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Autore: Bell_Black    19/04/2022    0 recensioni
Appena uscito dal servizio militare, Seokjin si sente completamente spaesato e vuoto, non riesce a riconnettersi con la realtà.
Si sente solo e decide di isolarsi, insicuro del futuro, mentre nel mondo è in corso una pandemia che ha bloccato qualsiasi sua attività.
Completamente sopraffatto dalle sua emozioni, riesce a trovare conforto grazie a una ragazza che pubblica lunghi monologhi, sotto forma di podcast, sui suoi sentimenti nei confronti di quello che le accade attorno, in un periodo tanto difficile per tutti.
Seokjin non conosce il suo volto o il suo paese di provenienza, sa solo che grazie a quella sconosciuta si è sentito meno isolato e si chiede, se anche lei abbia, qualcuno che la faccia sentire così o in caso contrario poter restituire il favore.
Il suo unico desiderio è sapere che anche lei può stare bene, nello stesso modo in cui si sente Jin ogni volta che la ragazza decidere di condividere, con lui, quei pensieri, facendo illuminare lo schermo del suo telefono, con la notifica più attesa della giornata.
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kim Seokjin/ Jin, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Uno.
07:07

Il silenzio incombeva nel van, la tranquillità, che mi serviva per potermi concentrare su ciò che mi aveva completamente coinvolto dal mio ritorno alla vita normale

Il silenzio incombeva nel van, la tranquillità, che mi serviva per potermi concentrare su ciò che mi aveva completamente coinvolto dal mio ritorno alla vita normale. Avevo concluso il servizio militare, ormai da qualche mese, insieme ad altri membri della band, che in quel momento, sonnecchiavano sui sedili dell'auto, che ci stava conducendo ai nostri primi impegni lavorativi per quella mattinata.

Sentivo anche io, la stanchezza della nottata precedente cadermi sulle spalle, ma quando al mio risveglio avevo notato la notifica sul mio telefono, ogni accenno al rimando era svanito.

Sul telefono, l'icona viola annunciava la pubblicazione di una nuova puntata dell'unico podcast che mi era mai capitato di ascoltare e senza indugi, avevo raccattato le cuffie per recuperare le parole della misteriosa ragazza, che semplicemente pubblicava lunghi monologhi su ciò che la sua mente celava.

Ero riuscito a malapena, ad ascoltare l'introduzione solita, prima che Yoongi e Namjoon mi interrompessero per esortarmi a non perdere tempo. Nonostante la velocità con cui mi ero preparato, prima che potessi recuperare il telefono per continuare l'ascolto, Hoseok aveva annunciato l'arrivo dell'auto, chiedendoci di uscire in fretta, per non tardare.

Il viaggio in auto sarebbe durato quanto bastava, per ascoltare la ventesima e nuova puntata, della ragazza che si faceva chiamare; Purple Abyss.

Osservai per pochi secondi la copertina ormai nota, un disegno abbozzato di qualcuno appoggiato al davanzale della finestra, probabilmente disegnato da lei, oppure trovato su internet, non che mi fossi mai speso per risolvere quell'inutile dilemma. L'episodio era intitolato "Esistere o vivere?", titolo che a podcast iniziato, non aveva ancora accennato ad essere sviscerato.

La cosa che mi aveva lasciato più sorpreso, ascoltando l'introduzione della voce senza volto, era la piccola risata sfuggita dalle sue labbra, dopo il ringraziamento posto ai suoi followers di Instagram, che avevano festeggiato le venti puntate ,cercando di tirarle su il morale con alcuni commenti buffi.

Speravo che quel piccolo momento, designasse un monologo con un finale più allegro, meno negativo del solito, così semplicemente sistemai le cuffie nelle orecchie, speranzoso di sentire parole dure, ma dal risvolto meno oscuro, premetti play e chiusi gli occhi per immergermi nell'ennesimo flusso d,i coscienza di quella sconosciuta che sospirò, per poi riprendere a parlare. 

"Mi sento così confusa e fuori luogo, nonostante non esca da casa mia e a malapena lascio la mia stanza, sento una crescente consapevolezza di essere nel luogo sbagliato, di non essere adatta nemmeno a vivere in casa mia. Sento la pesantezza della reclusione e del vivere lontana dagli essere viventi, smontando qualsiasi mia precedente percezione di poter sopravvivere nella solitudine.

Sento un'oppressione nel petto, al pensiero che questa situazione continui, ma ne sento una ancora più tediante, realizzando che non è una realtà eterna, vivendo in continua contraddizione con me stessa.

Esistere o vivere? 

Vorrei fosse più semplice darmi una risposta sincera, è abbastanza elementare saper rispondere ad una domanda del genere, per persone come me, diventa impossibile poterlo applicare e chi ci riesce deve affrontare una seconda domanda esistenziale.

Vivere o sopravvivere?

Forse qui non c'è una vera risposta netta, l'esistenza richiede compromessi tra il vivere e sopravvivere, se ci fosse concesso, di procedere nel mondo solo con atteggiamenti, lavori, pensieri personali, dettati dal nostro personale modello di vita, nel mondo vigerebbe il caos e la mancanza forse di elementi essenziali.

Ho evitato sempre di pormi questo genere di domande, di ragionarci troppo, perché nonostante la mia esistenza prolungata, non sono mai riuscita a superare il primo ostacolo, rispondere correttamente alla prima domanda e seguire tale responso. 

vivere ho sempre preferito esistere

Non ho mai saputo stare al mondo, ho sempre percepito la paura per ciò che mi circonda, di chi mi si avvicina, di come gli altri mi percepiscono, il mondo mi è sempre sembrato un nemico ed è sempre stato più facile vivere in camera mia, al sicuro dal mondo, ma non da me stessa.

Uscire di casa è sempre stato uno sforzo titanico, volto a soddisfare esigenze e desideri altrui, non mi è mai capitato di lasciare la mia abitazione, per una volontà che mi appartenesse, uscire era come buttarsi in battaglia, una lotta che si svolgeva prettamente nella mia testa, perché era ovvio anche alla mia paranoia, che uscire di casa non è mai stato un vero pericolo. 

Il mondo procede per equilibri, fra buoni e cattivi, ma spesso vivendo tutti i giorni a nessuno importa di chi ha accanto, lo ignora e lo lascia esistere in serenità, ma la mia testa pensa il contrario, si contraddice sulle esperienze vissute distorcendole a suo favore, l'ha sempre fatto e lo fa tutt'ora, nonostante senta la mancanza dell'esterno.

Adesso sono troppo grande per rifugiarmi in questo pensiero adolescenziale, l'idea che chiudendomi nella stanza a me più cara, possa ghiacciare il mondo, mentre io provo ad essere all'altezza di esso, ma alla mia età, mi sento in ritardo e continuo a dovermi sforzare per convincermi di essere pronta ad affrontare ciò che tutti hanno già accettato. 

Tutti sono scesi a patti con la realtà vivendo e sopravvivendo, mentre io tremo al pensiero che il mondo torni normale, perché desidero tornare a quelle poche concessioni che mi permettevo, ma allo stesso tempo, l'idea della normalità mi destabilizza.

Fino adesso, tutti hanno vissuto come me, non pretendendo che uscissi di casa, sentendosi rinchiusi, ma allo stesso tempo tranquilli, volendo la libertà, ma attendendo, come se il mondo stesse dando la possibilità a gente come me di trarre coraggio e ispirazione da tutte quelle persone, abituate a vivere e che chiedono a gran voce di ritornare per strada.

Forse questa influenza è avvenuta, perché dopo mesi di reclusione, sento anche io la necessità di uscire e poter fare qualcosa, ma allo stesso tempo ho vissuto di rimandi che non ho neanche provato a recuperare, consolandomi con un semplice: «Proverò domani», ma quel domani non è mai arrivato.

Alcune volte vorrei chiudere gli occhi ed essere già anziana, così da potermi rifugiare in casa ed essere giustificata, altre vorrei proprio non riaprirli e questo pensiero mi fa sentire tremendamente in colpa, realizzando che nessuna scorciatoia mi porterà alla soddisfazione, ma che non ho accumulato abbastanza coraggio e esperienza, per percorrere la normale e comune strada, insieme a tutti gli essere umani.

Mi sono esclusa da sola, tenendomi sempre dietro agli altri, finché non sono stati abbastanza lontani da non poter essere raggiunti, fin quando non sono stati così estranei da provocarmi disagio e convincermi che in casa, isolata, sola, sarei stata meglio... ed è stato così.

Nessun momento quotidiano sociale mi ha mai realmente soddisfatto, l'unica cosa che mi spinge e costringe ad uscire di casa, sono sempre stati concerti e viaggi, gli unici momenti in cui vale la pena combattere giornalmente con l'ansia, la paranoia, il disagio dello stare al mondo, dell'essere circondata da persone, che nella mia mente mi stanno giudicando, a cui sicuramente non piaccio.

In quei momenti ci convivo con sforzo, per potermi concedere le uniche cose che amo, le uniche cose che questa pandemia, mi ha personalmente tolto e che non mi ridarà presto.

Il solo pensiero di questa mia malinconia per eventi sociali, aumenta il mio senso di colpa, mentre il mondo va a rotoli, il mio paese si deteriora e le persone muoiono.

Ogni giorno, mi sento più egoista e la reclusione, mi ricorda solo quanto il desiderio di poter rimanere a casa sia sempre stato un sogno, diventato un po' incubo anche per me.

Ho fallito nel mio essere un'umana, dalle cose più complesse, fino a quelle più semplici, non mi sento diversa da un galeotto recidivo, che non riesce a conformarsi con la società. 

Le nostre uniche differenze, sono la motivazione dell'essere rinchiusi e i confort a me concessi. 

Vedo speranza anche in me stessa, quando annunciano possibili ritorni alla realtà, che si confronta, con la costante paura, amplificata dalla consapevolezza, di doversi approcciare a un mondo completamente nuovo e ancora più tetro del precedente.

Una persona come me, non dovrebbe avere il privilegio di vivere in questo modo, vorrei solo essere abbandonata e lasciata sola, anche dalle ultime persone che credono sfortunatamente in me, così vivrei miseramente ma felice, perché lontano da tutti e senza essere un peso per le persone a me più care.

Con queste parole, credo di dovervi lasciare, mi sono dilungata fin troppo e come al solito questi pensieri mi fanno venire il mal di testa, vi lascio un saluto e un arrivederci a chiunque sia arrivato alla fine di questo podcast e desidera sentirmi ancora."

Una lacrima solcò il mio volto, come spesso mi capitava da quando ascoltavo quelle riflessioni. Dopo il servizio militare mi ero sentito solo, vuoto, completamente perso, passavo le mie giornate in una personale quarantena giustificata da una un po' più verità, dopo che un mio compagno d'arma, era stato trovato positivo al virus, che aveva rallentato ogni attività.

Dopo la vera quarantena e due tamponi negativi, mi ero rifiutato di recarmi al dormitorio, dove i membri della band, partiti nel mio stesso periodo attendevano il mio ritorno in casa, non mi sentivo pronto alla compagnia, ad affrontare le loro domande, i momenti di chiacchierata, volevo stare solo e completamente in silenzio.

Chiuso in casa mia tutto sembrava migliore, il mondo, il lavoro e persino quel costante senso di inadeguatezza si era placato, stavo meglio, ma sapevo che quello non era vivere, ma grazie a quella solitudine avevo trovato lei.

La sua voce tranquilla e candida, mi aveva completamente travolto, spingendomi ad ascoltare ogni episodio del suo improvvisato podcast o come l'aveva intitolato lei; "Monologhi pandemici". Ogni episodio aveva il suo tema e ognuno di questi faceva un po' parte dei miei pensieri, condividevamo molti dubbi e malesseri, ma la sua voce, mi aveva aiutato a muovere i primi passi verso i miei amici, uscendo dalla solitudine e affrontando con loro alcuni dei miei pensieri distruttivi.

Non avevo cercato aiuto, ma in qualche modo mi era stato dato da una completa sconosciuta, da qualche parte nel mondo, chiusa in casa, per via delle circostanze che hanno portato allo stato malsano, che accomunava le nostre menti.

Spesso mi chiedevo chi fosse, da dove venisse, non era certo nemmeno fosse coreana, visto il suo strano accento e le sue pause, probabilmente volte a ricercare la parola giusta per il contesto. La cosa che più mi sorprendeva, era non volerlo sapere, visto che era una persona naturalmente curiosa, avrei voluto sapere di più, ma allo stesso tempo comprendevo non fosse necessario, mi bastavano le sua voce e le sue parole, di frequente anche riportate sui suoi social.

Spesso mi trovavo a chiedermi, se nella sua solitudine avesse qualcuno che potesse aiutarla realmente, con vere discussioni e momenti di riflessione diversi da quei monologhi e dai commenti online, differenti dai superficiali complimenti sulle sue parole o dalla solidarietà spicciola del periodo.

Un po' sentivo il bisogno di sapere che stesse bene, me pesavo fosse normale, da essere umano preoccuparsi del prossimo era di norma una cosa comune, specialmente se quella persona si apriva tanto al mondo, anche se in modo piccolo, utilizzando una lingua non compresa dal mondo intero come l'inglese. 

Prima che me ne rendessi conto, la ripetizione attiva mi aveva portato al primo episodio e al suo primo approccio impacciato, al più evidente accento straniero e ai piccoli balbettii dovuti dal nervosismo, che si provava verso qualcosa di nuovo, mi era sempre parsa molto carina e dopo venti monologhi, ancora doveva affrontare il suo evidente timore nel parlare.

"Hyung ci siamo", la mano di Namjoon mi tolse una delle cuffie, così che potessi sentire le sue parole, recuperai la borsa e la custodia delle cuffie, indossai la mascherina, per poi seguire i tre ragazzi fuori dal van, dove alcuni fotografi attendevano il nostro arrivo.

Una delle donne facenti parte dello staff ,ci indicò il punto esatto dove fermarci per poter procedere con le foto di rito, che da li a poco avrebbero invaso i social. Salutai i presenti con un piccolo inchino e il cenno della mano, oltre i paparazzi erano presenti anche alcune fan, appostate sui loro sgabelli, con le macchine fotografiche e gli striscioni che gli coprivano il volto, mentre urlavano complimenti. 

Per un secondo mi ritrovai a chiedermi se quella sconosciuta conoscesse i BTS, me o la nostra musica o per meglio dire, se fosse una nostra fan, parlando coreano, ero certo gli fosse capitato almeno un articolo in riferimento ai nostri traguardi.

"Jin, dobbiamo entrare", Namjoon mi diede una pacca sulla spalla per riportarmi alla realtà, gli altri due si trovavano già all'interno dell'edificio, mentre io mi ero così concentrato su una cosa tanto frivola, da non essermi reso conto del via libera dato dallo staff. 

Mi inchinai ancora una volta ai paparazzi, fingendomi nostalgico di tante attenzioni, alzai un braccio e mi misi in posa al fianco di Namjoon, coinvolgendolo nella piccola posa buffa che avrebbe dissimulato la mia distrazione. Portai i capelli all'indietro, regalando un occhiolino ai presenti, per poi allontanarmi saltellante, trascinando il povero Namjoon confuso e leggermente in imbarazzo per la mia esuberanza.

Arrivati all'interno dell'edificio, una donna minuta e con un termometro in mano, ci chiese di abbassarci, per poter misurare la nostra temperatura e porgerci l'igienizzante, che avremmo dovuto usare per tutto ciò che ci circondava, più per buon esempio che necessità, visto che ogni ambiente veniva meticolosamente sanificato, ogni volta che un artista veniva a far visita.

Era ormai passato un anno, dall'inizio di quella situazione, anno in cui tutto doveva sembrare più famigliare e invece era ancora strano, non togliere le mascherine per rivolgersi a chi avevamo davanti, non stringere mani, evitare di stare troppo vicini e ricordarsi costantemente di igienizzarsi le mani.

Doveva essere un gesto automatico, ma stranamente non lo era. 

Ci portammo silenziosamente verso il corridoio adiacente, condotti dall'uomo che ci avrebbe intervistati per la prima volta, dopo settimane di silenzio, dove l'unica pubblicazione inerente al gruppo, erano le foto del nostro congedo militare e dell'imminente ritorno degli altri membri. All'interno della saletta tutto era ben distanziato, le sedie, il conduttore, la troupe e ogni microfono presentava la sua copertura. 

"Signori prendete pure posto, grazie al distanziamento vi sarà possibile togliere le vostre mascherine, sulla sedia troverete una bottiglia d'acqua e una nuova mascherina, mettetevi pure comodi, inizieremo tra qualche minuto", annuimmo tutti e quattro all'uomo che si allontanò, per poter recuperare tutto ciò che gli sarebbe servito per l'intervista.

Presi posto su una delle sedie e sfila la mascherina, adagiando il tutto sul piccolo ripiano accanto a me, non ero pronto a quell'intervista, nonostante conoscessi tutte le domande, battute e pause della sessione, l'idea di tornare alla ribalta mi metteva a disagio, non mi sentivo pronto nemmeno per questa stupida intervista.

"Hyung, stai bene?" La voce preoccupata di Namjoon, mi allontanò dai miei soliti pensieri, mi voltai verso il ragazzo che aveva preso posto al mio fianco, anche lui sembrava agitato, visto come giocherellava con l'elastico della mascherina che reggeva tra le mani.

"Sono solo leggermente agitato, era da un po' che non ci intervistavano", sottolineai con una piccola risata, il ragazzo annuì pensieroso, anche lui aveva accennato a delle perplessità in merito a quella intervista, sembrava tutto troppo precoce e la mancanza dei membri più piccoli era percepibile, anche senza guardarsi intorno.

"Andrà bene, hai dimostrato anche prima di potercela fare", Namjoon mi regalò una pacca sulla spalla, gesto di cui avevo bisogno, avevamo incontrato in pochi minuti una decina di nuove persone, che si erano tutte presentate con un inchino di rito, ma allo stesso tempo, sentivo la mancanza di quel minimo contatto fisico, che spesso precedeva queste interviste.

Percepivo il bisogno di una chiacchierata leggera con il conduttore, dove l'unico scopo era sciogliersi e prendere confidenza, scambiarsi pacche e strette impacciate, alcune volte date con troppa foga o contro voglia, sentivo anche la mancanza delle labbra schiuse per lo stupore, ogni volta che un membro più piccolo della band, mi chiamava per nome e senza onorificenze.

Erano cose che prima non notavo, superflue, alcune volte terribilmente irritanti, ma adesso erano la prova dell'ennesima mancanza. 

L'intervistatore prese posto sulla sua poltrona, per poi sfilare la sua mascherina e offrirci un educato sorriso, mentre gli operatori, sistemavano gli ultimi dettagli, prima di andare in onda. Recuperai il telefono dalla tasca, dove una notifica da parte di Instagram riuscì a distrarmi per un momento da quella situazione fredda, che alimentava il mio disagio.

La notifica arrivava direttamente dall'account personale, che utilizzavo principalmente per seguire persone di mio interesse, molto anonimo e con poche foto, il mittente era proprio Purple Abyss, sul suo profilo era stata pubblicata una nuova foto che raffigurava uno scaffale su cui erano posti una serie di libri che la ragazza consigliava, la descrizione non diceva altro, la foto, sembrava una delle tante, che si potevano trovare nella sezione "aesthetic" di Pinterest.

Lasciai un cuore al post, pronto a spegnere il cellulare per potermi dedicare completamente all'intervista che stava per iniziare, quando notai che le foto erano due e scorrendo il post, nella seconda c'erano altri libri, che a differenza dei primi erano tenuti fermi dalla sveglia dei BT21

Purple Abyss era una fan dei BTS.

Salve Torno, nonostante la storia incompleta da un anno, di solito è mia consuetudine finire una storia prima di iniziarne una nuova, ma questa volta ho deciso di non tenermi incatenata al mio blocco da scrittrice ormai prolungato da troppi mesi                    

Salve 
Torno con un argomento un po' delicato e che ha in piccola parte del personale, mi sentivo di condividere questi pensieri sotto forma di Fanfiction perché per me era più confortevole, volevo dare un background e qualcosa su cui sognare, oltre ai pensieri soffocanti in cui alcuni potrebbero rivedersi.
Spero abbia il giusto impatto e che nessuno si senta infastidito da ciò che andrà a leggere. 
Sicuramente i primi capitoli saranno tutti più o meno di questo genere, ma essendo la storia ancora in fase di scrittura, più avanti l'impostazione potrebbe variare.
I capitoli non saranno particolarmente lunghi.
Spero che questa storia possa piacervi, aiutarvi e farvi riflettere, spero di riuscire a trattare il tema nel miglior modo possibile e che nessuno si senta offeso per alcune ingenuità di pensiero o soluzioni di trama, rimane comunque una fanfiction volta a intrattenere e non solo basata sui pensieri più seriosi. 

La storia è stata scritta di getto, senza riletture ormai nel 2020 e ho deciso di pubblicarla adesso, nonostante sia il 2022 e la storia sia ancora in fase di scrittura, in parte spero questo mi aiuti a vivere meglio questo processo di demonizzazione della pandemia e mi liberi un po' la mente.
Detto questo, al prossimo capitolo!

  
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