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Autore: Flofly    17/04/2022    4 recensioni
Questa storia è ispirata alla canzone "Abbi Cura di Te" di Highsnob e Hu e partecipa alla challenge “Perché San Remus è San Remus” indetta da Bessie e Ciuscream au Writing Games - ferisce più la penna.
Quasi dieci anni dopo la battaglia di Hogwarts Ron Weasley ed Hermione Granger sono agli occhi del mondo magico la coppia perfetta. Quello che gli altri non vedono è però come la loro relazione sia diventata una gabbia fatta di rancore, tradimenti ed abusi verbali, al punto che Hermione ha perso sé stessa. Nessuno dei due ha però il coraggio di lasciarsi, sebbene nel cuore di entrambi ci sia un'altra persona. E' a quel punto che Ginny ed Harry Potter decidono che i due hanno bisogno di una terapia con qualcuno che non abbia peli sulla lingua. Serpeverde, naturalmente.
Warning: mild Ron bashing, tradimenti, atteggiamento verbale violento, tentativo di controllare il partner.
Genere: Angst, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Pansy Parkinson, Rose Weasley | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Cosa credi che non sappia che pensi a lui?

Almeno io non porto il profumo delle altre a casa.

 

Fai di tutto per umiliarmi, per dimostrare che io sono uno stupido.

Non ce ne è bisogno Ronald, fai tutto da solo come sempre.

 

Ci tieni davvero ad avere sempre l’ultima parola, vero?

Solo per lasciare l’impressione che sia stato detto qualcosa di intelligente.

 

Non vorrai davvero venire vestita così?

Troppo stretto, troppo corto, troppo verde? Cos’è che non va questa volta?

 

Lo fai solo per farmi impazzire, vero Hermione?

No, questa sono io. Anche se tu preferisci non vederlo

 

E vincere battaglie non mi serve mica

Perché questa è una guerra in cui si perde sempre

E io perdo la testa come Oloferne

 

A guardarli da fuori erano la coppia perfetta, lo erano sempre stata, quasi quanto Ginny ed Harry, ormai da poco più di un anno novelli coniugi Potter: Hermione Granger e Ron Weasley, i due eroi di guerra, gli amici del Bambino Sopravvissuto. La coppia su cui nessuno aveva dubbi, la brillante ed intraprendente golden girl e l’intrepido e coraggioso miglior amico di Harry Potter. L’indesiderabile numero due e numero tre che coronavano una storia d’amore nata nel mezzo del dolore e della paura.

Ma non era così, c’era molto altro che nessuno riusciva a vedere: la guerra aveva scavato un solco talmente profondo nelle loro anime che ormai si riconoscevano a malapena. Quel bacio era stato un errore, il primo di una lunga serie che li aveva portati ora a sfiorarsi con distacco, quasi che la loro storia fosse una cosa fatta per compiacere gli altri, per dimostrare al mondo che qualcosa di buono poteva nascere da quella tragedia. 

Ron non aveva mai superato davvero la morte del fratello, spesso la notte si svegliava di soprassalto urlando e sperando che fosse solo un incubo. Dopo pochi anni aveva lasciato il suo posto di Auror per andare ad aiutare George al negozio di scherzi, schiacciato dal senso di responsabilità e da quello assurdo della colpa. Hermione sapeva bene quanto gli pesasse ogni mattina alzarsi e mettere su una maschera, incamminarsi lento sino a Diagon Alley ed entrare in quello che era stato il tempio delle risate. Era sicura che potesse sentire ancora la voce del fratello che lo prendeva in giro dalla sommità delle scale, scambiando con il gemello quegli sguardi che solo loro sapevano interpretare. Lui non avrebbe mai potuto essere Fred, nonostante George non glielo facesse mai pesare. Ma era evidente che non avrebbe mai potuto ridargli la gioia che ormai anche il fratello sembrava solo saper fingere.

Era per questo che all’inizio Hermione aveva sopportato. Si era detta che il bere troppo di Ron e gli sfoghi di rabbia contro i mobili della casa erano un modo passeggero per affrontare il dolore. Si era convinta che lei potesse salvarlo ancora una volta, come quando da ragazzini aveva sempre la risposta pronta. Aveva sopportato che lui uscisse nel cuore della notte alla ricerca di sollievo tra le braccia di donne che non fossero lei, l’eccezionale Hermione Granger, la strega più brillante della sua generazione.

E l’aveva fatto perché si sentiva in colpa. In colpa per non aver saputo proteggere Fred. O Tonks. O Remus. O il piccolo Colin.

Era per quello che lei continuava a pensare a lui. A quell’unica notte passata insieme dopo essersi incontrati ad una raccolta fondi di beneficenza, entrambi troppo ubriachi per non cedere ai loro corpi.

Era stata pura chimica, un errore fatale dovuto alla stanchezza e alla rabbia per essere lasciata ancora una volta sola mentre lui era a casa di Lavanda. Lavanda che lei masochista si ostinava ad incontrare ogni mattina con un sorriso quando andava a prendere la colazione al suo piccolo e delizioso bistrot che aveva aperto proprio di fronte all’Emporio di Scherzi, guarda caso.

Chissà se lei gli cucinava una torta dopo che avevano fatto sesso.

Quei pensieri la tormentavano ma le davano sollievo. Era colpa sua se lui la tradiva.

Era sempre la stessa. La ragazzina odiosa che nessuno voleva come amica.

Il dolore era una cosa buona, la faceva sentire ancora viva.

Come quando lui l’aveva guardata negli occhi mentre entrava dentro di lei.

 

Tu vienimi a prendere dentro quest'ansia

Ti aspetterò dove ci siamo persi

Siamo un universo fatto di parole

Che non ci siamo detti, e per ricordarle me le tatuerò

…….

Ed è così che le nostre parole

Sono diventate armi in mano a dei bambini

E fanno così male che non te l'ho detto

Però ti prometto che per ricordarle me le tatuerò

 

«Posso dire onestamente che questa è la cosa più stupida che tu abbia mai fatto? E dire che in più di venti anni che ci conosciamo nei hai fatte tante. Tipo far entrare i mangiamorte ad Hogwarts, tanto per dirne una. Ma Merlino, se è stato grandioso!» chiosò Blaise schermandosi gli occhi dal sole di quella giornata così luminosa che mal si accordava alla sua emicrania da festeggiamenti della sera prima «Ma cos’è tutta questa luce? Che fine hanno fatto i bei colori tetri del Maniero in cui sei cresciuto?»

Decisamente non era mai stato un tipo diplomatico ma negli anni era solo peggiorato e soprattutto sapeva come farlo impazzire.

Draco sbuffò tirandosi giù la manica della camicia con una smorfia: «Beh forse se qualcuno non mi avesse fatto bere fino a stordirmi ora non mi troverei in questo dannato casino. E poi perché non mi hai fermato? Cazzo, Blaise io ora come lo spiego ad Astoria questo tatuaggio?»

Il moro prosaicamente tirò su le spalle aspirando con soddisfazione da una sottile sigaretta dal vago sapore di vaniglia «A proposito, comodo che sia fuori in questi giorni eh? Andiamo amico mio, eri cosi carino con i tuoi grandi occhioni grigi sull’orlo delle lacrime …»

«Non erano lacrime ma gocce di tequila di Mimbulus Mimbletonia di contrabbando, che Salazar ti fulmini!» rimbrottò piccato.

«E continuavi a ripetere il suo nome. E che volevi scusarti. Ti ricordo, mio caro, che volevi andare a suonare a casa sua alle quattro di notte per, e cito testualmente, solo per poter sentire il suo profumo. Seriamente dovresti parlare con Pansy, anche se nessuno ci avrebbe mai scommesso uno zellino è piuttosto brava» ridacchiò senza ritengo Zabini, stravaccandosi meglio sul divano candido dell’appartamento di Draco e Astoria a Diagon Alley.

«Te lo stai inventando» ringhiò astioso Malfoy di rimando, serrando gli occhi contro il ricordo della disperazione che lo tormentava da anni e che si era placata solo per un breve istante, quando si era potuto specchiare nei suoi occhi color miele. Quella sera avrebbe voluto dirle tante cose, ma era rimasto in silenzio, lasciando che fossero i loro corpi a parlare.

«E poi continuavi a dire che solo lei poteva salvarti, che eravate due mondi che non si riuscivano ad incontrare, che tutte le parole del mondo vi dividevano. Anzi ce n’ era una in particolare…»  il sorriso di Blaise Zabini era sempre stata una delle sue caratteristiche migliori ma in quel momento illuminava il suo volto affilato come se gli avessero appena detto che sarebbe finalmente apparso sulla copertina di MagicPolitan come giovane mago più affascinante d’Inghilterra. «E poi sarebbe stato inutile: sai bene quanto tu sia un odioso viziato e testardo quando ti metti in testa qualcosa. Non ci ho neanche provato, saresti stato capace di maledirmi e rovinarmi questo profilo perfetto a pochi giorni dal mio matrimonio».

Era vero, sarebbe stato perfettamente inutile. Sangue Black, dicevano molti. Eppure in quel momento gli era sembrata un’idea geniale. C’era quella parola tra di loro, carica di dolore e di tutto il male che lui stesso aveva causato.

Quella parola che li aveva sempre divisi, resi nemici naturali anche se lui aveva sempre saputo di amarla. Quella parola che aveva sputato fuori con tanta naturalezza quando erano solo dei bambini che non avrebbero dovuto essere capaci di odiare, ma che a lui veniva naturale come respirare.

Quella parola su cui si erano persi, tanti anni prima. Quella che non aveva osato dire mentre con foga nei perdeva nel suo profumo nelle stanze di un hotel babbano dove nessuno aveva idea di chi fossero: il ragazzo che aveva aperto la porta alla guerra e la giovane strega che aveva salvato il mondo. Quella parola sulla quale voleva attenderla.

E ora l’aveva tatuata anche lui sull’avambraccio, poco sotto il segno residuo del marchio nero.

Mudblood



 

Perché non ti sento, ma tutto qua parla di te

E solo Dio sa quanto vorrei che fosse silenzio

Ho trovato la calma però non è niente di che

No, non ha niente di me

 

Ogni cosa nel suo ufficio le ricordava Ron, o meglio, le ricordava quello che Ron avrebbe dovuto essere se fosse rimasto lo stesso di Hogwarts, se non ci fosse stata la guerra.

La foto di loro tre al matrimonio di Harry e Ginny, i sorrisi che celavano la tristezza nel non poter rispondere a tutti quelli che chiedevano quando sarebbe stato il loro turno. Ma su questo per lo meno il suo istinto di conservazione aveva avuto la meglio, rifuggendo ferocemente alle proposte tirate fuori dalla rabbia o dal rimorso di Ron.

C’era la scusa del lavoro, degli impegni al negozio, del voler prima restituire la memoria ai suoi genitori. Erano stati bravi a trovarle, talmente convincenti che anche loro avevano finito per crederci.

«Rivoglio la mia amica. Ora. Immediatamente. Basta con questa versione zen e sotto pozioni ansiolitiche di te. Sei una che ha preso a calci in culo i Mangiamorte, per Merlino. Non ti è rimasto niente dell’orgoglio Grifondoro, Granger?».

Hermione sbatté le palpebre, cercando di concentrarsi. Ormai era diventata davvero brava ad escludere le voci degli altri dalla sua testa, rispondendo con un sorriso educato di circostanza, fingendo una calma che non aveva mai avuto.

Ma Ginny Weasley in Potter non era una voce che si poteva scacciare facilmente.

«Sai che molti dicono che sia una delle mie migliori qualità?» provò a ribattere, infilando il naso nel cappuccino speziato alla zucca, sperando che bastasse per deviare ancora una volta il discorso

Tutti si congratulavano continuamente con lei per come riusciva a mantenere il sangue freddo anche nelle situazioni più difficili, per come fosse in grado di ragionare sempre in modo distaccato, senza farsi prendere dalle emozioni.

«Stronzate» concluse tranquilla la rossa, fissandola negli occhi. Ginny non era cambiata di una virgola a dire il vero, sempre tagliente, incapace di girare intorno ai discorsi. 

Ovviamente aveva ragione. Anzi, se l’avessero chiesto a lei avrebbe detto che la calma era decisamente sopravvalutata. Non c’era niente della svagatezza di Luna nel suo imporsi di celare le sue emozioni, nessuna traccia della sicura dolcezza che era stata di Nymphadora. La sua era solo un fuoco soffocato cui non era più permesso di riscaldare.

Quella calma non aveva niente della Grifondoro che era stata.

Non aveva niente di Hermione Granger

Ginny si piegò appena verso di lei, prendendole una mano per evitare che accampasse la solita scusa per scappare via e rimandare il confronto. Non era la prima volta che aveva provato a parlare, doveva ammetterlo. Ma finora era sempre riuscita a fuggire giusto in tempo.

«Senti Hermione è evidente che tu e Ron abbiate dei problemi. E credimi, so quanto possa essere imbecille mio fratello, specialmente quando soffre» iniziò con uno sguardo appena più dolce, stringendole appena un po’ il polso. Aveva dita delicate Ginny, non ci aveva fatto mai caso.

Prima che potesse ribattere che era solo colpa sua, era lei che non riusciva ad essere all’altezza la strega continuò con tranquillità «E anche se sono convinta che sarebbe meglio per tutti se vi lasciaste, visto che siete due zucconi, io e Harry abbiamo deciso di regalarvi delle sedute di terapia di coppia. E per regalarvi intendo che tra dieci minuti avete la prima. Proprio qui vicino. Su andiamo, finisci quel dannato cappuccino da sfigati, che è ora di muoversi!»

Hermione sgranò gli occhi, mille scuse che le sfrecciavano nella testa come miriadi di boccini talmente veloci da non riuscire ad afferrarle.

«Ecco, vedi perfetto. E hop hop andiamo, non costringermi a trascinarti di peso. Non sarebbe carino e sono certa che domani sarebbe su tutti i giornali» rispose con un ghigno diabolico che davvero ricordava fin troppo quello dei gemelli costringendola ad alzarsi. Poi soddisfatta la prese sotto braccio trotterellando allegra verso un portone poco distante dove già l’attendevano Harry ed un furioso Ron, trattenuto a stento dal suo migliore amico.

«Merlino, spero che faccia lo stupido in pubblico e mi dia l’occasione di lanciargli qualche bella fattura. Neanche mamma avrebbe niente da dire» le bisbigliò con un ghigno nell’orecchio mentre con il suo migliore sorriso faceva cenno ai due maghi. Davanti all’ingresso una targa d’ottone Pansy Parkinson, Esperta in Sessuologia Clinica Specializzata in Terapia di Coppia.

Di certo ci sarebbe voluta più di qualche fattura stordente per calmare Ron.

 

E tu, torna ora a togliermi il fiato

La mia condanna, camera a gas

Giusti al momento sbagliato, ho sbagliato

 

Lo sapeva che quei due erano un disastro annunciato, l’aveva sempre saputo, sin dai tempi di Hogwarts.

E non solo perché erano due Grifondoro boriosi convinti di aver salvato il mondo, il che era anche vero ma Merlino erano passati quasi dieci anni ed era davvero il momento di andare avanti. No, la verità era che quei due non avevano niente in comune se non Harry Potter. E a quanto aveva capito non era un ménage à trois, quindi lo Sfregiato Sopravvissuto non aveva modo di salvare quella farsa di relazione.

Guardò il timer davanti a lei: ancora mezz’ora di quella tortura. Li aveva sentiti blaterare abbastanza di scuse patetiche con il tentativo di convincerla che la loro relazione andasse a gonfie vele. Era il momento di dar loro una piccola scossa.

«Di solito a questo punto faccio qualche gioco per capire quanta fiducia avete l’uno nell’altra. O assegno dei compiti a casa tipo toccarsi e scrivere quello che si prova e cose del genere» iniziò, tamburellando le lunghe unghie smaltate di rosso sul tavolo di mogano lucidissimo mentre li squadrava «Ma con voi due direi che è il caso di saltare questa parte ed arrivare dritti al punto».

Il rosso sbuffò con impazienza: «Che nessuno sano di mente ti darebbe retta, Parkinson? Merlino, ma cosa diavolo aveva in mente Harry quando ha pensato che tu potessi aiutarci? Forse sul serio ha qualche rotella fuori posto» ringhiò il ragazzo.  

«Ronald!» La voce della Granger non era quella che si ricordava, ora era quasi riservata, sottotono. Quella non era la ragazzina dai capelli crespi che aveva tirato un pugno in faccia a Draco Malfoy, o dato fuoco alle vesti di Piton. O tante altre cose. Sembrava quasi… possibile che Hermione Granger, la golden girl fosse spaventata dell’altrettanto cucciolo d’oro Ron Weasley?

O forse era solo paura di perderlo.

In ogni caso era giunto il momento di andare avanti.

«No. Che voi due siete una pessima coppia e chiunque sia dotato di intelletto e del dono della vista può confermarvelo. Vi rovinate la vita a vicenda per giocare a fare i piccioncini in quello che sono sicura sia un buco di appartamento ripieno di cianfrusaglie babbane» chiosò, squadrandoli attentamente.

«Non ti azzardare a mettere le tue schifose zanne tra me ed Hermione. Cosa ti dà il diritto di impicciarti?» ringhiò Ron.

«Oltre ai diversi diplomi che vedi dietro di me? La capacità di distinguere un boccino da una cipolla alata, direi. Tu hai un serio problema di rabbia repressa e ne dovresti parlare con qualcuno, che però fortunatamente non sono io. Se vuoi possiamo invece discutere del fatto che tu dovresti baciare il terreno dove poggia i piedi la Granger e invece ti scopi platealmente quell’insulsa Melissa…»

«Lavanda» la interruppe Hermione con voce sorda fissando il tavolino davanti a lei prendendo fiato. Eppure era certa di aver visto una piccola fiammella nei suoi occhi quando aveva fatto riferimento all’umiliazione che tutti sapessero della sua amante regolare. Ron la guardò sgranando gli occhi, cadendo di nuovo sul divanetto quasi senza forze. Probabilmente finora aveva pensato di essere così furbo che non fosse chiaro anche agli Snasi che la tradiva con la sua prima fidanzatina, o quel che diavolo era. Chissà se lo chiamava ancora Ron Ron. 

«C’ero quasi. Lavanda, Melissa, Aconito: non fa differenza. Fatto sta che tu sei così codardo da non avere il coraggio né di interrompere questa relazione né di prestare la dovuta attenzione e rispetto alla tua donna. Il che è davvero patetico e triste» la voce affilata come la lama del rasoio attraversò la stanza fulminea. Hermione alzò la testa di scatto, come se l’avessero pugnalata.

«Non è solo colpa sua. Non del tutto almeno. Io…»  tentò la Grifondoro 

«Piantiamola con questo gioco delle colpe Granger. Siete due emeriti deficienti a continuare con questa tortura. Vi odiate a vicenda. Cercate di controllarvi. Vi sfogate addosso tutta la rabbia accumulata. E, per Salazar Serpeverde, neanche siete attratti l’uno dall’altro. Cosa diamine state a fare insieme lo sapete solo voi, razza di idioti Grifondoro che non siete altro!» elencò, fissandoli senza quasi sbattere le palpebre, un’abilità che aveva sempre ammirato in Severus Piton e che aveva passato anni a perfezionare.

E funzionava sempre.

Stava funzionando anche ora, anche con quei due casi umani che le aveva appioppato la piccola Weasley. Così forse Draco avrebbe smesso di fare cose stupide come deturparsi un braccio da ubriaco. Come se già non avesse già abbastanza segni distintivi che riuscivano a farlo distinguere tra la folla come l’ex mangiamorte scampato ad Azkaban per merito di Hermione Granger e dello Sfregiato Sopravvissuto.

Ron ed Hermione si guardarono in silenzio, vedendosi forse davvero per la prima volta dopo anni.

Non dovevano più fare finta che tutto andasse bene.

Il mondo era salvo.

E non aveva più bisogno di loro.

Potevano lasciarsi andare, essere liberi dalle loro stesse gabbie. Anche se era doloroso lasciare andare chi era stato la tua coperta per anni.

Finalmente potevano respirare.

«Abbi cura di te, Ronald» la voce di Hermione Granger era finalmente quella di un tempo: sicura, chiara, senza alcuna traccia di paura o remora. E gli occhi sembravano finalmente vivi e brillanti, pronti alla prossima sfida senza più quella sfumatura di repressione che li aveva offuscati.

«Mi dispiace tanto, Mione. Sono stato un idiota. Ma non deve finire così, possiamo tornare ad essere amici» borbottò il rosso, passandosi le dita tra i capelli mentre realizzava che niente nella sua vita sarebbe stato più uguale. Non sapeva se esserne felice o spaventato, a dire il vero. 

Hermione sorrise alzandosi e prendendo in mano la sveglia magica che Pansy teneva davanti a sé: «E con ben cinque minuti di anticipo, Parkinson. Sono colpita. E ti hanno venduto una cosa sbagliata: si chiama tecnica del pomodoro, non della cipolla»

Pansy sorrise incrociando le lunghe gambe sulla scrivania, le suole rosse delle décolleté vertiginose ben in mostra: «Regalo di Draco, come ben sai ha dei gusti davvero particolari a volte»

La guardò fremere appena appena nominato il nome dell’amico. Lo sapeva, ne era certa: Hermione Granger era innamorata di Draco Malfoy. Chi l’avrebbe detto, se no chiunque lo avesse guardato per più di cinque minuti di fila. Doveva solo far incontrare casualmente quei due imbecilli e la scintilla sarebbe divampata.

Beh forse dopo quello che era successo nella stanza delle necessità la sera della battaglia di Hogwarts era il caso di trovare un’altra metafora ma l’idea era quella.

«A proposito di gusti particolari, stavo quasi scordando di darti questo» disse svagata, richiamando un invito in carta di un tenue grigio con embossate le iniziali BZ e PP.

Hermione lo aprì sospettosa come se si trattasse di una strillettera.

«Mi stai invitando al tuo matrimonio Parkinson? Tra due giorni?»  chiese, sgranando gli occhi e agitando il cartoncino all’aria come se bruciasse.

Pansy annuì mentre due bicchieri davanti a lei si riempivano magicamente di un liquido ambrato e profumato.

«Già, e non provare a dire che hai degli impegni che non ci crede nessuno. E stasera c’è l’addio al nubilato, quindi possiamo iniziare i festeggiamenti» disse facendole volare uno dei due bicchieri di cristallo cesellato. «E per Merlino, Granger, comprati qualcosa di decente. Sia mai che tu faccia degli incontri interessanti»

«Ehi io sono ancora qui! Non ti pare presto per trovarle un altro?» sbuffò Ron ancora sul divano allargando le braccia esasperato.

«Addio, Lenticchia. E mi raccomando non sbattere la porta quando esci mentre vai da Camomilla» chiosò facendogli segno con la mano verso la porta, mentre il suono cristallino del timer copriva ogni rimostranza.

«Lavanda!» tentò di urlare Ron mentre la porta si chiudeva con un tonfo quasi sulla faccia.

 

Appena uscito guardò la ragazza davanti a lei, il bicchiere ancora intatto in mano.

«Tutto bene, Granger?»

La Grifondoro annui, lasciandosi finalmente andare ad un sorriso: «Forse eravamo solo giusti al momento sbagliato. Ma ora è finita»

Pansy annuì alzando il bicchiere in segno di saluto.

«Ai nuovi inizi Granger. E al coraggio di lasciare andare.»

 

Tanto ormai ho trovato il coraggio di stare lontano da te

Lontano da te

E goodbye, ovunque sarai tu ricorda, abbi cura di te

Abbi cura di te


Note

Fan di Ron, scusate

Ovviamente la seduta di Pansy è tutt'altro che professionale ed è pura magia riuscire ad ottenere la consapevolezza di uscire da una relazione del genere con un solo incontro ma spero che nessun terapista si possa essere sentit* offes* , si è trattata di un puro momento di divertimento.

La storia partecipa al contest "Perché San Remus è SanRemus" del forum Writing Games ferisce più la penna indetto da Bessie e Ciuscream 

 

 

   
 
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