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Autore: Shinushio    07/09/2009    36 recensioni
Dedicata a LadyWay
« Kai, cosa faremo domani? »
Silenzio.
« Non lo so, quello che vuoi. » rispose infine ridendo allegramente: ormai ero abituato a sentirmi dare anche il contentino, Yutaka era troppo buono per negarmelo.
« Allora giocheremo a palle di neve davanti alle scuole superiori, poi andremo a mangiare un gelato ed infine torneremo agli studi della PS Company per comporre una nuova canzone... »
Ancora silenzio.
« …poi andremo a comprare un cane, gli insegnerò a recuperare il bastone, infine mi spiegherai come cucinare il dessert alle fragole che piace tanto a Reita, così magari riuscirò a farmi perdonare da lui... »
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kai, Ruki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Broken' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Note dell’autrice:

 

Sono molto affezionata a questa fiction, sebbene sia infinitamente più corta rispetto a quelle che posto di solito.

Mi sono commossa mentre la scrivevo, anche se rileggendo non mi è sembrata poi un granché: avrei preferito tenerla per me e non è detto che non la cancellerò dal mio account, data la delicatezza e le emozioni troppo personali di cui sono pregne tutte le parole che state per leggere: forse vi potrà sembrare scontata, banale e quant’altro, ma davvero io la amo con tutta me stessa – da considerare inoltre il fatto che non ho curato come al solito il lessico e la grammatica. Ero troppo presa dalle emozioni e avevo paura che, integrando il tutto, avrei perso il sentimento che avevo provato stendendo questa shot-

Se vedo che piacerà anche a voi e che condividerete i miei pensieri, la lascerò.

Buona lettura. 

 

 

La colonna sonora di questa fiction è costituita da “Hikari”, di Elisa (prima sigla di chiusura di Nabari), “Only time e “Book of Daysdi Enya.

 

 

 

Dedico la fiction a me stessa (perché cavoli, avevo bisogno di qualcosa scritto su Takanori) e a LadyWay, malgrado non sia uno dei suoi Gaze preferiti (o almeno così mi è parso di capire, dato che scrivi solo su Uruha ed Aoi. Perdonami cara e accontentati di questa shot per il momento).

Con tutto il cuore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

~Icaro~

 

“In the end…

 

 

 

Nevicava quella sera, anche se il mio corpo, ormai troppo stanco e provato dalle fatiche di tutti i giorni, non riusciva a percepire i cristalli ghiacciati sciogliersi al contatto con la mia pelle. Che ci fosse il sole, oppure la pioggia, per me non faceva più alcuna differenza.

 

 

«Prendi la sciarpa prima di uscire Taka-chan; non vorrei ti buscassi un raffreddore… »

 

 

La voce calda ed affettuosa di Kai, un eco nella mia memoria così terribilmente labile, mi trafisse senza pietà lì dove si suppone batta il cuore.

Continuai a camminare dritto davanti a me, senza alzare lo sguardo dalle strade accalcate di Tokyo. Il mondo aveva perso i suoi colori e tutto era diventato amorfo e privo di consistenza, un inferno senza luci ed ombre: non c’erano più né il bianco né il nero, improvvisamente ogni cosa si era tinta di grigio.

Nessun odore.

Nessun suono.

Mi trovavo immerso nel vuoto assoluto.

 

 

« Ehi, ma dove stai andando? Dovevi cucinare tu stasera, ricordi? »

 

 

No, Reita, non ricordavo e neanche mi interessava farlo. Che scopo aveva continuare ad alzarsi la mattina, mangiare e svolgere le mansioni di tutti i giorni se alla fine della giornata vi era il nulla? Il buio totale? L’avvilente consapevolezza di aver buttato in pasto ai cani tutto ciò in cui credevi, i tuoi pilastri?

Che senso aveva continuare a vivere senza i propri sogni?

 

 

«Esco a fare quattro passi. Torno fra un po’… »

 

 

Non avevo neanche guardato i miei amici per quella che sapevo sarebbe stata l’ultima volta. Non mi era importato di leggere sui loro volti la preoccupazione che, da un anno a questa parte, alzando lo sguardo su questi, vi trovavo impressa sopra: ero scappato da casa indossando il cappotto che Uruha mi aveva regalato a Natale e i guanti ed il berretto di lana donatomi da Aoi qualche giorno prima.

Buffo, a pensarci bene: dopo anni di collaborazione e nottatacce trascorse a realizzare nuove melodie, ridendo e scherzando sul nulla, solo ora mi rendevo conto di quanto la loro presenza mi avesse aiutato a superare le varie difficoltà che, tempo addietro, avevano sbarrato il nostro cammino.

Mi affiancai al marciapiede, guardando distrattamente il traffico snodarsi sulle vie della città e la folla ignorarmi come non aveva mai fatto: la vita mi era scivolata tra le dita senza che le mie mani riuscissero ad afferrarla e salvarla dalla distruzione totale. Accecato dai sogni di gloria avevo rinunciato alla mia umanità, svuotando rapidamente il mio cuore di tutti i valori che mi erano stati insegnati a tempo debito da quelli che in genere ogni figlio chiama genitori.

Mi ero venduto al diavolo.

 

 

«Taka-chan, venerdì festeggiamo il Natale tutti insieme. Tuo fratello Mitsuno si sposa il giorno dopo, ricordi? »

« Mi spiace mamma ma sono occupato col lavoro, davvero non riesco a liberarmi. »

 

 

La consapevolezza di aver sacrificato tutto, a partire dalla famiglia, per seguire il più grande desiderio che avessi mai ambito a coronare, non mi aveva mai sfiorato più di quel tanto durante questi anni: alla fine ce l’avevo fatta, i GazettE avevano sfondato nel mondo della musica e si erano creati un nome ben guardato ed amato dalla folla. Titoli come “Cassis” o “Chizuru” ci avevano elevato lì dove nessuno era mai arrivato, permettendoci di assaporare appieno il gusto dell’immortalità e della gloria.

Quello era il mio sogno, o meglio fu.

 

 

« Takanori la mamma sta male, ieri sera è stata portata all’ospedale: riesci a raggiungerci? »

« Dammi solo il tempo di revisionare gli ultimi arrangiamenti a una canzone, papà. »

 

 

Non riuscii ad arrivare in tempo.

Al posto del sorriso dolce di quest’ultima, trovai ad attendermi una tomba nera e fredda, il ricordo di colei che mi aveva dato alla luce e che negli ultimi tempi avevo ignorato e trascurato come fosse un'estranea o, peggio, un peso.

La raggiunsi due mesi dopo la sua morte.

 

 

Non avevo pianto, ci aveva pensato il cielo a farlo: troppo preso dal lavoro e dal bramare sempre più, avevo dimenticato cosa significasse essere un uomo, avere dei legami e voler bene a qualcuno.

Come in quell’antico mito greco, come quel ragazzo di nome Icaro, accecato dalla fama mi ero spinto sempre più in alto in cerca della luce che solo i palchi e il flash delle macchine fotografiche erano in grado di darmi.

Insofferente ed avido, mi ero gettato a capofitto nella notorietà, cominciando ad ignorare e snobbare persino i miei compagni di band: nel grande mondo delle luci e della ribalta esistevo solo io, non c’era spazio per gli altri e mai ce ne sarebbe stato.

 

 

Egoista

 

 

Continuai a passeggiare apaticamente fissando il vuoto innanzi a me, non prestando la benché minima attenzione alle urla o alle risa che mi schernivano di tanto in tanto, quando qualcuno effettivamente riconosceva la mia figura tra le altre.

Mi meritavo davvero tutto questo?

Scossi la testa permettendo a una lacrima di sfuggire al mio controllo: quante ne avevo versate da quando quell’incubo era cominciato?

Quante, invece, ne avevo fatte versare a coloro che, malgrado tutto, mi amavano ancora?

 

 

« Takanori è nata tua nipote Chidori. Mitsuno e Rose stanno aspettando una tua visita… »

Sbuffai annoiato all'udire una notizia così semplicemente inutile.

« Non adesso papà, sta per uscire il nuovo CD e, tra una cosa e l’altra, non riesco neanche ad andarmene dagli studi di registrazione.»

L’uomo sospirò dall’altra parte della cornetta: praticamente, quello era l’unico mezzo attraverso il quale riuscivo ad avere notizie dei miei cari, dato che non li vedevo più da.. uhmmm, esattamente quanto tempo?

« Non puoi o non vuoi? »

« Non ricominciare, non ho alcuna voglia di litigare. » ribattei distrattamente continuando a laccarmi le unghie di nero: che spreco di tempo quella conversazione.

« Non sei riuscito a raggiungerci neancheper il funerale di tua madre... »

« Mi dispiace.» borbottai soffiando sullo smalto fresco: tra meno di un’ora avrei avuto un servizio fotografico, seguito subito dopo dall’ennesima intervista. Dovevo pensare a qualcosa di elettrizzante da dire, una di quelle cose sulla quale ogni fangirl ci avrebbe sospirato sopra per mesi e mesi.

«Mi chiedo se sia vero… »

« Cosa vuoi dire? »

« Voglio dire che tu non hai più bisogno della tua famiglia mentre lei… –si interruppe per qualche secondo, prima di riprendere con voce commossa -…lei ha ancora bisogno di te. »

 

 

Quella fu l’ultima volta che sentii la voce del vecchio ed ebbi nuove su mio fratello, sua moglie o mia nipote, che tra l’altro non riuscii mai a vedere: la musica era diventato tutto per me, ben più importante dei miei familiari ed amici. Loro avrebbero potuto aspettare, già… proprio come mia madre.

Non avrei rinunciato a quell’universo di luci al neon che tanto adoravo e veneravo, malgrado fossi  consapevole degli errori che stavo commettendo.

La mia coscienza era putrefatta ma non me ne curavo. Ero soddisfatto.

 

 

«A quanto pare, l’ultimo singolo che abbiamo lanciato sul mercato non ha avuto molto successo… » constatò Aoi guardando i dati registrati sul computer.

 

 

Fu l’inizio della fine

 

 

Come uno zombie, proseguii la mia marcia senza sapere esattamente dove i miei piedi o il mio subconscio mi stessero guidando: ben presto abbandonai le vie illuminate di Tokyo per incamminarmi verso la baia della metropoli, incurante del vento che solleticava i radi ciuffi sfuggiti alla morsa della cuffia di lana.

Il giorno in cui i GazettE caddero definitivamente, sentii il peso dei miei sogni e dei miei sbagli gravarmi sulle spalle come macigni.

Quel giorno, sentii chiaramente qualcosa rompersi dentro di me e lasciare questo mondo per sempre.

 

 

« Takanori andiamo via di qui. »

Kai mi porse la mano amichevolmente, reggendo nell’altra un enorme scatolone contenente vecchi testi di canzoni ed altri nuovi che la band avrebbe dovuto lanciare a breve sul mercato multimediale.

« No, non è ancora finita! » esclamai disperatamente afferrando un foglio di carta e una penna: l’inchiostro bluastro macchiò la pagina disegnando nuove e tremolanti note senza capo né coda, un susseguirsi di sbagli che non avrebbero dato vita a niente di buono.

Proprio come la mia esistenza.

« Non può essere! » urlai appallottolando lo scritto e osservando i miei amici, tutti davanti a me, pronti per abbandonare la sede della PS Company.

Definitivamente.

« Andiamo a casa Takanori. » mi disse Uruha con un sorriso falso dipinto sulle labbra.

«No. Non è vero. Non può essere finita. Non può! »

« ADESSO BASTA RUKI! »

La voce di Reita mi raggiunse gelida e crudele, venendo a stanarmi nell’angolo freddo e umido nel quale mi ero nascosto per sfuggire alla realtà.

« I GazettE sono morti e sepolti, fattene una ragione e datti una mossa: dobbiamo andarcene da qui il prima possibile! »

Sgranai gli occhi mettendomi le mani tra i capelli e cominciando a tirarli fino a strapparmene via a ciuffi.

«Perché? PERCHE’?!? » strillai con tutto il fiato che avevo in gola.

Aoi scrollò le le mani eloquentemente issandosi alla meglio la chitarra elettrica sulle spalle.

«Non ha alcun senso chiederselo ora, no? »

Ancora una volta, Kai si protese in mia direzione asciugandomi l’unica lacrima che era sfuggita al mio controllo.

« Andiamo Takanori. Ricominciamo insieme. »

 

 

...

 

 

 

 

 

 

Ricominciare?

 

 

Mi ero chiesto più volte come e quando avessimo sbagliato, sempre giungendo alla medesima conclusione: era stata solo ed unicamente colpa mia, colpa dei miei desideri e dei miei sogni troppo luminosi per un essere umano.

Come Icaro, una volta avvicinatomi troppo al sole, le mie ali si erano sciolte facendomi planare in un baratro profondo dal quale non sarei più stato in grado di riemergere. Dopo essermi librato in aria per troppo tempo ed aver osservato il resto del mondo dall’alto, avevo imparato a dimenticare cosa significasse camminare in mezzo agli altri, confondermi tra la folla ed essere additato come una persona “normale”, dopo aver avuto la presunzione di credermi forse un nuovo Dio di questo mondo.

Avevo sognato per troppo tempo e alla fine ero stato inghiottito e ucciso dei miei stessi sogni, dalla luce che avevo tanto amato e dalle effimere illusioni che avevo costruito intorno a me come castelli di sabbia.

Ricominciare, aveva detto Kai: dopo aver sacrificato la mia famiglia, i miei amici e la mia umanità, come poteva anche solo pensare che sarei riuscito a rifarmi una vita?

Finalmente alzai lo sguardo realizzando dove mi trovassi: un ponte. I miei piedi mi avevano condotto sino a un ponte.

Inclinai la testa svogliatamente, avvicinandomi alla ringhiera e guardando al di sotto: il mare scorreva elegantemente tra i pali, si increspava quando le onde, dopo essersi rincorse tra loro, si incrociavano combattendo arduamente per sopraffare l’altra.

Una battaglia persa e priva di significato, esattamente come la mia vita.

Lentamente, mi arrampicai sul corrimano e mi sporsi verso il vuoto anzi a me: l’aria fredda mi accarezzò il volto, perfida tentatrice.

Scrutai l’orizzonte sconfinato, pronto per aprire le braccia ed abbandonarmi alla redenzione dei peccati. Solo ora che avevo perso il controllo della mia vita mi rendevo conto di quante cose avrei voluto fare nel corso di questa: creare nuove canzoni,  trovarmi una moglie, costruirmi una famiglia, farmi perdonare dalla mia, imparare a suonare il basso, riconquistare la fiducia dei miei amici, capire come dire “ti voglio bene”, parlare meglio l’inglese, fronteggiare Reita e il suo odio, andare in Italia a mangiare gli spaghetti e tornare a sorridere come ormai non ero più in grado di fare da troppo tempo.

 

 

« Sono un po’ preoccupato per Takanori ragazzi, voi non credete che si stia comportando in modo un po’ troppo strano? »

Mia madre mi aveva insegnato che era maleducazione origliare i discorsi altrui ma a volte il caso, mischiato alla pazzia di un uomo ormai ridotto solo all’ombra del Dio che fu, poteva far commettere delle pazzie a chiunque.

Deglutii acquattandomi meglio e tendendo l’orecchio.

« Dagli un altro po’ di tempo e vedrai che si riprenderà completamente, Kai: non è facile per lui accettare che ormai i Gaze siano un capitolo chiuso; vedrai che alla fine si riprenderà del tutto. » rispose Aoi continuando a sfogliare apaticamente una rivista di musica e studiando i volti che questa quel giorno offriva.

La nuova scuola, per così dire, quel branco di incompetenti che aveva attirato l’attenzione su di sé rubandoci tutti i riflettori e la corrente.

« Non so, non sono convinto… »

« Tu ti preoccupi troppo. » intervenne Reita con voce annoiata. « Dopotutto stiamo parlando di Ruki, no? Il pezzo di ghiaccio che non si scioglie neanche se lo metti nel forno. »

Soffocai un groppo in gola perdendo completamente il controllo del mio corpo: le mani cominciarono a tremare senza ritegno mentre calde ed dense lacrime scendevano lungo le mie guance offuscandomi la vista.

Era così che i miei amici mi vedevano?

« Non so, non ne sono convinto: ormai va avanti da troppo tempo per poter essere considerato “normale”… » ribatté il batterista lasciandosi cadere su una poltrona.

« E se lo portassimo da uno psicologo? » propose Uruha di punto in bianco intervenendo nella discussione.

Sgranai gli occhi scuotendo la testa sconvolto: no, no, NO! Come potevano pensare una cosa del genere?

« Sì, potrebbe essere un’idea… » decretò il moro con una certa tranquillità, appoggiato subito dopo anche dall’ex bassista.

No, no, NO!

« Takanori non accetterà mai e voi lo sapete meglio di me… » rispose Yutaka amareggiato.

Smisi di singhiozzare come un bambino ed attesi la risposta degli altri, tremando terrorizzato al pensiero di come si stessero rivolgendo a me, colui che un tempo li aveva trascinati sotto la luce della ribalta e della celebrità.

I GazettE erano nati per merito mio! MIO! Come potevano trattarmi così? Come una bambola o un peso morto divenuto troppo fastidioso?

« Hai in mente qualche altra idea Kai? Se sei così preoccupato, perché non te ne occupi tu? Francamente io mi sono rotto i coglioni di tenergli la manina per accompagnarlo al bagno. » sostenne astiosamente Ryo. « In fondo, non puoi certamente dire che sia sempre stato corretto nei nostri confronti: perché noi adesso dovremmo esserlo? Ma sì, schiaffalo dallo psicologo e chiudiamo qui la faccenda. »

Il mondo mi crollò addosso mentre mi rialzavo e mi allontanavo privo di forze risalendo le scale del nostro nuovo e squattrinato appartamento: non potevo dargli torto, sapevo di essermi comportato male in più di qualche occasione, screditando il nome dei miei band-mates a favore del mio e minacciandoli con la scusa della carriera da solista.

La fama mi aveva trasformato in un mostro, vero, ma non per questo avrei accettato di piegarmi all'umiliazione dello strizzacervelli.

No.

Udii per caso le ultime parole di Kai, il quale cedette innanzi alle motivazioni, seppur mal esposte, dell’amico.

« Va bene, avete vinto. Proveremo a introdurgli la cosa dopo cena, tanto stasera tocca a lui cucinare, no? »

 

 

L’ennesima lacrima solcò il mio volto pallido e stanco, mentre le mie mani frugavano inconsciamente nelle tasche della giacca estraendone il vecchio cellulare che avevo ricevuto in dono da mia madre qualche anno fa, prima della sua morte e della nascita della band.

Non mi chiesi cosa stessi facendo, né il motivo per cui lo stessi facendo: digitai il numero di casa -se così potevo ancora permettermi di chiamarla- attendendo una risposta da uno qualsiasi dei miei coinquilini.

Forse tentavo solo di illudermi, credere che nonostante tutto domani sarebbe stato un bel giorno, che il sole mi avrebbe bagnato nuovamente il corpo strappandomi un sorriso. Desideravo ingannarmi e sprofondare nella menzogna che, malgrado tutto, avessi ancora degli amici e qualcosa da fare nella vita.

Volevo sperare.

 

 

Improvvisamente,

ricominciai a sentire freddo.

 

 

« Pronto? »

Sorrisi tristemente tirando su col naso.

« Ciao Kai, sono io. »

« Takanori? Dio santissimo, ci hai fatto preoccupare! Ma dove ti sei cacciato? La cena è pronta da un’ora ormai! » esclamò sollevato.

Mi dondolai sul posto rimanendo in equilibrio sulla ringhiera sottile e guardando il vuoto davanti a me: il mare mi stava chiamando, ciononostante provai a ignorarlo tergiversando e concentrandomi sulla voce calda e rassicurante del batterista.

« Kai, cosa faremo domani? »

Silenzio.

« Non lo so, quello che vuoi tu… » rispose infine ridendo allegramente: ormai ero abituato a sentirmi dare anche il contentino, Yutaka era troppo buono per negarmelo.

« Allora giocheremo a palle di neve davanti alle scuole superiori, poi andremo a mangiare un gelato ed infine torneremo agli studi della PS Company per comporre una nuova canzone... »

Ancora silenzio.

« …poi andremo a comprare un cane, gli insegnerò a recuperare il bastone, infine mi spiegherai come cucinare il dolce alle fragole che piace tanto a Reita, così magari riuscirò a farmi perdonare da lui... »

Kai attese che avessi terminato il mio sproloquio prima di azzardarsi a dire qualcosa: probabilmente doveva considerarmi uno squilibrato o qualcosa dedi simile, vista la pazienza immane che ci metteva nel cercare di farmi ragionare o trattarmi alla pari degli altri.

« …Takanori c’è una cosa di cui ti dovrei parlare… »

Oh, ti stavi riferendo allo psicologo Kai? Allora avresti potuto risparmiarti la fatica: sapevo già tutto.

Respirai affannosamente portandomi una mano alla gola e soffocando il desiderio di scoppiare a piangere o urlare.

« Yutaka tu credi che gli uomini possano volare? » gli domandai all’improvviso tornando a guardare lo strapiombo a un passo da me: il canto delle sirene, celato tra le onde dell’oceano, mi chiamava.

Lui non rispose immediatamente, forse cercando di capire dove sarei andato a parare.

« No. L’uomo non è Dio, Taka. »

Mi lasciai sfuggire un sorriso per nulla divertito.

Bugiardo. Io, te e gli altri lo eravamo diventati prima di perdere il controllo e venire sopraffatti dal corso degli eventi.

« Credi… credi che domani ci sarà il sole? » chiesi infine chiudendo gli occhi e abbandonandomi alla brezza marina.

« Sì, lo hanno detto anche alle previsioni meteo. Perché? »

« Perché sarebbe bello uscire tutti e cinque insieme e andare da qualche parte a divertirci… »

Mi immaginai il volto del castano contratto in una smorfia di puro stupore e felicità.

« Sì, sarebbe bello. Allora domani usciamo, va bene? »

Annuii soddisfatto.

« Va bene. »

« Ora però torna a casa, ok? »

Deglutii amaramente.

« Va bene. Arrivo subito… »

Addio…

Chiusi la chiamata e allungai la mano verso il vuoto, lasciando cadere il telefono che andò a inabissarsi sul fondo del mare.

Mi sarebbe piaciuto arrivare al domani, Kai, vedere se effettivamente ci sarebbe stato il sole ed andare a mangiare il gelato nella caffetteria all’angolo, ignorando il freddo pungente e il venticello fresco che avrebbe accarezzato i nostri volti.

Avrei desiderato rivedere un’ultima volta i miei compagni e farmi perdonare per il terribile anno che vi avevo fatto passare, ma sapevo bene che la mia coscienza e il mio orgoglio me lo avrebbero impedito.

 

 

“Ma adesso rimedierò finalmente a tutti i miei sbagli.”

 

 

Alzai le braccia al cielo e spiegai le ali di cera, esattamente come fece Icaro prima di spiccare il volo e planare verso l’infinto. L’orizzonte nebuloso mi restituì lo sguardo e, finalmente, mossi il passo decisivo che avrebbe dimostrato a Kai che gli uomini erano in grado di volare.

Forse domani ci sarebbe stato davvero bel tempo: già, perché la scomparsa di Takanori Matsumoto avrebbe reso il mondo un posto migliore.

 

 

“Perdonatemi…”

 

 

 

 

Takanori Matsumoto saltò nel vuoto sorridendo felice per la prima volta dopo troppo tempo.

Si sentì un Dio mentre sprofondava nelle acque gelide e moriva di secondo in secondo, trafitto e soffocato dai suoi stessi sogni.

Le sue ali si spezzarono, incapaci di reggere il peso della sua presunzione, tuttavia, qualcuno riuscì a piangere la sua scomparsa il giorno seguente.

Un freddo e nevoso primo di Febbraio.

 

 

 

 

 

 

…he flew like an human”

 

 

 

 

 

 

Conclusione:

 

Non trovo le parole per esprimermi o chiudere questa shot, ma ci provo lo stesso lasciandovi qualche chiarimento: la frase finale …he flew like an human”, si ricollega a quella iniziale citata sotto il titolo, ovvero “In the end…

Alla fine egli volò come un umano. Credo che questa frase riassuma perfettamente il contenuto della storia: come detto da Yutaka, gli uomini NON possono volare e questo sottolinea il fatto che Takanori, pur sentendosi superiore agli altri, un angelo o forse Dio, alla fine non ha spiccato alcun volo divino, ma si è semplicemente buttato da un ponte.

Mi sento in vena di drammaticità, ne avevo terribilmente bisogno dal momento che ultimamente sto scrivendo troppe cose allegre.

Ringrazio vivamente chi commenterà questa shot e mi darà un parere sincero su cosa ne pensa: io non sono letteralmente in grado di sbilanciarmi (oltretutto è la mia primissima rating verde!).

A già: dato che non ero soddisfatta della tragicità raggiunta fino alla fine, ho messo che morte di Taka è avvenuta a cavallo tra il 31 di gennaio e il giorno del suo compleanno, ovvero il primo di febbraio.

Grazie e a presto.

 

 

Mya parla (e piange): io davvero non so che dire.

Sto piangendo come una povera idiota e Shin, mi spiace di rovinare il finale di questa… Hide. Oddio no, non so cosa scrivere.

Sapevo che se tu ti eri sconvolta tanto scrivendola io ci sarei rimasta letteralmente di sale. Porca troia, quel nano che dice che vuole preparare il dessert con le fragole per farsi perdonare da lui… mi hai distrutto Shin. E nessuno fin ora vantava di questo primato.

Tu mi hai distrutto. Definitivamente.

E non ti lamentare se per il resto della serata sarò un ammasso brodoloso di lacrime e sentimenti.

Non so cos’altro aggiungere.

Adesso mi rimetto a piangere.

 

Grazie

 

   
 
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