P.S.: bene, che dire di quest’altra storia? Questa è dedicata ad una maestra italiana, Italia Donati (1863-1886), che venne coinvolta in una vicenda terribile, che mostra il pesante grado di maschilismo della cultura ottocentesca. Secondo la legge Coppino del 1877, l’istruzione era affidata ai Comuni e i sindaci potevano scegliere le maestre, che dovevano avere una sorta di “patente di moralità” per insegnare. E il loro stipendio era più basso di quello dei colleghi uomini, già esiguo di suo. Alcuni sindaci furono corretti, altri… un po’ meno. E la povera Italia finì nelle grinfie di un sindaco scorretto (per essere fine), Raffaello Torreggiani, che la ospitò nella sua residenza, ma la sottopose a pesanti molestie, forte del suo potere economico. Infatti, le maestre all’epoca (specie quelle che insegnavano nelle aree rurali) dovevano provvedere all’alloggio da sole, insegnare in ambienti lontani dalle loro famiglie e non avevano materiale didattico. Nonostante tutto, fu considerata una donna immorale, accusata di aborto illegale e, malgrado avesse chiesto il trasferimento, le voci di infamia la seguirono. E l’hanno portata al suicidio non solo per disperazione, ma per tentare di ristabilire la sua innocenza. L’autopsia, infatti, svelerà che è morta vergine. Io, di mio, ci ho solo messo la scena di lei che guarda il paesaggio illuminato dalla luna (in quel momento, infatti, era buio), ma l’ira da lei provata verso le donne non è mia invenzione, perché emerge in alcune lettere da lei lasciate. Infatti, lei non voleva al suo funerale le donne che l’avevano “odiata e biasimata”. Si può darle torto? Ho pensato che il fratello Italiano fosse un po’ meno idiota degli altri, perché lei si è rivolta a lui in un’altra sua lettera. Un motivo ci sarà.