Prudence Stanley era una donna d’altri tempi già per la sua epoca. Aveva i suoi ritrovi di gentildonne, aveva il suo programma musicale alla radio del giovedì sera, e soprattutto, aveva i suoi rituali del tè.

Di una noia mortale, secondo Phryne. Si beve, si mangia, e poi? Escluso Sasha, sua zia non aveva invitato più tanta gente interessante. Forse perché voleva evitare altri omicidi e altri scandali alla porta degli Stanley. Contenta lei, aveva pensato, e con un sospiro si era accinta a sorseggiare con leggiadria un altro po’ del suo tè alla rosa canina. Dot, al contrario, aveva preferito un più dolce infuso alla vaniglia.

Sua zia le aveva invitate entrambe. E anche Mac, ché zia P. aveva pur sempre uno scotto di alterigia infondata da pagare con la dottoressa. E stavano passando quel bel pomeriggio di un soleggiato ottobre a prendere il tè nella veranda della vecchia tenuta, senza nemmeno un festino del caro, vecchio Guy a ravvivare un poco l’atmosfera. Invece, suo cugino per quel giorno aveva deciso di fare il bravo ragazzo, e restare rintanato in biblioteca con la cara mogliettina, a scegliere le edere migliori dai libri per poterle piantare alla porta della loro casetta di campagna. Un vero strazio…

«Preferirei spararmi a un piede», confessò Phryne all’orecchio di Mac, mentre zia Prudence sciorinava alla paziente Dot tutti i segreti di come tenere in forma i suoi vasi di malvarose.

Mac aveva sorriso, furba, dalla sua tazza di earl grey. «Dalle tempo, e ci penserò io stessa…»

«Non hai neanche una isterectomia d’emergenza?»

«Nemmeno un professore caduto giù dalle scale con la gola tagliata. E no, Phryne, ti proibisco di andare in obitorio a controllare.»

Phryne aveva controllato il suo sospiro annoiato, e si era tagliata una seconda fetta di crostata.

«E quindi, mie care, come stavo appunto dicendo alla carissima signorina Williams, il segreto di una serra dignitosa è quello di non lasciare mai in giro dell’acqua ristagnante…»

Un vero disastro su tutti i fronti. Noia, noia, noia.

Un diversivo arrivò quando il signor Butler si era presentato, rosso in viso, in veranda. «Signora Stanley, mi scusi…»

«Sì?» Almeno, la zia aveva interrotto il suo monotono discorso.

«Si tratta del signor Guy…ecco…»

«Be’, buon cielo, mi dica cos’è successo!»

«C’era una scatola di cioccolatini, aperta, giù nelle cucine. Carte sparse dappertutto…»

Phryne aveva visto una volta sola la cara zietta impallidire a quella maniera. «Non mi dirà che ha trovato mio figlio…!»

«No, no, suo figlio è vivo, però…ehm…lui e sua moglie, come dire…li ho trovati decisamente alterati .»

«Un caso per noi, signor Butler!», si era ravvivata Phryne. Che era scattata in piedi, tè e tortine belle che dimenticate. «Mac, Dot, andiamo! Prima che Guy e Isabella radano al suolo l’intera villa…»

«Ma…ma che succede?», si era limitata a balbettare zia Prudence, vedendole tutte alzarsi in piedi e correre all’interno. Persino la cara, piccola Dottie, impallidita quanto e come lei.

«Te lo spiego dopo, zia…» Phryne si era arrischiata a lasciarle un bacio con lo schiocco sulla guancia. «Ricorda solo che il povero Guy è tremendamente allergico ai fichi, d’accordo?» Ed era saltellata via, verso quell’inaspettata, nuova avventura.

Insomma, non era un omicidio in piena regola, ma era sempre meglio di un noiosissimo tè a parlare di quelle stramaledette piante!