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Autore: E niente    20/05/2022    0 recensioni
Un amore impossibile, romantico, passionale, di quelli che ti incantano e ti fanno sospirare.
Ma anche no.
Questi sono solo due dementi, in mezzo a un mucchio di dementi, che vivono l'evoluzione del loro rapporto a metà tra lo sconcerto e il raccapriccio.
La morte del romanticismo, falciato in due con un'ascia e gettato in mare. Tanto, a questi due non serve.
Per questi due, il romanticismo è semplicemente sprecato.
Chiamami come ti pare, mai e poi mai al cinema.
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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ATTO IV
Esistono molti tipi di coraggio. Affrontare i nemici richiede notevole ardimento. Ma altrettanto ne occorre per affrontare gli amici.
- Albus Silente




Syd Ellis aveva un sogno: comprarsi uno skateboard.
Non uno qualsiasi, ma uno di quelli magici! Li fabbricava una ditta di Boston, e un suo cugino americano gli aveva spedito via gufo un volantino con tutti i modelli in vendita. Diversi colori, dimensioni e prezzo.
«Dici che me lo posso permettere?» chiedeva a Bernie, puntando il dito su uno dei modelli.
Non ci voleva un genio a rispondergli di no, da dove diavolo poteva cacciarsi centotrentasette galeoni?
L'unica soluzione per lui erano le scommesse, ovvio. Ma le sue speranze si scontravano con Pauline e Clay, che proprio non ne volevano sapere di mettersi insieme.
Syd viveva in un mondo infame.
Bernie si mise a contare i soldi che Syd poteva ricavare al massimo, se fosse riuscito a vincere tutte le scommesse in gioco entro la fine dell'anno.
A una poltrona di distanza Clay rideva sotto i baffi, consapevole che i conti di quel disgraziato di Syd sarebbero finiti inevitabilmente in rosso.
I suoi piani, i suoi film mentali (di dubbio gusto) sarebbero andati in fumo, perché Clay avrebbe disatteso le sue aspettative. E Syd se lo meritava.
Se non altro, da quello schifo di situazione senza via d'uscita, qualcosa di buono ne veniva fuori.
Sto sprofondando nella merda, vero, ma Syd verrà con me.
Risata da antagonista disneyano. Strascico di risata sguaiata. Strascico che si trasforma in un singulto. Pianto dirotto.

***

Quando Pauline lo aveva piantato, una settimana prima, nel bel mezzo di un corridoio qualsiasi, Clay era rimasto interdetto per un bel po'.
«Ragazzo, ragazzo! Sveglia!»
«Ma è un Prefetto! Per tutti i corvi!»
«Forza, cavaliere, corri a riconquistare la tua bella!»
«Sir Cadogan, non mi pare il caso…»
«Sciocchezze! Alle donzelle piace farsi desiderare! Quello era un chiaro segnale assertivo!»
«Sir Cadogan, sia ragionevole. Un rifiuto è un rifiuto.»
«Ma che peccato! Povero ragazzo, gli ha spezzato il cuore!»
«Quindi è già finito lo spettacolo? Che barba.»
Clay scosse la testa. Tutto poteva sopportare, ma non i quadri che si facevano beffa di lui.
Camminò a passi lesti verso non sapeva dove. L'importante era allontanarsi dal luogo del delitto.
Ah, poi diede un calcio a un'armatura. L'armatura rispose con un calcio più forte, e Clay si ritrovò sul pavimento a gemere sconsolato, tenendosi lo stinco.
Se era vero che gli veniva reso sempre pan per focaccia, perché era stato ferito così? Eh, Merlino, Odino, e voi altri maghi delle sfere alte? Cosa aveva fatto di male, Clay, per meritarsi questo??

***

Clay, nel suo intimo, era una terribile drama queen. Ma quando era con gli altri non poteva mica farsi vedere in quello stato! E così, erano ormai sette giorni che il ragazzo faceva di tutto per mantenersi il più normale possibile.
Svolgeva i suoi doveri con un eccesso di cura e passava il resto del tempo tacendo ostinato. Ispirato dall'organizzazione capillare di Abigail, stilava ogni mattina una lista con gli obiettivi da portare a termine nel corso della giornata.
Alzarsi: fatto
Lavarsi: fatto
Colazione: fatta
Forse Abigail aveva un disturbo ossessivo-compulsivo, anche se a ben vedere la ragazza non aveva mai avuto bisogno finora di ricordarsi di bere e mangiare e di sciacquarsi la mattina: l'agenda di Clay era un po' troppo dettagliata, ma era quello di cui il ragazzo aveva bisogno al momento.
Ordine. Procedure da eseguire. Disciplina e niente distrazioni inutili e dolorose.
L'obiettivo non scritto di ogni giornata era stare alla larga da Pauline Marshall: non guardarla, non parlarle, non avvicinarsi nemmeno per sbaglio.
Clay se ne andava in giro a testa alta senza guardare in faccia nessuno, con l'aria più determinata e scocciata che mai.
Clay non conosceva gli stadi del dolore, altrimenti avrebbe riconosciuto di essere regredito, pian piano, dalla fase della depressione a quella della rabbia.
Naturalmente un simile comportamento non poteva passare inosservato. Specialmente dal momento che la prima partita del campionato si avvicinava, e gli allenamenti di Quidditch si intensificavano.
Clay si era tramutato in una bestia, più in forma che mai. Pure troppo.
«Non so cosa tu abbia in mente, ma questa tua aria da cattivo ragazzo ti dona un sacco. Le pulzelle ti guardano» gli faceva notare Syd, indicando un gruppo di ragazze sugli spalti che guardavano gli allenamenti.
Clay non rispondeva, sfrecciando e colpendo bolidi a destra e a manca con un'energia fuori dal comune, lasciando a Syd nient'altro da fare se non bivaccare sulla scopa trascinandosi dietro la mazza inutilizzata. In realtà a Clay non andava davvero di correre da un lato all'altro del campo, ma l'idea di picchiare i bolidi era rinfrescante, l'unica cosa buona di quel periodo.
«Fisher, datti una calmata!»
«Ma che ha?» chiese il povero cercatore, ingiustamente preso di mira per la quinta volta consecutiva.
«A me non interessa quello che ha» disse Nell. «L'importante è che NON gli passi. Lo voglio così carico anche sabato prossimo, contro i tassi.»
«E io invece vorrei arrivarci vivo, a sabato prossimo!»

***

Il buono e gentile Clay era diventato scontroso e arrogante, taciturno e solitario. Syd aveva provato una volta sola a chiedergli cosa non andasse, per puro senso del dovere, ma era stato mandato malamente a farsi friggere e, da allora, si sentiva autorizzato a non immischiarsi più. L'unica cosa che faceva era andare in giro a lamentarsi di quanto fosse lunatico Clay, e tutti gli davano man forte.
Tranne Annabelle, che sembrava nuovamente essersi innamorata del bel Prefetto per quello che, come la chiamava Syd, era "il fascino degli stronzi".
«Ohi, Mitchell, di nuovo appresso a Clay? Ma vuoi darti una svegliata?»
«Vuoi farti gli affari tuoi, brutto idiota? Cosa ne capisci tu?»
Syd capiva abbastanza, in verità: capiva che Clay, quando si comportava così, attirava l'attenzione delle sue compagne. E capiva anche che Clay ne era consapevole, e gli piaceva pure: sentirsi gli occhi addosso gli alzava l'autostima. Perciò, qualunque fosse il motivo del suo malessere, Clay avrebbe continuato a comportarsi così finché la sua boria non sarebbe tornata ai livelli massimi.
E sembrava averne ancora per molto.
Syd era già stufo.
«Se non fai qualcosa per smontare quel pallone gonfiato» annunciò a Pauline, «gli infilerò il manico della scopa su per il culo.»
«Come vuoi, ma dopo sabato!» ribatté il capitano.
Syd ignorò Nell, perché non era a lei che si era rivolto: aspettava un cenno di Pauline, che invece taceva.
«Allora?» incalzò.
«Stavolta pensaci tu» rispose Pauline.
Con piacere.

Quando Clay entrò in dormitorio, con quel solito fare funesto e scontroso, non aveva capito che Syd aveva in mente un piano per farsi odiare definitivamente, senza possibilità di assoluzione.
Aveva messo il primo piede in camera, doveva aver pestato qualcosa - un tappeto? - non sapeva bene cosa, perché si era ritrovato a innescare una serie di eventi come un domino - quella era una trappola, un agguato, e Clay non poteva crederci!
Era caduto all'indietro, aveva sbattuto la testa allo spigolo della porta - chissà se questo era previsto - mentre un secchio d'acqua gli si rovesciava addosso e delle funi lo avvolgevano insalamandolo; qualcuno lo aveva spinto indietro e si era ritrovato a ruzzolare giù per le scale, per poi finire in un calderone, a sbattere nuovamente la testa contro il rame.
Il colpo di grazia glielo diede qualcun altro, un altro ignoto complice, che decise di dare un sonoro colpo al metallo stile gong, facendo rimbombare… tutte le cose. Il calderone risuonava, la testa risuonava, le budella risuonavano…
In tutto quell'inferno, Clay percepiva come lontanissime le risate e le urla dei suoi compagni di Casa, da chi era divertito a chi invece era preoccupato. L'unica cosa che Clay capiva per certo era che Syd era un uomo morto. E tutti gli altri, pure.
Doveva solo riuscire a cacciare la testa fuori dal calderone, togliersi le funi di dosso e mettersi in piedi; poi non ci avrebbe messo molto ad affatturare il suo pessimo migliore amico e a spedirlo in infermeria a suon di calci.
Peccato che in quel momento Clay non fosse in grado di muovere un muscolo.
Sentì l'urlo di Annabelle la furia che partiva all'attacco da sola contro Syd e i suoi compagni di stanza, probabilmente per vendicarlo, e mentre qualcuno di loro veniva schiantato sulle pareti della Sala Comune, Abigail fu l'unica a degnarsi di aiutarlo.
«La mia bacchetta?» chiese, ma capì presto che Abigail, mentre lo slegava, gliel'aveva abilmente fregata. Non fece in tempo a urlarle contro i peggiori insulti: la ragazza gli intimò di rimanere buono seduto mentre metteva a posto gli altri (testuali parole).
E così anche la piccola Abigail dimostrava di essere all'altezza del ruolo di Prefetto che le era stato affidato, mentre la rivolta veniva sedata in un battibaleno e a Clay non rimaneva niente altro che serrare i denti e meditare vendetta.
Lo colpì un pensiero improvviso: il fatto che Pauline, per la prima volta, non era stata minimamente coinvolta nell'ennesimo spettacolo disastroso che aveva avuto luogo in Sala Comune.
La cercò con lo sguardo e per un attimo pensò che si trovasse al sicuro in biblioteca; invece era in angolo ad osservare la scena da lontano.
E stava guardando lui, con uno sguardo che purtroppo gli era indecifrabile. Curiosità? Compassione? Tristezza? Odio?
Clay rimase folgorato, accorgendosi che quella settimana di allontanamento forzato e di rigido autocontrollo non lo avevano portato a migliorare la sua situazione. Il dolore era rimasto, la voglia di piangere pure. Pauline era ancora, per lui, la più brutta ragazza e la più bella visione. E ora, guardarla aveva l'amaro sapore della sconfitta.
A Clay non piaceva perdere. Purtroppo, doveva ammetterlo, aveva perso.

***


Da quel giorno, Clay tornò normale: era semplicemente triste, profondamente scosso e tremendamente abbattuto come qualsiasi ragazzo venga rifiutato malamente dalla sua cotta immane.
E la partita contro i tassi andò uno schifo, con sommo rammarico del capitano.
Almeno l'obiettivo di Syd era stato raggiunto: smontare il suo amico pezzo per pezzo e abbassarlo al grado di comune mortale non era facile, ma evidentemente il pessimo scherzo che aveva ideato ai danni di Clay aveva dato i suoi frutti.
Certo, quella sera si erano azzuffati e avevano smesso di parlarsi per un paio di giorni, ma Syd confidava che Clay sarebbe tornato il solito, prima o poi. Doveva solo dargli il tempo di sanare il suo orgoglio ferito da Merlino-sa-cosa; ma per quello, Clay doveva pensarci sa solo.
Syd aveva fatto la sua parte, ed era stato sfiancante. Poteva ritenersi soddisfatto.

«Ci parli tu con Clay per vedere che gli passa per la testa?»
No, Syd non era soddisfatto. E aveva rivolto la domanda a Pauline.
Pauline non sembrava molto contenta dell'idea. Ancora prima di pronunciare qualsiasi cosa, il suo volto era diventato una maschera di insofferenza.
«Non sei tu, il suo amico?» chiese, insolente.
Syd scosse la testa. «Noi non parliamo di queste cose.»
«Di quali cose?»
«Uffa! Senti, tesoro: noi non parliamo mai dei nostri problemi, chiaro? E Clay adesso ha un problema, si vede lontano un miglio» spiegò Syd, in quella che sembrava essere una gara a chi era più insofferente. Esalò tragicamente: «Ma non ne parleremo mai!»
Pauline poteva benissimo ribattere che la loro amicizia faceva veramente schifo, ma gli premeva di più sottolineare di non essere la confidente del cuore di Clay, non esattamente.
«Almeno provaci, cribbio!»
Pauline si immusonì, mostrando un'espressione contrariata di facciata mentre intanto inseguiva una serie di pensieri che le davano il tormento da un po'.
Syd, incurante, rincarò la dose, blaterando sciocchezze su come lei fosse, in realtà, fondamentale per Clay.
«Clay adesso non è in sé. Credimi, se dividessi la stanza con lui non saresti in grado di sopportarlo. Entra in bagno e non ne esce più. Gli parli e non ti ascolta. Lo provochi e non reagisce. Strascica i piedi per terra. Fissa il vuoto. È una fottuta ameba.»
Syd sospirò, per poi fissare Pauline negli occhi e dirle, con tono supplichevole: «Va' a smuoverlo. Fammi questo piacere. Non lo sopporto più.»

***


Non è che Pauline stesse cercando di ignorare la situazione. Il suo vivere spensierato aveva dei limiti: i limiti erano i compiti - quelli che arbitrariamente decideva di fare - le regole della scuola - e anche queste, non erano necessarie proprio tutte - e, infine, la felicità dei suoi amici.
Clay era rimasto ferito, e Pauline non poteva sentirsi a posto con la coscienza.
Anche se, a ben vedere, Clay era davvero un amico? Stentava a crederci lei stessa. Era pur vero che talvolta aveva provato con lui un forte legame, ma erano occasioni rare, occasioni che la coglievano di sorpresa - e no, non poteva essere paragonata all'intesa che aveva con suo fratello, con Mandy, o con Syd.
Con Clay andare d'accordo era, il più delle volte, un'impresa che le costava un enorme sforzo - anche se dall'esterno lei non doveva poi apparire molto collaborativa. La verità è che ci teneva a quel rapporto anomalo, qualunque cosa fosse, e non si era mai posta il problema di delinearlo con più chiarezza, né di appioppargli un'etichetta.
L'etichetta "amici" non l'aveva mai convinta molto.
Ma quella "amanti" la convinceva ancora meno - le sembrava una di quelle assurdità che solo Syd ubriaco era capace di pronunciare (e l'aveva fatto, in realtà, pure da sobrio). O uno di quei brutti sogni premonitori che Bernie talvolta faceva e poi le raccontava.
Come quando Bernie aveva sognato Clay che strappava via le erbacce dall'orto di Hagrid per farne un mazzo di fiori, e poi era successo davvero.
Lei e Clay, amanti.
Posso baciarti? Voleva davvero rispondergli di no, o forse ci doveva ripensare? Forse le serviva tempo per apprezzare l'assurdità della cosa.
A Pauline piacevano le assurdità, le davano un senso di soddisfazione malsano. Quando le venivano in testa la facevano sempre ridere. Quando poi trovava un modo per realizzarle, si sentiva la strega più perfida e deficiente dell'universo.
E le piaceva da morire.
Perciò Pauline ci stava pensando, ci stava pensando sul serio, e macinava pensieri vecchi stracciandoli e riscrivendone altri di senso opposto, e tornava indietro sui suoi passi, e osservava Clay da lontano, e ripercorreva la memoria riesaminando questioni che non credeva mai di dover riguardare, e si stancava troppo, francamente.
No, non era fatta per questo lavoraccio. Ne stava uscendo pazza.
Pauline non aveva la soluzione a tutto, non sapeva davvero quello che voleva e sentiva solo che, continuando sulla strada dell'introspezione, non lo avrebbe capito mai. Il verbo pensare decisamente non le si addiceva: serviva solo a confonderle le idee.
Quello che le serviva erano nuovi stimoli, nuovi input. Era finalmente arrivato il momento di agire, come piaceva a lei.

***

Clay stava trascinando i piedi verso la biblioteca, pronto per una sessione di studio pre-verifica che sinceramente lo entusiasmava poco.
Quando notò Pauline che gli si affiancava i suoi occhi si spalancarono, pieni di sorpresa e terrore.
Che volesse riprendere a studiare con lui, come facevano un tempo?
Clay continuò guardingo a camminare, e Pauline proseguiva alla sua destra cercando con evidente sforzo di mantenere la sua andatura lenta e di non accelerare.
È esaltata, notò il ragazzo, e aveva ragione. Pauline aveva l'aspetto di una molla caricata e pronta a scattare - sì, ma cosa voleva da lui? Perché diamine non parlava?
Il suo battito aveva preso ad accelerare, furioso. Clay non ebbe il tempo di registrare l'informazione: Pauline gli afferrò il braccio e fece virare la sua direzione bruscamente.
Entrarono nell'aula di Aritmanzia, Pauline chiuse la porta alle sue spalle e lo spinse verso lo stipite.
In trappola.
«Devi stare fermo.»
«Come sarebbe a dire?» ribatté il ragazzo, agitatissimo.
«Fermo, ho detto!»
Avrebbe potuto benissimo spingerla via: lui era molto più grande, fisicamente non c'era storia. Non gli sembrava educato, forse, maltrattare una ragazza. In realtà se c'era una vittima lì era lui: a giudicare da come Pauline si era avvicinata, quello era un assalto in piena regola.
Peccato che Clay, a vedersela a un palmo dal naso, non aveva né la forza né la voglia di ribellarsi.
«Non ti muovere» soffiò lei, in punta di piedi, aggrappandosi alle sue braccia.
E Clay rimase davvero immobile, manco l'avessero pietrificato con la magia.
Fu un bacio strano, un misto di irruenza e rigidità. Una roba da veri inesperti, una definizione che effettivamente si addiceva a una come Pauline. Ma quel comportamento da pesce lesso di Clay, be', era imperdonabile.
Gli ci volle qualche secondo per rinvenire e accorgersi che Pauline, la sua Pauline, lo stava veramente baciando. Da schifo, ma lo stava baciando.
E che quello non era assolutamente modo di comportarsi. Si doveva assolutamente sciogliere! Doveva, anzi, voleva rispondere!
Le afferrò il volto con trasporto e si era già abbandonato alla più pura felicità, quando fu bruscamente interrotto da un forte dolore all'addome.
Pauline lo aveva colpito e si era allontanata. «Ti ho detto di stare fermo!»
«Cosa? Come faccio a stare fermo?» chiese, risentito.
«Non lo so! Ma ci devi riuscire!» sbuffò Pauline. «Tu vai troppo forte, e io con queste cose non ci so fare.»
Clay avrebbe voluto veramente ridere, perché Pauline che ammetteva di fare pena con i baci era una cosa da scrivere sui muri: si meritava di essere presa in giro.
Peccato che non ci riusciva. Non riusciva a prenderla in giro, Clay era completamente soggiogato.
Pauline gli ripeté di stare fermo, e Clay lottò con tutte le sue forze per obbedire, mentre riceveva baci, flebili e lenti, sul lobo dell'orecchio, sullo zigomo, sulla palpebra chiusa, sul naso.
Clay era a tanto così dall'urlarle che le avrebbe volentieri staccato la faccia a morsi, altro che moine del cavolo, e che se voleva un ragazzo con cui scambiarsi bacetti sulla guancia avrebbe fatto meglio a chiedere a Charlie Weasley. Ma non poteva dirle niente del genere, perché tutta quella tenerezza lo stava sciogliendo; sentiva le ginocchia cedere, e mentre si aggrappava ai suoi fianchi si ritrovò a sussurrare il suo nome.
Patetico. Pauline si fermò ad aspettare che Clay continuasse la frase, ma il ragazzo non riusciva a dire proprio un bel nulla. Poteva solo rimanere in attesa, e sentire il cuore battere furioso contro le costole. Pauline ci mise una mano sopra, e fu il gesto più rassicurante che Clay ricevette, in tutto quel marasma di eventi che gli stavano capitando.
Quando riuscì a rendersi partecipe di quel che gli stava accadendo, stringendola a sé - com'era piccola! - e affondando il naso sulla sua guancia - cioè, quando riuscì a farlo senza che lei gli azzannasse il labbro - quello fu probabilmente, per Clay, il culmine della felicità.
E quando, in seguito, si ritrovò a pensare all'intera faccenda - durante la cena, mentre ritornava in Sala Comune, mentre faceva la doccia e intanto Syd bussava furiosamente alla porta del bagno, e perfino una volta steso a letto cercando un sonno che non arrivava - Clay capì che tutta quella fatica era valsa la pena.
Questa era l'unica cosa intelligente che riusciva a pensare, il resto della sua testa era tutto un Pauline, Pauline, Pauline e mi ha baciato, mi ha baciato, mi ha baciato.
***


Insomma, la storia di due innamorati (o uno soltanto?) quando giunge al felice momento della congiunzione dei due verso una cosa sola (più o meno) poi dopo si fa noiosa a narrarsi, quindi termina qui. Sappiate che, da lì in poi, Clayton e Pauline vissero insieme alti e bassi continui, diversamente percepiti dai due (solitamente Pauline era quella che minimizzava e Clay quello che tramutava tutto in tragedia), perciò litigavano anche su come percepivano i loro litigi ("Sei poco seria!", "Mi stai spappolando i neuroni!") finché gli alti e bassi non divennero una consuetudine troppo difficile da abbandonare.
Una vita insieme portata avanti per inerzia, insomma - ma in qualche modo, felice.








***
Salve, dieci lettori contati che vi ritrovate a leggere questa robetta qui. Ci tengo solo a precisare che scrivere questa parte mi ha imbarazzato un sacco e che non ho idea di come sia venuta, semplicemente è così che l'ho sempre immaginata. Molto, molto patetica! Mi sento in dovere di scusarmi.
Un altro problema molto evidente di questo capitolo è il finale: non so scrivere i finali. Mi è venuta fuori questa cosa e ve la dovete far bastare per forza.
Ma tanto non è un vero finale, perché è in arrivo l'epilogo (credo di pubblicarlo a brevissimo, ci metto solo un po' a sistemarlo).
Baci baci






   
 
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