IL
MIO NOME (NON) È VENDETTA
Gotham è intrisa dall’ennesimo temporale è un’altra notte
fredda, bagnata dallo scrosciare incessante della pioggia. L’aria putrida mozza
il respiro, è una città che sta marcendo fino al midollo. Corrotta, senza
speranza. Ad ogni angolo si rischia di essere rapinati, oppure abbordati da
qualche viscido venditore di illusioni chimiche a buon mercato.
L’uomo mascherato si muove nell’ombra. Il favore della notte gli è amico. Può
pattugliare quelle strade infernali e rimettere a posto qualche criminale, poca
cosa in confronto ai grossi vermi che si ingrassano nella pancia di Gotham, ma
Bruce Wyane è ancora giovane e inesperto, ancora non è chi diventerà. La sua
anima è nera, offuscata dal dolore e ancora avvelenata dalla sete di rivalsa.
Si muove come un’ombra al confine tra bene e male, tra giusto e sbagliato.
Sempre in bilico, sempre pericolosamente vicino ad abbracciare la sua oscurità,
diventando così come quelli che dice di voler combattere. È consapevole che
quella città è come un ossario, più si scava e più la putredine viene a galla.
Per questo deve sorvegliare ed indagare per poter ripulire questa discarica a
cielo aperto.
Ma Bruce Wayne è anche un uomo e ogni notte rientra nella sua dimora più stanco
e più dolorante di quella prima. Sente il peso schiacciante dell’onere che si preso,
ma sente anche la fatica, il dolore, il bruciare intenso delle ferite, i lividi
e le cicatrici aumentano. Più riesce ad ostacolare il crimine e più quello diventa
violento, imprevedibile. Le ferite più profonde però sono quelle che sfregiano la
sua anima, così triste e annichilita, in cerca di una redenzione che sembra
sempre troppo lontana.
Mentre zoppicante si sta dirigendo alla sua moto, Gotham buia e fradicia viene
improvvisamente rischiarata da quel fascio di luce inconfondibile.
Che cosa può mai essere accaduto adesso, quando la notte sta per morire e
l’alba sta per affacciarsi all’orizzonte?
Arrivato in cima palazzo dove campeggia il grande faro messo da Gordon, nota
che sembra non esserci nessuno.
All’improvviso appare lei: Selina, fasciata dal suo completo nero di pelle,
sinuosa gli si avvicina e dichiara ammiccando un sorriso “Non arrabbiarti devo
dirti un cosa”.
Lui la guarda, non sa dire se è contento di vederla, quella donna ha uno strano
effetto su di lui. Quello che sente oscilla tra la voglia di farla arrestare e
la voglia di perdersi in lei.
“Che ci fai qui?” gli chiede fronteggiandola. Non la ricordava così bella.
“Avevo un conto da saldare con Oswald, diciamo che mi sono ripresa ciò che era
mio e che quel fetente mi aveva tolto”. Gli sorride di nuovo e gli si avvicina
quel tanto che basta per sfiorarlo.
“Che cosa devi dirmi?” le chiede lui imperturbabile, anche se la sua vicinanza
lo inquieta più di quanto vorrebbe. D’un tratto anche la stanchezza sembra
essere sparita lasciando il posto ad una sorta di strana attesa.
“Sta imbastendo qualcosa di grosso e di molto pericoloso, devi fermarlo prima
che si prenda questa città e la distrugga definitivamente”.
“Indagherò” le risponde criptico mentre la osserva . “Perché sei qui
Selina?” chiede infine. Se n’era andata dicendo che non sarebbe tornata…
La gatta si gira verso l’orizzonte appena rischiarato da una timida luce rosata
che annuncia l’alba, poi torna a fronteggiarlo: “Te l’ho detto ho un debole per
i randagi” conclude carezzandolo, facendo scorrere quelle unghie feline sulla
sua guancia ruvida. Una carezza strana, dolce ma pericolosa, proprio com’è
Selina.
Bruce Wayne rimane sempre un po’ inerme davanti a quella sfrontatezza ambigua,
con lei non si sa mai che aspettarsi: un bacio, o un colpo gobbo?.
Se però deve essere onesto con stesso, in fondo è grato a Selina, se c’è stato
un solo momento in cui ha sentito un soffio di fiducia è stato quando è
riuscito ad impedirle di diventare un’assassina.
Quella ragazza così forte e così fragile, così pericolosa ma anche così simile a
lui, lo aveva riportato, almeno temporaneamente sulla retta via.
Tutta quella follia mascherata era iniziata per dare un senso alla morte dei
suoi, ma adesso è come rimasto imbrigliato in questo girone infernale da cui
non riesce più a liberarsi. I giorni sono notti e le notti sono giorni. Non sa
più chi è Bruce Wayne, di certo non è il miliardario figlio di un padre assassinato
erede di un patrimonio enorme, ma non può neppure essere solo la maschera che
indossa, le percosse che prende, i pugni che distribuisce. Lo chiamano il vigilante, in realtà è solo un uomo
perso che si sta cercando tra le piaghe delle sue ferite.
“Ora devo andare Vendetta” gli dice Selina scostandosi da lui.
“Nessuno mi chiama più così” le risponde serio.
“E come ti che chiamano adesso?” gli chiede lei che con un balzo è già sul
parapetto del palazzo.
“Batman” è la risposta di quell’uomo mascherato che tanto la intriga.
Lei sa che dietro quella maschera si nasconde un tormento che lo consuma. Sono
affini, lo ha capito dal primo momento che i lori occhi si cono incontrati e sa
che tra loro c’è un legame che non finirà quella notte, come non era finito
quando si salutarono l’ultima volta.
“Allora a presto… Batman!” gli dice prima di sparire dietro l’ultima ombra
della notte, prima che la luce riveli Gotham in tutto il velenoso splendore.
NOTE
DELLA SCRIVENTE (cioè me)
Adoro Batman da sempre. L’ho conosciuto da piccola seguendo l’iconica serie anni
60 con Adam West. Crescendo l’ho sempre più apprezzato, soprattutto per il suo
lato oscuro e perché non è un super eroe, in quanto non ha super poteri, ma
solo un eroe mascherato che invece di crogiolarsi in una vita facile e comoda,
decide di lottare contro il crimine.
Ringrazio chiunque abbia avuto la voglia di leggere questa shot :)
PS ho messo l’avvertimento movieverse perché sono stata fortemente ispirata dall’ultima versione di The Batman di Matt Reeves, ma questa storia non è necessariamente ambientata in quello specifico contesto.
Disclaimer: Questa storia
non è stata scritta a scopo di lucro.
Batman e Selina Kyle aka Catwoman (purtroppo) non mi appartengono, ma
sono proprietà DC Comics