"Il prezzo dei sogni"
Ho pianto.
So che può sembrare strano,
quasi stupido, ma spegnendo la TV mi è venuto da piangere, come un bambino.
Mi faceva troppo male vedere vedere quel dolore, i visi di quella gente,
e tutta la loro angoscia mi pareva quasi essere anche la mia. Come se fossero
riusciti a passare tutti I loro tormenti su di me, per rendermi partecipe della
loro vita, e la cosa peggiore è che io glielo avevo permesso. Anzi, non avevo
fatto nulla per impedirlo. Semplicemente la marea era entrata in me, tramortendomi.
Questo
perchè sono buono, troppo buono.
Sono un sognatore: darei tutto per poter
salvare I bambini dalla fame, le donne dalla guerra, gli uomini dalle lacrime.
Mi
impongo di smetterla e afferro la valigetta sul tavolo, sorridendo a mia
moglie Suzuki. Lei mi ha osservato, ma al momento non ho fatto caso alla strana
luce dei suoi occhi, che guardano ora me ora nostra figlia, Kotori. Ricordo
ancora il giorno in cui naque. Con le lacrime agli occhi Suzuki mi disse che
l'avremmo chiamata Kotori, uccellino, il nostro uccellino spennacchiato.
Il
non accorgermi dei suoi occhi credo sia stato il mio primo errore, la causa
scatenante. Ma, forse, lo penso solo per darmi un alibi.
Uscendo so già
che nel mio modesto studio d'avvocato tanta gente mi sta aspettando, per assalirmi.
E' un qualcosa di psicologico, più che di fisico, sono I loro occhi, le loro
espressioni ad ammassarsi nella mia mente, a farmi impazzire dal dolore. Come
mille piccoli aghi che mi pungono senza tregua, non per fermirmi ma per tormentarmi.
Ora, però, non posso tornare più indietro. E' questa la vita che ho scelto per
me.
Io, Yoshio Kanzaki, faccio l'avvocato. Non è un lavoro, credo, perchè
spesso non richiedo alcun compenso. Non sono pazzo, è perchè per me, aiutare
gli altri, è come un dono. Sarebbe giusto, secondo voi, farsi pagare per
un dono?
Non ho mai realizzato, nella mia vita di sognatore, che nessuno
regala nulla, che ogni cosa ha il suo prezzo. Più che altro, probabilmente pensavo
che il prezzo da pagare fosse il mio tormento continuo, ma sbagliavo. Dio come
sbagliavo.
L'ho cominciato a realizzare quando, quel
giorno stesso, sono rincasato. Ho trovato Kotori sola. Solitamente, al mio ritorno,
corre verso di me sorridendo, vola come un uccellino, per darmi il benvenuto.
Oggi però il suo sguardo è triste, angosciato, quasi. E' seduta a terra, nella
penombra, in silenzio, e si regge la testa con le mani come se fosse troppo
pesante da sostenere. Mi sono fermato ad osservarla. Conoscevo quella posa,
tipica di uomini a cui il destino a tolto tutto. Uomini che un giorno si svegliano,
accrgendosi di non avere più nulla per cui continuare a vivere. Falliti. Inutili.
Uomini. Ma mia figlia ha solo sei anni. Quell'espressione, sul suo viso,
è uno sproposito, qualcosa di assurdo...
Mi sono ripreso dallo strano torpore
che mi ha assalito e ho mormorato il suo nome.Lei non si è mossa.
-Mamma
è andata via...- ha detto senza nemmeno guardarmi, con voce incolore.
Poi,
lentamente, ha mosso il braccio e ha indicato una piccola busta bianca sul tavolo
nero. L'ho aperta a fatica, ma non l'ho letta subito. Non ce la facevo. Una
mano invisibile mi strizzava il cuore, non riuscivo a respirare. Dopo qualche
istante ho preso coraggio...
"Yoshio,
non ce la faccio più,
davvero. Ti ho sposato perchè amavo tutto di te, il tuo essere idealista, il
tuo voler lottare per realizzare I tuoi desideri, il tuo fidarti ciecamente
della vita. Ma mai hai voluto credere nella nostra famiglia. Per te esiste solo
il tuo sogno, e noi ti abbiamo perso per colpa sua. Anzi, noi eravamo diventate
solo parte marginale di quel sogno enorme da realizzare. Troppo enorme. La tua
'missione', le tue utopie di pace e giustizia, lentamente ci hanno cacciate
dal tuo cuore. Siamo parte di una cosa talmente grande che puoi concederci solo
un briciolo del tuo tempo. E del tuo affetto. Siamo ormai solo due persone come
le altre. Da salvare e proteggere, si, ma come tutte le altre di questo mondo.
Non
sono arrabbiata con te, non potrei mai, nessuno potrebbe mai.
Forse è questo
il problema.
Capiscimi, Yoshio. Questo sogno, per me, è troppo pesante da
condividere...
Suzuki."
Nulla per qualche istante. Ero un guscio
vuoto. I miei occhi rileggevano quelle poche righe senza nemmeno capirle. Poi,
come l'onda della Tsunami, sono stato assalito dal contraccolpo, e le ossa sembravano
non volermi più reggere. Perchè sapevo che lei aveva ragione, che tutte le cose
che aveva detto erano vere.
Kotori mi guardava fisso, sembrava consapevole
dell'agonia che provavo. Si è alzata, è venuta piano verso di me e mi ha abbracciato,
ma io non ho fatto niente. Non potevo, non potevo cercare compassione, nè provare
rabbia nei confronti di Suzuki. Perchè era solo colpa mia.
Per quanche
giorno io e Kotori abbiamo vissuto in stato di trance, calma apparente. Io,
che mi struggevo nel mio dolore, lei che mi cercava. Non mi ha trovato. Non
mi sono fatto trovare. Non volevo il suo amore, non lo volevo perchè dovevo
punirmi.
Quando sono tornato in un ufficio l'ho lasciata sola, a casa. Sola.
Una bimba di sei anni sola. E al mio ritorno non c'era più. La porta aperta,
I mobili fracassati, tutto in disordine. E di lei nessuna traccia.
L'avevano
portato via, e con lei il mio essere. Come un automa portavo avanti la mia vita,
lavorando e assilando I poliziotti nella speranza di avere notizie. Delle volte,
preda della depressione più nera, pensavo che lei era semplicemente volata via,
proprio come un uccellino...
A volte da solo, di notte, percorrevo le vie
della città nella stupida speranza di trovare qualcosa, qualcuno che mi conducesse
da lei, che la riportasse a casa. Ma era tutto inutile.
Un giorno, svegliandomi,
ho pensato solo "E' tornata". Sono andato nella sua camera, non c'era.
La casa era vuota. Ho aperto il portone.
Lei era lì.
Viva.
Davanti
a me.
L'ho abbracciata forte ma non ha parlato, era ferita, sporca. L'ho
condotta dentro. Seguitava a tacere.
Ho cercato il suo viso, le sue mani.
Il suo calore.
Viva.
In silenzio, lei guardava un punto imprecisato davanti
a se, come tante volta avevo fatto io, guardando l'orizzonte. Solo che io sorridevo.
Lei no.
Senza distigliere lo sguardo dal mio uccellino ho preso il fascicolo
dal mio nuovo caso. Un uomo accusato di aver abusato ripetutamente del figlio.
Dovevo difenderlo. Era impossibile che quell'uomo, così buono e gentile, avesse
fatto una cosa del genere. Era impossibile, per me, a maggior ragione dopo quello
che era successo a Kotori. Come può un padre fare una cosa del genere al suo
tesoro più prezioso?
Tutte le prove erano contro di lui, ma sapevo che ce
l'avrei fatta. Dovevo farcela. Dovevo salvare quel padre. Perchè non ero riuscito
a salvare il padre che ero.
Il giorno dell'udienza, che per me ormai
aveva la stessa medesima importanza del giorno del giudizio, portai Kotori con
me in tribunale. L'ho fatto per paura. In quei giorni lei era come un fantasma.
Si lasciava lentamente morire, si stava spegnendo come una debole fiammella
al vento. L'ho lasciata con una guardia giurata, fuori dall'aula. Per un solo,
breve istante I suoi occhi sono tornati quelli di prima e mi ha afferrato la
giacca, come per dirmi di non andare. Io, sorridendo, le ho detto che sarei
tornato presto ma era già tornata quella di prima. Con quegli occhi imbevuti
d'angoscia, paura e morte, mi ha fissato mentre mi allontanavo. Ed io, camminando,ho
avuto la netta percezione che qualcosa quel giorno era finito. Che
quel giorno avevo davvero perso tutto. Ma ho pensato al mio sogno, e ciò
mi ha dato la forza di andare avanti.
Non è stato difficile, con il discorso
che avevo preparato, far risultare che quell'uomo era innocente. Era un discorso
commuovente, lo stesso discorso che avrei dovuto pronunciare a me stesso tempo
prima. Un discorso sulla figura del padre, e sulla sua importanza.
La gente,
mormorando, iniziava a lasciare la sala. Il mio assistito, sorridendo, veniva
verso di me.
Kotori, in quel momendo, è entrata.
L'uomo mi ha stretto
la mano ringraziandomi.
Quell'uomo...lui mi ha portato via...Sono
solo una bambina...Perchè? Perchè l'ha fatto? Perchè mi ha fatto questo...Quei
giochi....quei giochi che a lui tanto piacevano poco a poco mi hanno uccisa.
I suoi giochi mi hanno distrutto l'anima.
Kotori camminava piano
verso di noi, senza guardarci. Il suo sguardo ci trapassava, trapassava tutto.
Andava oltre. Troppo oltre.Le mani del mio assistito erano calde, sudate. Oh
figlia mia, perdonami se allora non ti ho capita, perdonami.
Se quell'uomo
è amico di papà verrà ancora, e ancora, verrà per giocare con me...oh papà perchè?
Non posso scappare come la mamma? O forse si...
Tutti stavano in silenzio. Tutti guardavano quella bambina così piccola che, leggiadra, camminava. Ha aperto il balcone. Ha toccato la ringhiera, l'ha accarezzata. Poi ci è salita. Si è voltata verso di me. Un solo sguardo
Addio
e ho capito di averla persa per sempre. Poi si è voltata e...e ha spiccato un salto, aprendo le braccia come per volare. La mia bambina, la mia bambina dei sei anni si è suicidata. Non saprò mai perchè. Quel giorno, sull'asfalto, circondato da curiosi, sono morto anche io.
La casa è sporca. Lo so. E' una settimana,
da quel giorno, che io sono seduto nel punto in cui ho trovato lei quel giorno,
quando Suzuki è andata via e la mia vita ha cominciato a frantumarsi. Con I
pochi soldi che avevo ho preso una piccola bara di legno, bianca. Toccandola
mi sono fatto schifo. Anche nella morte non ero riuscito a dare niente a mia
figlia. Ero un misero fallito.
Bussano alla porta. Ormai nulla ha più
importanza per me. Vedrò chi è e tornerò al mio posto. E mi lascerò morire.
Davanti a me un ragazzo minuto mi guarda. I suoi grandi occhi azzurri sono come
quelli di Kotori. Occhi morti. Spenti.
E' lui, quest'uomo. Grazie
a lui mio padre non andrà in galera. Per colpa sua il mio tormento non avrà
mai fine.
Quel ragazzo ha preso la pistola, mi ha sparato.
Era
Kotori. In quel momento ho capito tutto.
Ho mormorato -scusami-, solo questo.
Poi
non ho potuto dire più nulla.
Per l'eternità.
Prima di essere imprigionato
l'assassino di Yoshio chiese di poter assistere al funerale della sua vittima.
Lo fece. Era completamente solo. Tutta la gente che Yoshio aveva aiutato si
era già dimenticata di lui. Non sentiva di aver fatto male ad ucciderlo. Una
bontà come la sua era nociva. Quella bontà cieca gli aveva distrutto la vita,
e come a lui anche alla piccola Kotori. Otohiko, così si chiamava l'assassino,
guardò la lapide.
"E allora? Il tuo sogno?" mormorò mentre gli
agenti lo portavano via "valeva la pena sacrificare tutto per un sogno
così stupido?"