Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Vallyrock87    03/06/2022    2 recensioni
Può succedere nel corso della vita di incontrare qualcuno che è il nostro esatto opposto, eppure, sin da qundo si posa lo sguardo su quella persona, diventa inevitabile riuscire a staccarsi da lei e da quel sentimento che, poi diventa talmente forte da non riuscire più a farne a meno. Ci deve essere, in fondo, una ragione che ci spinge ad affrontare la vita di tutti i giorni.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Erwin Smith, Farlan Church, Isabel Magnolia, Kenny Ackerman, Levi Ackerman
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Saint Valentine's Day'
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Crediti fanart: redwarrior3
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Come sempre un ringraziamento alla mia beta Moonsuckerlove

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Sono Levi Ackerman, la mia vita non è stata una passeggiata. Mia madre mi ha cresciuto da sola; mio padre se la diede a gambe levate nel momento in cui venne a conoscenza della gravidanza di mia madre. Nonostante il suo stipendio da cameriera però, siamo sempre riusciti ad andare avanti. Io da bambino non avevo molti giocattoli, perché lei non se li poteva permettere, ma non ero un moccioso che faceva i capricci e mi andava bene qualsiasi cosa. Mia madre mi ha sempre sorriso nonostante tutto, eppure nei suoi occhi, simili ai miei, non riuscivo a vedere quella scintilla che avrebbero dovuto avere se lei fosse stata felice. Kuchel si faceva in quattro per me e io che ero solo un bambino, sapevo quanto si affaccendasse per noi e lo so tutt'ora, nonostante ora sia arrivato il mio turno di lavorare per mantenerci entrambi, visto che lei non può più farlo e la causa di tutto è stato il lavoro stesso.

Durante la mia infanzia non avevo una figura paterna a cui fare riferimento, ma poi arrivò mio zio Kenny nel momento in cui io ero alle soglie della pubertà. Di certo non era un uomo che ci sapeva fare con i mocciosi come me, tuttavia, per quanto potesse avere dei modi rudi, cercava di mettercela tutta per aiutare sua sorella. Quando ero solo un ragazzino, lui me lo disse diverse volte e dal suo tono potevo capire quanto fosse dispiaciuto.

- Moccioso, mi dispiace di non poter essere uno zio premuroso nei tuoi confronti, ma non ci so proprio fare. Io sono un tipo poco raccomandabile, i mocciosi non sono il mio forte. – mi disse Kenny.

- Tsk. Non ho mai avuto bisogno di una figura paterna, figurarsi ora. – gli risposi. Ma potei vedere sul suo volto rugoso e contornato da una leggera barba incolta, l'accenno di un sorriso. Sembrava sollevato dalla mia risposta.

Dopo poco tempo che Kenny era con noi si rivelò avere dei giri poco legali con bande nella zona in cui vivevamo, ed ecco spiegato perché si fosse trasferito da noi. Io lo scoprii una sera quando mi portò con lui, ero solo un ragazzino ma capivo che quello non era ciò che sarei voluto diventare. Kenny però per farmi stare zitto mi minacciò, dicendomi che ormai, visto che ero andato con lui non avrei mai potuto uscire da quel giro. Così per anni bazzicai quegli ambienti che, solo a guardarli, mi davano il voltastomaco. Mio zio mi insegnò a usare un coltello per difendermi, questo era ciò che mi diceva, ma io sapevo che se ce ne fosse stato motivo, mi avrebbe usato come arma contro chiunque e sicuramente mi avrebbe messo nei guai, salvandosi la pelle, fregandosene di me e di mia madre.

A quel tempo lo odiavo; lo odiavo perché mi aveva costretto a fare quelle cose contro la mia volontà. Odiavo spacciare e rapinare la povera gente, però purtroppo dovevo starmene zitto e ubbidire, altrimenti ci avrei rimesso la pelle. Non sapevo come uscire da quella situazione, ero soltanto un ragazzino e anche se non lo davo a vedere avevo paura.

Mi liberai di quella scomoda situazione, quando ci fu una retata nel magazzino abbandonato dove si radunavano tutti quelli della nostra banda. Per nostra fortuna né io né Kenny eravamo presenti quella sera, e se ci penso non saprei spiegare per quale caso fortuito. Forse soltanto una banale coincidenza. Da allora Kenny sparì e non si fece più vedere. Io potei tornare ad essere un banale ragazzino che andava a scuola, però qualcosa in me dopo quella esperienza, era cambiata, non ero più il Levi Ackerman di una volta. Nonostante non ci avessero presi quella sera, vivevo nel terrore che prima o poi i nostri nomi sarebbero saltati fuori.

Riuscii a finire la scuola e, durante quel periodo, non mi feci molti amici a parte un paio: Furlan Church e Isabel Magnolia, ancora non mi so spiegare per quale motivo seguissero un tipo come me, però la loro compagnia non mi dispiaceva. Isabel è una ragazza solare piena di vita e da quando mi conosce ha preso a chiamarmi fratellone, che stranamente non mi dà fastidio se è lei a dirlo. Furlan invece è un ragazzo con la testa a posto, responsabile e attento, anche se quando c'è da ridere e scherzare non si tira indietro, a differenza mia che ho perso l'entusiasmo perfino in quello. Lui è sempre stato il collante della nostra compagnia, se lui non ci fosse io non saprei cosa fare. Furlan per me è un amico unico e insostituibile.

Una volta finita la scuola Furlan mi propose di aprire una caffetteria insieme, e dopo averci pensato per bene, decisi di accettare la sua proposta. Ma proprio nel momento in cui credevo che le cose potessero andare per il meglio, ecco che alla porta dell'appartamento dove vivevamo io e mia madre, si ripresentò Kenny come era successo qualche anno prima. Fortuna volle che fui io ad aprire la porta, se fosse stata mia madre sicuramente l'avrebbe fatto entrare subito senza troppi problemi. Solo che, nel momento in cui provai a richiudere la porta, lui la bloccò mettendo un piede in mezzo.

- Avanti figliolo fammi entrare, mi dispiace per tutto ciò che è successo. – mi disse Kenny e sembrava davvero pentito, eppure io non riuscivo a credergli.

-Vai al diavolo Kenny, noi non vogliamo più avere niente a che fare con uno come te. – gli dissi quasi ringhiandogli contro, ma nel momento in cui incrociai i suoi occhi e vidi la sua tristezza qualcosa dentro di me si ruppe, anche se sapevo che non avrei dovuto cedere, sarebbe stato troppo facile altrimenti.

- Levi dammi un'altra possibilità, giuro che non ti porterò più in posti simili, sono cambiato, ti prego! – mi disse Kenny supplichevole. Non volevo e non dovevo dargliela vinta così facilmente, si sarebbe dovuto riconquistare il mio rispetto e la mia fiducia poco alla volta.

- Mi dispiace ma non posso perdonarti, per ora. – gli dissi con decisione prima di chiudere la porta e lasciarlo fuori. Kenny non insisté più e io dall'interno dell'appartamento sentii i suoi passi che si allontanavano.

Kenny tornò altre volte, sembrava fermamente deciso a dimostrarmi che era cambiato, ma io avevo deciso di parlargli soltanto fuori dalla porta di casa e, per qualche strano segno del destino, riusciva sempre andarsene prima che mia madre rientrasse dal lavoro. Purtroppo, un giorno, mentre io ero fuori con Furlan a cercare un locale dove poter aprire la nostra caffetteria, Kenny suonò alla porta di casa mia e questa volta fu mia madre ad aprirgli. Lei provava un affetto smisurato per il fratello e io non le avevo mai detto delle sue visite; così, quando tornai a casa, lo trovai seduto sul divano del piccolo salottino di casa nostra, e mia madre ai fornelli a preparare la cena. Kenny si irrigidì quando mi vide varcare la soglia del salotto, ma si sforzò di farmi un sorriso, il che mi sembrò strano da parte di uno come lui che un tempo non avrebbe mai sorriso a quel modo.

- Che cazzo ci fai qui! – gli urlai contro; lui a quel punto divenne più serio e il suo sguardo si rabbuiò, pensai che fosse consapevole che non lo avrei accettato tanto facilmente.

- Abbassa la voce, non ho detto nulla a tua madre, lei crede che sia la prima volta dopo anni che vi vengo a trovare. Non vorrai che venga a sapere anche del resto, non è così? – disse Kenny a bassa voce in modo che nostra madre non ci sentisse.

- Finalmente sei riuscito a entrare nel nostro appartamento, ma non ti lascerò restare qui. – gli dissi con decisione anche se avevo abbassato la voce per non farmi sentire da mia madre.

- Puoi stare tranquillo, non resterò per la notte. Ritornerò al mio alloggio. – mi rispose Kenny, il suo tono sembrava essere tranquillo. Io aggrottai la fronte quando lo sentii affermare di avere un appartamento, era strano per uno come lui che di solito era abituato a vivere a scrocco da qualche amico o addirittura per strada se non riusciva a trovare niente altro, visto che per qualche strano motivo era sempre al verde.

- Tsk, è inutile comunque che tu sia gentile con me, non ti perdonerò mai per ciò che mi hai fatto passare. Per me lo zio Kenny è morto anni fa. – gli dissi, per poi lasciare la stanza e dirigermi al piano di sopra, farmi una doccia rigenerante e cambiarmi.

Quella sera la cena si svolse nella tranquillità più assoluta. Kenny parlava con mia madre raccontandole di ciò che era successo negli anni in cui si era allontanato da noi. Io non credevo che tutto ciò che le raccontava fosse la verità, sicuramente aveva omesso qualcosa visto che mia madre non doveva sapere dei suoi loschi traffici. Però, quella stessa sera, venni a sapere che Kenny era intenzionato ad aprire un locale non molto lontano da dove abitavamo noi, fu in quel momento che mio zio si rivolse a me per la prima volta in tutta la serata. Mi chiese se volessi lavorare per lui, e io cercai di contenere la mia rabbia, se avessi accettato sicuramente sarei rimasto di nuovo invischiato in chissà quale altro suo giro losco di cui non volevo più fare parte. Così gli risposi che non mi interessava, visto che anche io stavo per aprire la mia attività insieme a un amico. Perciò Kenny non insisté più e quella sera lo vidi tornare a casa sua senza chiedere di rimanere a dormire da noi.

Ci vollero un bel po' di ricerche per trovare il posto ideale per aprire una caffetteria, e soprattutto parecchio lavoro per sistemare quel posto. Riuscimmo a ottenere un prestito dalla banca tramite i genitori di Furlan che ci fecero da garanti. L'ambiente non era molto grande, ma era abbastanza da poter ospitare un numero sufficiente di clienti. Dipingemmo i muri di bianco e anche l'arredamento che avevamo scelto era dello stesso colore, fatta eccezione per l'attrezzatura da bar dietro il bancone e il bancone stesso.

Il giorno dell'inaugurazione molte persone vennero a visitare la nuova caffetteria, tra i quali, oltre a molti curiosi, anche i genitori di Furlan, mia madre, Kenny, della cui presenza mi stupii e poi anche Isabel che ormai faceva coppia fissa con Furlan. Non si vedeva, ma ero contento per loro, insomma, Isabel era sicuramente la donna giusta per Furlan. L'inaugurazione alla fine andò bene e da quel momento riuscimmo ad avere il nostro giro di clienti, anche se Furlan mi rimproverava sempre quando li redarguivo perché sporcavano. La mia mania per le pulizie è qualcosa che mi porto dietro da diverso tempo; non so dire se è a causa dei posti in cui mi portava Kenny o di qualcos' altro che sono diventato così maniacale quando si tratta di igiene; però, non riesco a sopportare il disordine e la sporcizia.

Passarono alcuni anni e gli affari andavano discretamente bene con la caffetteria, ma purtroppo la vita che non pensavo potesse essere peggiore di come lo era stata in passato mi aveva riservato un'altra dura prova. Mia madre a causa del duro lavoro e dello stress che si era accumulato nel corso degli anni, si ammalò e io dovei fare in modo che avesse una persona sempre al suo fianco per assisterla. Fu in quel periodo che rivalutai Kenny che si rese parecchio utile aiutandomi con mia madre. Non riuscivo a crederci, ma potevo osservare con i miei occhi quanto l'amore per sua sorella e il dolore nel vederla in quelle condizioni, lo rendesse triste oltre che sofferente. Kenny si trasferì definitivamente da noi dopo la malattia di mia madre e io, in quella occasione, non mi opposi.

Una volta al mese, però, la persona che doveva assistere mia madre prendeva sempre una giornata libera, oltre ai soliti due giorni di riposo settimanali, per problemi di cui non mi sono mai impicciato. In quell'occasione, visto che Kenny la sera doveva tornare al lavoro, e visto che cadeva sempre in un giorno della settimana in cui lui non riusciva mai a trovare nessuno che lo sostituisse, mi occupavo personalmente di mia madre. Furlan se la sarebbe cavata bene anche da solo per una sera al mese.

Nel periodo in cui mia madre si ammalò, avevo perso le speranze di poter riuscire a vivere una vita serena e tranquilla. Quando si ha vissuto una vita come la mia, immersa nella sofferenza non si crede più alle favole, o a poter riuscire a raggiungere una pace interiore in cui quella sofferenza e le preoccupazioni non esistono più; ma nel momento in cui tutte le speranze sembrano perse alla fine succede qualcosa che ti fa ricredere facendoti toccare un sentimento di cui prima non conoscevi l'esistenza. In quel periodo credevo che la soluzione al dolore che stavo provando fosse soltanto la morte, ma poi incontrai due occhi del colore del cielo, un cielo sereno, senza nuvole che mi portarono in un'altra dimensione a me sconosciuta.

Il giorno in cui conobbi Erwin Smith io e Furlan eravamo nel magazzino a prendere un paio di casse di bibite per rifornire i frigoriferi del bar. Dalla stanza dove eravamo sentimmo il campanello della porta suonare segnalando che era entrato qualcuno, ci mettemmo qualche minuto prima di tornare nella sala principale. Fui il primo a varcare la soglia che divideva il locale dal magazzino, quando notai un tipo biondo con delle sopracciglia enormi, seduto al bancone; stava mangiando una delle brioche che sicuramente aveva preso dall'espositore, sbriciolandola sul piano di marmo che prima di andare in magazzino avevo finito di pulire. Non sopporto chi sporca senza avere il minimo rispetto, in quel momento sentii i miei nervi tendersi alla vista di quello scempio.

Salii sulla pedana del bancone, che mi faceva sentire più alto di lui, e incrociai le braccia al petto. Lo rimproverai facendogli notare che avevo appena finito di pulire. Lui sobbalzò leggermente, tsk, non mi aveva nemmeno sentito entrare. Ma quando lo vidi alzare la testa, incrociai quegli occhi celesti e provai una strana sensazione alla bocca dello stomaco: rimanemmo a guardarci per un tempo indefinibile, credo di essere rimasto incantato per la prima volta in tutta la mia vita. Provai delle sensazioni che non sapevo né riconoscere né descrivere. A ridestarci da quel momento fu Furlan che mi rimproverò del fatto che volessi che i clienti non sporcassero nulla. Se fosse possibile dare a tutti una bolla dentro cui mangiare senza sporcare niente, di sicuro sarebbe il mio metodo.

Lasciai Furlan a servire il soppracciglione e io mi misi a sistemare le bibite nei frigoriferi sotto il bancone. Lo sentii ordinare un cappuccino e mentre io ero chino a continuare il mio lavoro, sentivo il suo sguardo addosso. Quando finii di fare di sistemare le bevande mi dedicai ad altro; nel frattempo arrivarono anche altri clienti e mi misi a servirli, senza mai smettere di sentirmi lo sguardo di quell'uomo addosso. Non capivo perché continuasse a fissarmi e soprattutto perché non provassi fastidio, nonostante il suo sguardo mi facesse sentire a disagio.

Quando finì la sua colazione, lo sconosciuto se ne andò. E io mi trovai gli occhi di Furlan che mi fissavano, sembrava divertito. Mi chiesi per quale motivo mi stesse osservando a quel modo... chissà cosa stava tramando... così lo guardai a mia volta con le braccia incrociate al petto.

- Che cazzo hai da guardare? – gli dissi con i miei modi poco gentili. Lui per tutta risposta scoppiò a ridere, io alzai un sopracciglio non capendo il motivo della sua reazione.

- Credo che il biondo dalle sopracciglia folte potrebbe cambiare molte cose, e forse anche ammorbidire il caratteraccio che ti ritrovi. – disse l'ultima parte sussurrandomela all'orecchio.

- Tsk. Questo non succederà mai. – dissi cercando di assumere un tono neutrale. Ma Furlan alzò un sopracciglio, nuovamente divertito.

- Vedremo, vedremo. – disse. Facendomi intuire che non credeva ad una sola delle mie parole.

***

Da quella mattina quell'uomo tornò di nuovo alla caffetteria, diventando un cliente fisso e iniziando a frequentare il locale anche di sera. Venni a sapere che si chiamava Erwin Smith, anzi me lo disse lui direttamente, una delle tante volte che aveva provato a intavolare un discorso con me. Mi sentivo costantemente osservato in ogni movimento che facessi. Quegli occhi limpidi e gentili sembravano volermi scrutare l'anima e io mi sentivo sempre più strano, quelle sensazioni a me sconosciute alla fine erano cresciute, ma ancora non avevo idea di che cosa fossero.

Mentre mi osservava sembrava essere perso in chissà quale limbo, così, molto spesso, gli sventolavo le mani davanti agli occhi cercando di risvegliarlo. Lui si ridestava e ogni volta che gli chiedevo se si fosse incantato mi rispondeva sempre che era sovrappensiero. Non ci credevo molto, e soprattutto non capivo quale interesse potesse trovare in me; a parte le mie disgrazie non avevo nulla che potesse interessare alle persone.

Una delle tante sere che si era fermato a prendere un caffè prima di tornare a casa mi domandò di parlargli di me, ma io non credevo che la mia vita valesse la pena di essere raccontata. Forse Erwin voleva soltanto conversare con me, come provava a fare da diverso tempo a questa parte. Mi chiedevo spesso perché fosse così insistente e perché lui volesse conoscermi, a me bastavano i miei amici e mio zio con cui i rapporti sembravano essersi ristabiliti negli ultimi tempi. Kenny sembrava davvero aver messo la testa a posto, il locale che aveva aperto andava piuttosto bene e poi pareva prendersi davvero cura di mia madre, nonostante vederla in quello stato l'avesse fatto invecchiare, dimostrando più della sua reale età. Non c'era più traccia dei suoi loschi traffici illeciti, almeno per ciò che ne sapevo, se era ancora nel giro sicuramente aveva pensato bene di non coinvolgermi e io gliene fui immensamente grato.

Conoscevo Erwin da poco meno di un mese, quando arrivò il giorno in cui restavo a casa per prendermi cura di mia madre. La prima sera in cui non ci saremmo visti, nonostante ci fossimo già incontrati al mattino, la cosa mi sembrò strana: non capivo se vedere Erwin fosse diventata un' abitudine oppure ci fosse dell'altro. Mi sfilai il grembiule e salutai Furlan.

- Allora io me ne vado. – gli dissi facendogli un cenno con la testa. Furlan mi guardò con un ghigno malizioso stampato in faccia. Chissà che diavolo aveva in mente.

- Non hai nessun messaggio da lasciare al signor Smith? – mi disse alzando e abbassando repentinamente le sopracciglia.

- Fottiti. – gli risposi alzando il dito medio. Ma il mio gesto non fece altro che farlo ridere ancora più forte del solito.

Nei giorni successivi Erwin iniziò a invitarmi a uscire per una cena, ma io non so per quale ragione iniziai ad avere paura di quelle richieste. Non volevo che un'altra persona entrasse a far parte della mia vita e soprattutto che venisse a conoscenza del mio passato. Uscire con Erwin avrebbe comportato aprirsi maggiormente con lui, e io non volevo che tutta la merda che avevo passato quando ero adolescente tornasse a galla dopo che finalmente me ne ero liberato. Così ripresi le distanze da lui; negli ultimi tempi avevo iniziato a parlare più spesso con Erwin, non che facessi chissà quali discorsi, soprattutto perché io non sono mai stato un tipo dalla parlantina facile, ma avevo lasciato che si avvicinasse un po' a me. A causa della mia paura, feci in modo che il nostro rapporto, (ammesso che si potesse considerare come tale), tornasse al punto di partenza. Era come se fossimo di nuovo due completi sconosciuti.

Però, mi sembrava di vedere la delusione nello sguardo di Erwin e anche in quello di Furlan. Il mio migliore amico mi parlò un giorno in cui eravamo rimasti soli e il locale era semideserto.

- Si può sapere che ti sta succedendo? – mi chiese quasi con rimprovero Furlan. Io lo osservai corrucciando la fronte, non capendo a cosa si stesse riferendo. – Oh, andiamo! Non fare il finto tonto sai benissimo che cosa intendo. – Mi disse questa volta più serio del solito.

- Se ti riferisci a Smith. Non sono affari che ti riguardano. – Gli dissi sperando che non proseguisse a torturarmi con quell'argomento.

- Andiamo Levi, sei come un fratello per me, tutto quello che ti riguarda è un affare mio, soprattutto se può farti stare bene. – mi disse Furlan. E sembrava sincero, ma mi chiesi se in quel mare di dolore che mi era rimasto dentro io, Levi Ackerman, potessi davvero avere la possibilità di stare bene, ormai credevo di avere perso le speranze che per qualcuno come me potesse esistere la felicità. Non credo nemmeno di aver mai saputo cosa fosse.

Molto spesso mi chiedevo se si potesse essere morti nonostante si continui a vivere. Mi domandavo se avessi potuto vivere una vita diversa da quella per la quale ero destinato: in quel caso avrei potuto essere felice? Vivere una vita normale come può essere? Ci possono essere delle ragioni per non morire e queste ragioni possono essere racchiuse semplicemente in un paio di occhi del colore del topazio? Avevo saputo che Erwin era un ispettore di polizia, e il mio passato era riaffiorato come un uragano che spazza via qualsiasi cosa. Se fosse venuto a conoscenza di ciò che avevo fatto quando ero solo un adolescente, sicuramente niente mi avrebbe impedito di finire dietro le sbarre. Ma perché in fondo credevo che Erwin potesse essere la mia ragione per restare a galla? Una ragione sopra tutte le altre per non morire, e non si trattava della sola sopravvivenza, c'era qualcosa di più, qualcosa che di sicuro avrebbe rivoluzionato la mia vita e, che di sicuro non poteva essere nulla di negativo come fino a ora avevo pensato di ogni situazione in cui mi ero trovato.

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Angolo Autrice

Ed eccoci qui con il POV di Levi, domani pubblicherò l'epilogo, così da concludere questa brevissima storia ;)

Come sempre spero che vi sia piaciuta, mettete una stellina o, se volete lasciate un commento che comunque mi fa sempre piacere parlare con voi =)

Alla prossima =)

 

   
 
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