Cosa
credi che non sappia che pensi a lui?
Almeno
io non porto il profumo delle altre a casa.
Fai di
tutto per umiliarmi, per dimostrare che io sono
uno stupido.
Non
ce ne è bisogno Ronald, fai tutto da solo come
sempre.
Ci tieni
davvero ad avere sempre l’ultima parola,
vero?
Solo
per lasciare l’impressione che sia stato detto
qualcosa di intelligente.
Non
vorrai davvero venire vestita così?
Troppo
stretto, troppo corto, troppo verde? Cos’è che
non va questa volta?
Lo fai
solo per farmi impazzire, vero Hermione?
No,
questa sono io. Anche se tu preferisci non vederlo
E vincere battaglie
non mi serve
mica
Perché
questa è una guerra in cui
si perde sempre
E io perdo la testa
come Oloferne
A
guardarli da fuori erano la coppia perfetta, lo erano sempre stata,
quasi
quanto Ginny ed Harry, ormai da poco più di un anno novelli
coniugi Potter:
Hermione Granger e Ron Weasley, i due eroi di guerra, gli amici del
Bambino Sopravvissuto.
La coppia su cui nessuno aveva dubbi, la brillante ed intraprendente
golden
girl e l’intrepido e coraggioso miglior amico di Harry
Potter. L’indesiderabile
numero due e numero tre che coronavano una storia d’amore
nata nel mezzo del
dolore e della paura.
Ma non
era così, c’era molto altro che nessuno riusciva a
vedere: la guerra
aveva scavato un solco talmente profondo nelle loro anime che ormai si
riconoscevano a malapena. Quel bacio era stato un errore, il primo di
una lunga
serie che li aveva portati ora a sfiorarsi con distacco, quasi che la
loro
storia fosse una cosa fatta per compiacere gli altri, per dimostrare al
mondo
che qualcosa di buono poteva nascere da quella tragedia.
Ron non
aveva mai superato davvero la morte del fratello, spesso la notte
si svegliava di soprassalto urlando e sperando che fosse solo un
incubo. Dopo
pochi anni aveva lasciato il suo posto di Auror per andare ad aiutare
George al
negozio di scherzi, schiacciato dal senso di responsabilità
e da quello assurdo
della colpa. Hermione sapeva bene quanto gli pesasse ogni mattina
alzarsi e
mettere su una maschera, incamminarsi lento sino a Diagon Alley ed
entrare in
quello che era stato il tempio delle risate. Era sicura che potesse
sentire
ancora la voce del fratello che lo prendeva in giro dalla
sommità delle scale,
scambiando con il gemello quegli sguardi che solo loro sapevano
interpretare.
Lui non avrebbe mai potuto essere Fred, nonostante George non glielo
facesse
mai pesare. Ma era evidente che non avrebbe mai potuto ridargli la
gioia che
ormai anche il fratello sembrava solo saper fingere.
Era per
questo che all’inizio Hermione aveva sopportato. Si era detta
che
il bere troppo di Ron e gli sfoghi di rabbia contro i mobili della casa
erano
un modo passeggero per affrontare il dolore. Si era convinta che lei
potesse
salvarlo ancora una volta, come quando da ragazzini aveva sempre la
risposta
pronta. Aveva sopportato che lui uscisse nel cuore della notte alla
ricerca di
sollievo tra le braccia di donne che non fossero lei,
l’eccezionale Hermione
Granger, la strega più brillante della sua generazione.
E
l’aveva fatto perché si sentiva in colpa. In colpa
per non aver saputo
proteggere Fred. O Tonks. O Remus. O il piccolo Colin.
Era per
quello che lei continuava a pensare a lui. A quell’unica
notte
passata insieme dopo essersi incontrati ad una raccolta fondi di
beneficenza,
entrambi troppo ubriachi per non cedere ai loro corpi.
Era stata
pura chimica, un errore fatale dovuto alla stanchezza e alla
rabbia per essere lasciata ancora una volta sola mentre lui era a casa
di
Lavanda. Lavanda che lei masochista si ostinava ad incontrare ogni
mattina con
un sorriso quando andava a prendere la colazione al suo piccolo e
delizioso
bistrot che aveva aperto proprio di fronte all’Emporio di
Scherzi, guarda caso.
Chissà
se lei gli cucinava una torta dopo che avevano fatto sesso.
Quei
pensieri la tormentavano ma le davano sollievo. Era colpa sua se lui
la tradiva.
Era
sempre la stessa. La ragazzina odiosa che nessuno voleva come amica.
Il dolore
era una cosa buona, la faceva sentire ancora viva.
Come
quando lui l’aveva guardata negli occhi mentre entrava dentro
di lei.
Tu vienimi a
prendere dentro quest'ansia
Ti
aspetterò
dove ci siamo persi
Siamo un
universo fatto di parole
Che non ci
siamo detti, e per ricordarle me le tatuerò
…….
Ed è
così che
le nostre parole
Sono diventate
armi in mano a dei bambini
E fanno
così
male che non te l'ho detto
Però ti
prometto che per ricordarle me le tatuerò
«Posso
dire onestamente che questa è la cosa più stupida
che tu abbia mai
fatto? E dire che in più di venti anni che ci conosciamo nei
hai fatte tante.
Tipo far entrare i mangiamorte ad Hogwarts, tanto per dirne una. Ma
Merlino, se
è stato grandioso!» chiosò Blaise
schermandosi gli occhi dal sole di quella
giornata così luminosa che mal si accordava alla sua
emicrania da
festeggiamenti della sera prima «Ma
cos’è tutta questa luce? Che fine hanno
fatto i bei colori tetri del Maniero in cui sei
cresciuto?»
Decisamente
non era mai stato un tipo diplomatico ma negli anni era solo
peggiorato e soprattutto sapeva come farlo impazzire.
Draco
sbuffò tirandosi giù la manica della camicia con
una smorfia: «Beh
forse se qualcuno non mi avesse fatto bere fino a stordirmi ora non mi
troverei
in questo dannato casino. E poi perché non mi hai fermato?
Cazzo, Blaise io ora
come lo spiego ad Astoria questo tatuaggio?»
Il moro
prosaicamente tirò su le spalle aspirando con soddisfazione
da una
sottile sigaretta dal vago sapore di vaniglia «A proposito,
comodo che sia
fuori in questi giorni eh? Andiamo amico mio, eri cosi carino con i
tuoi grandi
occhioni grigi sull’orlo delle lacrime …»
«Non
erano lacrime ma gocce di tequila di Mimbulus
Mimbletonia
di contrabbando, che Salazar ti fulmini!»
rimbrottò piccato.
«E
continuavi a ripetere il suo nome. E che volevi scusarti. Ti ricordo,
mio caro, che volevi andare a suonare a casa sua alle quattro di notte
per, e
cito testualmente,
solo
per poter sentire il suo profumo. Seriamente
dovresti parlare con Pansy,
anche se nessuno ci avrebbe mai scommesso uno zellino è
piuttosto brava»
ridacchiò senza ritengo Zabini, stravaccandosi meglio sul
divano candido
dell’appartamento di Draco e Astoria a Diagon Alley.
«Te
lo stai inventando» ringhiò astioso Malfoy di
rimando, serrando gli
occhi contro il ricordo della disperazione che lo tormentava da anni e
che si
era placata solo per un breve istante, quando si era potuto specchiare
nei suoi
occhi color miele. Quella sera avrebbe voluto dirle tante cose, ma era
rimasto
in silenzio, lasciando che fossero i loro corpi a parlare.
«E
poi continuavi a dire che solo lei poteva salvarti, che eravate due
mondi che non si riuscivano ad incontrare, che tutte le parole del
mondo vi dividevano.
Anzi ce n’ era una in
particolare…» il sorriso di Blaise
Zabini era
sempre stata una delle sue caratteristiche migliori ma in quel momento
illuminava il suo volto affilato come se gli avessero appena detto che
sarebbe
finalmente apparso sulla copertina di MagicPolitan come giovane mago
più
affascinante d’Inghilterra. «E poi sarebbe stato
inutile: sai bene quanto tu
sia un odioso viziato e testardo quando ti metti in testa qualcosa. Non
ci ho
neanche provato, saresti stato capace di maledirmi e rovinarmi questo
profilo
perfetto a pochi giorni dal mio matrimonio».
Era vero,
sarebbe stato perfettamente inutile. Sangue Black, dicevano molti.
Eppure in
quel momento gli era sembrata un’idea geniale.
C’era quella parola tra di loro,
carica di dolore e di tutto il male che lui stesso aveva causato.
Quella
parola che li aveva sempre divisi, resi nemici naturali anche se lui
aveva sempre saputo di amarla. Quella parola che aveva sputato fuori
con tanta
naturalezza quando erano solo dei bambini che non avrebbero dovuto
essere
capaci di odiare, ma che a lui veniva naturale come respirare.
Quella
parola su cui si erano persi, tanti anni prima. Quella che non aveva
osato dire mentre con foga nei perdeva nel suo profumo nelle stanze di
un hotel
babbano dove nessuno aveva idea di chi fossero: il ragazzo che aveva
aperto la
porta alla guerra e la giovane strega che aveva salvato il mondo.
Quella parola
sulla quale voleva attenderla.
E ora
l’aveva tatuata anche lui sull’avambraccio, poco
sotto il segno
residuo del marchio nero.
Mudblood
Perché non
ti sento, ma tutto qua
parla di te
E solo Dio sa quanto
vorrei che
fosse silenzio
Ho trovato la calma
però non è
niente di che
No, non ha niente di
me
Ogni cosa
nel suo ufficio le ricordava Ron, o meglio, le ricordava quello
che Ron avrebbe dovuto essere se fosse rimasto lo stesso di Hogwarts,
se non ci
fosse stata la guerra.
La foto
di loro tre al matrimonio di Harry e Ginny, i sorrisi che celavano
la tristezza nel non poter rispondere a tutti quelli che chiedevano
quando
sarebbe stato il loro turno. Ma su questo per lo meno il suo istinto di
conservazione aveva avuto la meglio, rifuggendo ferocemente alle
proposte
tirate fuori dalla rabbia o dal rimorso di Ron.
C’era
la scusa del lavoro, degli impegni al negozio, del voler prima
restituire la memoria ai suoi genitori. Erano stati bravi a trovarle,
talmente
convincenti che anche loro avevano finito per crederci.
«Rivoglio
la mia amica. Ora. Immediatamente. Basta con questa versione zen
e sotto pozioni ansiolitiche di te. Sei una che ha preso a calci in
culo i
Mangiamorte, per Merlino. Non ti è rimasto niente
dell’orgoglio Grifondoro,
Granger?».
Hermione
sbatté le palpebre, cercando di concentrarsi. Ormai era
diventata
davvero brava ad escludere le voci degli altri dalla sua testa,
rispondendo con
un sorriso educato di circostanza, fingendo una calma che non aveva mai
avuto.
Ma Ginny
Weasley in Potter non era una voce che si poteva scacciare
facilmente.
«Sai
che molti dicono che sia una delle mie migliori
qualità?» provò a
ribattere, infilando il naso nel cappuccino speziato alla zucca,
sperando che
bastasse per deviare ancora una volta il discorso
Tutti si
congratulavano continuamente con lei per come riusciva a mantenere
il sangue freddo anche nelle situazioni più difficili, per
come fosse in grado
di ragionare sempre in modo distaccato, senza farsi prendere dalle
emozioni.
«Stronzate»
concluse tranquilla la rossa, fissandola negli occhi. Ginny non
era cambiata di una virgola a dire il vero, sempre tagliente, incapace
di
girare intorno ai discorsi.
Ovviamente
aveva ragione. Anzi, se l’avessero chiesto a lei avrebbe
detto
che la calma era decisamente sopravvalutata. Non c’era niente
della svagatezza
di Luna nel suo imporsi di celare le sue emozioni, nessuna traccia
della sicura
dolcezza che era stata di Nymphadora. La sua era solo un fuoco
soffocato cui
non era più permesso di riscaldare.
Quella
calma non aveva niente della Grifondoro che era stata.
Non aveva
niente di Hermione Granger
Ginny si
piegò appena verso di lei, prendendole una mano per evitare
che
accampasse la solita scusa per scappare via e rimandare il confronto.
Non era
la prima volta che aveva provato a parlare, doveva ammetterlo. Ma
finora era
sempre riuscita a fuggire giusto in tempo.
«Senti
Hermione è evidente che tu e Ron abbiate dei problemi. E
credimi, so
quanto possa essere imbecille mio fratello, specialmente quando
soffre» iniziò
con uno sguardo appena più dolce, stringendole appena un
po’ il polso. Aveva
dita delicate Ginny, non ci aveva fatto mai caso.
Prima che
potesse ribattere che era solo colpa sua, era lei che non
riusciva ad essere all’altezza la strega continuò
con tranquillità «E anche se
sono convinta che sarebbe meglio per tutti se vi lasciaste, visto che
siete due
zucconi, io e Harry abbiamo deciso di regalarvi delle sedute di terapia
di
coppia. E per regalarvi intendo che tra dieci minuti avete la prima.
Proprio
qui vicino. Su andiamo, finisci quel dannato cappuccino da sfigati, che
è ora
di muoversi!»
Hermione
sgranò gli occhi, mille scuse che le sfrecciavano nella
testa come
miriadi di boccini talmente veloci da non riuscire ad afferrarle.
«Ecco,
vedi perfetto. E hop hop andiamo, non costringermi a trascinarti di
peso. Non sarebbe carino e sono certa che domani sarebbe su tutti i
giornali»
rispose con un ghigno diabolico che davvero ricordava fin troppo quello
dei
gemelli costringendola ad alzarsi. Poi soddisfatta la prese sotto
braccio
trotterellando allegra verso un portone poco distante dove
già l’attendevano
Harry ed un furioso Ron, trattenuto a stento dal suo migliore amico.
«Merlino,
spero che faccia lo stupido in pubblico e mi dia l’occasione
di
lanciargli qualche bella fattura. Neanche mamma avrebbe niente da
dire» le
bisbigliò con un ghigno nell’orecchio mentre con
il suo migliore sorriso faceva
cenno ai due maghi. Davanti all’ingresso una targa
d’ottone Pansy Parkinson,
Esperta in
Sessuologia Clinica Specializzata in Terapia di Coppia.
Di certo
ci sarebbe voluta più di qualche fattura stordente per
calmare
Ron.
E tu, torna
ora a togliermi il fiato
La mia
condanna, camera a gas
Giusti al
momento sbagliato, ho sbagliato
Lo sapeva
che quei due erano un disastro annunciato, l’aveva sempre
saputo,
sin dai tempi di Hogwarts.
E non
solo perché erano due Grifondoro boriosi convinti di aver
salvato il
mondo, il che era anche vero ma Merlino erano passati quasi dieci anni
ed era
davvero il momento di andare avanti. No, la verità era che
quei due non avevano
niente in comune se non Harry Potter. E a quanto aveva capito non era
un ménage
à trois, quindi lo Sfregiato Sopravvissuto non aveva modo di
salvare quella
farsa di relazione.
Guardò
il timer davanti a lei: ancora mezz’ora di quella tortura. Li
aveva
sentiti blaterare abbastanza di scuse patetiche con il tentativo di
convincerla
che la loro relazione andasse a gonfie vele. Era il momento di dar loro
una
piccola scossa.
«Di
solito a questo punto faccio qualche gioco per capire quanta fiducia
avete l’uno nell’altra. O assegno dei compiti a
casa tipo toccarsi e scrivere
quello che si prova e cose del genere» iniziò,
tamburellando le lunghe unghie
smaltate di rosso sul tavolo di mogano lucidissimo mentre li squadrava
«Ma con
voi due direi che è il caso di saltare questa parte ed
arrivare dritti al
punto».
Il rosso
sbuffò con impazienza: «Che nessuno sano di mente
ti darebbe
retta, Parkinson? Merlino, ma cosa diavolo aveva in mente Harry quando
ha
pensato che tu potessi aiutarci? Forse sul serio ha qualche rotella
fuori
posto» ringhiò il ragazzo.
«Ronald!»
La voce della Granger non era quella che si ricordava, ora era
quasi riservata, sottotono. Quella non era la ragazzina dai capelli
crespi che
aveva tirato un pugno in faccia a Draco Malfoy, o dato fuoco alle vesti
di
Piton. O tante altre cose. Sembrava quasi… possibile che
Hermione Granger, la
golden girl fosse spaventata dell’altrettanto cucciolo
d’oro Ron Weasley?
O forse
era solo paura di perderlo.
In ogni
caso era giunto il momento di andare avanti.
«No.
Che voi due siete una pessima coppia e chiunque sia dotato di
intelletto e del dono della vista può confermarvelo. Vi
rovinate la vita a
vicenda per giocare a fare i piccioncini in quello che sono sicura sia
un buco
di appartamento ripieno di cianfrusaglie babbane»
chiosò, squadrandoli
attentamente.
«Non
ti azzardare a mettere le tue schifose zanne tra me ed Hermione. Cosa
ti dà il diritto di impicciarti?»
ringhiò Ron.
«Oltre
ai diversi diplomi che vedi dietro di me? La capacità di
distinguere
un boccino da una cipolla alata, direi. Tu hai un serio problema di
rabbia repressa
e ne dovresti parlare con qualcuno, che però fortunatamente
non sono io. Se
vuoi possiamo invece discutere del fatto che tu dovresti baciare il
terreno
dove poggia i piedi la Granger e invece ti scopi platealmente
quell’insulsa
Melissa…»
«Lavanda»
la interruppe Hermione con voce sorda fissando il tavolino
davanti a lei prendendo fiato. Eppure era certa di aver visto una
piccola
fiammella nei suoi occhi quando aveva fatto riferimento
all’umiliazione che
tutti sapessero della sua amante regolare. Ron la guardò
sgranando gli occhi,
cadendo di nuovo sul divanetto quasi senza forze. Probabilmente finora
aveva
pensato di essere così furbo che non fosse chiaro anche agli
Snasi che la
tradiva con la sua prima fidanzatina, o quel che diavolo era.
Chissà se lo
chiamava ancora Ron Ron.
«C’ero
quasi. Lavanda, Melissa, Aconito: non fa differenza. Fatto sta che
tu sei così codardo da non avere il coraggio né
di interrompere questa
relazione né di prestare la dovuta attenzione e rispetto
alla tua donna. Il che
è davvero patetico e triste» la voce affilata come
la lama del rasoio
attraversò la stanza fulminea. Hermione alzò la
testa di scatto, come se
l’avessero pugnalata.
«Non
è solo colpa sua. Non del tutto almeno.
Io…» tentò la
Grifondoro
«Piantiamola
con questo gioco delle colpe Granger. Siete due emeriti
deficienti a continuare con questa tortura. Vi odiate a vicenda.
Cercate di
controllarvi. Vi sfogate addosso tutta la rabbia accumulata. E, per
Salazar
Serpeverde, neanche siete attratti l’uno
dall’altro. Cosa diamine state a fare
insieme lo sapete solo voi, razza di idioti Grifondoro che non siete
altro!»
elencò, fissandoli senza quasi sbattere le palpebre,
un’abilità che aveva
sempre ammirato in Severus Piton e che aveva passato anni a
perfezionare.
E
funzionava sempre.
Stava
funzionando anche ora, anche con quei due casi umani che le aveva
appioppato la piccola Weasley. Così forse Draco avrebbe
smesso di fare cose
stupide come deturparsi un braccio da ubriaco. Come se già
non avesse già
abbastanza segni distintivi che riuscivano a farlo distinguere tra la
folla
come l’ex mangiamorte scampato ad Azkaban per merito di
Hermione Granger e
dello Sfregiato Sopravvissuto.
Ron ed
Hermione si guardarono in silenzio, vedendosi forse davvero per la
prima volta dopo anni.
Non
dovevano più fare finta che tutto andasse bene.
Il mondo
era salvo.
E non
aveva più bisogno di loro.
Potevano
lasciarsi andare, essere liberi dalle loro stesse gabbie. Anche se
era doloroso lasciare andare chi era stato la tua coperta per anni.
Finalmente
potevano respirare.
«Abbi
cura di te, Ronald» la voce di Hermione Granger era
finalmente quella
di un tempo: sicura, chiara, senza alcuna traccia di paura o remora. E
gli
occhi sembravano finalmente vivi e brillanti, pronti alla prossima
sfida senza
più quella sfumatura di repressione che li aveva offuscati.
«Mi
dispiace tanto, Mione. Sono stato un idiota. Ma non deve finire
così, possiamo
tornare ad essere amici» borbottò il rosso,
passandosi le dita tra i capelli
mentre realizzava che niente nella sua vita sarebbe stato
più uguale. Non
sapeva se esserne felice o spaventato, a dire il vero.
Hermione
sorrise alzandosi e prendendo in mano la sveglia magica che Pansy
teneva davanti a sé: «E con ben cinque minuti di
anticipo, Parkinson. Sono
colpita. E ti hanno venduto una cosa sbagliata: si chiama tecnica del
pomodoro,
non della cipolla»
Pansy
sorrise incrociando le lunghe gambe sulla scrivania, le suole rosse
delle
décolleté vertiginose ben in mostra:
«Regalo di Draco, come ben sai ha dei
gusti davvero particolari a volte»
La
guardò fremere appena appena nominato il nome
dell’amico. Lo sapeva, ne
era certa: Hermione Granger era innamorata di Draco Malfoy. Chi
l’avrebbe
detto, se no chiunque lo avesse guardato per più di cinque
minuti di fila.
Doveva solo far incontrare casualmente quei due imbecilli e la
scintilla
sarebbe divampata.
Beh forse
dopo quello che era successo nella stanza delle necessità la
sera
della battaglia di Hogwarts era il caso di trovare un’altra
metafora ma l’idea
era quella.
«A
proposito di gusti particolari, stavo quasi scordando di darti
questo»
disse svagata, richiamando un invito in carta di un tenue grigio con
embossate
le iniziali BZ e PP.
Hermione
lo aprì sospettosa come se si trattasse di una strillettera.
«Mi
stai invitando al tuo matrimonio Parkinson? Tra due
giorni?»
chiese, sgranando gli occhi e agitando il cartoncino all’aria
come se
bruciasse.
Pansy
annuì mentre due bicchieri davanti a lei si riempivano
magicamente di
un liquido ambrato e profumato.
«Già,
e non provare a dire che hai degli impegni che non ci crede nessuno.
E stasera c’è l’addio al nubilato,
quindi possiamo iniziare i festeggiamenti»
disse facendole volare uno dei due bicchieri di cristallo cesellato.
«E per
Merlino, Granger, comprati qualcosa di decente. Sia mai che tu faccia
degli
incontri interessanti»
«Ehi
io sono ancora qui! Non ti pare presto per trovarle un
altro?» sbuffò
Ron ancora sul divano allargando le braccia esasperato.
«Addio,
Lenticchia. E mi raccomando non sbattere la porta quando esci
mentre vai da Camomilla» chiosò facendogli segno
con la mano verso la porta,
mentre il suono cristallino del timer copriva ogni rimostranza.
«Lavanda!»
tentò di urlare Ron mentre la porta si chiudeva con un tonfo
quasi sulla faccia.
Appena
uscito guardò la ragazza davanti a lei, il bicchiere ancora
intatto
in mano.
«Tutto
bene, Granger?»
La
Grifondoro annui, lasciandosi finalmente andare ad un sorriso:
«Forse
eravamo solo giusti al momento sbagliato. Ma ora è
finita»
Pansy
annuì alzando il bicchiere in segno di saluto.
«Ai
nuovi inizi Granger. E al coraggio di lasciare andare.»
Tanto
ormai ho
trovato il coraggio di stare lontano da te
Lontano
da te
E
goodbye,
ovunque sarai tu ricorda, abbi cura di te
Abbi
cura di
te
Note
Fan
di Ron, scusate
Ovviamente
la seduta di Pansy è tutt'altro che professionale ed
è pura magia riuscire ad
ottenere la consapevolezza di uscire da una relazione del genere con un
solo
incontro ma spero che nessun terapista si possa essere sentit* offes* ,
si è
trattata di un puro momento di divertimento.
La
storia partecipa al contest "Perché San Remus è
SanRemus" del forum
Writing Games ferisce più la penna indetto da Bessie e
Ciuscream