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Autore: nephaelibatha    29/04/2022    1 recensioni
Grindelwald e Silente, al culmine dei due mesi trascorsi a sognare e progettare il loro futuro, si incontrano per un ultimo momento insieme prima della fatidica, impossibile fuga.
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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   Il ruscello scorreva placido nel suo letto di sassi e fango. Tutt’intorno l’estate aveva decorato l’erba con i suoi colori più pregiati, trasformando il paesaggio in un quadro ottocentesco. L’aria era mite e indulgente come le carezze di una madre premurosa. Un giovane dai lunghi capelli biondi e mossi osservava inquieto il cielo, la mente lontana dal presente. Alle sue spalle, il profilo di Godric’s Hollow si stagliava contro l’orizzonte, simile al cipiglio di un genitore severo. Anche se la radura con il ruscello si trovava a diverse miglia dal villaggio, non faceva alcuna differenza; non si era mai abbastanza lontani da Godric’s Hollow.
L’orologio segnava le dodici del mattino. Gellert osservava la lancetta dei secondi avanzare frettolosamente nel quadrante tondo del suo orologio da taschino, superando più volte le altre due. Il tempo non lo preoccupava, né quello presente né quello futuro. Lui avrebbe atteso, pazientemente, nel perdurante silenzio della sua ambizione, finché non fosse giunto il momento. Il peggior nemico del successo è la fretta, non il tempo, e Gellert era una persona troppo meticolosa per lasciarsi intrappolare dall’irrequietezza. Nemmeno un minuto dopo comparve una seconda figura con un debole plop.
   «Eccoti, finalmente! Cominciavo a temere che mi avresti lasciato qui ad arrostire per tutta la mattinata» esclamò Gellert, andando incontro al giovane con passi lenti e misurati. Albus, al contrario, camminava come se avesse alle spalle l’Ardemonio. Sfiorò il braccio di Gellert in segno di saluto e andò a sedersi sulla solita grande roccia che costeggiava la riva destra del ruscello.
   «Cos’è accaduto?» domandò Gellert, adagiando un piede sulla roccia e appoggiandosi elegantemente alla gamba piegata col gomito. In quel modo i loro visi erano uno di fronte all’altro, con l’eccezione che lo sguardo di Gellert sovrastava di circa una spanna quello di Albus.
   «Ariana… non voleva pranzare e così ho dovuto imboccarla a forza. Fa sempre storie quando non c’è Aberforth».
Un’ombra scura intorpidiva gli occhi azzurri del giovane, rendendoli simili al fondale fangoso del ruscello. Le sue mani, solitamente salde e decise, ora tremavano lievemente. Gellert avrebbe scommesso che erano perfino fredde.
   «Dov’è andato?» domandò con una dolcezza amara, quasi crudele. Non sembrava minimamente spaventato dall’agitazione dell’altro; anzi, ne era quasi affascinato.
   «In centro, ha trovato un lavoro. Torna sempre, con un mazzo di fiori e altri stupidi regali per lei, e finché non torna, Ariana non si calma. I suoi lamenti, le sue urla… è l’inferno per me. Non riesco a studiare con tutto quel chiasso, e la sera sono talmente stanco che mi addormento sui libri. Sto sprecando le mie giornate, Gellert, e non posso fare nulla per impedirlo».
   «Sì che possiamo». Poco più che un sussurro, calmo e deciso, ma ebbe comunque il potere di sollevare lo sguardo di Albus. In quella posizione, con i capelli accarezzati dalla dolce brezza estiva e il viso baciato dal sole, Gellert somigliava a un dio, un dio terribile ma carico di promesse.
   «Come?»
  «Andiamocene» disse semplicemente, un sorriso beffardo gli incurvava le labbra perfettamente disegnate. Quell’unica parola accese una fiamma nello sguardo stanco del figlio maggiore dei Silente, e in quel momento Gellert pensò che se l’inferno fosse stato dello stesso colore vi avrebbe volentieri anticipato il suo soggiorno.
  «All’inizio saremo soli ma poi ci seguirà il mondo intero, e quando avremo finito i maghi non dovranno più nascondersi come abbiamo fatto finora noi due. È tutto qui. Guarda» mormorò Gellert. L’incendio si era propagato dallo sguardo di Albus al suo mentre pronunciava quelle parole e al contempo estraeva da una tasca della veste un ciondolo. Albus lo prese con cautela, le mani che erano tornate ferme e salde. Il ciondolo raffigurava un triangolo, con dentro iscritto un cerchio diviso in due da una stanghetta posizionata in verticale. I Doni della Morte, l’argomento che li aveva infiammati e uniti in quei due mesi. Un raggio di sole rimbalzò dal ciondolo al viso di Albus, improvvisamente sgombro dalle occhiaie.
  «So dov’è la Stecca, è molto più vicina di quanto pensiamo» lo informò Gellert, la mano all’altro capo della catenina.
  «Dove?»
Albus sapeva che tra i due il più interessato alla Bacchetta di Sambuco era Gellert, eppure nel sentirla nominare non era riuscito a evitare di emozionarsi anche lui. Erano vicini, finalmente! Vicini a possedere il loro primo Dono, e Albus era felice che fosse Gellert a trovarlo e tenerlo; non conosceva altri maghi che, alla sua stessa giovane età, si fossero dimostrati ugualmente dotati. Chissà di cosa sarebbe stato capace Gellert una volta che vi fosse giunto in possesso. Albus era perfino più curioso di questo che di scoprire che aspetto avesse la Stecca della Morte.
  «A Londra».
La notizia folgorò Albus in pieno petto. Mesi trascorsi a torturarsi per immaginare dove potesse trovarsi la Bacchetta, ed ecco che invece era sempre stata sotto al naso di entrambi; un’opzione così banale che due menti come loro non avrebbero mai potuto prenderla in considerazione nemmeno per gioco. Sembrava tutto così meravigliosamente semplice!
  «Andiamo via» disse di nuovo Gellert, riportandolo al presente. «Domani».
Le labbra di Albus si dischiusero, arrendevoli come un bocciolo appena germogliato. Gellert vi posò i suoi occhi chiari sopra, domandandosi con ardore cosa desiderassero, se delle parole o un bacio.
  «Io… non posso. Devo badare alla mia cara, fragile sorella» gemette Albus con voce soffocata.
  «Che ci pensi tuo fratello. Se è grande abbastanza da trovarsi un lavoro lo è anche per occuparsi di lei. Lui è mediocre, Albus, non potrebbe mai in alcun modo contribuire alla nostra causa. Ma tu… tu non puoi continuare a tenere la tua mente imprigionata. Liberala» e mentre diceva questo le sue mani scivolarono inesorabili sul volto di Albus bagnato da lacrime di rabbia e frustrazione. In un attimo le loro labbra si incontrarono, dapprima con foga, strappandosi baci a vicenda, poi con una passione al cui confronto il sole di quel pomeriggio sarebbe apparso un gelido blocco di ghiaccio. Quando si separarono, entrambi avevano occhi lucenti come zaffiri.
  «Verrò con te, lo prometto» mormorò Albus, il respiro ancora alterato dal bacio.
Le labbra di Gellert si distesero in un sorriso di gloria; le sue mani, ancora sul viso di Albus, scivolarono sulla nuca in una carezza sensuale e al tempo stesso misericordiosa.
  «Ti aspetterò qui domani, all’alba» e dicendo questo si sfilò il ciondolo per metterlo attorno al collo di Albus.
  «Non temere, Albus, presto saremo solo noi due, con il mondo ai nostri piedi, e tu non dovrai più preoccuparti di nulla».
La voce di Gellert ad accarezzargli l’orecchio; le sue mani calde sulla pelle; i raggi del sole che benedivano il loro momento, e un sogno che li attendeva all’orizzonte. In quel momento Albus gli credette. Ancora una notte e poi sarebbe stato finalmente libero, libero dall’ingombrante fardello della malattia di sua sorella, dallo sguardo sprezzante di Aberforth; libero dalle malelingue della gente del villaggio, libero di amare e desiderare senza limiti o remore.
Sarebbero stati loro due soli, Gellert e Albus, Padroni della Morte.

  
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