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Autore: Ode To Joy    19/05/2022    0 recensioni
[Sherlock x William]
Non era intenzione di Billy lamentarsi ad alta voce della nuova situazione.
Ora che William era sveglio e stava recuperando gradualmente le forze, Sherlock sembrava più felice. Senza ombra di dubbio, era più vivace. Non stava un attimo fermo.
Se qualcosa nella vetrina di un negozio attirava la sua attenzione, era per Liam. Mezza New York non era adatta a Liam. Tutto doveva essere perfetto per il bene di Liam
.
Storia del graduale processo attraverso cui Billy arriva a comprendere la vera natura del legame tra Sherlock Holmes e William James Moriarty.
Blank Canvas III
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Sherlock Holmes, William James Moriarty
Note: AU, Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Blank Canvas '
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Through His Eyes 


 

New York, 1779

 

Billy impiegò un tempo infinito per salire tutte le scale che doveva.

Certo, sarebbe stato più cauto disporre di una qualche illuminazione, ma non voleva abusare troppo della pazienza di medici e infermieri. Ci pensava già Sherlock Holmes a farlo. Essere un agente governativo permetteva a Billy di entrare e uscire da quell’ospedale quando voleva e lo stesso valeva per l’Inglese, che non aveva misure nello sfruttare quella sua possibilità.

Il Governo aveva dato a Sherlock tutto il necessario per vivere a New York e, come da richiesta, a William James Moriarty non erano mancate le migliori cure che il Nuovo Mondo poteva offrire. Ciò nonostante, le volte che Sherlock era entrato nella stanza assegnatagli si potevano contare sulla punta delle dita. Billy era certo che se avesse avuto a sua disposizione un bagno per prendersi cura di sé, Sherlock si sarebbe trasferito nella camera d’ospedale di William senza chiedere il permesso. 

Billy era ormai abituato: se doveva parlare con Sherlock Holmes, era inutile perdere tempo e cercarlo nel suo alloggio. Aveva già fatto abbastanza giri a vuoto da sapere che il Detective non era mai dove avrebbe dovuto essere.

Ecco perché Billy arrancava su per quella rampa di scale nel cuore della notte: i Pinkerton avevano chiamato e Sherlock, nemmeno a dirlo, era al capezzale di William.

Quando raggiunse il piano desiderato, Billy non poté trattenere un sospiro di sollievo. Anche questa volta era riuscito ad arrivare senza fare capitomboli. Trovare la stanza del Professor Moriarty non era mai una vera impresa: la sua porta era la sola da cui usciva un filo di luce.

Perché Sherlock non si limitava a passare la notte accanto a William. No, gli parlava pure e, mentre lo faca, era strettamente necessario che vedesse con chiarezza il suo viso.

Di fatto, quando Billy si avvicinò all'uscio chiuso, non si sorprese di udire la voce gentile del collega dall’interno della camera d’ospedale. Mai una volta che usasse quel tono con lui o con chiunque altro. Billy aveva letto i racconti di Conan Doyle e si era illuso che tanto fosse sufficiente a conoscere Sherlock Holmes.

L’uomo che era sbarcato a New York non aveva nulla che fare con quello della Londra vittoriana di quelle storie. La prima differenza che Billy aveva notato e su cui ancora si fermava a riflettere era un’inezia: Sherlock Holmes non sorrideva mai. 

Gli aveva urlato addosso in più di un’occasione, ma nulla a cui Billy non fosse abituato. Era giovane, precoce sotto molti aspetti ed era abituato ai modi un po’ duri dei suoi superiori, di gran lunga più maturi di lui.

Tra Billy e Sherlock correvano pochissimi anni - non ricordava se due o tre - ma l’abisso che percepiva tra se stesso e quell’uomo era quasi palpabile. Se Billy si era aspettato di lavorare con un eccentrico, confusionario e non particolarmente adatto al lavoro di squadra, era rimasto un pochino deluso. La sola cosa eccentrica di Sherlock era la sua mente brillante. Esclusa quella, Billy vedeva di fronte a sé un giovane uomo troppo serio, attento al proprio lavoro e con poca pazienza.

Rispetto al personaggio che lo aveva reso famoso, il vero Sherlock Holmes era quasi - quasi - noioso.

Anche se Billy si guardava bene dal dirlo ad alta voce: non voleva trovarsi appeso per il collo al ponte di Brooklyn.

Poi c’erano quei momenti in cui Sherlock era con lui ma la sua mente era altrove. Succedeva quando le ore di lavoro si facevano troppo lunghe o una missione diveniva più complicato del previsto. Finita una certa soglia di tolleranza, Billy vedeva nell’espressione turbata di Sherlock il bisogno di lanciare tutto per aria e andare da qualche altra parte. Ovvero, da William. Sempre da William.

Quel William James Moriarty, Signore del Crimine, a cui Sherlock si riferiva semplicemente come Liam.

Preso un respiro profondo, Billy sollevò il pugno chiuso e bussò due volte. 

Dal lato opposto, Sherlock smise di parlare. “Entra, Billy,” disse, secco. Come di consueto, la gentilezza che riservava a William - e solo a William - sparì ancora prima di aprire la porta.

La scena che Billy si ritrovò davanti era qualcosa che aveva già visto altre volte: Sherlock sedeva al capezzale di William e gli dava le spalle.

“Abbiamo un nuovo lavoro!” Lo informò Billy con un po’ troppo entusiasmo, sollevando il fascicolo in questione. “Nessuna fretta, possiamo partire domani, ma volevo parlare con lei dei dettagli!”

“Abbassa la voce e vieni qui.” Sherlock era già partito privo di pazienza.

Billy stirò le labbra in un sorriso nervoso e fece il giro del letto per poter guardare il Detective in faccia. 

Sherlock non rispose al suo sguardo neanche allora. Era stanco, terribilmente stanco. I segni scuri sotto i suoi occhi non promettevano nulla di buono e non ne voleva sapere di porre attenzione a qualcosa che non fosse il viso immobile di William.

“Signor Ponytail.” Billy aveva fatto quel soprannome suo fin dal primo atto della loro collaborazione. Il diretto interessato aveva opposto qualche obiezione ma, in ultima analisi, non gliene era importato poi così tanto. “Da quanto tempo non dormite? In un letto vero, intendo.”

Sherlock lasciò andare un sospiro annoiato. “Figurarsi, ho fatto di peggio.”

Suo malgrado, Billy era curioso di sapere di più riguardo questo suo peggio. A sentire il Detective, quella condotta era la più sana che avesse mai tenuto

e questo la diceva lunga sulla sua vita di prima

“Magari, al tempo, era più giovane e reggeva meglio,” ipotizzò Billy. “Non si offenda, ma ha davvero un aspetto orribile.”

Sherlock lo guardò in cagnesco. “Ehi, moccioso, ho ventiquattro anni, non darmi del vecchio!”

“Beh, nemmeno io sono un moccio-“

“Allora?” Incalzò Sherlock, impaziente. “Questo nuovo caso?” Allungò il braccio destro per avere il fascicolo e il più giovane glielo consegnò.

Mentre leggeva i documenti, gli occhi di Billy finirono sul viso di William. Le sue condizioni non sembravano peggiorate, ma di certo non era migliorato. “Come sta?” Domandò con cortesia.

“Non lo vedi da te?” Sherlock era irritato. 

Sì, Billy dovette ammettere che aveva fatto la domanda sbagliata. “Mi dispiace,” disse.

Sherlock fece finta di non sentirlo.

Seguirono dei minuti di assoluto silenzio. 

Il più giovane appoggiò la schiena alla parete, attendendo che il Detective finisse di analizzare tutto il materiale riguardo al nuovo caso. 

“È una truffa,” concluse Sherlock, impilando tutti i fogli l’uno sopra l’altro per rimetterli nella busta.

Billy sbatté le palpebre un paio di volte. “No, è una rapina.”

“È una truffa,” insistete Sherlock, lasciando il fascicolo sul comodino accanto al letto. “Indaga nel dettaglio i movimenti del direttore della banca e avrai tutte le prove di cui hai bisogno. Certo, non l’ha fatto da solo. Un paio di suoi dipendenti devono essere complici e guadagnarci a loro volta. Non hai bisogno di me per questo caso, puoi fare da solo.”

Se l’intuizione era giusta, il lavoro era praticamente concluso. Quanto ci aveva impiegato? Dieci minuti scarsi o giù di lì.

“Metterò il suo nome nel rapporto finale,” disse Billy. 

“Non è necessario.”

“Se tutto va come mi ha detto, il mio compito si limiterà a quello di semplice esecutore d’istruzioni,” obiettò Billy. “Se non risulta il suo nome nel rapporto, è come se non avesse preso parte alla missione. Lavoriamo molto, vero, ma non credo sia nella posizione di poter risolvere casi governativi gratuitamente.”

Sherlock non ebbe nulla da ridire a riguardo. “Grazie, Billy.” Almeno un briciolo di educazione gliela doveva.

A quel punto, il più giovane avrebbe dovuto riprendere i documenti top secret e lasciarlo in pace, in sola compagnia di William. Passarono cinque minuti e quando Sherlock sollevò lo sguardo, Billy era ancora attaccato alla parete.

“Sei ancora qui?” 

L’Americano balbettò qualcosa d’incomprensibile, poi notò una seconda sedia accanto alla finestra. L’afferrò, la portò più vicina al letto e vi si mise seduto.

Sherlock inarcò entrambe le sopracciglia. “Che cosa stai facendo?”

“Ecco…” Billy scrollò le spalle. “È un passato un po’ di tempo da quando è arrivato a New York e so che noi due parliamo in continuazione ma… “ Gesticolò nervosamente. “L’unica volta che abbiamo parlato sul serio è stato sulla nave ed è seguito solo lavoro, lavoro, lavo-“

“Arriva al sodo, Billy.”

Il ragazzo prese un respiro profondo. “Non lo so,” ammise, incerto. “Non la prenda male, ma lei ha proprio il comportamento e l’aspetto di qualcuno che ha bisogno di confidarsi con un amico.”

Sherlock lo fissò per un lungo minuto, l’espressione impossibile da decifrare. Alla fine, abbassò lo sguardo con fare malinconico. “Avevo un amico,” disse. “A Londra, intendo.”

Bill sapeva di chi parlava. “Si riferisce al Dottor Watson?”

Sherlock annuì in modo impercettibile. “E quando mi capita di pensare a lui, sai che cosa mi auguro?”

Nella speranza che il Detective avesse deciso di aprirsi con lui, Billy si fece più attento. “Sono tutto orecchie!”

“Mi auguro che mi abbia seppellito e sia andato avanti con la sua vita,” concluse Sherlock, lapidario.

“Ah…” Fu l’unico commento Billy. Non erano esattamente le parole che si era aspettato. “Per quel che vale,” tentò, “In sua assenza, può parlare con me.”

Sherlock gli lanciò un’occhiata eloquente, ma era abbastanza stanco di parlare da solo d’assecondarlo almeno un poco. “E, sentiamo, che cosa ti aspetti che dica?”

Billy non aveva una vera risposta. “Quello che preferisce.” Provò a riflettere. “Ad esempio,” portò gli occhi sulla figura di William, “potrebbe esternare le sue preoccupazioni ad alta voce. Ciò che le provoca non si risolverà, ma potrebbe farla stare meglio.”

“Billy…” Sherlock si massaggiò la fronte, senza prendere in considerazione l’idea.

“In alternativa, potrebbe solo soddisfare la mia curiosità,” disse Billy, schietto ed esitante al tempo stesso. “Non so quanto ne sia consapevole - io stesso mi sono reso conto di recente di non esserlo affatto - ma la verità e quello che il mondo sa di lei non coincidono proprio alla perfezio-“

“Quello era lo scopo,” lo interruppe Sherlock e la sua mano si posò sul braccio di William. “Per fartela breve: qualcuno - non Conan Doyle - ha scritto una storia. Non l’ha fatto nero su bianco, con carta e inchiostro. L’ha fatto qui,” si toccò la tempia con l’indice. “Per scrivere questa storia sono serviti anni. Secondo i miei calcoli, ci è voluto più di un decennio.”

“Oh…” Billy era in parte confuso e in parte intrigato. “È un sacco di tempo.”

“L’autore di questa storia ha dovuto mettere insieme i dettagli, trovare i personaggi giusti da usare e il modo migliore in cui farlo,” proseguì Sherlock. “E mentre lo faceva, ha riservato a se stesso due ruoli fondamentali: quello di autore, come abbiamo già detto, e quello di cattivo.”

Billy si fece rigido e guardò William con la coda dell’occhio. Ah… Pensò. Stiamo parlando proprio di questo.

“Ma alla sua storia mancava qualcosa e ci ha messo un po’ per capire che cosa fosse.”

“Sta parlando di se stesso?”

“Sto parlando di un eroe in grado di sconfiggere il cattivo.”

“Giusto…”

“E qui le versioni diventano due.”

“Cioè?”

“L’autore mi ha dato la sua,” rispose Sherlock. “Ma io, ovviamente, ho una teoria che vira un po’ da quello che mi è stato confidato. Penso abbia faticato molto a trovare questo eroe. Pecco un po’ di superbia e ti dico anche che ho il sospetto che non credesse lo avrebbe mai trovato.” Ridacchiò tra sé e sé. “Come poteva? L’autore sapeva di essere unico nel suo genere perché, in realtà, superbo lo è anche lui. Quante possibilità c’erano che a Londra, la città che aveva scelto come palcoscenico, ci fosse una mente brillante quanto la sua, in grado di rivaleggiarlo?”

Catturato dal racconto, Billy non disse niente.

“Eppure, l’autore ha trovato il suo eroe.” Sherlock scrollò le spalle. “Oppure non lo ha mai cercato. Anche questa è una mia teoria. Ha conosciuto una persona troppo perfetta per un ruolo e glielo ha dato. Un ruolo che, guarda bene, aveva come fine solo quello di perfezionare il suo.” Fu allora che guardò William e le sue labbra si piegarono in un sorriso a metà tra il tenero e il triste. “Un bastardo difficile da gestire, vero?”

Billy non sapeva cosa dire a proposito. “E la storia come finisce?” Chiese, invece. 

Sherlock sbuffò. “Avanti, lo so che hai seguito il discorso e sai benissimo di cosa sto parlando. Il finale lo conosci da te.”

“Io ho The Final Problem Di Conan Doyle.” Billy sollevò la mano destra, col palmo rivolto verso l’altro. “E quello che ho raccolto fuori dal golfo di Londra.” Sollevò la sinistra allo stesso modo, poi scosse la testa. “Nessuna delle due cose è una spiegazione esaustiva a quello che ho davanti agli occhi in questo momento.”

Sherlock appoggiò il viso al pugno chiuso. “E che cosa vedi in questo momento, Billy?”  

Era una provocazione e funzionò. Non c’era un modo di rispondere a quella domanda che non fosse compromettente. Sherlock lo sapeva benissimo e aveva messo Billy con le spalle al muro consapevolmente.

“Vuole bene al Signor William.” Quello fu l’unico modo di spiegarsi che il giovane Americano considerò sicuro. “Gli vuole molto bene. Insomma…” Ebbe difficoltà a trovare le parole giuste. “Se non ci fosse stato un legame forte, dubito che si sarebbe buttato nel Tamigi insieme a lui. Dovete avere una lunga storia insieme.”

Sherlock scosse la testa. “No.”

Billy si mostrò visibilmente perplesso. “Ero certo che aveste passato molto tempo in compagnia l’uno dell’altro.”

A quel punto, era Sherlock stesso a essere curioso. “Perché questa intuizione?”

“Beh… Non è un segreto che i Pinkerton abbiano tenuto sotto controllo la cronaca londinese, altrimenti non avrei avuto il potere di offrirvi un accordo,” spiegò Billy. “Ma nessuno può tessere una trama così elaborata senza conoscere l’altra persona coinvolta!”

“Sicuro?” Il Detective era divertito. 

Il più giovane neanche un po’. “Signor Ponytail, non mi prenda in giro. Ci sono solo due modi perché due persone danzino una intorno all’altra in perfetta sincronia: o entrambi conoscono i passi o almeno una delle due deve saper prevedere l’altra.”

“Esattamente,” confermò Sherlock. “Liam danzava e lo faceva con l’assoluta certezza che io sarei stato al passo, ma mai abbastanza da raggiungerlo.”

“Però c’è riuscito!” Esclamò Billy. “Lo ha preso!”

“Perché ho cambiato il finale della storia,” spiegò Sherlock. “L’autore, Liam, voleva chiudere la sua trama con la propria dipartita. Non serviva che lo uccidessi, bastava che Londra mi vedesse affrontarlo un’ultima volta.” Storse la bocca in una smorfia. “Liam è un po’ drammatico, sai?”

Billy rifletté. “Non penso che lei si scandalizzi a sapere che ci sono orecchie straniere in ogni Governo, pronte a riferire alla propria patria le informazioni più succulente.”

Sherlock ridacchiò di nuovo. “Mio fratello è il Governo. Se i tuoi hanno saputo qualcosa è solo perché lui ha voluto farlo sapere.”

Billy si rese conto di aver fatto un grosso inciampo. “Chiedo perdon-“

“Non è necessario,” lo bloccò il Detective. “Che informazione vi era arrivata?”

“Che il Governo della Gran Bretagna era pronto a muovere una task force per prendere il Signore del Crimine,” rispose Billy. “Sappiamo entrambi che quando questo succede, non ci sono processi e nemmeno prigionieri.”

“Già…” Confermò Sherlock. “In effetti, quei giorni correvo molto. Alla fine, sono riuscito a stringere un patto con la Corona stessa. Se la storia farà il suo corso come si deve, non sarà necessario che ti dica i dettagli. Mi servivano un paio di cose e una di queste era avere la certezza che io e Liam avessimo il campo libero, solo per noi due.”

Billy accennò un sorriso. “Lei lo ha salvato ancor prima del Tower Bridge.”

“Quando Liam si sveglierà, ti sarei grato se riuscissi a tenere la bocca chiusa riguardo a questo dettagli, Billy. Mi premurerò di dire quello che devo al momento opportuno.”

“Quando mai ho-?”

“Billy.”

Il ragazzo alzò le mani in segno di resa. “Va bene, starò attento a quello che dico.” Si alzò in piedi. “Grazie per il lavoro.”

“Non dirlo neanche.”

Billy recuperò il fascicolo e prese la via della porta. “Buona notte, Signor Ponytail.”

“Buona notte, Billy.” Sherlock aspettò che la porta si chiudesse, poi allungò la mano verso il viso di Liam per scostare la frangia troppo lunga dal giovane viso addormentato. “E siamo di nuovo solo io e te.”

La pace fu breve. Molto breve.

Sherlock non fece in tempo a riprendere a raccontare le sue imprese a Liam, che Billy tornò all’interno della camera senza nemmeno bussare. “C‘è comunque una cosa che non ho capito, Signor Ponytail!"

Il Detective alzò gli occhi al cielo e si trattenne dal prenderlo e defenestrarlo di peso. 

Billy trotterellò fino alla sedia che aveva lasciata libera appena pochi istanti prima. “Interessante la questione del patto con la Regina!” Esclamò. “Tuttavia, non mi è ancora chiaro il legame tra lei,” puntò l’indice contro Sherlock. “E lui.” Lo spostò su William. “Insomma, bella la storia del Detective Sherlock Holmes contro il Professor Moriarty, Signore del Crimine. Sì, davvero, è tutto molto avvincente ma…” Billy scrollò le spalle, quasi volesse ammettere che nemmeno lui sapeva come esprimersi. “Sì è buttato nel Tamigi, con lui. Ha rinunciato a tutto quello che aveva, per lui. Lui, William James Moriarty!” Si diede una calmata. “Non fraintenda, Sherlock, è meraviglioso avervi entrambi da questa parte dell’Oceano Atlantico, ma… Sono confuso e, abbia venia, voglio capire!”

Sherlock cercò dentro di sé la voglia di arrabbiarsi e di dirgli di farsi agli affari suoi. Poi si rese conto che la pura e semplice verità era una risposta più ad effetto di qualsiasi sfuriata. “Vuoi capire…”

“Esatto.”

“Allora ti dico un paio di fatti reali su quell’eroe scelto da Liam e scritto da John.”

Billy sbatté le palpebre un paio di volte. “Il Dottor Watson è Conan Doyle?” Domandò, incredulo.

Era ridicolo che al Governo degli Stati Uniti fosse giunta voce di una task force per catturare il Signore del Crimine, ma nessuno avesse la minima idea di chi ci fosse davvero dietro quella serie di racconti.

Sherlock ignorò volontariamente la domanda. “Sai di che cosa avrei voglia, ora?” Domandò di rimando. “Puoi indovinarlo, Billy?”

La risposta del più giovane fu piuttosto ingenua. “Di un caso da rivolvere che rispetti i suoi standard.”

“No.” Sherlock scosse la testa. “Ho voglia di una dose di oppio.”

Da principio, Billy credette di aver capito male ma l’altro aveva parlato con calma e con voce molto chiara. Sgranò gli occhi, poi cercò di dire qualcosa. Le parole non uscirono. E non era mai stato facile zittirlo. 

Contro ogni sua aspettativa, fu Sherlock stesso a venire in suo soccorso. “Lo so,” aggiunse, paziente come non lo era mai. “Non è una cosa che ci si aspetta dall’eroico Detective Sherlock Holmes.”

Billy non sapeva cosa dire. Alla fine, spezzò il silenzio con qualcosa di stupido: “non ricordo di un simile dettaglio nei racconti che la riguardano.”

“John non ne avrebbe mai scritto. Lo sa, certo, ma non avrebbe mai compromesso la mia immagine pubblicamente,” disse Sherlock. “Ha visto solo la superficie della mia oscurità. Anche io ne ho una, Billy. Non sono un cavaliere senza macchia e senza paura. Non credo nemmeno di avere i requisiti giusti per essere il personaggio positivo di una storia.” Rivolse lo sguardo al viso addormentato di William. “John lo è. È un uomo talmente giusto che, alle volte, faccio fatica a credere che abbia vissuto una guerra in prima persona. Io non sono così. Non sono un eroe.”

Anche gli occhi di Billy si spostarono sul giovane privo di sensi. “Dalle informazioni che ho, prima del Tower Bridge, ha compiuto una strage da solo.”

Sherlock annuì per confermare. “Eppure, io sono qui, disperato come se mi mancasse un pezzo.” Non faceva nulla per nasconderlo, tanto valeva essere onesti. “È questo che non riesci a capire, vero?” Intuì. “Perché uno come me compie azioni disperate per il bene di uno come Liam? Questo è quello che ti stai chiedendo.”

Billy prese a torcersi le dita. “Non la sto giudicando, Sherlock.” Era importante che l’Inglese lo capisse. “Non sto giudicando nemmeno il Signor William. Sono giovane, forse, ma non sono innocente. Anche le mie mani sono sporche di sangue. So cosa vuol dire trasformarsi nel male necessario per concretizzare un ideale. Semplicemente, non riesco a convivere con qualcosa che non riesco ad afferrare.”

Sherlock accennò un sorriso. “In questo siamo simili.”

“E, davvero, non so come raccontarmi il vostro legame.”

Il Detective si prese un momento per dargli la risposta più giusta, che non era quella esaustiva di cui il più giovane aveva bisogno. “Io e Liam abbiamo avuto pochi momenti,” ammise. “O, almeno, sarebbe così per un ipotetico spettatore esterno.”

“Qual è la sua verità, Sherlock?”

Il Detective si passò una mano tra i capelli scuri, scostando la frangia ribelle dal viso. “Siamo stati insieme per tutto il tempo,” rispose. “Era la nostra storia. Se preferisci, era il nostro gioco sporco di sangue. Lui creava un mistero per me e io lo risolvevo.” Annuì tra sé e sé, come se stesse riflettendo ad alta voce. “Sì, giocavamo. Ci parlavamo senza parlarci. Ci conoscevamo senza vederci. Poi capitava qualcosa… Un incontro in una carrozza ristorante, io che un giorno mi sveglio e decido di prendere un treno per Durham. Nessuno di questi passaggi era necessario nella storia di Liam. È successo e basta.” Una pausa. “Entrambi abbiamo intrattenuto una lunga conversazione l’uno con l’altro, fatta di tanti enigmi e di pochi sguardi.”

“Ma lei, con esattezza, quando ha capito di star avendo una conversazione con il Signor William?”

“L’ho scoperto piuttosto in fretta. A te basti sapere che ho pensato di conversare con Liam per la maggior parte dei casi che ho risolto.”

“Sì ma… Quando?” Insistette Billy. “In particolare, come?”

Il sorriso malinconico di Sherlock si trasformò in un ghigno da canaglia. “Penso che questo segreto me lo terrò per me,” rispose. “Non credo lo dirò mai nemmeno a Liam.”




 

Ci volle ancora un po’ perché William si svegliasse.

Quando accadde, Billy fu il riluttante testimone di tutto un altro tipo d’isteria.

Sherlock Holmes venne animato da nuova vita. La sua presenza silenziosa si trasformò in tutt’altra cosa, ben più caotica e meno gestibile.

William non poteva ancora essere dimesso e Sherlock si comportava come se l’intera New York dovesse essere pronta all’evento.

E Billy fu la povera vittima di quel capriccio fuori misura.




 

Mentre la carrozza si fermava davanti alla pizzeria, Billy aveva segretamente tanta voglia di piangere.

“Spero per te che questo appartamento sia buono!” Sbottò Sherlock, scendendo dalla carrozza per primo. “Liam esce dall’ospedale la settimana prossima e ci sono ancora un sacco di faccende da sistemare!”

Il ragazzo sospirò, sconfortato, cercando dentro di sé la forza di alzarsi da dove era seduto.

“Billy, ti muovi!”

“Arrivo subito, Signor Ponytail!”

Non era intenzione di Billy lamentarsi ad alta voce della nuova situazione. Ora che William era sveglio e stava recuperando gradualmente le forze, Sherlock sembrava più felice. Senza ombra di dubbio, era più vivace. Non stava un attimo fermo. Se qualcosa nella vetrina di un negozio attirava la sua attenzione, era per Liam. Mezza New York non era adatta a Liam. Tutto doveva essere perfetto per il bene di Liam.

Se Billy avesse dovuto descrivere la situazione in breve, avrebbe detto che il nomignolo con cui Sherlock si riferiva a William aveva scansato in un angolo tutto il silenzio.

E, ancora una volta, il più giovane si trovava a interrogarsi sulla vera natura del legame di quei due. La storia delle Nemesi era stata bella finché era durata ma, se mai era stata vera, entrambe le parti coinvolte l’avevano superata a piedi pari.

Sherlock non si era ancora deciso a presentargli William ufficialmente ma, suo malgrado, Billy aveva origliato alcune delle loro conversazioni fuori dalla porta della stanza d’ospedale. Fermo in corridoio, aveva sentito i toni con cui si rivolgevano l’uno all’altro e non erano decisamente quelli di due nemici mortali. La bella novità era che William aveva convinto Sherlock ad andare a dormire in un vero letto durante la notte.

In compenso, ora era Billy a non dormire più.

Sherlock lo andava a cercare all’alba e lo lasciava andare solo a tarda notte. Molte delle ore che passavo assieme erano per lavoro, sì, ma quelle che Sherlock dedicava ai preparativi per Liam erano più stancanti di qualsiasi missione top secret del Governo. 

Primo punto: era impossibile accontentarlo.

Mancavano pochi giorni all’uscita di William dall’ospedale, vero, ma Sherlock non riteneva degna nessuna casa offertagli dai Pinkerton.

E Billy ne pagava le conseguenza. Mentre il giovane entrava nel portone accanto all’ingresso della pizzeria e faceva strada su per le scale del palazzo, non sapeva quale divinità pregare perché facesse in modo che quella sistemazione rispettasse tutti gli standard di Sherlock.

Arrivati al pianerottolo, Billy si accorse che le porte di entrambi gli appartamenti erano aperte. Il Governo possedeva l’intero edificio e non era così strano che vi fosse più di un posto sfitto, a posta per andare incontro alle esigenze degli agenti. 

“Ecco, questa è-“ Mentre Billy indicava l’entrata di sinistra, Sherlock si era già infilato in quella di destra. Non lo aveva minimamente ascoltato.

Tempo pochi minuti e la voce di Sherlock lo raggiunse, poco meno che iraconda. “Billy!” 

Il diretto interessato ebbe la netta sensazione di sentire le pareti tremare.

“Da tutte le finestre si vede il ponte di Brooklyn!” Tuonò Sherlock, i suoi passi rabbiosi riecheggiarono lungo la tromba delle scale. 

Beh… Pensò il più giovane. Siamo a Brooklyn!

“Non posso portare Liam in un appartamento con vista ponte! Non ha già subito abbastanza traumi?!”

“E non solo lui…” Mormorò Billy a voce bassissima. “Concordo, Signor Ponytail!” Aggiunse, in modo da farsi udire. “Per questo ho pensato che l’appartamento sull’altro lato del palazzo fosse più adatto.”

Sherlock tornò sulla porta, improvvisamente calmo e rosso in viso. “Quindi, si tratta dell’altro?” Domandò, fissando la porta della dimora in questione e infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.

“Prego,” disse Billy, aprendo l’uscio con la punta del piede. “Come se fosse a casa sua.”




 

Quando, dopo lunga e silenziosa analisi, Sherlock decretò il piccolo appartamento adatto alle esigenze di Liam, Billy rischiò seriamente di scoppiare a piangere dalla gioia. L’impresa successiva fu convincere il Detective a farsi offrire una birra per festeggiare l’evento.

Billy lo fece solo per regalare a entrambi una pausa da quel cercare, cercare e cercare, ma Sherlock non aveva tempo da perdere. Gli unici momenti in cui tirava il fiato erano quelli che dedicava a Liam. 

“Ci serve un divano,” disse il Detective, dopo aver preso un generoso sorso di birra. “Niente di troppo pomposo, basta che sia comodo. E un tavolo da pranzo con un paio di sedie. Dovremo pur sederci a mangiare, prima o poi. Ah, giusto, servono stoviglie per due e le tende!”

Billy appoggiò il proprio boccale sul bancone e lo guardò. “Le tende?”

“Sì…” Sherlock si portò una sigaretta alle labbra e l’accese. “Ne vuoi una?” Offrì, porgendo il pacchetto al più giovane.

Billy non rispose immediatamente: dopo mesi passati a lavorare insieme, quella era la prima volta che il Detective si disturbava a rivolgergli un gesto cortese.

“Non fumo,” rispose, accennando un sorriso. “Pensavo lo avesse notato.”

Sherlock rimase bloccato, come se si stesse dando dell’idiota per aver commesso un errore tanto facile da evitare. “Sono stato un po’ distratto in quest’ultimo periodo,” si giustificò, riponendo le sigarette al loro posto. 

Billy scosse la testa. “Ha risolto ogni caso che le hanno assegnato brillantemente!” Esclamò, come per rassicurarlo. “E anche in fretta! Non ha idea del tempo che ci ha fatto risparmiare e di quanto stiamo imparando dal suo metodo. Certo, è difficile ottenere gli stessi risultati con persone che non hanno le sue capacità, ma-“

“Tu sei bravo,” disse Sherlock di colpo. Appoggiò la sigaretta sul bordo del posacenere posto in mezzo al bancone, poi prese un altro sorso di birra.

Quel complimento prese Billy talmente di sorpresa, che per poco non cadde dallo sgabello. “Davvero?” Era fuori di sé dalla gioia. “Dice sul serio?”

Sherlock lo mandò al diavolo con un gesto della mano. “E non urlare!” Sbottò, massaggiandosi l’orecchio destro. “Uno di questi giorni mi farai diventare sordo!” Recuperò la sigaretta e fece un tiro.

Billy ignorò le proteste e si sporse verso il Detective. “Per favore, mi dica tutto. Per essere precisi, dove sono bravo? Dove posso migliorare? Mi dia qualche consiglio!”

“Ti ho detto di non urlare,” ripeté Sherlock, minaccioso. “Tanto per cominciare, non sei d’impiccio e, credimi, non si può dire tanto nemmeno di certi uomini di Scotland Yard.”

Se possibile, gli occhi di Billy brillarono con ancora più emozione. “Sono più bravo della polizia inglese!”

Sherlock fece una smorfia. “Non è che ci voglia-“

“Sono più bravo della polizia inglese!” Ripeté Billy, saltellando sul suo sgabello.

“Ce la fai a stare fermo?” Stando con il più giovane, Sherlock aveva imparato qualcosa su se stesso: se non era lui la causa scatenante del casino, allora bramava il silenzio. Suo malgrado, gli parve di sentire la voce di Mycroft ridere di lui.

”Sei proprio un bambino, Sherly.”

“Stai zitto, bastardo,” sibilò il Detective, spegnendo la sigaretta ormai consumata nel posacenere.

Billy lo fissò. “Che ho detto?”

Sherlock sospirò stancamente. “Non ce l’avevo con te,” rispose. “Parlavo con la mia testa.” 

“Oh!” L’espressione di Billy si fece affascinata. “È una cosa da menti brillanti? Perché anche io parlo spesso da solo!”

“No, non credo che Liam parlerebbe con la propria testa ad alta voce, passando per pazzo,” disse Sherlock. 

Ed ecco che si tornava su Liam. Era inevitabile.

Billy prese a rigirarsi il boccale di birra tra le mani, riflettendo se fosse giusto o meno intavolare una conversazione con William James Moriarty come soggetto principale. Decise di optare per qualcosa di cortese. “Come sta?” Domandò.

“Fisicamente o emotivamente?” Ribatté Sherlock. “Fisicamente, si sta riprendendo. Emotivamente, la situazione è più complessa.”

Billy aggrottò la fronte. “Perché quella faccia scura?” Domandò. “Capisco la parte complessa della situazione, ma sul tetto dell’ospedale suonava abbastanza deciso su cosa fare del vostro futuro.”

Sherlock vuotò il proprio boccale in un ultimo sorso. “Ha perso la vista dall’occhio sinistro.”

Billy ne fu dispiaciuto ma non sorpreso. “Il medico della nave, quello che vi ha prestato i primi soccorsi, aveva predetto un finale simile. Il danno era piuttosto esteso.”

Senza preavviso, Sherlock sbatté il pugno sul bancone. 

Billy sussultò ma quando il barista si voltò a guardarli storto, fu svelto a intervenire. “Va tutto bene, amico!” Disse, forzando un sorriso rassicurante. Era un bene che a quell’ora del giorno ci fossero solo loro due nel locale.

“Non capisco come sia successo,” sibilò Sherlock. “Ho rimesso insieme il momento della caduta centinaia di volte. Lo stringevo. Aveva il viso contro la mia spalla e ho subito io l’impatto con l’acqua. Come è potuto accadere?”

Billy non riuscì a parlare immediatamente. “Si sta torturando per questo?”

“Liam è un accademico, lavora con i libri!” Esclamò Sherlock. “Gli occhi gli servono. Come ho potuto commettere un errore simile e permettere che-!”

“Di che errore sta parlando?” Il giovane Americano non poté evitare di fermare quella scia di parole rabbiose. “Lei non ha permesso niente. Stavate cadendo nel vuoto. Se ha fatto qualcosa, è stato impedire al Signor William di far del male a se stesso in modo irreparabile.”

Sherlock non lo ascoltò. Si massaggiò la fronte, come se gli facesse male la testa. “Avrei dovuto proteggerlo meglio.”

E Billy si sentì smarrito di fronte alla portata di quel senso di colpa per una cosa che, certo, non era un'inezia ma, se confrontata al quadro generale, era decisamente piccola. “Se posso permettermi, Signor Ponytail,” disse, col tono più cortese di cui era capace. “Penso che il Signor William sia solo infinitamente grato per quello che ha fatto.”

Sherlock inspirò profondamente dal naso. “Sì,” concordò. “Sì, Liam è così. Vorrei solo riuscire a dirgli che sono io quello che è grato a lui,” piegò le labbra in un sorriso malinconico. “Ma non lo accetterebbe mai.”

Billy non riusciva a capire. “Per che cosa le è grato?” Domandò apertamente. 

No, non era davvero nella posizione di poter giudicare William James Moriarty. Se messe a confronto, le loro storie avevano molti punti in comune. La sola differenza era che Billy aveva ucciso fin da subito sotto la luce del sole, senza nascondersi. 

Ma la Gran Bretagna non era l’America rurale. Era passato un secolo - anno più, anno meno - dalla Guerra d’Indipendenza ma il Nuovo Mondo era ancora tutto da costruire.

A New York la legge era una e andava rispettata. Nei luoghi in cui Billy era nato e cresciuto la situazione era diversa. Per come si presentavano in quel periodo, gli Stati Uniti contenevano molte - forse troppe - realtà diverse tra loro. Il Governo non riusciva ad arrivare ovunque. Questo era uno dei motivi per cui esistevano organizzazioni come quella dei Pinkerton. 

Billy stesso non aveva percepito nessuna frattura morale nell’uccidere i cattivi, come gli piaceva definirli. Quando era arrivata la taglia sulla sua testa, l’aveva accettato con una scrollata di spalle ed era andato avanti per la sua strada.

William James Moriarty aveva dichiarato guerra alla classe dirigente della Gran Bretagna stessa, un impero solido, ricco, con fondamenta antiche. Era lì che Billy si perdeva e non riusciva davvero a comprendere chi era Liam. Ormai sapeva che i romanzi di Conan Doyle esistevano allo scopo di depistare, ma la cronaca inglese non era più utile alla sua confusione.

La persona di cui parlava Sherlock, quella che conversava con gentilezza in quella camera d’ospedale, era la stessa che aveva ridipinto Londra con tutte le sfumature del sangue. 

E Sherlock Holmes gli era grato.

Il Professor Moriarty lo aveva spinto a interpretare un ruolo nella propria storia e lo aveva manovrato perché fosse fedele alla trama, ma Sherlock Holmes non solo si sentiva in colpa perché William James Moriarty era uscito senza un occhio da una situazione ad alto rischio di morte, gli era anche grato.

Ora, Billy era il primo ad avere una storia complicata alle spalle, che coinvolgeva direttamente il suo amico d’infanzia Pat Garret. Nonostante questo, se pensava a cosa legava Sherlock a William, la sua mente si perdeva in una tale confusione che gli veniva il mal di testa.

Nel mentre che Billy cercava di mettere insieme queste riflessioni - e inevitabilmente, falliva - Sherlock si decise a rispondere alla sua domanda. “Perché è vivo,” mormorò, gli occhi blu persi in qualche ricordo che il più giovane non poteva indovinare. “Prima di cadere in acqua, gli ho chiesto di vivere.” Gli sfuggì una risata nervosa. “Più che chiederglielo, penso di averglielo urlato, in realtà. E Liam non ha avuto il tempo di dirmi nulla. Ho sentito solo che si lasciava andare contro di me.”

Ogni volta che il Detective parlava della caduta, aggiungendo sempre nuovi dettagli al racconto precedente, Billy cominciava a chiedersi se la gravità a Londra funzionasse diversamente. Quante cose potevano dirsi due persone nello spazio di tempo tra un salto e l’atterraggio in acqua?

“L’ultima cosa che mi ha detto è stata: voglio che torni a casa vivo. Mi ha colpito la spalla con la sua spada per obbligarmi a lasciarlo andare.” Sherlock toccò il punto in cui la lama lo aveva ferito. “L’epilogo è stata una mia decisione. Fino all’ultimo, Liam era convinto di morire e quando mi sono svegliato, tu hai detto quella cosa riguardo alla sua volontà di vivere e… Come faccio a spiegartelo in maniera tale che abbia senso?”

Billy non sapeva davvero come aiutarlo.

“Fino a prova contraria, Liam non ha mai apertamente accettato la mia proposta di continuare a vivere,” proseguì Sherlock. “Non ho avuto la sua risposta fino a che non ha riaperto gli occhi e… Come dire? Se fosse morto, non solo lo avrei perso… Morire sarebbe stato il suo modo di rifiutarmi. Capisci, Billy?”

Il più giovane annuì. “Sì, penso di sì.” Rivolse all’altro un sorriso per rallegrare l’atmosfera. “Ma non è successo!” Esclamò. “Il Signor William è sano e salvo e adesso potrete passare insieme tutto il tempo che vorrete.”

Sherlock storse la bocca in una smorfia. “Pinkerton a parte.”

“Dipende…” Ribatté Billy. “Il Signor William potrebbe scegliere di lavorare con noi!”

Per la prima volta dall’inizio di quella conversazione, Sherlock lo guardò dritto negli occhi. “Al momento giusto, puoi proporglielo,” lo disse come se stesse facendo una concessione. “Ma sia ben chiaro che l’ultima parole deve essere di Liam. Nessuna pressione.”

Billy gli porse il mignolo. “Ha la mia parola!”

Sherlock fissò la sua mano con aria perplessa, poi tornò a guardarlo in viso.

“Non fate questa cosa a Londra?” Domandò Billy. “S’intrecciano i mignoli per suggellare una promessa.”

“Sì, la fanno i bambini,” disse Sherlock, con fare giudicante. “L’ho fatto una volta, alle elementari, con mio fratello. Indovina? Lui non ha mantenuto la sua promessa e, di conseguenza, io ho mandato al diavolo la mia!”

Billy riadagiò il braccio lungo il fianco, sconfitto. “Che cosa vuole comprare per iniziare ad arredare l’appartamento?” 

“Un letto a baldacchino.”

Il giovane Americano aspettò che l’altro finisse la battuta. Dopo due minuti di silenzio, dovette accettare che quell’assurda richiesta era seria. “La camera non è tanto grande,” obiettò. “Non entreranno mai due letti a baldacchino.”

“Non ho mai parlato di due letti, solo di uno.”

Sì, Billy doveva ammetterlo, tutto il discorso sulla vita, la morte e il rifiuto scampato di Liam aveva avuto molto di romantico. Ma dal parlare di amicizia profonda - anche se si erano visti poche volte e sembrava che la loro interazione più significativa fosse una sorta di conversazione a distanza, suddivisa per crimini - a confessare in modo così diretto che avrebbero dormito insieme, di acqua sotto i ponti ce ne passava.

Quella che sembrava una rivelazione ebbe vita breve.

“Io dormo sul divano,” aggiunse Sherlock, cercando di nuovo il pacchetto di sigarette. “Liam deve sentirsi a casa. È fratello di un Conte, immagino sia abituato a mobilio di quel genere,”

Billy la trovava una soluzione così scomoda. “Non sarebbe più pratico comprare due letti singo-“

“Liam deve sentirsi a casa,” ripeté Sherlock, lapidario.

Il più giovane strinse la labbra e annuì due volte. “Il Signor William deve sentirsi a casa.” Aveva la netta sensazione che sarebbe stato il motto del collega per il resto della loro collaborazione.





 

Non appena William venne dimesso, Sherlock si calmò.

No, non tornò più a essere silenzioso. Al contrario, si premurò di raccontare ripetutamente a Billy di quei pochi momenti che lui e William avevano condiviso. Al giovane piacque il racconto del caso di omicidio avvenuto sul treno, ma notò che il Detective era particolarmente affezionato a quanto successo a Durham. 

“È stata la prima volta che mi ha chiamato per nome!” Ogni volta che arrivava a quel punto della storia, sulle labbra di Sherlock compariva un sorriso da ragazzino che avrebbe intenerito chiunque. “Col rumore del treno e tutto, Liam ha provato a bluffare e negare l’evidenza. Sapeva benissimo che l’avevo sentito, ma doveva stuzzicarmi, sai? Lui è fatto così. Noi siamo così l’uno con l’altro.”

Billy lo trovava molto romantico ma, di nuovo, Sherlock continuava a parlare di amicizia - tutt’al più di legame - e questo significava che o era completamente incapace di leggere le sfumature di quel rapporto, o le due persone coinvolte erano completamente cieche di fronte l’ovvia realtà che li riguardava.

Nonostante fosse dotato di una spiccata tendenza alla parlantina, Billy davvero non sapeva come infilarsi nel discorso, quando Sherlock comincia a parlare di Liam. Era un po’ come cercare di fermare un treno a mani nude.

Così Billy ascoltava e Sherlock era un continuo Liam questo, Liam quello. Era impossibile non notare il modo in cui quegli occhi blu s’illuminavano al solo pronunciare quel nome: Liam.

Billy non aveva ancora avuto l’onore di conoscere William ufficialmente - guai a chi osava disturbare la quiete domestica del Detective e del suo coinquilino, se non per questioni di lavoro - ma era certo che quel Liam appartenesse a Sherlock. E solo a Sherlock.

Probabilmente William non aveva mai avuto voce in capitolo sulla scelta del diminutivo incriminato. Conoscendo il collega, Billy non ne sarebbe stato sorpreso. Poteva quasi vederlo mentre lo pronunciava di colpo, sfacciato. Su una cosa Sherlock Holmes era davvero democratico e nemmeno William rappresentava un’eccezione: non si disturbava a chiedere il permesso. Mai.

La cosa davvero sorprendente era che il Professor William James Moriarty, Signore del Crimine, non sembrava obiettare in alcun modo a quel genere di condotta. Liam aveva accolto ogni decisione presa da Sherlock come se fosse stato coinvolto direttamente. 

A Billy era quasi venuto il dubbio che potessero comunicare telepaticamente. Irrealistico, certo. Tuttavia, se Sherlock lo avesse confermato, il giovane Americano non ne sarebbe stato sorpreso.

“Ah… Anche Liam ha trovato poco pratica la scelta del letto a baldacchino,” gli confessò il Detective, durante il viaggio di ritorno da una missione.

Billy fu molto felice di sentirlo. “Oh, il Signor William mi ha dato ragione!”

“Stai zitto!”





 

L’evento che cambiò repentinamente l’idea che Billy si era fatto di Sherlock e William arrivò senza preavviso.

A New York era l’ennesima giornata di sole e il Detective sedeva col più giovane in un caffè con i tavoli all’aperto, posti al bordo della strada. Avevano concluso il lavoro del giorno prima del tempo e Sherlock si era fatto convincere dal più giovane a bere qualcosa in compagnia, prima di tornare da Liam.

Inevitabilmente, il secondo fratello Moriarty divenne ben presto il soggetto della loro conversazione. 

“Come si sente?” Domandò Billy, cortesemente. “L’ultima volta che ne abbiamo parlato, mi ha raccontato che il Signor William si affaticava solo facendo le scale.”

Sherlock lasciò andare una nuvola di fumo dalle labbra. “Ora è più forte,” rispose, “ma non abbastanza d’andare in giro da solo. O meglio, se gli chiedessi di fare delle commissioni per me, sono certo che le farebbe tutte, a costo di sfinirsi. E sai qual è la parte peggiore? Fingerebbe di non aver avuto alcuna difficoltà e lo farebbe in modo molto convincente.”

Billy incrociò le braccia contro il petto. “Immagino non sia facile per lui,” disse. “Da quel che mi ha raccontato, si trova in uno stato d’immobilità sia fisica che mentale.”

Sherlock annuì, gli occhi puntati su qualcosa alle spalle del più giovane. 

Da quando si erano seduti, quel qualcosa continuava ad attirare l’attenzione del Detective in modo quasi magnetico e, alla fine, Billy si voltò per scoprire di cosa si trattava. Il negozio accanto al caffè vendeva fiori e una ventina di splendide rose rosse era esposta in bella vista sul marciapiede.

Bene, ci mancava solo che Sherlock se ne uscisse con l’idea di comprare delle rose rosse a William in virtù della loro profonda amicizia. Billy si grattò la nuca nervosamente e provò a intavolare il discorso per primo. “Al Professort Moriarty piacciono le rose rosse?”

Sherlock lo guardò storto. “Non chiamarlo così,” si lamentò. “Sembra che tu stia citando i romanzi di John.”

Billy allargò le braccia. “Era professore di matematica al college di Durham,” disse. “Il suo cognome è Moriarty.”

“Chiamalo William e smettila di sprecare il fiato.”

“Va bene.” Billy contò fino a dieci. “A William piacciono le rose rosse?”

Sherlock si portò la sigaretta alle labbra per inalare fumo, poi lo lasciò andare. I suoi occhi erano ancora fissi su quei fiori dal colore vibrante. “Il roseto dei Moriarty era famoso a Londra,” raccontò. 

“Oh!” Era una novità per il giovane Americano. “Lo ha mai visto?”

“No,” ammise Sherlock. “Tutta Londra avrebbe ucciso - non è una battuta infelice - per essere ospite dei fratelli Moriarty. Giovani, nobili, affascinanti e, soprattutto, scapoli. Da quando Liam ha attirato la mia attenzione, hanno tenuto un solo Tea Party. Probabilmente, ora la nobiltà londinese ha trovato le risposte a molte delle domande che si poneva, tipo perché il Conte Moriarty non sembrava interessato a trovare moglie alla soglia dei trent’anni.”

“Albert James Moriarty?”

“Albert, sì,” confermò Sherlock. “Se ci siamo mai incrociati, non ricordo di averlo guardato in faccia. Ammetto che ero troppo preso da Liam perché ponessi attenzione a lui. Se metto insieme i pezzi che ho in questo momento, penso che mio fratello lo conosca. Louis, in compenso, me lo ricordo bene. Quando sono fuggito a Durham, il mio più grande timore era di ritrovarmelo tra i piedi.”

Billy piegò il gomito sul tavolo e appoggiò il viso al pugno chiuso: era la prima volta che il collega gli offriva una panoramica sugli altri due fratelli Moriarty. “Fuggito non è una parola un po’ drammatica?”

Sherlock prese la sigaretta tra le dita e rise. “Sono partito alle prime luci dell’alba, senza dire niente a nessuno,” raccontò. “Sono tornato il giorno dopo. La signorina Hudson era abituata, John no. Era preoccupato fino alle lacrime.”

Se Sherlock non la smetteva di parlare di Liam, era altrettanto vero che i riferimenti alla sua famiglia - di sangue o meno non faceva molta differenza - continuavano a essere casuali e non approfonditi. Billy aveva intuito che lasciarli indietro aveva ferito Sherlock più di quanto permettesse ad altri di notare.

“E perché aveva paura d’incontrare Louis Moriarty a Durham?” 

Sherlock scrollò le spalle. “Immagina di voler avere un momento con la persona che ti ha dato alla testa e avere il suo fratellino attaccato a lui, come se fosse la sua ombra. Aggiungi una lunga sequenza di sguardi omicidi e, immagino, comprenderai perché sono stato felice di non vederlo.” Appena smise di parlare, si pentì di averlo detto. “Ora come ora, penso che non mi basterebbe una vita per chiedergli scusa.”

Billy aggrottò la fronte. “Questa non me l’aspettavo.”

Sherlock gesticolò nervosamente, cercando di raccogliere i pensieri. “Poco prima dell’epilogo sul Tower Bridge, Louis e un complice dei Moriarty hanno tradito il piano di Liam e sono venuti a chiedere il mio aiuto.”

Billy fischiò. “Questo sì che è un colpo di scena!” Era sorpreso. “Ma… Aspetti… Quindi, lei è andato da William su richiesta del fratello minore?”

Sherlock scosse prontamente la testa. “Sarei andato comunque,” rispose, gettando la sigaretta a terra e schiacciandola sotto la scarpa. “Però il gesto di Louis fa un’enorme differenza. Alla fine della storia, non c’era trama o ideale che valesse la vita di suo fratello. Quando starà meglio, sarà giusto dirlo anche a Liam.”

Billy concordò con un cenno del capo, poi si ricordò delle rose rosse che il Detective continuava a fissare. “Non mi ha spiegato il discorso delle rose,” disse, indicando il negozio di fiori alle proprie spalle.

Sherlock aprì la bocca ma, come colto da un pensiero improvviso, si fermò prima di parlare. Qualunque cosa avesse provocato quell’esitazione, vi duellò in silenzio per i minuti seguenti.

Billy corse in suo soccorso. “Signor Ponytail, non è necessario rispondermi se-“

“Posso fidarmi di te, Billy?” Domandò Sherlock, guardandolo dritto negli occhi.

“Perché me lo chiede con quell’espressione?”

“Perché ci sono cose che sono disposto a rivelare a una persona amica, ma non di sicuro a un’organizzazione come i Pinkerton.”

Billy sgranò gli occhi ed ebbe il fondato timore che la sua mandibola stesse per cadere a terra. “Lei mi considera un amico?”

“E non fare quella faccia!” Esclamò Sherlock. “Pensi che mi metterei a parlare di Liam anche al primo uomo che passa per strada?”

Sì, l’impressione era quella. Billy decise che ci teneva alla vita e se lo tenne per sé. “Fin tanto che quello che mi confida non minaccia in alcun modo il Governo degli Stati Uniti - o qualsiasi altro, a dire il vero - non sono tenuto a riportare nulla ai nostri superiori,” lo rassicurò. “Immagino che quello che vuole dirmi non sia di natura politica.”

“No, infatti,” confermò Sherlock. Si guardò intorno per assicurarsi che nessuno fosse abbastanza vicino da udirli. “Sposta la sedia verso di me.”

Billy ubbidì e il Detective si sporse nella sua direzione.

“Si tratta di una cosa che riguarda me e il mio legame con Li-“ Sherlock smise di parlare e si alzò in piedi di colpo.

Il movimento fu tanto repentino che Billy sussultò. Non comprese quello che stava succedendo, fino a che non sentì i cavalli nitrire e i passanti urlare. Non ebbe il tempo di voltarsi a controllare la scena: Sherlock si era già mosso.

Nel seguirlo, Billy fece trabaltare la sedia ma non aveva modo di preoccuparsene in quel momento.

L’incidente era avvenuto a una decina di metri di distanza dal negozio di fiori. 

A Sherlock e Billy bastò un’occhiata per capire che non c’era nulla che potessero fare. 

Un uomo aveva attraversato la strada e, forse per fretta o per distrazione, non aveva visto la carrozza arrivare a velocità sostenuta. Dall’interno del mezzo, una donna elegante si affacciò e lanciò uno strillo acuto. Il cocchiere, infermo sulle gambe per lo shock, scese dal suo posto e la pregò di calmarsi. Nel frattempo, una folla di curiosi si stava radunando tutt’intorno alla scena.

Era impossibile determinare se l’uomo investito fosse giovane o vecchio. Tutto era avvenuto tanto velocemente che il poveretto non solo era finito schiacciato dagli zoccoli dei cavalli, ma anche dalle ruote anteriori della carrozza.

La strada stava diventando un lago di sangue.

Billy non assisteva a una scena tanto macabra da diverso tempo e, certo, non gli fece piacere ripetere l’esperienza. Non era un lavoro per loro. Le autorità competenti si sarebbero occupate di tutto. Potevano risparmiarsi di assistere a tutto lo spettacolo.

Perché di quello si trattava. La gente tutt’attormo a loro non era un pubblico? 

Forse era un pensiero ingiusto da parte di un pistolero che aveva eliminato i cattivi un duello alla volta, ma quell’uomo era già stato privato della dignità da un destino crudele. Non era giusto che centinaia di occhi lo vedessero mentre versava in quello stato, come un pupazzo rotto con gambe e braccia girate in una posizione innaturale. 

E poi c’era tutto quel sangue…

“Andiamocene,” disse Billy, distogliendo lo sguardo da quella scena infelice. “Non è un lavoro per noi.” Si allontanò di un paio di metri, poi si accorse che l’altro non lo stava seguendo.

“Signor Ponytail?”

Sherlock se ne stava immobile, come pietrificato. Gli occhi blu erano sgranati, fissi sul lago di sangue che continuava a propagarsi sotto il corpo morto.

Non ci voleva un genio per capire che qualcosa lo aveva colpito nel modo sbagliato.

Prontamente, Billy gli afferrò un braccio. “Ehi, Sherlock?”

Al suono del proprio nome, il Detective sobbalzò e guardò il più giovane come se si fosse risvegliato da un brutto sogno. 

Billy rimase fermo, in attesa di capire a fondo lo stato in cui versava il collega e cosa lo aveva provocato. Non aveva lavorato a decine e decine di macabri omicidi? La storia di Jack lo Squartatore non era esattamente per deboli di stomaco ed era arrivata fino alle pagine dei giornali di New York. 

Billy sapeva che l’immagine di un uomo ridotto a una poltiglia di carne e sangue non era uno spettacolo piacevole ma da questo, a pietrificare un Detective che, per sua stessa ammissione, era arrivato ad augurare ai nobili di morire uccisi per capriccio…

Quando Sherlock si mosse, lo fece di scatto e Billy fece fatica a seguirlo in mezzo alla folla. “Signor Ponytail!” Lo chiamò.

Per sua fortuna, il collega non riuscì ad arrivare troppo lontano. 

Lo trovò in un vincolo a poche centinaia di metri dall’incidente e quello che vide lo inquietò più di quell’uomo morto sotto le ruote della carrozza. Sherlock aveva appoggiato un braccio al muro per restare in equilibrio e, con la testa china, stava vomitando il modesto pasto che avevano consumato, tra i rifiuti.

Billy si avvicinò con cautela. Stupidamente, non riuscì a offrire alcun aiuto. Paralizzando dallo stupore, aspettò che Sherlock finisse di fare quello che non poteva evitare.

Quando il malore passò, il Detective prese tre respiri profondi e drizzò la schiena. “Billy…” Chiamò. Aveva il fiato corto.

“Sì?”

Gli occhi blu gli lanciarono un’occhiata minacciosa. “Liam non dovrà mai sapere di questo.”

“Dell’incidente?”

“Della mia reazione all’incidente!” Tuonò Sherlock, spazientito, “Scusa…” Aggiunse velocemente, coprendosi gli occhi con una mano. “Non sono molto in me in questo momento.”

“Lo capisco,” disse Billy, poi scosse la testa. “No, in realtà, no.”

Sherlock tornò a guardarlo, visibilmente stanco e annoiato. “Che cosa c’è di così difficile da capire?”

Billy si chiuse nelle spalle. “Era così anche a Londra?” Domandò, perplesso. “Dovrebbe essere abituato alla vista di grandi quantità di sangue, no? Voglio dire, ha analizzato dei cadaveri da vicino e-“

“Non si tratta della morte in sé,” lo interruppe Sherlock. “E nemmeno del sangue. È il rosso… È il colore rosso.”

“Il colore rosso la disturba?” Non aveva senso. “Mi ha detto che è il colore degli occhi di Liam.”  Come poteva essere tanto legato a una persona, se non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi senza stare male?

Contro ogni buon senso, Sherlock rise. “Già…” Fu poco più di un mormorio. “Come può un colore tanto bello trasformarsi in qualcosa di così…” Scosse la testa, poi inspirò aria dal naso. “Non sono stato in grado di vedere il colore rosso per ventiquattro anni.”

“Che cosa?” Billy non ci stava ufficialmente capendo più niente. “Quindi non ha mai visto il colore del sangue sulle scene del crimine?”

“Più o meno,” rispose Sherlock, tirandosi i capelli indietro con una mano. “In corso d’opera, qualcosa ho iniziato a vedere.”

“In corso d’opera? Non mi risulta che esistano rimedi per correggere un disturbò daltonico.”

“Infatti non sono mai stato daltonico.”

“Sherlock, mi perdoni, ma non sto capendo nulla di quello che mi dice.”

E il Detective non esitò più. “Conosci la storia delle Anime Gemelle?”





 

No, Billy non la conosceva. Non per davvero.

Era cresciuto in una realtà rurale, molto ristretta e quello di cui parlava Sherlock Holmes era materiale da libri proibiti. Viaggiando, esplorando quel Nuovo Mondo - l’unico che conosceva - un passo alla volta, Billy era finito a sentire anche quelle strane storie sulle Anime Gemelle, sì. Non vi aveva mai prestato particolare attenzione. Era arrivato alla parte in cui il mondo della medicina si scontrava con quello della filosofia, ma non si era mai posto il problema di approfondire la faccenda.

Ed ecco che Sherlock Holmes arrivava a dichiarargli che William James Moriarty era la sua Anima Gemella, 

Approfondire la faccenda ora era un problema che inevitabilmente doveva porsi.

Trovare dei testi in grado di assolvere a quel compito non fu semplice. La letteratura riguardo al fenomeno delle Anime Gemelle era stata vittima di numerose censure durante la storia. Più quella medica che quella filosofica.

In quel suo processo di erudizione, Billy era stato abbastanza furbo da non lasciare che i Pinkerton si accorgessero della sua curiosità. Nessuno avrebbe avuto nulla da ridere se si fosse trattata di una conoscenza necessaria a risolvere un caso, ma il suo interesse era puramente personale e coinvolgeva Sherlock e William troppo da vicino perché potesse permettersi d’inciampare.

Il tempo passò, accaddero altre cose e si arrivò all’anno nuovo.

Il giorno in cui Billy li beccò a baciarsi, la sua percezione delle cose cambiò drasticamente ancora una volta.





 

Sherlock Holmes chiuse la porta dell’appartamento, sbattendogliela in faccia e Billy rimase pietrificato sul pianerottolo per un lungo minuto. Trattenne il fiato per lo stesso lasso di tempo.

Quando tornò in sé, lo fece con un sussulto e corse giù dalle scale come se ne andasse della sua stessa vita. Non uscì dal portone dell’edificio: sul momento, non riusciva a dissimulare quello che sentiva e non era saggio farsi vedere tanto turbato dal cocchiere che li avrebbe accompagnati sul luogo del prossimo caso.

Billy prese a camminare in circolo nell’atrio d’ingresso, prendendo dei respiri profondi. Sherlock non era mai stata una presenza particolarmente amichevole, ma non si era mai mostrato così minaccioso come poco prima. 

Beh, in difesa del Detective, Billy aveva avuto il peggiore tempismo della storia.

“E adesso che gli dico?” Aveva una gran voglia di strapparsi i capelli. “Come lo guardo in faccia?” Si sarebbe scavato una fossa da solo e ci si sarebbe buttato di testa, piuttosto.

Premette le mani contro le guance. “Sono morto,” concluse. “Mi farà fuori in missione, nessuno sospetterà di lui.”

“Come piano per un omicidio è particolarmente idiota.”

Billy saltò come una molla.

Sherlock era a metà dell’ultima rampa di scale e lo guardava dall’alto con una sigaretta tra le labbra e la sua quotidiana espressione annoiata. “Che stai facendo?”

Il più giovane prese un respiro profondo. “Signor Ponyt-“

“Muoviti è tardi.” Sherlock lo superò e uscì in strada per primo. “Billy, vieni o no?”

L’Americano si riscosse e lo seguì con passo svelto. Forse sarebbe tornato a casa vivo e con tutti i pezzi al posto giusto. 

La prima parte del viaggio in carrozza fu una tortura.

Sherlock continuava a guardare fuori dal finestrino e Billy non riusciva a fare a meno di fissarlo. No, il collega non lo avrebbe appeso al ponte di Brooklyn per aver interrotto quello che gli era sembrato un bacio piuttosto appassionato. Una persona attaccata alla vita avrebbe dimenticato tutto e accantonato l’accaduto, ringraziando la sua buona stella - o i baci di William.

Ma Billy era amante del pericolo in un modo che qualsiasi persona ragionevole avrebbe trovato stupido. Era stato quasi sei mesi a studiare Sherlock Holmes. Ora, per la prima volta, il giovane Americano credeva di avere a sua dispozione tutti i pezzi che gli servivano per mettere insieme il puzzle.

L’aggravante era che sapere i fatti non gli bastava. Billy voleva i dettagli

“Ehm…” Provò a parlare.

Sherlock gli lanciò un’occhiata con la coda dell’occhio. “Che cosa vuoi?”

Billy ci teneva a confermare la propria posizione. “Poteva dirmelo,” disse, accennando un sorriso. “Come ho detto, si può fidare di me.”

Il Detective sbuffò e appoggiò la fronte al vetro del finestrino. “Non è così semplice, Billy,” disse. “Europa, America. Londra, New York. Sai che ti dico? Se c’è una cosa che ho capito in questi sei mesi, è che questo Nuovo Mondo non è poi così nuovo. Le ingiustizie sono le stesse dell’altro lato dell’Oceano Atlantico. Ti ho detto che siamo Anime Gemelle, no? Per la morale di questo secolo, è abbastanza per farci arrestare.”

Billy scosse immediatamente la testa. “Non oserei,” disse ed era sincero. “Non deve pensare che denuncerei lei e William per una cosa simile.”

“Non l’ho mai creduto,” ammise Sherlock, continuando a guardare la città che correva fuori dalla carrozza. “Altrimenti non ti avrei mai raccontato del mio presunto daltonismo e di come Liam lo ha guarito.”

Billy aprì la bocca, ma la richiuse immediatamente.

Sherlock se ne accorse e accettò che rimanere in silenzio per il resto del viaggio non era un’opzione ragionevole. Si mise seduto composto, in modo da poter guardare l’altro negli occhi. “Che cosa vuoi sapere?” Domandò, diretto.

Billy scosse di nuovo la testa.

“Non provare a mentirmi, Billy the Kid,” lo avvertì Sherlock. “Sento il rumore dei tuoi pensieri fino a qui. Non intendo portare tutti questi silenzi non silenzi sul posto di lavoro. Mi deconcentrano, m’irritano e ho una certa premura a tornare a casa in fretta. Penso che lo abbia visto da te!”

In cuor suo, Billy era sollevato dal fatto che l’altro si stesse rivolgendo a lui col poco garbo che spesso gli riservava. Questo servì a farlo rilassare. “Non vorrei peccare d’insolenza,” disse, “ma se prima tentava di nascondermi qualcosa, non lo faceva nel migliore dei modi.”

Sherlock lo fissò senza nessuna espressione particolare. “Era così evidente?”

Billy scrollò le spalle. “L’unica cosa in cui mi definisco un esperto è l’arte del sparare,” rispose. “Non so molto di faccende romantiche, ma mentre lei continuava a parlarmi della sua amicizia con William, io non smettevo di pensare che qualcosa fosse fuori posto.”

Sherlock abbassò lo sguardo e le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro. “Quanto siamo stati stupidi…”

“Io e lei, intende?”

“No, io e Liam,” chiarì Sherlock. “È un processo completamente inutile, ma non smetto di chiedermi come sarebbe stata la nostra storia, se fossimo stati più onesti con noi stessi e l’uno con l’altro.”

Ecco, quello era un pezzo che Billy non aveva preso in considerazione per distrazione. “Quindi non eravate amanti a Londra?” 

Sherlock rise. “Ti ho raccontato i nostri momenti innumerevoli volte.”

“Sì, ma il discorso dei colori non è successo a Londra? Quando siete caduti insieme nel Tamigi, non sapevate di essere l’Anima Gemella l’uno dell’altro?”

“Sì,” rispose il Detective. “Lo sapevamo entrambi ma non ce lo siamo detti. È tutto molto stupido, lo so,” aggiunse, nel vedere l’espressione sul viso del più giovane. “Liam è tanto bravo a creare misteri, io a risolverli. Quando si tratta di sentimenti e desideri, siamo entrambi due ragazzini che non sanno neanche allacciarsi le scarpe.”

“Beh… Quel bacio non era proprio da ragazzini.” Billy si rese conto di averlo detto ad alta voce un istante troppo tardi. “Scus-“

“Era il primo, lo sai?” Sherlock lo disse con un sorriso sadico, del tutto intenzionato a farlo sentire in colpa. “Tu non hai idea di quanto ho aspettato quel bacio. Lo stesso vale per William. Il tuo tempismo è davvero qualcosa che non riesco a definire.”

Billy arrossì fino alla punta delle orecchie e si nascose il viso tra le mani. Se interrompere un bacio tra due amanti era già abbastanza imbarazzante, essere stato l’idiota che aveva distrutto il primo tra Sherlock Holmes e William James Moriarty era un inciampo da cui non si sarebbe rialzato mai più. 

“Non so come farmi perdonare,” bofonchiò il giovane Americano.

“Rilassati,” gli concesse Sherlock. “Penso che io e William siamo fortunati ad averti come amico.”

Dopo un momento d’esitazione, Billy tornò a guardare il collega dritto negli occhi. “Dice davvero?”

Il sorriso di Sherlock si fece più gentile. “Chiunque altro sarebbe corso a denunciarci al primo sospetto.”

“Sono un assassino, Signor Ponytail,” disse Billy, non senza amarezza. “L’unica ragione per cui ho un posto nel mondo è perché i Pinkerton mi ritengono abbastanza utile da scavalcare la legge. Loro possono. Per quel che mi riguarda, il mio senso di giustizia non è scritto in nessun codice civile.”

Sherlock concordò con lui. “Vale lo stesso anche per me. Anche se credo che tu lo abbia già capito.”

Billy annuì, poi i suoi occhi s’illuminarono di colpo. “Ora che abbiamo superato il muro dell’imbarazzo, vorrei parlare con lei di una o due ricerche che ho fatto!” Si chinò per aprire la sacca da viaggio che aveva portato con sé e ne tirò fuori tre libri. “Ho passato le ultime due settimane a studiare il caso suo e del Signor William!”

Sherlock inarcò il sopracciglio destro, leggendo i titoli dei tre volumi. “Ma che diavolo-?”

“Non è stato facile informarsi su questa cosa delle Anime Gemelle,” ammise Billy. “Come già sa, i Governi devono mantenere un certo rigore morale e tutto ciò che potrebbe giustificare una relazione romantica tra due persone che non sono un uomo e una donna-“

“Sono nato in epoca vittoriana, che un giorno ricorderanno come la più bigotta della storia della Gran Bretagna. Me lo sento!” Esclamò Sherlock, irritato. “Risparmiami l’introduzione storica. Che cosa avresti scoperto di tanto urgente che non so già?”

Billy si fermò e decise di ridurre tutto il lungo discorso che avrebbe voluto fare a una singola, fondamentale, questione. “C’è una cosa di cui preme parlare più di ogni altra,” ammise. “Sì, ho un sacco di domande ma per quelle abbiamo tempo.”

“Tutto dipende se te lo concederò,” sibilò Sherlock, che già si era pentito di aver dato al più giovane tanta libertà di parlare.

Billy impilò i tre libri sulle proprie gambe e guardò il collega dritto negli occhi. “Immagino che quando ha capito cosa le stava succedendo, si sia documentato a sua volta.”

“In realtà, no,” confessò Sherlock. “Non c’è stato il tempo. Non so che versione della storia si racconti qui, nel Nuovo Mondo, ma in Europa la leggenda delle Anime Gemelle si conosce perché si conosce. Un po’ come certe favole antiche. Qualcuno sa un dettaglio di più, qualcun altro meno e nessuno ci riflette davvero su, fino a che non succede.”

“Conosce altre coppie che sono Anime Gemelle?”

Sherlock scosse la testa. “Beh, pensaci. Un uomo e una donna non avrebbero ragione di renderlo pubblico. Per cosa poi? Attirare l’attenzione in modo fastidioso? Nah! Due uomini e due donne non lo farebbero per sopravvivenza.”

Billy non poteva che dargli ragione. “C’è un caso documentato di una coppia di Anime Gemelle dello stesso sesso che ha avuto un bambino.”

Bene, lo aveva detto. A quel punto, Sherlock Holmes aveva solo due opzioni: buttarlo giù dalla carrozza in corsa o starlo ad ascoltare. Questo era il rischio che aveva calcolato.

Da parte sua, il Detective si limitò a fissarlo allibito per un lungo minuto di silenzio. “Prego?” 

“Più di un caso, in realtà!” Esclamò Billy, con voce un poco stridula. “Vi è la testimonianza di un medico francese del secolo scorso che racconta l’evento nei dettagli e afferma con sicurezza che non può trattarsi di un caso isolato.”

“E non hanno dato fuoco a una cosa simile?”

Billy scrollò le spalle. “Se il medico francese in questione aveva ragione, devono averlo fatto centinaia di volte per secoli e secoli. Qui, nel Nuovo Mondo, ho trovato solo il riassunto degli studi di tutte le personalità intellettuali europee che hanno affrontato l’argomento. Da quel che questi libri lasciano intendere, devono aver fatto quasi tutti una brutta fine.”

“Non mi dire,” commentò Sherlock, sarcastico. “Immagino che istituzioni come l’Inquisizione si siano impegnate a cancellare tutto il cancellabile.”

Billy non diede corda a quel dibattito storico, ma passò direttamente a quello che gli interessava. “Da quando ho letto la testimonianza di quel medico francese, devo confessarle che vivo nel terrore più assoluto.” Il sorriso con cui lo disse creò un tale contrasto con le sue parole da renderlo inquietante.

“Ma che stai blaterando?” Sherlock stava perdendo la pazienza molto velocemente.

“È che sarebbe complicato se lei e William aveste un bambino in questo momento!”

“Billy.”

“Come suo collega ma, in particolare modo, come suo amico, è mio dovere sincerarmi che abbiate entrambi la testa sulle spalle. Ironicamente, non conosco William di persona ma do per scontato che lui ce l’abbia, mentre lei-“

“Billy!” Tuonò Sherlock, poi si costrinse ad abbassare il tono per non mettere il cocchiere in allarme. “Tu ora chiuderai la bocca e non toccheremo questo discorso mai più,” ordinò.

“Ma a un primo bacio, seguirà una prima... Ha capito, no?”

“Ripeti con me: non sono affari miei.”

“Ma-“

Non sono affari miei!

Billy lasciò andare un sospiro e decise di battere in ritirata. “Non sono affari miei,” disse.




 

Questo non significava che Billy the Kid non avrebbe sferrato un altro attacco.

Come era suo desiderio, Sherlock impiegò davvero pochi giorni a portare a termine quel nuovo lavoro e il più giovane non perse occasione per dargli il tormento.

“Se io non le avessi raccontato della mia ricerca, lei e William non avreste affrontato con consapevolezza il passo successivo della vostra relazione.”

Per evitare di commettere un omicidio, Sherlock decise di optare per il lascialo parlare e ignoralo. Questa tecnica richiedeva un gran numero di sigarette e dei pensieri abbastanza assordanti da coprire la voce del disturbatore di turno.

A Sherlock non mancavano nessuno dei due, peccato che Billy fosse completamente incapace di parlare in modo pacato.

“Il medico francese della testimonianza non sapeva darsi una spiegazione scientifica, tanto che è dovuto piegarsi al concetto di miracolo.”

Il Detective fumò tante di quelle sigarette durante il viaggio di ritorno, che nella carrozza calò una cortina visibile agli occhi. Questo non disturbò Billy, che recuperò per la seconda volta i tre volumi su cui aveva condotto le sue ricerche per discuterne i contenuti. 

“Tuttavia, l’epilogo della storia non è dei più lieti. Non ho ben capito che cosa sia successo al bambino, ma al genitore non è andata tanto bene. Il medico parla di una incongruente condizione anatomica e-“

La carrozza si arrestò. Sherlock scese in tutta fretta, senza disturbarsi a salutare il collega più giovane. Si accorse di essere seguito solo alla seconda rampa di scale. “Che cosa vuoi?” Tuonò, fuori di sé dall’irritazione.

“Lei ha vissuto con un medico,” disse Billy, uno dei tre libri stretto tra le mani. “Che cosa s’intende con incongruente condizione anatomica?”

“Niente di diverso da quello che sembra, immagino!” Sherlock riprese a salire le scale, come se stesse tentando una fuga disperata. “Rifletti sul soggetto della frase e saprai risponderti da solo. Che cosa c’è d’incongruente nel caso di cui parli? Tutto. Non è così difficile!”

Billy non lo seguì, ma si sporse oltre il corrimano per lanciare il suo ultimo consiglio: “si ricordi, Signor Ponytail, stia attento e non faccia bambini!”

“Chiudi quella bocca!” Gli rispose il Detective da qualche parte, più in alto.

Una porta che sbatteva lo avvisò che Sherlock e William erano di nuovo insieme, da soli. Billy rimase lì, fermo a metà di quella rampa, a combattere con un pensiero che aveva ben poco d’intelligente. Salì prima di arrivare a capo della questione.

Quando arrivò al pianerottolo dei due Inglesi, si avvicinò alla porta quanto poté e rimase in ascolto.

“Che cos’è che non devi fare?” Sentì William domandare. Doveva averli uditi discutere.

“Un bambino!” Sbottò Sherlock. “Billy vive nella paranoia che facciamo un bambino!” Spostò una seggiola con tanta violenza che il giovane ne udì il rumore come se fosse lì, con loro.

Un istante. William rise.

“Non ridere, Liam!” Lo pregò Sherlock. “È andato avanti per giorni, senza tregua. Sono arrivato a sognare di appenderlo al ponte di Brooklyn per davvero!”

“È stato così terribile?”

“Atroce!” 

Billy non udì nulla per un po’.

Quando Sherlock parlò di nuovo, la sua voce aveva completamente cambiato inclinazione. “Vieni qui, Liam.”

William dovette accontentarlo, perché non lo ripeté una seconda volta. “Vuoi parlarne, Sherly?”

“No. Voglio riprendere da dove ci siamo interrotti.” 

Billy non poteva vedere Sherlock in faccia ma sapeva che stava sorridendo.

“Parleremo più tardi.”

Seguì il silenzio.

Billy si allontanò dalla porta con cautela e scese le scale in punta di piedi.

Aveva origliato abbastanza.






 
   
 
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