Era appena stato confermato un ritardo di tre ore rispetto all’orario di partenza previsto. Controllò l’orologio da polso con espressione accigliata, sbuffò e decise di incamminarsi per cercare qualcosa con cui ingannare l’attesa. Non amava particolarmente gli aeroporti né prendere l’aereo, ma ci si poteva fare l’abitudine, e inevitabilmente lui ci si era abituato da parecchio tempo. Con aria annoiata si guardò attorno, solo per constatare che gli aeroporti sono un po’ tutti uguali. Immensi o piccoli, ma al loro interno percepiva questa sensazione costante di essere in un non luogo, in uno spazio finto, separato dal mondo, una bolla con i puntini di sospensione, dove si incrociavano per pochi istanti le esistenze di milioni di persone di passaggio.  
Trovò un bar. Decise di sedersi a uno dei tavolini e prendersi un caffè. Nel frattempo, avrebbe tirato fuori dallo zaino il romanzo che contava di leggere durante il volo. Si immerse nella lettura isolandosi dalla frenesia attorno a sé e, se proprio non avrebbe potuto affermare di riuscire ad apprezzare la situazione, di certo non valeva neppure la pena corrucciarsi troppo, non doveva prendere nessuna coincidenza, e tanto valeva godersi i tempi morti. 
Vide illuminarsi il cellulare con la coda dell’occhio e non poté fare a meno di allungare lo sguardo per leggere la notifica. Lesse il messaggio e le labbra si incurvarono in un sorriso. Interruppe la lettura del romanzo, infilò il biglietto aereo a mo’ di segnalibro e ripose il libro. 
«Com’è piccolo il mondo.» lo salutò l’altro non appena lo raggiunse.
«Sì, beh, non la chiamerei coincidenza. Abbiamo la stessa destinazione, anche se non mi aspettavo di trovarti sul mio stesso volo. Piuttosto, hai visto del ritardo?»
«Sì, è il motivo per cui mi sono messo a gironzolare da queste parti. A proposito, mi dispiace di aver interrotto la tua lettura ma non appena ti ho intravisto non ho resistito.»
Lo guardò dritto negli occhi, l’altro sostenne lo sguardo. Gli scappò una mezza risata.
«Bugiardo. Non ci credo che ti dispiaccia. Dai, ci prendiamo qualcosa da bere?»
«Basta che offri tu.»
«Ti pareva.»
«Da quant’è che non torni?»
«Ormai sono 6 mesi. Però è la prima volta che faccio scalo qui.»
L’altro annuì. «Passi anche da casa?»
«Sì, allungo di tre giorni»
«Anch’io mi fermo qualche giorno in più, se non approfitto di queste occasioni non vedrei più i miei.»
Sorrisi.
«Sì, casa manca sempre, anche quando sei lontano da tanto tempo.»
Annuì e posò il bicchiere vuoto. Diede una rapida occhiata all’orologio.
«Beh, ormai potremmo anche andare al gate…»
«Sì.» rispose l’altro alzandosi a stiracchiando le spalle.
 
Si incamminarono insieme continuando a chiacchierare del più e del meno.  
«Beh, allora ti saluto. Ci si vede all’atterraggio.»
«Senti...»
«Mmh?» fece con aria interrogativa.
«Mi chiedevo... non so che ne pensi... però magari potremmo organizzare qualche volta…»
«Organizzare cosa?»
Aveva capito perfettamente cosa intendesse ma era troppo divertente metterlo in imbarazzo.
«Ma sì, dai, vedersi. Alla fine, non giochiamo così lontani... mi piacerebbe frequentare qualcuno di casa.» «Qualcuno di casa»
«...»
«Ahahahah dai sto scherzando! Volentieri. Nel senso, mi vedo con te volentieri.»
«Cioè, pensavo che sarebbe bello fare due chiacchiere, mangiare qualcosa, una roba così.»
«Certo.»
«Ok. Allora ci si vede all’atterraggio.»
L’altro gli fece un cenno di saluto con un sorrisetto sghembo. L’imbarazzo stava lasciando il posto a una sensazione di sollievo e di piacevole tepore. Ma sì, perché no, poi?