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Autore: Brume    22/04/2022    11 recensioni
Se vogliamo dare una collocazione a questo racconto, proviamo a tornare con la mente al ferimento di Andrè da parte di Bernard/Cavaliere Nero; e li restiamo, perchè questa OS, nata per caso in un paio di ore, ci parla di attimi ed ore successive; di un Andrè convalescente ed una Oscar pensierosa.
Buona lettura =)
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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In realtà non c’è un momento preciso.
Non ricordo quando iniziai ad amarla.
E’ successo, e basta.

Eppure, da un po' di tempo…questa domanda mi assilla: come se fosse importante ricordare come, dove e quando il mio amore si schiuse, senza appello alcuno, di fronte ai suoi occhi.

Lei…Lei sorride.

Ignara dei miei pensieri mi fissa, seduta sul greto del fiume con le gambe penzoloni, stivali e le calze leggere posati accanto al suo fianco sinistro; io la guardo  di rimando, dall’ albero sotto il quale mi sono riparato.
Fa ancora freddo ma ha insistito: “voglio andare al fiume, immergere i piedi nell’ acqua fredda, sentirmi viva. Te la senti di accompagnarmi?” . Così…eccoci qui. Io, convalescente; lei, silenziosa, ninfa preziosa, eterea, a sfiorare l’ acqua, circondata dai ciclamini ed i loro colori, pieni.
“Cosa c’è?” chiedo lasciando perdere i miei pensieri,  notando che i suoi occhi proprio non se ne vogliono andare da me mettendomi quasi in imbarazzo. Oscar abbassa lo sguardo , quasi offesa dal fatto che abbia scoperto la sua insistenza  – dopo che lei, del resto, nulla ha fatto per nascondersi – e mi dice, con voce bassa: “nulla, André: volevo solo osservarti. Capire come stai.”

Ah, Oscar! Se tu sapessi!...

Io sto bene, ora; certo, l’ occhio mi fa molto male così come mi duole la ferita che ha lacerato anche il resto del mio viso ma non posso lamentarmi, sai? In fondo sono vivo e tu sei al mio fianco. Un occhio , in fondo, è solo un occhio; cosa vuoi che sia, in confronto alla tua persona? Non mi servono gli occhi per vederti, per amarti. Lo fa già il mio cuore. Ti ho anche già detto, se non ricordo male, che sono felice di essere stato colpito al tuo posto. In ogni caso ti dico “
va tutto bene, non angustiarti” e tu, per un attimo, te ne stai tranquilla. Ma solo per un attimo.
Io chiudo gli occhi, respiro a fondo.


“André….

La tua voce, ancora…! Ed è vicina!... forse mi sono spinto troppo in la,  con i pensieri.
Ho chiuso anche l’ altro occhio e non mi sono accorto o, meglio, non ho percepito i tuoi passi.


“Oscar, dimmi. Qualcosa ti preoccupa? ” le domando.

No. Volevo solo…solo pronunciare il tuo nome. A volte, per abitudine, ti capita di ripetere il nome di una persona senza davvero pensare a quella persona. O a quel nome. Ecco…ora, io, ci sto pensando. André è proprio un bel nome, sai?” dice. La guardo stranito, davvero non la capisco. Che le prende?
Al contempo, senza  guardarla, le faccio posto sul telo che la nonna ci ha dato per poterci sedere sull’ erba, lei lo fa con molta grazia, attenta a non sfiorarmi o procurare un minimo movimento che possa causarmi dolore. Una volta accanto a me sento che  incrocia le gambe, i cui polpacci ancora nudi sicuramente sono lisci, diafani, da sempre coperti con strati di stoffa …


“Lo hai lasciato andare?” le domando, poi.  

“Si.Solo perché… me lo hai chiesto turisponde.

Allora… mi azzardo.
Allungo la mia mano e sfioro la sua; riapro l’ occhio cercando i suoi occhi ma una fitta mi prende, proprio alla tempia, dalla parte dell’ occhio offeso. Istintivamente riprendo la mano che le ho appena dato e la porto alla testa  senza nascondere parole di dolore pronunciate don un filo di voce e…così rimango, per alcuni secondi. Ma pare comunque troppo, questo tempo; lo capisco dal respiro leggermente in affanno di lei.

“…Non è niente, Oscar” dico per tranquillizzarla. Ma lei è già corsa via, si sta infilando calze e stivali, sento il rumore di mani svelte e perfino quello della seta sulla sua pelle. Poi i passi. E le mani. Le sue delicate ma forti mani, sopra le mie.
“Fammi vedere” dice e così, piano piano, si fa strada tra le mie dita, libera la strada, vuole vedere il mio occhio.
“Esce del sangue, Andrè. Forse, senza accorgertene, lo hai inavvertitamente mosso. O …forse è la ferita sottostante. Meglio che ti veda il dottore.” Nella sua voce noto un po' di ansia.
Lei mi fissa. Ha gli occhi lucidi.

“Ti serve aiuto? Ce la fai ad alzarti?” mi chiede.

Io rido.

“…Oscar, peso parecchio più di te…” rispondo, giustificando quella risata che forse lei non ha inteso bene ed infine, prendo slancio e mi alzo: lei si sposta giusto un po' rimanendomi comunque vicino…ed è una fortuna, perché ho abusato delle mie forze ed ora la testa mi gira, facendomi barcollare. In ogni caso, anche se ho sentito il sangue defluire dal mio viso, faccio finta di niente ma accetto le sue mani sulle mie braccia coperte dalla tela della camicia e da una giacca.

“E’ tutto a posto. Dunque, vuoi proprio portarmi dal dottore?” butto li.

“Si. Lascia il cavallo, lo manderò a prendere. Sali, io guiderò da dietro” Mi risponde. Vedo, dal suo viso, che in questo momento potrei dire qualsiasi cosa e lei…sicuramente nemmeno mi ascolterebbe.

“Ma come? E se tuo padre, rientrando, ci vedesse? Cosa direbbe?”

Non mi risponde ma si allontana, assicura il mio cavallo ad un ramo più basso degli altri e poi torna da me, trattenendo per le redini il suo stallone bianco.  Aspetta che salga; indugio solo un attimo e poi, con le mie forze – che sono molto, molto minori a quelle che mostro – salgo. Lei mi raggiunge, si accomoda dietro di me e mi avvolge con le braccia esili; cerca le redini, le afferra. Nemmeno il tempo di respirare e partiamo al galoppo con l’ aria fresca che ci sferza.
E’ così bello sentirti vicina, sai? Quante volte lo siamo stati? Molte, ma così mai. C’è qualcosa nell’ aria, un qualcosa che non è solo il mio sentimento ma che viene anche da te, dal tuo cuore. Sorrido e cerco di godermi questi momenti , che tuttavia volano, tempo crudele; ben presto siamo di ritorno ed oltrepassiamo il cancello.
Quando mia nonna ci vede passare davanti alle cucine, apre la porta con un gesto rapido.

“André! Oscar! E’ successo qualcosa?” domanda.
Oscar ferma il cavallo.

“Nanny, per favore, chiama Lassonne: Andrè ha qualche problema all’ occhio” dice, senza darmi il tempo di aprire bocca. La nonna si gira, chiama il maggiordomo. Intanto, il cavallo ormai è fermo; Oscar scende e mi da una mano.
Vai nella tua stanza, poi ti raggiungerò” dice lei; Jacques, che era in cucina con la nonna, mi vede e mi da una mano. Mi accompagnano nella stanza, io ancora deluso dal tuo saluto così frettoloso.


 
Quando Lassonne arriva, io mi sono già sistemato, sono seduto sul letto, seduto, la schiena china e stanca. La nonna mi ha aiutato a togliere stivali, pantaloni e ora sono qui, in camicia. Mi sono rifiutato di farmi lavare, non sono un infermo, ci ho pensato da me.
Con il medico, arriva anche lei. Si è  cambiata e noto che ha il viso rosso, accaldato.
Allora, cosa è accaduto?” domanda il medico, posando la borsa sulla sedia vicino al letto.
“Nulla, dottore” minimizzo “ l’ occhio ha cominciato a sanguinare ma, le assicuro, io ho fatto ciò che lei ha detto: nessuno sforzo…”
Lassonne non pronuncia parola. Mi toglie la benda, sento il calore del sangue. Poi , con una garza imbevuta di acqua e non so di che altro, ma che brucia – che male!- pulisce la zona. Infine, chiusi gli scuri, ricomincia la solita visita. “Guarda la candela, guarda la luce…” e via dicendo. Sono quasi stufo di tutto questo… ma la visita è lunga, dura più dell’altra volta.
“Per fortuna, non ci sono grossi problemi. E’ la ferita, prova a mettere questo siero. Due volte al giorno per tre giorni ” dice, porgendomi un piccolo contenitore di vetro contenente una crema chiara che afferro.

“Grazie , dottore. Vi prego di non accettare i soldi del mio padrone, Nanny vi darà quanto richiesto” dico. Lui nega, dice che non c’è bisogno, ma apprezza il gesto. Oscar, invece, era già sulla difensiva…ma, presto, si rilassa. Sembra si sia tolta un peso.

Quando il medico se ne va, solo Nanny esce dalla stanza, non senza aver rivolto una occhiata a me ed alla sua …bambina. Io, incurante di Oscar, mi stendo. Sono stanco.
Faccio portare qualcosa da mangiare, Andrè…ti va?” domanda. E’ ancora in piedi, accanto al tavolo rotondo.
“Non credo sia conveniente. Sei nelle stanze della servitùdico; questa volta è lei a ridere. Ed io sono costretto ad alzarmi ancora e cercarla, non voglio perdermi per nulla al mondo la sua risata.  Per fortuna che la nonna ha riaperto gli scuri, prima di uscire.
“Beh?” dico, guardandola. Tiene le braccia conserte, il viso si è fatto normale ed i suoi occhi paiono brillare ancora di più.
“…André, se proprio vogliamo metterla così, ti rammento che io sono il tuo datore di lavoro. Sei miodice, accompagnando il tutto con un sorriso. Credo di capire  ciò che intenda ma lei per un attimo – invece-  sembra  a metà strada dall’ essersi pentita di aver pronunciato quelle parole e per quello che potrebbero rappresentare…quindi…sto al gioco. A questo strano ma gradito gioco.
“…se è così, allora, mi rimetto ai vostri ordini. Fate di me ciò che volete” dico; lei si avvicina, si siede accanto a me.
“…cosa vorresti mangiare?” domanda, la voce bassa.
Oh, Oscar, che domande….

….Sono un uomo, sono accanto a te. Che risposta ti aspetti?

Prima che mi accorga di ciò che ho detto, vedo i suoi occhi sgranarsi per la sorpresa.

Maledizione, che inetto sono!

 
Faccio per scusarmi, le mie labbra si discostano appena. Lei mi ferma, lo fa con un gesto: solleva la mano, chiudo l’ occhio e mi aspetto uno schiaffo, invece…ciò che sento è la sua pelle delicata, il palmo della sua mano …che preme leggermente sulla mia bocca.

“Non sono così sprovveduta da non capire cosa  hai appena detto, ho a che fare con soldati da anni, ormai…” mi risponde; lo fa con un tono di voce roco, che non ho mai ascoltato.
 L’ interno del mio corpo, il sangue, gli organi, i muscoli…tutto prende fuoco. Sento di essere vicino al punto di non ritorno.


“Oscar, scusami…” pronuncio, finalmente, ancora con la sua mano sulla bocca. Che sensazione strana.
“Non è niente, André. Non ci sono problemi” risponde; poi si alza. Fa tutto come se niente fosse.
“…Arrosto, va bene? Credo che Nanny lo stia preparando per cena” dice. E’ arrivata davanti alla porta.
Annuisco.

La vedo uscire e non appena lo fa mi maledico ancora, non dovevo lasciarmi andare; sento ridere, probabilmente era ancora fuori dalla porta. Mi zittisco. Penso a questa situazione assurda.

Quando torna è accompagnata da Eloise che spinge il carrellino con le vivande.

“Vai pure, ci penso io” le dice una volta aperta la porta; quindi entra e porta tutto vicino a noi. Una volta fatto , con movimenti lenti e composti prende il tovagliolo di fiandra e lo posa sulle mie gambe.

“Non mangiamo al tavolo?” chiedo. Non capisco cosa vuole fare.
“No, va bene qui” risponde.

La osservo muoversi: solleva la cloche, prende le posate, prepara piccole porzioni di carne; infine si gira,  prende una sedia, la avvicina al carrellino. Ora è di fronte a me, leggermente di lato, così da essere comoda. Prende la forchetta e…inizia ad imboccarmi.

All’ istante, non capisco.
Non credo a questa sua…a questa sua idea.


“…Dai. Andrè, non fare il bambino” dice notando la mia reticenza.
La forchetta rimane a mezz’ aria giusto un attimo.
Le sue parole aprono le mie labbra.

“Bravo” dice, un sorriso compiaciuto. Poi…è il suo turno. Raccoglie un poco di carne, un poco di purea e la porta alle labbra. Io seguo con sguardo stanco tutto questo.
Sta giocando, sta giocando con me.


E brava, Oscar…penso, ma non dico.

“Che hai?” mi domanda allora.
Cerco di sfuggire al suo sguardo.
“A nulla…” rispondo, la testa bassa. Anche la mia voce si è fatta profonda.
Mi pare di capire che la mia risposta l’ abbia soddisfatta perché ricomincia con il gioco.
Una piccola porzione di cibo, davanti al mio occhio, al mio naso, appoggiata alle mie labbra. Ma ora, si è fatta più maliziosa: avvicina ed allontana il cibo dalla mia bocca. Io sorrido; la tensione inizia a sciogliersi.


Si avvicina, ancora.
Il cibo arriva alla mia bocca, sono svelto, lo afferro. Lei mi fissa, nota la forchetta vuota, riprende a raccogliere cibo. Andiamo avanti così, io speranzoso che non si accorga di cosa sta succedendo al mio corpo, lei sempre più accaldata; assaggio dopo assaggio il cibo finisce.
ma qualcosa, nell’ aria, rimane.


Oscar allontana il carrellino, rimette a posto la sedia; infine va verso il bacile contenente
l’ acqua e si lava le mani, il viso.

“…Cosa volevi fare, cosa volevi provare, Oscar?” le domando, allora.

Lei, con ancora la pezza tra le mani ormai asciutte, torna da me. Silenziosa, intrigane.
Si siede, appoggia la testa alla mia spalla.


“…stai giocando con il fuoco” dico.

“Non sto giocando, André. Affatto” risponde.
 
Quanta sicurezza, d’ un tratto, nelle sue parole.
Ma tutto ciò…è dovuto alla paura di potermi perdere o perché…perché si è resa conto di qualcosa? Non voglio illudermi, penso solo ed ancora ad un gioco…



“Posso rimanere con te, qui, stanotte?” mi chiede d’ un tratto. La sua voce è tornata quella di prima. Innocente.
Mi spiazza.
Deglutisco a fatica.
Il cuore sembra uscirmi dal petto.
Per alcuni secondi, forse minuti, non dico nulla.


“Non si potrà mai più tornare indietro, lo sai, questo?”
Questa la risposa alla sua domanda.

Oscar si alza, chiude la porta della mia camera. Mi domando se me la sento di accendere il fuoco, se ho preso le mie medicine, se ho bisogno di qualcosa. Alle mie risposte …torna da me. Si prende spazio, prende posto nel mio letto, senza alcuna reticenza e senza chiedermi il permesso…esattamente come ha fatto con il mio cuore.

Ecco.
In quel momento, arriva la risposta alla domanda che mi ero fatto alcune ore prima. Erano li, incise nel mio cuore, ora del tutto scoperte.


La guardo, ha chiuso gli occhi.
Mi stendo accanto a lei e poggio la mia mano sul suo fianco…e gli occhi li chiudo anche io, ormai travolto dai sentimenti che provo, dall’ amore che ci avvolge.

 
Ora, posso anche morire.
Mille e mille altre volte.
In lei, con lei. Per lei. 
   
 
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