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Autore: MauraLCohen    05/04/2022    0 recensioni
Ai tempi di Berkeley, Sandy vinse un peluche per Kirsten. Spassky, la foca.
Quel pupazzo è stato conservato nell’armadio dei Cohen per anni, finché Seth non ha deciso di volerci giocare.
Qualcosa, però, va storto.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kirsten Cohen, Sandy Cohen, Seth Cohen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per l'esercizio 
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Spassky, la foca

 

Seth Cohen aveva passato l’intero pomeriggio davanti all’armadio della madre. 
I suoi piccoli occhietti azzurri guardavano con bramosia il ripiano più in alto, zeppo di scatole di scarpe e vecchi scatoloni marroni strappati, mentre la sua mente studiava un piano ingegnoso per riuscire ad arrivarci. 
Prevedibilmente, l’interesse di Seth non erano le scarpe della madre né gli scatoloni sgangherati; lui sapeva che sopra le scatole di scarpe la mamma conservava una vecchia foca di pezza, grande quanto la mano del papà e bianca come la neve. 
Si chiamava Spassky, il nome glielo aveva dato Kirsten, al college, ma Seth non sapeva nient’altro, solo che non poteva giocarci. 
« Non è un giocattolo » gli ripeteva Kirsten, ogni volta che lui andava a chiederle di prendere Spassky. 
E quella risposta aveva il potere di scatenare tutta l’irriverenza di Seth: non gli piacevano le bugie e quella della mamma lo era. 
Spassky era un peluche. I peluche erano giocattoli. 
Così lo faceva notare anche a lei, puntando i piedini scalzi sul pavimento mentre stringeva le mani sui fianchi. 
« Spassky è un pupazzo » diceva e il tono severo con cui lo puntualizzava riusciva sempre a far sorridere la sua mamma. 
« Hai ragione, è un pupazzo, ma non serve per giocare. »
« E per cosa serve? »
A quel punto Kirsten faceva una cosa strana, che Seth non riusciva a decifrare. Gli sorrideva come se lui le avesse detto qualcosa di dolcissimo o come quando il papà tornava a casa con i suoi fiori preferiti, poi lo prendeva in braccio e gli dava un bacio sulla guancia - quei baci che lui avevaseveramentevietato perché non era più un bambino di tre anni. 
« È un ricordo e non voglio che si rovini » finiva con il spiegare. 
Ma Seth non era convinto, lui voleva Spassky e il fatto che non potesse averlo, lo rendeva ancora più desiderabile. Un’ossessione, quasi. 

Quel pomeriggio, però, si era presentata l’occasione perfetta: la mamma era dovuta restare a lavoro per qualche problema con il nonno e il papà era in cucina, intento ad avviare la preparazione della cena. 
Seth gli aveva detto che sarebbe stato in cameretta a giocare con capitan Avena, il suo cavallo di plastica, così Sandy non avrebbe intralciato le sue mille macchinazioni per scalare l’armadio. 

Ne aveva già provate molte, il piccolo Seth. Aveva provato a lanciare le scarpe del papà, ma aveva colpito lo scatolone; aveva provato con il bastone con cui la mamma appendeva gli abiti, ma Spassky era incastrato; aveva provato, anche, a salire sulla sedia e mettersi in punta di piedi, ma era ancora troppo basso. Così, l’unica cosa ragionevole da fare gli sembrò quella di raccattare quanti più libri poteva dalla camera e sistemarli sulla sedia. Fece una piccola colonna, di quatto o cinque libri, abbastanza spessi da sembrare stabili, poi ci salì sopra, portandosi dietro il bastone che aveva usato poco prima. 
In punta di piedi, armeggiando con bastone e manine, finalmente qualcosa si mosse, forse una scatola o un impedimento che non vedeva, e Spassky cadde a terra. 
Era fatta! Aveva vinto lui e ora poteva giocare. 

Afferrò Spassky con una mano e corse via, lasciando la camera da letto dei suoi genitori nel disordine che aveva creato; avrebbe rimesso in ordine più tardi, quando, finito di giocare, avrebbe dovuto coprire le tracce della sua conquista e fingere che quella non fosse mai avvenuta. 

Seth non capiva perché la madre facesse tante storie per quella foca. Lei era un’adulta oramai, non aveva bisogno dei giocattoli, né l’aveva mai vista usare quella foca. Almeno, usandola lui, il povero Spassky non avrebbe fatto la muffa nell’armadio. 
Ecco, se Sandy lo avesse scoperto, quella sarebbe stata la sua giustificazione: lo faceva per Spassky, perché non voleva che si sentisse un pupazzo inutile. Era perfetto, proprio come lo era stato passare tutto il pomeriggio in compagnia di quell’ammasso di pelo bianco. Seth lo aveva fatto giocare con Capitan Avena, insieme aveva scalato la grande collina - il letto - e poi avevano creato un fortino sotto alla scrivania, usando tutto quello che capitava sottomano. 
Ora stavano sdraiati sul pavimento, nello spazio in cui sarebbe dovuta esserci la sedia, e disegnavano; Seth aveva due fogli, mentre Capitan Avena e Spassky ne condividevano uno. Tempere, pennarelli, matite e pastelli li circondavano e all’occorrenza si lasciavano prendere per completare i ritratti dei supereroi che Seth aveva ideato. 
Il bimbo, però, non si rese conto che, mentre poggiava a terra il pennello ancora sporco di tinta rossa, aveva urtato la zampa di Spassky, lasciandovici sopra una lunga stria di colore. Notò il danno solo quando udì la voce del padre chiamarlo per avvisarlo che la cena era quasi pronta. 

« Scendo tra poco » aveva gridato a pieni polmoni, mentre si metteva seduto ad ammirare il suo piccolo capolavoro. « Lo finiremo un’altra volta » disse, voltandosi verso Spassky. « Ora è tempo che tu torni nell’armadio. »
Ed eccola lì, sulla zampa che sporgeva, l’enorme chiazza rossa. 
Seth deglutì a fatica. 
La mamma sarebbe tornata in pochi minuti e lui non aveva idea di come rimediare al danno. 
Corse in bagno e provò a grattar via il colore con un asciugamano, mentre l’acqua corrente del rubinetto bagnava la stoffa di entrambi. Strofinava con vigore, in bilico sulla sedia, ma la macchia non se ne andava, anzi, continuava ad espandersi.
“E ora che faccio?” pensò, guardando Spassky macchiato e fradicio. “Come lo dico alla mamma?” Strinse a sé il peluche e affondò il viso tra i ciuffi di pelo bagnati, proteggendo entrambi con le piccole gambe esili. Rimase in quella posizione senza avere idea del tempo che passava, sperava semplicemente di non dover mai uscire da quel bagno e affrontare lo sguardo deluso e ferito della sua mamma. 
Non voleva fare il monello, voleva solo giocare un po’. 

« Seth? »  La voce di Sandy arrivò da dietro la porta del bagno. 
Lui non rispose, sperando che il papà non lo trovasse, ma Sandy sapeva sempre dove cercare e, infatti, prima ancora che il piccolo potesse nascondersi, si ritrovò davanti i suoi occhi azzurri che lo fissavano. 

« Che ci fai nascosto qui? »gli chiese Sandy, chinandosi davanti a lui. 
Seth si limitò a scuotere il corpo e riportare il viso tra le gambe. 

« Andiamo, piccolo! Che hai? »

Ancora nessuna risposta. 

« Se-eth? » Sandy provò ancora, ma stavolta gli solleticò il ginocchio, che subito sguisciò via dal tocco delle sue dita, rivelando i riccioli di Seth e qualche ciuffo bianco. Sandy ci mise qualche istante a decifrare quell’immagine, ma poi capì. 

« Hai frugato nell’armadio della mamma, non è vero? » chiese, sedendosi di fianco al bimbo. 

La testa di Seth parve annuire, senza sollevarsi. 

« Ed hai preso Spassky. » Quella non fu una domanda, ma il piccolo annuì ancora. 

A quel punto, avendo chiara la situazione, la voce di Sandy si fece più dolce  e comprensiva, sperando che, in quel modo,  Seth smettesse di piangere. 
« Mi vuoi dire che è successo? » domandò e il piccolo, con movimenti lenti, estrasse da sotto la sua chioma di riccioli e lacrime un povero Spassky umido, bagnato in alcuni punti e chiazzato di rosso su tutta la zampa destra. 

Sandy si lasciò scappare un “Oh” sorpreso e dispiaciuto. Kirsten non l’avrebbe presa bene. 

« Io non volevo rovinarlo. È stato un incidente, stavamo colorando e…e… » Le lacrime ebbero la meglio e il bimbo si gettò sul petto del padre, strozzato da singhiozzi fortissimi. 

« Certo che è stato un incidente, pulcino » lo rassicurò Sandy, stringendolo a sé. « Lo diremo alla mamma, ci resterà un po’ male, ma non è successo niente di irrimediabile. » 

Ma a quel punto Seth sembrava inconsolabile, continuava a singhiozzare e ripetere che gli dispiaceva, mentre Sandy provava in ogni modo a cullarlo e calmarlo. 

Passò un primo quarto d’ora, poi un secondo e anche un terzo, Seth continuava ad essere disperato e il suo stato d’animo si aggravò quando dal vialetto arrivò il rumore di una portiera che si chiudeva, seguito dal suono delle chiavi nella serratura. 

« Sono a casa »  si udì dalla porta d’ingresso. Era Kirsten. 

« Papà » mormorò Seth.

« Va tutto bene, piccolo » lo rassicurò lui, mentre andavano incontro alla mamma. 

Kirsten era ferma all’ingresso ancora intenta a sfilarsi giacca e cappotto quando Sandy la raggiunse con Seth in braccio. 
Nel sentire i singhiozzi di suo figlio, Kirsten ebbe un sussulto e si voltò di scatto verso le scale da cui erano scesi lui e Sandy. 

« Che succede? » chiese, avvicinandosi a loro. « Seth, amore, che hai? »
Seth si strinse al collo del padre, cercando di non farsi staccare dalla presa della madre. 

« C’è stato un piccolo incidente » rispose, allora, Sandy. « Vero, Seth? »
Il piccolo non disse nulla, ma sul viso di Kirsten apparve un’espressione preoccupata. 

« Che è successo? » ripeté, ora il tono era più agitato. « Si è fatto male? Sta bene? »

Sandy annuì. « L’incidente non lo ha avuto lui, ma… » Da dietro il corpicino di Seth apparve Spassky nelle sue condizioni peggiori. 

Kirsten prese la foca e la esaminò per un momento. « Come hai fatto a prenderla? » chiese, avvicinandosi a Seth, ma il piccolo si nascose ancora di più tra le braccia del padre. 

« Oh, andiamo, tesoro. Non sono arrabbiata. Voglio solo capire se stai bene. Era molto in alto, poteva essere pericoloso. » A quel punto Kirsten fece cenno a Sandy di lasciarlo, così che lei potesse prenderlo in braccio. 

« Non volevo rovinarlo » singhiozzò Seth, incrociando lo sguardo della mamma, ma lei non era arrabbiata. Asciugò il viso del piccolo con il dorso del pollice e se lo sistemò meglio tra le braccia. 
« Lo so » lo rassicurò. « Non importa. Però devi promettermi che non farai più nulla di così pericoloso. L’armadio è pieno di scatoloni pesanti, se te ne fosse caduto uno addosso, avrebbe potuto farti molto male. » 

« Non sei arrabbiata? » Seth smise di piangere per un momento e guardò la mamma, confuso. 
Kirsten gli sorrise. « No, che non lo sono. Tu sei più importante di un peluche, tesoro, per quanto prezioso possa essere. Lo laveremo. »

« Davvero? »

Kirsten annuì. « Certo. Però, niente più gitarelle nell’armadio della mamma e del papà, promesso? » Gli porse il mignolo per sigillare l’accordo. 

« Promesso » rispose Seth, prendendo il mignolo della mamma con il suo. 

(…)

Quella stessa sera, Sandy e Kirsten si ritrovarono a letto dopo aver messo a letto Seth: lui leggeva un libro, mentre lei finiva di massaggiare la crema sulle gambe. 
Dopo aver fatto rientrare la crisi di quel pomeriggio, erano riusciti a trascorrere una serata piacevole tutti e tre insieme: Seth aveva scelto un film e Sandy aveva acceso il fuoco, così avevano passato il dopo cena sul divano a gustarsi il dolce. 

« Non pensavo che avresti reagito così alla vista di Spassky » commentò Sandy, chiudendo il libro per girarsi sul fianco, verso la moglie. 

« Che intendi? » rispose lei, incrociando il suo sguardo. 

« Che so quanto ci sei affezionata, pensavo che lo avresti sgridato. »

« E farlo sentire ancora più in colpa? È stato un incidente, capita. Ha sei anni, è curioso, ma per fortuna non si è fatto male. » Kirsten si sdraiò accanto a Sandy, anche lei su un fianco. « Se gli fosse capitato qualcosa… »

Sandy le accarezzò la guancia. « Non è successo. » 

« Lo so. »

Sandy, allora, le sorrise. « Dici che riusciremo a pulire il povero Spassky? »

Kirsten scosse il capo. « Ma il rosso è coerente, no? »

« Con le foche? » scherzò Sandy. 

« Con i comunisti » replicò lei, scoppiando a ridere e facendo ridere anche lui. 

« Ti ricordi il giorno che l’abbiamo vinta? » Sandy le portò un braccio attorno alla vita. « Cosa ti dissi? »

« Che un giorno l’avremmo raccontato ai nostri figli. »

Sandy sorrise, avvicinandosi a lei per baciarla. « Abbiamo mantenuto la promessa. »
   
 
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