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Autore: _Fenice    07/05/2022    1 recensioni
Non so neanche da dove iniziare.
È abbastanza difficile tirar fuori quello che ti fa star male, soprattutto quando sei da sempre abituato a tenere tutto dentro, senza mai far trapelare ciò che realmente pensi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Non so neanche da dove iniziare.
È abbastanza difficile tirar fuori quello che ti fa star male, soprattutto quando sei da sempre abituato a tenere tutto dentro, senza mai far trapelare ciò che realmente pensi.

È strano. Chi mi è vicino si accorge che qualcosa non va, lo capisce dal mio sguardo assente, da un sorriso amaro o semplicemente dal malumore fin troppo frequente. Alla domanda “cos’hai?” non rispondo mai, svio il discorso con sarcasmo e ironia, che è quello che mi riesce meglio. Sdrammatizzo, sorvolo, cambio argomento. È più facile tenere per me i miei pensieri tristi e asfissianti piuttosto che vomitarli addosso alla gente. Per gli altri è più semplice; si aprono, si raccontano, si sfogano e poi, un sospiro di sollievo e si sentono già più leggeri. Si liberano dei macigni e tornano a respirare. Io soffoco e annaspo, non so fare altro.

Mi fa paura aprirmi, mi rende fragile e da ormai troppo tempo ho sviluppato l’abitudine di non permettermi di essere fragile. C’è stato un tempo in cui ho mostrato la parte più fragile di me a qualcuno, che mi ha fatto sentire a casa, al sicuro, ma la verità è che ho sempre fatto troppa attenzione a misurare la quantità di fragilità da far trapelare. Non è mai stato uno spogliarmi davvero, era più un togliere una felpa quando senti caldo.
A volte mi chiedo se sarò mai in grado di aprirmi davvero a qualcuno, liberarmi di tutti i muri, le maschere, le corazze, le ginocchiere protettive per quando cado e non ho voglia di sentire dolore.

In realtà non ho voglia di sentire niente. Fa tutto troppo male. Soffro di attacchi di panico, quando mi succede tutto si annebbia, mi manca il respiro, non vedo più nulla e piombo in un’altra dimensione, fatta soltanto del terrore più assoluto. Mi manca la terra sotto i piedi, crollo e di colpo eccoli, tutti i sentimenti e le emozioni repressi, relegati in un angolino, zittiti e privati di qualsiasi modo per uscire fuori o anche solo balenarmi alla mente, che alla fine trovano uno dei modi peggiori perché quella è l’unica via che sono costretti ad utilizzare per colpa dalla stoltezza e testardaggine di chi li possiede. È più facile, me lo ripeto sempre; il punto è che non è altrettanto facile quando decidono di risalire a galla perché è tempo di affrontarli. Anche perché non avvisano, non ti preparano: sbucano fuori e adesso ti tocca guardarli in faccia, non puoi più ignorarli, è arrivato il momento di fronteggiarli, discuterci, ingoiarli e digerirli.

Purtroppo, per me non è mai il momento giusto, perché ho troppa paura di cadere. Non so gestire le cadute, non so gestire il dolore, non so affrontarlo. Mi terrorizza. Vorrei andare in terapia, ma non ho abbastanza soldi per permettermi un percorso stabile e duraturo che possa realmente aiutarmi a uscire da questo mezzo inferno che mi stritola.
Tutti intorno a me sono innamorati, sembrano felici, stanno costruendo la propria vita un tassello alla volta e sistemando piccoli imprevisti che li ostacolano nel loro percorso. Io sto qui a perdere le mie giornate facendo cose che non mi piacciono, pensando a cose che non mi piacciono, ubriacandomi perché riesco a ridere davvero soltanto così. Mi manca ridere di cuore, mi manca sentire il cuore leggero, camminare per strada e respirare l’odore dei fiori sorridendo perché è la cosa più spontanea che possa esserci a questo mondo. I miei sorrisi sono solo amari, sento la bile in bocca, sento la faccia storta. Non è un sorriso, è un ghigno sprezzante di chi ormai è disilluso e persino lo sguardo puro e innocente di un bambino per strada lascia solo una malinconia agonizzante. Quando neanche gli occhi di un bambino riescono più a riempirti il cuore anche solo per un istante, credo sia questo il campanello d’allarme del deragliamento totale. È preoccupante. Avvilente. Mi inquieta e non poco.

Credevo che questa volta sarebbe stato diverso, cambiare città e stato un’altra volta, visto che la prima non era andata bene, o comunque non come speravo. L’esperienza mi è servita, sì, ma in negativo. A questo punto non credo ci sia davvero un posto giusto per me. Ho provato più volte a cambiare, a rimodellarmi, a ricostruirmi da zero. Una volta provi ad essere te stesso, ma il tuo modo di essere è troppo difficile da gestire o accettare e alla fine non va bene. Allora ritenti, provi ad essere il tipo di persona che sorride sempre, non crea problemi e dice sì a qualsiasi proposta, ma a quel punto il tuo parere non conta più e le tue proposte vengono scavalcate da quelle degli altri, perché tanto a te sta bene tutto, no? Cosa ti cambia se facciamo come dico io e non come dici tu? E quando cominci a dire no, perché vuoi far sentire la tua voce, di colpo non sei più così simpatico e la tua compagnia non è più indispensabile. Torni a casa, decidi di essere più di pugno duro, decidi di far sentire sempre la tua voce, ad ogni costo, perché non vuoi più che qualcuno ti scavalchi senza il tuo permesso, né che si sogni minimamente di farlo senza aspettarsi una tua reazione, ma ti si ritorce tutto contro perché questo ti ha reso una persona scontrosa, che vuol sempre avere ragione e dire la propria, quindi non proprio la compagnia ideale. È la terza volta. Sei stanco, ti ripeti di averci provato in ogni modo possibile, ma forse non è il mondo ad essere sbagliato e forse sei tu a non essere adatto, troppo diverso, troppo fuori dagli schemi, troppo impegnativo. Ecco allora che semplicemente preferisci stare da solo, ridurre al minimo i contatti ed esclusivamente con le persone che realmente ti capiscono, ma che non vedi né senti tutti i giorni perché, si sa, ognuno ha la propria vita da mandare avanti, e non sei il centro neanche del tuo mondo, figuriamoci di quello degli altri.

Poi, dal nulla, trovi qualcuno che riesce ad accettare anche i tuoi giorni no, i tuoi momenti odiosi, i tuoi silenzi e il tuo sparire nel nulla per giorni per poi riapparire come se niente fosse, perché quando ti rintani a leccarti le ferite non distribuisci volantini di avvisi e comunicazioni di servizio. Però, la tua assenza qualcuno la nota. Quando finalmente esci fuori dal tuo guscio, trovi ad aspettarti qualche sorriso, che ti fa veramente venire voglia di piangere di gratitudine perché, alla fine, qualcuno che ti ha capito e ti aspetta lì senza fartene una colpa, allora esiste. E poi c’è tutto il resto, la gran parte di sguardi attoniti di chi pensa “che persona bizzarra”, senza però intenderlo come un complimento (cosa che per me è in realtà, ma essendo io una persona bizzarra credo che il mio sia un giudizio un po’ di parte).

Vorrei scrivere ancora, della mia famiglia che continua a credere in me nonostante mi venga sempre ripetuto di essere uno spreco di potenziale, cosa di cui sono consapevole, ma vigliaccheria e codardia sono parte di me, non mi è mai riuscito di liberarmene, credo che a questo punto debba solo accettarle e imparare a conviverci.

Vorrei avere più coraggio; non solo per fare cazzate, di quello ne ho da vendere. Vorrei avere il coraggio di credere un po’ di più nelle mie capacità, di poter conquistare il mondo. Che poi non sia vero, poco importa: ti fa sentire bene, per una volta, per un momento, credere di essere davvero la versione migliore di te stesso. Poi mi ricordo di mentirmi, e ancora una volta lo accetto a spalle basse, perché anche questo è parte di me. Ignoro i problemi, ignoro i sentimenti, non affronto il dolore… mentirmi, cosa vuoi che sia?

Vorrei scrivere ancora, delle tante delusioni che pian piano hanno demolito il mio castello di carta. Sono rimasti soltanto coriandoli, e neanche più tanto colorati. Si sono ingrigiti, avvizziti, morti proprio come un po’ mi sento dentro io. Una volta me l’hanno anche detto, “sei morto dentro”, perché l’assoluta apatia e assenza di sentimenti diversi da cinismo e sarcasmo è arrivata ad un livello di esplicitezza plateale. La cosa mi fa ancora sorridere (è sempre un sorriso amaro, però un po’ almeno questo mi diverte).

Vorrei scrivere ancora, perché il mio respiro non è più pesante come lo era un’ora fa. Scrivere mi aiuta sempre. E poi, quando scrivo lo faccio per me. Non immagino mai un lettore, un destinatario, ma magari potrebbe essere utile per qualcuno che, chissà dove, prova cose simili alle mie e si sente incompreso quanto me. Leggere mi ha da sempre aiutato a combattere la solitudine, a sentirmi a casa in posti lontani, dentro a pagine perdute. Leggere e ritrovarsi tra righe, frasi, emozioni, ti salva davvero la vita. Perciò, se leggi e ti sembra, anche soltanto un po’, di guardarti allo specchio, spero possa aiutarti a sentirti meno solo.

Vorrei scrivere ancora, ma credo di aver fatto un piccolo passo avanti, oggi. Credo di aver aperto una scatola, seppur piccina, ma ho come la sensazione che adesso sia vuota e ciò che imprigionava adesso non c’è più. Quindi, oggi va bene così.
Leggere ciò che provo attraverso le mie parole mi lascia sempre una sensazione strana. Non mi piace rileggere quello che scrivo. Sono flussi di coscienza, non dovrebbero subire correzioni. Probabilmente ci saranno errori qua e là, ma mi sta bene: l’errore più grande lo commetto già ogni giorno.
Però, sto imparando a conviverci.
 
  
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