Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Tomoe_Akatsuki    13/05/2022    0 recensioni
Dolore. Palpabile, come la pelle che stava accarezzando, nonostante volesse morderla, farla a pezzi.
Il dolore era quello che li legava al momento - e che lo avrebbe fatto a lungo, forse fino alla loro fine.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Chissà quante volte aveva aperto quella porta, l'aveva sorprassata - per entrare o uscire - e l'aveva chiusa alle sue spalle.
Tante, molto probabilmente. Troppe, sicuramente.
Forse era per quello che l'aveva lasciata come ultimo luogo dove cercare. O forse era per il dolore fresco che lo solcava - nella carne e nell'anima. Ma la sicurezza che Hanji fosse lì era pari a quella che, quello stesso giorno, il Corpo di Ricerca era morto - sarebbe stato a loro, ai nove supersisti, a Hanji farlo risorgere, anche più splendente prima.
Forse era per questo che l'aveva lasciata come ultima stanza in cui cercare. O forse perché non voleva affrontare - mentre girava per il quartier generale, nel suo subconscio aveva creato tutte le alternative e varianti possibile - quella conversazione che premeva di essere fatta sin da quando avevano lasciato Shiganshina, che non era stata espressa per via delle burocrazie - il rapporto della missione ai superiori, la consegna dei libri trovati nella cantina, l'elenco dei morti.... - e principalmente per il dolore che c'era dietro, il vero motivo per cui doveva essere affrontata.
Con un sospiro, si decise ad entrare nello studio di Erwin.

«Sai... È un po' ingrato da parte tua andartene così, Erwin.»
Gli stivali poggiati sulla scrivania, gli occhiali poco più in là, Hanji sedeva con il busto mollemente appoggiato allo schienale, lo sguardo vacuo rivolto ad un ritratto del precedente Comandante.
«Soprattutto in questa maniera così teatrale! Non ti facevo quel tipo di persona..... Me lo sarei aspettato più da me, non da te.» ridacchiò - c'era del sapore amaro, ma non abbastanza da cogliere il dettame del dolore. «Guidare una carica a cui sei sopravvissuto solo tu, nonostante sei stato il primo ad essere colpito. Essere trovato vivo ed avere la possibilità di salvarsi. Per poi mormorare una frase - deve essere stato qualcosa di epico, se vogliamo stare in tema - e morire così, una domanda sulle labbra, a cui non troverai risposta.»
Un altro sorriso amaro, l'unico occhio rimasto ancora più vaquo, in castano che diventava sempre più grigio.
«Hanji.» disse Levi, delicatamente. C'era uno strano equilibrio, una strana atmosfera nella stanza, che lo faceva sentire un intruso, la causa della sua distruzione.
Ma la donna non parve sentirlo, poiché continuò il suo monologo rivolta al dipinto.
«Inoltre, con questa morte in grande stile - che ripensandoci, sembra parte di uno dei tuoi piani contorti, di una delle tue scommesse -, hai lasciato un sacco di burocrazia di cui occuparsi. E devo farlo io, che mi perdo nei miei stessi appunti!»
Questa volta fu il turno di una risata grassa, ma falsa. Tremendamente falsa, da cui si poteva percepire le crepe lungo il suo corpo.
«Forse nominarmi Comandante è stato la tua scelta peggiore.»
«Ohi Hanji.» chiamò Levi con il suo solito tono deciso e scocciato.
L'occhio di Hanji, nel vederlo, perse un po' della sua opacità, non raggiungendo comunque il suo splendore naturale.
«Oh, Levi!» esclamò «Quando sei entrato?» chiese, tirando giù i piedi dalla scrivania, tentando di dare l'impressione di una persona che non avesse passato l'ultima mezz'ora a parlare con un dipinto - una persona non rotta dal dolore.
«Un attimo prima che ti chiamassi.»
Un attimo era un po' riduttivo, ma era soggettivo. Poteva significare dieci minuti, due secondi. Dipendeva dall'interpretazione. Diciamo che in questa maniera, lui non specificò il tempo esatto
«Oh.» Hanji rise, una risata che avrebbe dovuto alleggerire la tensione - si stava formando poco alla volta, come un filo che si tende - e suonare imbarazzata «Sto seriamente perdendo colpi, se non me ne sono accorta.»
Non stai perdendo colpi, sei semplicemente a pezzi era quello che avrebbe voluto dirgli Levi, ma evitò - sarebbe sembrato troppo sentimentale da un tipo come lui.
«Devi medicare la ferita.» le ricordò, sviando il discorso - era anche quello il motivo per cui l'aveva cercata.
«Oh, giusto! Me n'ero totalmente dimenticata!»
Non che fosse una novità - soprattutto da parte sua - ma quelle esclamazioni continue, segnavano qualcosa, una perdita di attenzione alla realtà. E Levi non poteva chiederglielo. Non in quel momento.
«Andiamo, quattrocchi. Ti aiuto io.» disse facendole segno di seguirlo.

Non era la prima volta che uno medicava le ferite all'altro - era successo innumerevoli volte, soprattutto dopo che la squadra di Levi era stata affiancata a quella di Hanji per poter catturare i Giganti vivi e poterli studiare.
Ma al contrario delle altre volte - coronate di risate, commenti, osservazioni da parte della castana, risposte e battute acide da parte del moro - c'era silenzio. Un silenzio praticamente doloroso, specchio di quello che erano all'interno, dietro alle loro maschere.
Con gentilezza - quella che sembrava avere mai, né con le persone, né sul campo di battaglia - Levi svolse l'operazione, attento ad eventuali infezioni o segnali negativi provenienti dalla ferita. Hanji gliene fu grato - quella piccola attenzione che mise nei movimenti, la rese un po' più lucida, un po' più calma, in grado di sostenere quello che gravava su entrambi.
«Levi..... Perché...» un attimo di esitazione. Voleva scegliere le parole giuste, non voleva ferirlo - aveva visto come quella scelta pesasse su di lui e non voleva aggiungere altro peso - «Perché l'hai lasciato morire?» chiese Hanji, quando Levi le diede le spalle, intento a riporre il necessario per la medicazione.
«Il vero motivo, intendo.» specificò, e le spalle di Levi si irrigidirono a quelle parole.
Non parlò - né lui, né lei.
Levi era un tipo di ben poche parole - lei sapeva che lui aveva bisogno di un attimo per assimilare la domanda, soprattutto su un argomento del genere -, e Hanji dal canto suo parlava troppo - ma era consapevole che non servivano parole al momento. Non sue, soprattutto.
«Perché gli ho promesso che avrei onorato la sua morte, uccidendo il Bestia. Ma non l'ho fatto.»
Non non ci sono riuscito, ma non l'ho fatto.
Levi era un uomo consapevole delle sue capacità, che manteneva le sue promesse - era successo solo una volta che non lo facesse, nuovamente dettato dal dolore - ed era bruciante ammettere di non averlo fatto. Hanji lo vedeva, il marchio bruciare, sfrigolare, quasi sentì l'odore di carne bruciata talmente era una sensazione vivida.
«Gli ho promesso che l'avrei lasciato andare via da questo inferno se avesse guidato la carica, che la domanda di cui si era ubriacato per tutto il tempo avrebbe avuto una risposta nonostante lui fosse morto.»
Rilassò i pugni che aveva stretto - per rabbia verso sé stesso, non si permetteva di compatirsi -, per poi voltarsi verso Hanji, ponendo quella domanda che lo assillava da tutto il giorno - da quando aveva presa quella scelta.
«Senti il loro sguardo su di noi, Hanji?»
Lei ridacchiò, la risata più amara che avesse mai sentito da lei - una di quelle che se non fosse stato un uomo temprato dal dolore, l'avrebbe fatto scoppiare a piangere. Silenziosamente, ma le lacrime che scendevano comunque, il dolore che cercava di uscire, ma artigliando solo di più il corpo martoriato.
Hanji alzò lo sguardo dalle mani congiunte, i gomiti poggiati sulle ginocchia, una posizione spudoratamente da persona rotta.
«Li vedo, Levi. Li vedo osservarci, in attesa di una risposta alla loro domanda.»
La nostra morte è stata utile?
«Li vedo da quando sono diventata consapevole di essere Comandante, di dover dare loro un significato. Ed Erwin è lì davanti» allungò il braccio sinistro, indicando un punto che sembrava casuale «che aspetta la prova che mi sono meritata la sua fiducia, la sua stima, come suo successore.»
Levi annuì. Li sentiva, quegli sguardi penetranti - Oruo, Petra e tutti gli altri uomini morti sotto il suo comando - che attraversavano l'anima da parte a parte, martoriandola ed aumentando ulteriormente la consapevolezza delle proprie azioni, il peso di esse.
«Quanto ci vorrà ancora, Hanji?» chiese, come un bambino perso, stanco.
Lei sorrise, mesta.
«Non ne ho la più pallida idea.»
Si alzò e si avvicinò a lui, lentamente, anche lei stanca.
«Dobbiamo ancora eliminare i Giganti rimasti, raggiungere il mare..... E sostenere una guerra contro il resto del mondo.»
Poggiò una mano sulla sua guancia, delicatamente, obbligandolo a guardarla in faccia, - ad osservare quello sguardo stanco, provato, quel sorriso mesto, triste, di chi sa che non ce la fa più ma deve andare avanti, con più peso di prima sulle spalle.
«Probabilmente non ne vedremo la fine, Levi.» mormorò.
Lo sapevano fin dall'inizio, fin da quando avevano deciso di entrare nel Corpo di Ricerca che i loro cuori sarebbero stati offerti a quella causa, anche a costo della morte.
«Lo so.» rispose semplicemente lui, poggiando a sua volta la mano su quella di Hanji - sentiva bisogno di quel contatto fisico, che gli diceva non sei solo, Hanji è ancora con te.
Hanji.
Che si chinò di poco, poggiando le labbra sulle sue, dolcemente, dolorosamente.
Che lo risvegliò dal torpore del dolore - dolore che diventò linfa vitale in lui, rendendolo vivo, sensibile alla realtà -, facendolo ricambiare quel bacio in maniera aggressiva - denti che si scontravano, che mordevano, lingue che lottavano - mentre artigliò i fianchi magri di lei, violentemente.
La sentì sotto il suo tocco tornare in vita - le mani di lei che gli si strinsero nei capelli, una tra quelli lunghi, una tra quelli corti a solleticargli la cute -, un brivido che la pervase, spingendola a cercare maggior contatto tra i loro corpi, schiacciandoli uno contro l'altro.
Il dolore, quello che li colmava fino a quel momento - erano un vaso pieno d'acqua che al minimo movimento avrebbe potuto straripare - che li aveva resi stanchi, pronti a lasciarsi andare a qualunque destino passivamente, era diventato la loro fiamma. Li alimentava, sempre più ardentemente - sarebbe diventato desiderio di lì a breve.
Un desiderio che spinse Levi portare le mani tra i capelli disordinati di Hanji, a sbottonarle il colletto della camicia, e mentre le mani continuavano la loro discesa, scoprendo, le sue labbra si posero aggressive sulla pelle del collo di Hanji, provocando altri brividi - brividi che la fecero solo sentire più viva, come se fino a pochi minuti prima fosse addormentata.
Dopo, fu solo un disordine di mani che sfilavano vestiti - che vennero lanciati per la stanza, creando il disordine più totale -, mani che toccavano curiose la pelle scoperta, corpi bramosi di contatto, labbra che si distruggevano a vicenda. Finché non si ritrovarono distesi con gli arti annodati sul letto, i capelli disordinati di Hanji che gli bloccavano la sua visuale, lasciandogli solo la possibilità di sprofondare in quell'occhio castano, che lo guardava lucido di troppe cose - dolore, eccitazione, speranza, tristezza - quando si decise a dare una tregua a quel bacio affamato.
Le sue dita, nuovamente sul bacino della castana, percorsero il fianco stuzzichevoli, facendo inarcare la schiena ad Hanji e poggiare il volto nell'incavo della spalla di lui, cosicché Levi si ritrovò ad essere stuzzicato a sua volta dal respiro sul suo collo. Respiro che venne sostituito da baci leggeri, veloci, e morsi occasionali, giusto per infanstidirlo.
Voleva provocarlo, dunque?
Non ci pensò due volte prima di afferrarla malamente - e aggressivamente - ed invertire le posizioni, scatenando una risata in lei - una risata genuina, niente di amaro dietro, o di doloroso.
«Cos'hai da ridere, quattrocchi?» chiese con tono serio, nonostante un sorriso si fosse formato sulle sue labbra - anche se aveva uno sfondo di non ben promettente.
«Mi hai fatto il solletico, ai capezzoli.» ridacchiò lei, con tono provocante.
Lui - ovviamente - portò lo sguardo ai suoi seni - niente di abbondante, ma sodi e orgogliosi - e anche alle sue labbra affiorò una risata.
Era buffo come il dolore avesse mutato la sua funzione - da qualcosa di distruttivo, a qualcosa di praticamente vitale. Ma era sempre il dolore che aggiungeva aggressività ai loro gesti - nel come le mani esploravano, stringevano, tracciavano sentieri ignoti, o i denti segnavano, marcavano, decoravano -, come se il dolore dell'anima dovesse diventare anche il dolore del corpo. E tutto sommato, ne erano soddisfatti - i suoni, i gemiti, i gesti stessi, la ricerca di quel piacere.
Forse fu il dolore a dirgli, a fargli capire l'importanza che l'altro aveva per loro - erano fianco a fianco da troppo, in tutto, e non avevano mai pensato a cosa ci fosse in mezzo a loro, quel filo sottile che li teneva legati.
Quando Hanji sentì la mano di Levi graffiargli la cosca - c'era una muta richiesta in quel gesto, seppur aggressivo - si sentì viva. Viva come quando scopriva qualcosa sui Giganti, viva come quando riuscì a catturare i suoi primi Giganti. Viva come lo era stata solo poche volte.
Si buttò a capofitto in quella sensazione, non pensandoci neanche una seconda volta. Si lasciò travolgere da essa - si lasciò travolgere dall'eccitazione, dalla sensazione di pienezza, di completezza, dalla lussuria pura.
E percepì un qualcosa che non si sarebbe aspettata - non in quella situazione (carne nella carne), e forse non neanche da quella persona.
C'era una delicatezza, un'accortezza di fondo nei gesti, che le disegnò un sorriso - era un sorriso che scioglieva, anche i più duri - sul volto.
«Levi» mormorò, sollevandogli il viso prendendo il suo mento tra indice e pollice. Lui fermò i suoi movimenti - attento a cogliere segnali negativi.
«Non avere paura di farmi male» disse, senza che il sorriso svanì.
Quegli occhi grigi - normalmente inespressivi - si allargarono, stupiti, quasi imbarazzati di essere stati colti nel profondo. Ma durarono solo un secondo, tornando ad essere velati dall'eccitazione nell'aria.
«Come sei?» chiese Levi, con voce roca, avvicinandosi al suo volto, soffiandogli quella domanda sulla pelle.
«Rotta. Sanguinante. Lacerata.» rispose lei - e il dolore tornò, prepotente invadente, traboccando in un bacio che aveva perso tutta l'umanità, in gesti che puntavano solo alla mera soddisfazione del desiderio ed ad essere dolorosi.
Come le unghie di Hanji nella carne della schiena di Levi. O i morsi di quest'ultimo, insieme alla sua stretta.
O le due sillabe sussurrate da Hanji, in quello che era un sospiro mezzo strozzato da un gemito - due sillabe che scatenarono un'esplosione, il tutto che uscì, riversandosi, strisciando, marchiando.
Violento.
Doloroso.
Con obbiettivo il sangue.
Perfetto.















 

"Rotta. Sanguinante. Lacerata." E mi parte Celebrity skin degli Hole, mentre scrivo quelle quattro parole. Spotify ha sempre quella tempestività tremenda.

Tomoe

 

   
 
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