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Autore: Amiba    28/05/2022    1 recensioni
Se a ciascun l'interno affanno si leggesse in fronte scritto, quanti mai, che invidia fanno, ci farebbero pietà.
Tesoro aveva tutto e non aveva niente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Gild Tesoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gild Tesoro era paralizzato, fermo immobile come una statua di sale, avrebbe riconosciuto quel vicolo ad occhi chiusi, anche solo dal tremendo puzzo che emanava o dalla triste e pesante aria carica di angoscia che lo avvolgeva e quel negozio, quella lurida maledettissima insegna, che ancora lo perseguitava, che ancora brillava indisturbata era tale quale ad allora.
Tale quale.
Lei era lì, ferma, immobile, come uno spettro congelato nel tempo, bella, eterea, ingabbiata.
Ci volle qualche minuto prima che il suo corpo si muovesse, in una decisione che aveva preso tanti anni prima.
Dentro, si paralizzò di nuovo, il locale era vuoto, privo persino del mobilio e il proprietario era fermo davanti a lui, fra le mani teneva una catena, alla quale era legata la sua Stella, si guardò indietro come a costatare di non essere impazzito, ma la gabbia in cui l’aveva vista pochi secondi prima ora era vuota.
I suoi occhi si posarono sul proprietario; qualsiasi cosa fosse stato in passato, qualsiasi frutto del diavolo avesse ingurgitato, ora, l’essere davanti ai suoi occhi, era sicuro che non avesse più nulla di umano: gobbo, storpio e deforme se ne stava lì, fermo davanti a lui, in una posa scimmiesca, con un orrido ghigno stampato sul volto, nessun naso solamente due buchi al centro del calvo cranio, occhi piccoli, vitrei, morti. La pelle, nera come la pece e marcia emanava un puzzo disgustoso, non indossava vestiti, se non un lurido cencio a coprirgli la zona pubica, talmente magro che Tesoro era sicuro di poter contare ogni osso del suo corpo, era di dimensioni spropositate; infatti, nonostante fosse con le ginocchia completamente piegate in equilibrio sulle punte di quelle che, più che piedi, si potevano definire orride zampe artigliate era alto quasi quanto lui.
La bestia si grattò il capo, continuando a ridere, prima di picchiettare col dito inumanamente lungo e scheletrico sul prezzo che chiedeva per Stella: quindici milioni di Berry.
Spiccioli.
Non si fece altre domande ed estrasse il portafoglio gettando ai piedi della creatura la cifra, compresa di una lauta mancia, ma l’essere non sembrò soddisfatto, mosse l’orrido dito a destra e a sinistra prima di strattonare Stella e picchiettare nuovamente sul prezzo: trenta milioni di Berry.
Tesoro digrignò i denti, ma estrasse nuovamente i soldi dal portafoglio e li gettò ai piedi del proprietario.
Il ghignò di quella cosa si fece più ampio, picchiettò di nuovo: sessanta milioni di Berry.
“Mi stai prendendo in giro? Sai chi sono io?!”
Tuonò furioso Tesoro sferrando un violento pugno contro il commerciante di schiavi, il cui collo si spezzò in modo tanto violento da far sporgere le ossa contro la pelle in modo osceno, ma con un violento scricchiolare e movimenti che diedero i conati al ricco criminale il collo tornò al suo posto e il dito picchiettò nuovamente indicando il prezzo di sessanta milioni.
A Gild Tesoro si gelò il sangue nelle vene, estrasse il portafoglio e consegnò gli altri soldi mancanti, ma il teatrino si ripeté nuovamente: centoventi milioni di Berry.
Non era importante quanti soldi tirasse fuori Tesoro, quanti ne estraesse in più in anticipo, la cifra ad ogni pagamento aumentava, ogni osso che frantumava, ogni lembo di carne che strappava da quella immonda creatura ritornava al proprio posto con disgustosi rumori e innaturali movimenti: duecentoquaranta milioni, quattrocentottanta milioni, novecentosessanta… trenta miliardi, il portafogli di Tesoro pareva non avere limite, ma non era importante quale cifra tirasse fuori, non importava quale offerta facesse, il prezzo continuava ad aumentare spropositamene e i soldi a non bastare mai e col prezzo anche il ghigno orrido e sadico si faceva più largo.
Nemmeno l’offerta del cedergli il Gran Tesoro, al quale per Stella avrebbe rinunciato volentieri, bastò.
Improvvisamente udì alle sue spalle la campanella del negozio avvertire che era entrato un altro avventore, un vecchio laido, grasso e sudaticcio che si mise al suo fianco e chiese il prezzo della sua Stella, l’uomo fece per aggredirlo ma, venne interrotto dal proprietario del negozio, che col nero e ossuto dito picchiettò sul cartellino: centocinquanta Berry, il prezzo di un cavolo. Il vecchio posò le monete nella mano della creatura che gli cedette la catena.
Non avrebbe assistito nuovamente alla stessa scena, questa volta l’avrebbe salvata, con uno scatto si preparò ad attaccare e uccidere il vecchio, ma la bestia ora gli era saltata addosso e mentre gli conficcava gli artigli nella carne, lo teneva inchiodato al pavimento, costringendolo a guardare mentre la sua Stella veniva trascinata via con violenza e gli urlava disperata di aiutarla, di non abbandonarla nuovamente, ma per quanto si sforzasse, non riusciva a liberarsi, per quanto ci provasse i suoi poteri non rispondevano e lui fu nuovamente costretto a vedersi strappare via Stella.
Urlò il suo nome, una, due, tre, cento volte, mentre le lacrime salate gli ricoprivano il volto.
La bestia si chinò, avvicinandosi al suo viso, l’alto era pestilenziale, se possibile puzzava più della pelle marcia, lo leccò con una lingua lunga, viscida, orrida e mostruosa.
“Sorridi, sporco straccione.”
Sussurrò mostrandogli il ghigno di irte zanne.
 
Le coperte di seta finissima volarono via e Tesoro, con gli occhi sbarrati, si ritrovò a tremare come una foglia, completamente bagnato di sudore, la donna al suo fianco, svegliatasi anche lei per lo scatto, avvinghiò le braccia al muscoloso petto sussurrando proposte maliziose per aiutarlo a riaddormentarsi.
“Vattene, sparisci. Ora.”
La donna, spaventata da quelle parole, ringhiate con tanta rabbia, obbedì, rivestendosi e fuggendo dalla stanza. Quando fu nuovamente solo, Tesoro si afferrò il volto fra le mani e scoppiò a piangere.
Nemmeno quella notte, il costosissimo e comodissimo letto, gli aveva donato sogni sereni.
Tesoro aveva tutto e non aveva niente.
 
 
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Era nuovamente lì davanti, davanti a quel maledetto posto dove era intrappolata la sua Stella e nuovamente la vedeva lì, dentro quella maledettissima gabbia, incatenata.
Non aveva più i bei abiti costosi della prima volta, ma quelli logori, sporchi e ormai larghi della prigione.
Larghi perché Tesoro non mangiava più da giorni, e i muscoli e il fisico possente erano svaniti, lasciando nulla di più che un fisico stanco.
L’interno era uguale alla volta scorsa, l’orrida creatura teneva nella mano la catena alla quale era legato il suo amore.
Il proprietario diede inizio al teatrino, picchiettando con l’ossuto dito sul prezzo di quindici milioni di Berry, ma Tesoro non aveva nemmeno una moneta in tasca, non più, aveva perso tutto, o forse come la volta scorsa aveva dimostrato, non aveva mai avuto nulla.
Il ghigno si fece più ampio e l’essere picchiettò nuovamente sul prezzo.
“Non li ho quei soldi! Non ho più niente!”
Urlò, cadendo in ginocchio.
“Non ho mai avuto niente, se non l’amore di Stella.”
Singhiozzò, cominciando a implorare, a pregare che almeno lei fosse liberata da quel tormento infernale, perché la sua Stella quell’incubo non lo meritava, lui sì, ma lei no. Non implorò di riaverla, non implorò che gliela cedesse, sapeva di non meritarla più, sapeva di essere diventato tutto ciò che disprezzava e tutto ciò che lei non avrebbe mai voluto che diventasse, ma lo implorò di lasciarla libera, libera di danzare, di girare il mondo di vivere accanto a un uomo che la meritasse e la rendesse felice.
A lui sarebbe bastato questo, sapere che Stella era libera e amata.
Il proprietario avvicinò il volto a quello dell’uomo, che ora, con gli occhi gonfi dalle lacrime fissava le marcie assi del pavimento, sghignazzando e pronto a schernirlo di nuovo ma, prima che la tortura potesse cominciare nuovamente, il campanello del negozio suonò. La bestia alzò lo sguardo, come un animale che avverte un rumore estraneo, poi, dopo aver posato lo sguardo sulla porta emise un orrendo sibilo, mostrando i denti.
Tesoro alzò lo sguardo, una donna, vestita di bianco era appena entrata.
Si avvicinò a passo lento verso i due, era bella, con lunghi capelli dorati che le cadevano sulle spalle, una pelle nivea e compatta che profumava di campo fiorito, talmente tanto da andare a coprire il disgustoso puzzo del mostruoso proprietario che ora sembrava un gatto spaventato e fissandola soffiava versi disgustosi mostrando i denti.
La donna fissò Tesoro, con degli occhi azzurri come il cielo e poi l’essere orrendo davanti a lui.
“Vattene.”
Il proprietario non sembrò gradire e con un verso animalesco si gettò contro di lei, ma uno schiaffo bastò a gettarlo a terra rantolante, si contorse come un orrendo verme e guaì più volte prima di gattonare via, sparendo nell’ombra come un cane pulcioso che aveva appena preso una bastonata.
“Guardati meglio nelle tasche ora Gild Tesoro.”
Gli disse con un dolce sorriso, mentre, per qualche ragione, ora quel posto pareva più luminoso e meno tetro. L’uomo frugò nelle tasche e vi trovò un anello di rame, vecchio, rozzo e con diverse ammaccature, lo aveva preso lui, anni fa, a pochi Berry, per chiedere alla sua Stella di sposarlo, promettendogliene uno meraviglioso in futuro, pieno di pietre preziose.
“Hai visto Gild Tesoro? Hai sempre avuto in tasca ciò che ti serviva per comprare la sua libertà.”
Sorrise la donna invitando l’uomo a mettere l’anello al dito di Stella, che ora gli sorrideva felice e quando lo fece, le catene si sgretolarono e lui poté stringerla fra le braccia, prenderla in braccio e portarla fuori da quella sudicia prigione. Lì  nel vicolo, che ora sembrava luminoso e non più buio, c’era un carro ad attenderli, era piccolo, umile, ma sufficiente per due persone dietro di esso un piccolo palcoscenico.
Con un gesto della mano la donna li invitò a salirci, avrebbero girato il mondo, cantato e ballato assieme, portato gioia nei cuori di tutti e nulla più li avrebbe separati.
Gild Tesoro baciò Stella per la prima volta in vita sua e il sapore delle sue labbra era ancora più dolce e buono di quanto mai avesse potuto immaginare e fra le lacrime di gioia, mentre si allontanava da quel vialetto insieme al suo amore sopra quell’umile carretto, Tesoro sorrise, non sadicamente, non crudelmente, non amaramente ma dopo tanti anni genuinamente, felice.
 
 
Lo trovarono la mattina dopo così, steso a terra, su un duro pavimento di pietra, con un sereno sorriso sulle labbra e gli occhi chiusi, il cibo della sera prima ancora non toccato poco distante da lui.
Gild Tesoro si era spento nel sonno, serenamente, all’età di quarantadue anni, in prigione.
 
 
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La notizia della morte del famoso criminale Gild Tesoro si era sparsa velocemente ed era arrivata anche alle sue orecchie. Baccarat fissava il vuoto piangendo, la vita non era mai stata giusta con Tesoro, e lei, sua cara amica, lo sapeva, lo vedeva ogni giorno, anche quando erano al Gran Tesoro si rendeva conto di come nulla, lo rendesse veramente felice.
Spostò lo sguardo verso il cielo notturno e lì vide due stelle, brillare particolarmente vicine, brillare così forte, che neanche il Gran Tesoro nelle sue serate più lussuose avrebbe potuto reggere il paragone.
Sorrise.
“Quando ci rincontreremo, me la farai conoscere, e canterete per me, me lo devi.”
“Tutto bene?”
La voce di Gedastu la colse di sorpresa, mentre le sue braccia la cingevano da dietro.
“Sì adesso sì.”
Sorrise asciugandosi le lacrime.
“Sta dormendo nella culla ora, ci è voluto un po’ ma si è addormentata, vieni a letto coraggio è tardi ed è stata una giornata pesante.”
“Sì arrivo.”
Con il sorriso sulle labbra la rossa seguì il marito, tornando dentro la loro casa, ma non prima di aver dato un altro sguardo a quelle meravigliose stelle, così vicine, che brillavano con una forza tale da dar l’illusione che cantassero per tutto il mondo.
 
 
 
 
 
Gild Tesoro morì sereno senza avere più nulla, ma avendo tutto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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