare le loro trattative, ma non pensavo arrivassero addirittura a dividerci. Stupidamente non avevo preso in considerazione l’idea che io e mio fratello potessimo rientrare in due categorie diverse. Lui invece lo aveva pensato, perché non appena cominciarono la selezione, mi strattono alle sue spalle, intimandomi di fare silenzio e di cercare di mimetizzarmi dietro di lui. Ovviamente non funzionò affatto, era davvero il piano più stupido del mondo, pertanto quando arrivarono a noi, io venni preso per un braccio e trascinato verso il gruppo dei bambini.  
- non toccarlo pezzo di merda! - si mise a strillare quell’enorme asino di mio fratello.
Io cercai di divincolarmi, un po’ per scappare, un po’ per tornare lui, un po’ per dargli una sonora testata e dirgli di chiudere quella fogna, che se continuava a comportarsi così sicuro lo avrebbero ammazzato sotto i miei occhi. Non riuscii a fare nulla però, quelli erano troppi e troppo grossi per me allora. Lui invece continuava a urlare come un ossesso e a strattonare le catene cercando di divincolarsi e riuscì perfino a buttare a terra una guardia, riuscendo a compiere qualche passo nella mia direzione. Ricordo ancora i suoi occhi in quel momento, non mi erano mai sembrati tanto grandi, tanto blu e tanto fragili. Lui era forte, il più forte io avessi mai conosciuto, per questo motivo forse fu solo in quel momento che ebbi davvero paura, quando vidi le lacrime di disperazione cominciare scorrergli sulle guance. Cazzo, se gli volevo bene.
Avevamo attirato un certo numero di curiosi intorno a noi e, dal modo in cui quello che pensavo fosse il capo si stesse accigliando, immaginai la cosa non gli facesse molto piacere. Così tirai su con il naso, mordendomi forte una guancia per non mettermi a piangere mia volta e riuscii a calciare un sasso verso mio fratello più forte che potei, andando a colpirlo in piena pancia.
- piantala di urlare pezzo di idiota! - strillai a mia volta - se ti fai ammazzare giuro che poi ti trovo e ti ammazzo a mia volta! Cosa credi di ottenere così? Datti una fottuta calmata! - incrociai il suo sguardo e cercai di rimanere il più serio possibile, mentre mandavo giù l’ennesimo groppo che mi si formava in gola - andrà bene, io sopravviverò e ti verrò a prendere, brutto ubriacone, mi hai capito? Metterò in salvo quel tuo brutto muso prima o poi, ci penso io fratello a te adesso -
Rimase a bocca spalancata a guardami come se mi fossi ammattito del tutto e solo quando cercai di fargli il sorriso più falso della mia vita lui quasi si mise a ridere, biasciando qualcosa tipo “moccioso di merda”.
Il tizio che ci aveva comprato però a quel punto era davvero arrabbiato perché non mancò di scaricare una sonora frustrata sulla schiena di mio fratello, prima di voltarsi nella mia direzione per fare presumibilmente lo stesso.
Fu in quel momento che lei mi salvò per la prima volta.
- non permetterti di sgualcirmelo vecchiaccio! -
Quell’ordine perentorio fu scandito con risolutezza da una voce che non poteva che appartenere a una bambina come me, che infatti notai solo pochi istanti dopo che osservava la scena con cipiglio severo pochi metri davanti a noi, le braccia incrociate al petto e lunghi capelli castani tenuti sciolti che le andavano a scivolare lungo un abito sicuramente prezioso. Non mi intendevo affatto dei loro costumi ma capii subito che, dal modo in cui era agghindata e dall’arroganza con cui si esprimeva, doveva essere figlia di qualcuno di ricco o di importante. Mosse dei rapidi passi nella mia direzione e ignorò bellamente il mio padrone, che credo dovesse conoscerla perchè rimase immobile e quasi sull’attenti nel farla passare. Con la coda dell’occhio vidi poco distante un uomo osservare tutta la scena con un grosso sorriso orgoglioso sulle labbra, spiando la bambina con fare fiero. Pensai fosse il padre, perché la guardava nello stesso modo in cui il cretino faceva con me quando nelle feste di paese vincevo una qualche gara di atletica. Non ebbi comunque modo di capirci molto di più perché lei mi si piazzò davanti con quel suo metro e poco più di supponenza e prese a fissarmi come se fossi un curioso tipo di animale esotico. Ressi il suo sguardo però, perché se c’è una cosa che quelli della mia famiglia sanno fare bene, è avere un enorme faccia da culo. Prese il mio mento tra le dita, voltandomi il viso da una parte e poi dall’altra, come per esaminarmi. Fece lo stesso con braccia e gambe, camminandomi intorno e tastandomi talvolta, come da noi si faceva solo con il bestiame per accertarsi fosse in forze. Continuò così per un po’, mentre il resto delle persone rimanevano zitte a osservare la scena. Il mercante prese quasi a sfregarsi le mani perchè doveva aver capito che qui a breve si avrebbe parlato di affari. Infatti poco dopo la bocca di lei si aprì in un enorme sorriso, facendomi notare che doveva esserle caduto un dente da dopo considerando la piccola fessura vuota che compariva tra due labbra generose.
- ho deciso! - disse a voce alta, voltandosi verso la folla - papà, voglio questo qui -
Dal curioso pubblico quell’uomo che prima avevo scorto fece qualche passo nella nostra direzione, affiancando la figlia e osservandomi attento a sua volta.
- è un po’ troppo giovane per quello che serve noi, mia cara -
Lei si imbroncio immediatamente - non sono d’accordo. Avrà più o meno la mia età, così quando saremmo grandi abbastanza avrò finito di formarlo e sono sicura che farò un lavoro talmente impeccabile che non avrai alcun pensiero nel lasciare tutto a me, padre -
Non avevo idea di che cosa stessero parlando, il mio sguardo passava un po’ da quell’uomo serio e alto alla strana bambina magrolina che avevo davanti, mentre venivo totalmente ignorato.
Lui allora le sorrise bonario, annuendo appena - allora va bene. Se tu sei convinta di potercela fare tesoro, faremo come preferisci tu -
- assolutamente! - rispose lei e nel farlo pensai che non avevo mai visto nessuno con un orgoglio simile traboccargli perfino da un paio di enormi occhi verdi. Fatto sta che lei così, con quella richiesta al genitore, mi aveva salvato da una fine forse peggiore, perché poi scoprii che i ragazzini come me, con la mia faccia, venivano venduti ai bordelli per poche monete.
Mentre l’uomo ci diede le spalle per andare a contrattare con il mercante la bambina mi prese per un gomito, tirandomi nella sua direzione.
- come si chiama tuo fratello? - mi domandò.
- Gannicus -
Mi lasciai trascinare da lei fino ad arrivare difronte a mio fratello, che ci guardava ancora a bocca aperta, i segni delle lacrime di prima che gli avevano parzialmente pulito il viso dalla sporcizia del lungo viaggio.
- oggi ho il permesso di compare solo uno schiavo, purtroppo - gli disse lei, guardandolo dal basso verso l’alto ma con una espressione totalmente seria - mi prenderò cura di lui personalmente, non devi più preoccuparti. Tu ora pensa a sopravvivere che se un giorno le cose andranno come prevedo forse il tuo fratellino qui riuscirà davvero a trovarti come ha detto prima -
Non riuscimmo più a parlare oltre perché il resto dei mercanti cominciarono a tirarlo insieme agli altri uomini verso la piazza principale del mercato. Ebbe tempo solo di urlarmi dietro uno stupidissimo “andrà bene, sgorbio” al quale risposi con sorriso davvero tirato, ma non potevo permettermi di aggiungere altro. Il mettermi a piangere non era assolutamente una buona idea in quel momento, quello come scappare e attaccarmi alle sue brache come facevo quando ero ancora più piccolo e scappavo da nostro padre dopo averla combinata davvero grossa. Quella fu l’ultima volta che lo vidi.
- io sono Aaria - parlò ancora la bambina, senza smettere per un attimo di tenermi saldamente per un braccio - mio padre è il più grande lanista di tutta Roma. Noi faremmo di te il più leggendario gladiatore l’impero abbia mai avuto! -
Non capii molto bene cosa lei intendesse con le sue parole, allora il loro gergo mi era ancora sconosciuto ma, considerando il tono fiero e sicuro con cui lei mi parlava, mi convinsi a mia volta che forse davvero sarebbe andato tutto bene, che me la sarei cavata davvero.
- come ti chiami? - mi domandò poco dopo, mentre camminavamo verso una specie di carro pieno di viveri.
- Gavin -
 
  
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