Storie originali > Soprannaturale
Ricorda la storia  |      
Autore: crystalemi    06/09/2009    2 recensioni
«Ho paura, madre mia...» Biascicò e sentì solo in quel momento la sua presenza. Tremò, sapeva di non avere scampo. Lo sapeva fin troppo bene per potersi dedicare a pregare tutti i Santi che conosceva: nessuno l’avrebbe aiutato, e questo pensiero gli fece sfuggire un semplice, piccolo, insignificante suono.
« Buh. »
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Fic scritta per il contest « A me gli Occhi » indetto da _karim_.
Risultati a breve (si spera).


Vi informo che seguendomi su facebook potrete leggere anteprime, vedere le facce dei personaggi e scoprire le tante storie interessanti che leggo ogni giorno!



To See ○
{ Beyond The Rules }





Inghilterra, Inizio XVIII secolo.


Deglutì, ingoiando anche il groppo che gli serrava la gola. Le lacrime ripresero a scendere in silenzio e lui si rintanò il più possibile contro la colonna conca in quello stile così particolare e orrendo che formava l’enorme villa. Riprese a respirare normalmente, non più con piccole dosi d’aria ravvicinate fra loro, ma il suo cuore non smise di battere troppo forte.
Strinse le ginocchia al corpo, nascondendovi il volto e sopprimendo l’ennesimo singhiozzo.
«Ho paura, madre mia...» Biascicò e sentì solo in quel momento la sua presenza. Tremò, sapeva di non avere scampo. Lo sapeva fin troppo bene per potersi dedicare a pregare tutti i Santi che conosceva: nessuno l’avrebbe aiutato, e questo pensiero gli fece sfuggire un semplice, piccolo, insignificante suono.
« Buh. »

Urlò, scattando a sedere. Un incubo. Uno dei tanti che costellavano la sua vita.
Neil scoppiò in lacrime abbracciando il cuscino di soffici piume. Era uno di quei sogni.
Come quando aveva visto suo zio cadere da cavallo, e questi, una settimana dopo, era morto proprio in quel modo. Tentò di calmarsi comunque. Era la terza volta che viveva quei momenti.
La prima volta aveva cinque anni e aveva anche smesso di dormire per la paura. Era stato il suo primo “sogno”, il primo dei tanti della sua condanna: lui poteva sapere in anticipo gli eventi che sarebbero accaduti. Nel sonno, sì, ma anche da desto. Talvolta bastava toccare un oggetto per sapere qualcosa che lo riguardasse, e più cresceva, più gli episodi divenivano frequenti.
Ma solo quello lo spaventava, dato che gli altri non lo riguardavano. Quand’era piccolo aveva anche provato a cambiare il destino, ma finiva sempre per non risolvere nulla, anzi, passava per visionario o uccello del malaugurio. La gente non gli credeva e si arrabbiava quando ciò che diceva si avverava. Era stato anche picchiato da suo padre quando si era avverato un incidente che aveva predetto, era stato accusato addirittura di averlo organizzato.
Si tirò a sedere scuotendo il capo: che pensieri inutili. Erano anni che faceva quel sogno e nulla era mai accaduto. Si alzò, andando a tentoni verso la porta, ancora troppo rintontito.
Tremò, nel corridoio, il freddo che s’insinuava nelle membra. Legò i lunghi capelli in una coda con il cordino di una delle tende e sorrise intimamente. Le cameriere quel giorno sarebbero impazzite nel cercarlo.
A giudicare dal profumo che proveniva dalle cucine, era quasi ora che si svegliasse, così tornò dentro e si dedicò alla toilette mattutina, anticipando la cameriera che l’avrebbe dovuto aiutare.
Sorrise davanti allo specchio, chiedendosi come ogni mattina quale riflesso avrebbe visto. Forse un ragazzo dai lunghi capelli castani, la pelle pallida, e gli occhi vacui.
Sospirò. Chissà che aspetto avevano le persone che lo circondavano. Lui vedeva solo colori.
Più bianca era l’anima, più la persona era buona. Sua sorella, ad esempio, era di un fine bianco, non troppo forte, ma abbastanza delicato da far piacere al cuore.
Un lieve suono alla sua porta. Angelica: solo lei batteva così piano.
Si diresse ad aprirle, schivando a memoria i mobili. Il bianco lo salutò prima ancora che aprisse la porta.
Al primo contatto con lei, aveva percepito la paura. Ecco un’altra sua fastidiosa abilità: riusciva a provare gli stessi sentimenti di Angelica.
«Cos’è accaduto?» chiese gentilmente stringendo al petto la bambina di dieci anni.
«Ho sognato!» pianse lei, stringendosi di più a lui, cercando conforto e protezione nel suo fratello maggiore.
Neil la sollevò e attraversò la stanza per poi poggiarla fra le coltri.
«Cosa?» Le chiese quando lei smise di piangere.
«La mamma piangeva, e tu non c’eri più.» Gemette aggrappandosi alla sua camicia. Lui sorrise dolcemente alla pressione del suo corpo contro il proprio.
«E’ una bella cosa, ti ringrazio. Mi hai allungato la vita.» Le disse, passando le dita fra i morbidi capelli che sapeva erano ramati grazie alle descrizioni di sua madre. Angelica affondò il volto nei suoi abiti, lasciandosi coccolare, prima di alzarsi in piedi sul letto.
«Giochiamo? Conta fino a dieci e vienimi a cercare!» Urlò saltando giù dal letto e correndo via. Neil contò ad alta voce per poi alzarsi andando alla sua ricerca.
Corse per le varie sale della villa, evitando abilmente ogni ostacolo.
Conosceva quel posto così bene da non aver nemmeno bisogno di vedere le persone, per sapere che a quell’ora doveva evitare la hall, con il pavimento bagnato, saltare il giardiniere accucciato a livellare perfettamente l’erba fresca di rugiada...
Trovò Angelica esattamente dove credeva: le stalle. Angelica amava i cavalli e il suo preferito era una puledra di nome Starlight, molto dolce e mansueta.
Infatti, era lì la sua sorellina, a spazzolare la criniera all’amato animale, completamente dimentica del loro gioco.
«Trovata!» gli sussurrò, baciandole una guancia, il rumore della spazzola si interruppe per un momento e poi la risata allegra di sua sorella gli riempì il cuore.
«Neil, Angelica! Finalmente vi ho trovati!» entrambi sobbalzarono a sentire il tono di loro padre. La bambina indietreggiò contro il petto del fratello che le passò un braccio attorno alle spalle.
«Signorina, è questo il modo giusto di uscire? In camicia da notte? E tu cosa ci fai qui, ragazzo? Tua madre è preoccupata! Per entrambi.» La bambina si liberò dell’abbraccio e prese per mano il fratello, guidandolo con accortezza per il giardino.
Neil trattenne a stento la rabbia: quell’uomo non faceva che ripetere ad Angelica che non faceva parte della famiglia.
«Fratello, vostro padre mi odia, vero?» Chiese timidamente lei, ancora lontano dalle orecchie indiscrete dei servitori. Il ragazzo sbuffò e la strinse a sé, tentando di rassicurarla in qualche modo.
«Sei la mia sorellina e nostra madre ti adora. Non preoccuparti, quell’uomo non ama nessuno. Va bene? Ora fammi un bel sorriso!» La esortò, passandole una mano sulla guancia, ma sentì la sua testa pesare.
«Tu non potrai vederlo comunque.» Mugolò dispiaciuta stringendo forte la sua camicia.
«Invece sì. Non come come lo vedi tu, ma lo sento.» La bambina strofinò il volto contro la sua pancia e poi si staccò. Gli prese la mano e la poggiò sulla propria bocca, sorridendo. Neil l’accontentò, saggiando la consistenza di quelle labbra così piccole e infantili con la mano.
Quanto amava quella piccola orfanella che sua madre, per buon cuore, aveva raccolto in fin di vita dalla strada...
Andarono incontro alla donna - aveva un’anima di un tenue rosa confetto, inconfondibile agli occhi di Neil – e subirono la sua apprensione prima di poter sentire per cosa stesse fermentando la casa.
«Bambini, questa sera verrà una persona importante a parlare con vostro padre. Neil, sii cortese, Angelica non uscire dalla tua stanza.» Le ultime parole erano state un sussurro doloroso che aveva stretto il cuore in una morsa a tutti e tre.
I due fratelli si ritirarono nella stanza della piccola. Neil la aiutò negli esercizi quotidiani di bon-ton, facendola ridere spesso per poter così godere del suono cristallino che gli scioglieva il cuore tutte le volte.
A pomeriggio inoltrato – Neil riusciva addirittura a sentire le voci concitate delle donne sotto la finestra, mentre mozzavano le teste alla selvaggina che suo padre e il compagno avevano portato dalla battuta di caccia – la bambina si addormentò pacificamente e il ragazzo la lasciò in stanza per andare a darsi una rinfrescata e rendersi presentabile per cena.
Preso il cambio dalla sua camera si diresse al bagno del piano; vide suo padre – un’anima rosso sgargiante – e lo salutò cortesemente. Gli parve per un attimo strano che avesse lasciato un ospite da solo, ma non fece domande e continuò per la sua strada.
«E’ vostro figlio?» chiese una voce sconosciuta, bassa e, in un qual modo, elegante, facendolo girare di colpo. Accanto a suo padre, davanti, dietro, non c’era nessun’anima.
«Sì, Neil, avresti dovuto salutare.» Lo rimproverò suo padre, falsamente bonario.
«Scusatemi, non ho notato la vostra presenza.» Abbozzò un leggero inchino. Il non-uomo lo scusò e riprese a camminare – i passi erano così leggeri da essere disumani – seguito da suo padre che gli poggiò nel passare una mano sulla spalla. Rabbrividì e corse verso il bagno, nella direzione da cui i due uomini erano venuti.

La cena durò per qualche ora, monotona nei discorsi.
Avevano parlato a lungo di frivolezze, e poi erano caduti nella letteratura. Ascoltò molto attentamente, consapevole di sapere molti di quei libri a memoria. Non poteva leggerli, purtroppo, ma la sua sorellina, seppure così piccola, era già tanto brava da potergli leggere ad alta voce qualsiasi cosa volesse. Era così dolce, il suo tesoro.
Suo padre l’aveva tirato nella conversazione e l’uomo senza anima era stato davvero un interlocutore attento e loquace. Un piacere, in un certo senso. Nonostante la brillante conversazione, non riusciva mai ad alzare lo sguardo sul posto dove doveva essere seduto Lord Lucius Lynn. Ogni tanto sbirciava e non scorgeva nulla.
C’era il nero, ma non era un’anima, era solo il vuoto. Come se li vi fosse un oggetto e non un essere vivente.
Persino i due fagiani conservavano ancora un brillio di colore – un giallo leggerissimo che andava scomparendo ogni minuto che passava.
Declinò con garbo l’offerta di mangiare una coscia di quei poveri animali. Per lui, esseri umani e animali non erano che colori: gli uni uguali agli altri, solo fiammelle che brillavano in mezzo ad un vasto e sconfinato nero. Non riusciva a cibarsi di carne, sarebbe equivalso a nutrirsi con uomini.
Quando i due uomini terminarono di mangiare lo invitarono a sedere con loro in salotto e dal tono di suo padre, un diniego non era contemplato, come risposta.
Subì ore di discussioni politiche di cui non capiva assolutamente nulla. Stava per lasciar uscire il prepotente sbuffo quando per errore, toccò una bottiglia di liquore.
Nella visione, suo padre – o perlomeno, doveva trattarsi di lui, dalla voce – conversava amabilmente con quello che molto probabilmente era il loro attuale ospite, e si versava una goccia di liquore, decantandone le origini italiane e la qualità. Il veleno aveva un effetto portentoso dato che in poco tempo suo padre veniva preso dalle convulsioni.
La visione s’interruppe quando la bottiglia gli venne spostata da vicino, lasciandolo con il batticuore.
«Un ottimo liquore italiano, scommetteteci. L’ho fatto portare da dei lontani cugini che sento per diletto. Persone poco intelligenti, ma interessanti.» Il rumore sordo del liquore che incontrava il bicchiere lo riempì di terrore e senza pensarci due volte si spinse contro il tavolinetto di vetro.
«Padre, è avvelenato! Non bevetelo, vi supplico!» lo pregò afferrando la bottiglia e strattonandola.
L’uomo la tenne stretta per il collo e lo rimproverò duramente. A paciere, arrivò il loro illustre ospite.
«Sir Cloudman, non sia così severo. Forse il ragazzo ha sentito qualche voce di corridoio. Mio cugino è un esperto di veleni e mi ha insegnato il suo mestiere. Posso provare a verificare?» Domandò quello, con il suo tono caldo e ipnotizzante, convincendo suo padre.
Neil sentì il rumore di aria inspirata e poi la bottiglia toccò di nuovo la superficie in vetro.
«Nulla, ma potrebbe essere inodore. Per precauzione, vi conviene far vedere a chi s’intende meglio del sottoscritto.» suo padre brontolò qualcosa che non desiderò carpire e ripresero a parlare normalmente. Neil, ad un certo punto, si sentì invitare ad un pomeriggio dedicato alla letteratura classica, genere che sempre l’aveva attratto ma che non aveva mai avuto il piacere di scoprire.
Ma non fu quello il motivo che lo fece accettare con simulato entusiasmo: suo padre aveva battuto un piede a terra. Quello era un messaggio molto chiaro: accetta. E d’altronde, aveva appena ricevuto un invito da uno degli amici intimi della casata reale, soprattutto, colui che non aveva mai invitato anima viva nella propria dimora.
Quando la carrozza di Lord Lynn si allontanò sul vialetto ciottolato di casa, Neil tiro un sospiro di sollievo, salutando suo padre.


○○○


«Madre! Guardate che meraviglia!» Stava urlando una bellissima bambina dai capelli ramati. Doveva avere poco più di quattro anni ed era magra, troppo magra. Accanto a lei, una donna dai lunghi capelli castani, sciolti attorno alla sua figura. A poca distanza, un burrone.
«Angelica, non ti avvicinare allo strapiombo!»
Sua madre tentò di metterla in guardia ma lei non se ne curò avanzando verso quel posto così alto che tanto l’attraeva.
Accadde tutto in un attimo: si girò per chiamare suo fratello, la terra le cedette sotto i piedi e sentì il vuoto.

«AH!» urlò ritrovandosi seduta per terra. Si tranquillizzò in fretta, pensando che nella realtà il suo fratellone era corso a salvarla. Come avesse fatto non avrebbe saputo dirlo ma, quasi avesse saputo che lei sarebbe scivolata, nel voltarsi a chiamarlo, l’aveva visto quasi accanto a lei e le aveva afferrato la mano prima ancora che si sbilanciasse troppo all’indietro. Sospirò. Suo fratello doveva essere davvero speciale se vedeva anche senza la vista. Arrossì al pensiero di quegli occhi vacui anche quando lui sorrideva così dolcemente. Quei sorrisi che le regalava sempre così spontaneamente.
Anche se era notte, decise di andarlo a trovare. Amava davvero tanto il suo Neil, voleva solo mettersi accanto a lui, non l’avrebbe svegliato. Ripensò all’incubo che aveva avuto la settimana prima: un bellissimo uomo che uccideva il suo fratellone. Tremò al pensiero ma fu comunque rincuorata dal fatto che aveva allungato la vita alla persona che più amava al mondo.
Prima di entrare nella camera di Neil si fermò ad ascoltare, arricciandosi una ciocca di capelli attorno al dito. Quando fu sicura che l'unico rumore presente fosse il suo respiro, spinse la porta socchiusa. Suo fratello era rannicchiato in posizione fetale sul bordo del letto e respirava molto velocemente. Doveva star vivendo un qualche incubo, di quelli brutti che non le raccontava mai per non spaventarla. Con gentilezza si sedette accanto a lui e prese ad accarezzargli il capo, dolcemente. Nel giro di dieci minuti, dormiva abbracciata a lui.

Appena aprì gli occhi il suo mondo apparve bianco e candido. Sobbalzò in un primo momento, per poi accorgersi di lei, doveva avere il volto poggiato contro la sua pancia. Si lasciò scappare un ghigno e le alzò la camicia da notte con estrema gentilezza. Una volta scoperta la pancia morbida prese più aria possibile e cominciò a fare le pernacchie contro il suo stomaco, facendola svegliare di soprassalto, ridendo come una matta.
«Basta Neil!» urlò la bambina fra una risata sguaiata e un pianto isterico. A quel punto lui la lasciò libera di respirare normalmente e si stese supino, sorridendo. La bambina si accovacciò accanto a lui e sbadigliò.
«Ho sognato che non mi salvavi. Come facevi a sapere che sarei caduta?» chiese timidamente Angelica. Neil si irrigidì e sospirò.
«Non lo so. Mi capita rare volte di riuscire a cambiare il destino.» Per un attimo si chiese quale fosse il destino e si accorse di aver salvato suo padre una settimana prima. Quel giorno sarebbe dovuto andare da Lucius Lynn. Durante quei sette giorni, l’uomo gli aveva inviato molti doni, e suo padre sembrava essere contento, contrariamente a quello che aveva ipotizzato. Evidentemente, il titolo nobiliare aveva fatto perdere il senno a suo padre.
Si sentiva corteggiato al pari di una donna, nonostante ricevesse solo libri – particolari, scritti in modo che le lettere fossero in tale rilievo da poterli comprendere senza l’aiuto di un lettore, e di questo gli era grato – e questo strano corteggiamento lo innervosiva, regalandogli una spiacevole sensazione di aspettativa e paura.
«Oggi vai dall’amico di nostro padre?» chiese la bambina distraendolo dai suoi pensieri. Annuì distrattamente, reprimendo un sospiro di sconforto.
«E sarà meglio che mi prepari, vai a dedicarti ai tuoi esercizi giornalieri, tu.» La spronò spingendola giù dal letto. Lei saltò in piedi e attese lì accanto che lui la raggiungesse. Quando fu a poca distanza da lei, Neil si senti afferrare e qualcosa di caldo si poggiò sulla sua bocca. Labbra.
«Grazie ancora per avermi salvata.» Spiegò decisa lei, così infantile e dolce da far sorridere il fratello. Poi, il calore sul suo braccio scemò e i passi di sua sorella raggiunsero l’uscita. La porta sbatté violentemente e pochi secondi dopo si riaprì.
«Scusa non volevo.» Aggiunse la bambina. Scosse la testa e la immaginò sorridere. La porta si richiuse più dolcemente e lui cominciò svogliatamente la toilette mattutina.

La carrozza si fermò dopo un tragitto di qualche ora. Neil scese stando attento ad ogni sensazione, ogni suono, ogni odore. Quel posto lo inquietava e quell’uomo lo metteva in soggezione.
Lord Lynn lo accolse calorosamente, domandandogli le sue impressioni sui libri che gli aveva inviato sciogliendo il ghiaccio in poco tempo.
Parlarono a lungo di libri e scrittori, lasciando volare il tempo; l’uomo, verso sera, gli lesse un libro e Neil cadde addormentato sulla poltrona.

Si stropicciò le palpebre con il dorso della mano. L’odore che sentiva non era quello di casa, così, fu preso dal panico per un attimo solo, giusto il tempo per ricordare dove fosse.
«Hai delle capacità notevoli, ragazzo.» gli sussurrò Lord Lynn, scostandogli una ciocca di capelli da volto. Poi, emettendo un sospiro, continuò:
«La preveggenza, un dono davvero utile, attraente e sensuale. Esattamente come te.» Gli sussurrò, chinandosi a mordergli un orecchio. Neil rabbrividì al contatto, tentando di allontanarsi da quell’uomo ma la stretta sulle sue cosce lo bloccò. Degli artigli gelidi lo trattenevano, a diretto contatto con la sua pelle. In quel momento, si accorse di indossare una veste strana di seta.
«Ti regalerò l’eternità se accetterai di restare per sepre al mio fianco.» Sussurrò sulle sue labbra, e dal movimento, il ragazzo capì che il metallo che gli serrava le cosce altro non era che la sua carne.
«Per non vivere? Per non avere più un’anima? No, voglio vivere il poco concessomi!» esclamò sputandogli contro. Suo padre l’avrebbe ucciso, quindi in effetti aveva davvero poco da vivere.
«Che spirito combattivo. Vedi le anime? Puoi fare anche questo? Sei davvero una perla rara!» Gli soffiò in volto, andando ad alzargli i capelli per scoprire il collo. Un soffio gelido investì la pelle di Neil, che tremò tentando di allontanarsi, ora che aveva una gamba libera.
«Non aver paura, non farà troppo male. Morirai soltanto.» Spaventato, Neil gli tirò un calcio distraendolo per qualche decimo di secondo. La mano sulla sua coscia si allentò è il mostro si spostò di sua iniziativa, permettendogli la fuga.
«D’accordo, giochiamo. Sarà più divertente, così.»

Correva a perdifiato da qualche minuto. Non sapeva cosa fare, non conosceva quel posto. Allungò una mano alla sua destra e sentì una colonna cava. L’incubo era solo all’inizio.
Si fermò ascoltando attorno. Nessun rumore, oltre al rombo del suo cuore.
Si diresse verso dove sapeva ci sarebbero state le scale – quante volte aveva già vissuto quella scena? E se fosse stato solo un altro incubo? Ripenso alle labbra dolci della sua sorellina. No, non poteva essere una visione, era tutto troppo realistico e nero.
Scese le scale silenziosamente, prendendo grosse boccate d’aria per regolarizzare il respiro.
Una volta arrivato al piano sottostante si accorse del Lord, che gli respirò in un orecchio:
«Non vorrai arrenderti così, spero. Ti mangerò, lo sai?»Riprese a correre alla cieca, conscio che l’uomo avrebbe continuato a dargli un po’ di vantaggio.
Il sogno non era così, però. Forse aveva qualche speranza di raggiungere l’uscita e poi... poi? Non aveva idea di dove fosse casa sua.
Si fermò, le lacrime presero a scendere lungo le guance.
Non aveva una via di fuga. Nessuna.
Cercò a tentoni la colonna, sapeva che era lì, lo sentiva, lo ricordava. Una volta trovata, vi si nascose dentro e cominciò a singhiozzare. Non aveva alcuna speranza, stava combattendo il destino, come avrebbe mai potuto pretendere di vincere?
Deglutì, ingoiando anche il groppo che gli serrava la gola. Le lacrime ripresero a scendere in silenzio e lui si rintanò il più possibile contro la colonna conca in quello stile così particolare e orrendo che formava l’enorme villa. Riprese a respirare normalmente, non più con piccole dosi d’aria ravvicinate fra loro, ma il suo cuore non smise di battere troppo forte.
Strinse le ginocchia al corpo, nascondendovi il volto e sopprimendo l’ennesimo singhiozzo.
«Ho paura, Angelica...» Biascicò e sentì solo in quel momento la sua presenza. Tremò: era finita. Lo sapeva fin troppo bene per potersi dedicare a pregare tutti i Santi che conosceva: nessuno l’avrebbe aiutato, e quest’altro pensiero gli fece sfuggire un semplice, piccolo, insignificante suono.
« Buh. » Esclamò Lord Lynn, prendendolo per il polso. La leggera veste che a malapena arrivava a metà coscia fu sollevata e lui subì lo stesso trattamento pochi secondi dopo.
Il mostro era gelido e tutto il suo corpo quasi non riconobbe la differenza fra la sua pelle e il muro.
«Sei così caldo...» Mormorò l’uomo sprofondando il volto fra i suoi capelli, poggiando il naso sul suo collo. Non respirava. Era un morto e non respirava. Neil rabbrividì, tentando solo blandamente di opporsi a quel disgustoso assalto.
All’improvviso, sentì qualcosa affondargli nel collo e il sangue defluire verso quel punto così smise di dibattersi. Non percepì nemmeno il momento in cui perse i sensi.


Si alzò di scatto, urlando. Tutto attorno a sé vi era il buio.
Accese la candela sul comodino e sospirò. Quel giorno avrebbe rivisto Angelica e l’idea di mostrarsi così non lo allettava affatto.
Da quando aveva fatto a pezzi Lynn era costretto a nascondersi e solo dopo quindici anni avrebbe potuto rivedere la sua dolce sorellina.
«Immaginavo di trovarti qui.» Esordì una voce femminile entrando, seguita da un vampiro.
L’anima della giovane era di un bianco immacolato, più bianco di come lo ricordasse.
«Mi hai trovato. Non sono molto bravo a giocare a nascondino.» Ammise ritraendosi quando la donna tentò di toccarlo. Ora era in grado di vedere le sagome di ciò che gli viveva attorno, infatti i suoi poteri si erano evoluti una volta diventato un non-morto.
«Oh, Neil, lasciati abbracciare! Sei comunque mio fratello!» esclamò lei, passandogli le braccia dietro al collo. Inspirò il suo profumo e rabbrividì. Che odore invitante emanava sua sorella...
«Neil, ho bisogno di assicurarti a qualcuno che ti proteggerà, sia dai vampiri, sia dagli umani. Lui si chiama Jean Jacques D’Etienne.» Il vampiro si avvicinò e si chinò, a giudicare dal fruscio degli abiti pregiati.
«In arte, Jack Christ.»
Neil sospirò: non avrebbe dovuto mantenere la corrispondenza con Angelica, rivelandole le sue paure. Il vampiro però, lo afferrò per il polso e lo guidò fuori dal seminterrato in cui viveva.
Da quel giorno cominciava una nuova vita, a quanto pareva, così Neil si concesse un sorriso.
   
 
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: crystalemi