Non era la prima volta che guidava un Juggernaut. Per quanto Shin odiasse pensarla dentro a quel veicolo paragonabile ad una bara di metallo che si muoveva ed armata in ogni centimetro, Lena aveva insistito affinché le insegnasse a gestirne uno, a conoscerne i comandi ed i parametri; gli aveva assicurato che non avrebbe mai messo il suo bel sederino -citando le stesse parole che il suo ragazzo aveva usato- sul sedile di un Juggernaut, a meno che non si trattasse di un’emergenza estrema.
Ma quella era un’emergenza estrema: Shin non stava avendo la meglio contro quei nuovi modelli della Legione, e gli altri erano tutti impegnati nel combattimento. Perciò decise di lasciare il comando a Grethe per saltare giù dal Vanadis ed chiedere ad alcuni soldati di prepararle il suo Juggernaut, dopo aver spento il suo Para-RAID; esso non aveva nessun nome, ma Theo si era premurato con un sorriso di disegnare lo stesso Personal Mark che aveva già ritratto sul Vanadis.
«Maestà,
è una pazzia!» l’unica che sembrava
opporsi al volere
della Handler era Cyclops, la quale le sbarrò la strada con
fare perentorio.
«Là fuori la situazione sta peggiorando
ulteriormente, è una merda, ed è già
un
miracolo che Undertaker e gli altri ce la stiano facendo!»
«Lo
so, Shiden.» la voce di Lena era ferma, decisa fino al
midollo. «Ma appunto perchè la nostra difesa
è debole devo andare ad aiutarli.
Voglio farlo, ho imparato a guidarne uno per questo.»
abbassò lo sguardo. «Se
ci fosse una persona che ami da morire che sta combattendo contro la
Legione e
tu fossi ferma a non fare niente, che faresti al mio posto?»
Shiden cadde nel silenzio più totale, perché la capiva, ma allo stesso tempo era furiosa per questo, proprio perché la persona che le piaceva le stava chiedendo di lasciarla andare sul campo di battaglia. La comandante tattica la superò decisa, e si approcciò al veicolo dalle quattro zampe.
Mentre saliva a bordo e avviava l’accensione della macchina, si chiese se si ricordasse tutto quello che aveva appreso con il suo ragazzo. Ma non appena mise mano sui comandi, tutto tornò in mente, ed in un attimo si buttò nella mischia, trovandosi ad abbattere più Löwe nemici di quanto si aspettasse.
Si avvicinò alla zona in cui Shin stava lottando senza nemmeno accorgersene, fino a quando non notò il simbolo dei Nouzen sul veicolo dietro al suo, come si accorse dell’enorme razzo che si stava dirigendo su di esso. La paura la invase, la paura di perdere la persona che più amava al mondo, e non le importava che lui fosse un suo sottoposto: avrebbe rischiato sempre la vita per lui, se fosse necessario.
Per quello, con un urlo che non sembrava neanche il suo, si scagliò contro l’Undertaker. Lo buttò di lato, ed esso, inciampando per la sorpresa nelle sue stesse lunghe gambe, iniziò a rotolare lontano, finendo accasciato sulla distesa verde, leggermente illuminato dagli scoppi delle bombe.
La giovane Alba, il colonnello Vladilena Milizé, chiuse gli occhi, e si lasciò andare contro lo schienale. Presto sarebbe morta, e, sebbene desiderasse pensare a tutte le persone a cui teneva, si astenne dal farlo, soprattutto con il nome di quella che le piaceva considerare come sua anima gemella. Non voleva diventare parte della Legione, ma sarebbe stato peggio se avesse dovuto combattere come parte del Nemico con l’obbiettivo di uccidere Shin. Si precluse di sentire persino il minimo rumore, non voleva pensare a niente.
Per questo non si accorse che, poco prima dell’esplosione del suo Juggernaut, un lungo braccio meccanico aveva aperto il veicolo per tirarla fuori e portarla via da lì.
La battaglia era dura, più del normale. Shinei stava facendo davvero fatica a coordinare i suoi commilitoni in quella battaglia; sentiva le voci della Legione più persistenti del solito, senza contare la gran magione che stava andando incontro loro. Anche combattendo spericolatamente come al solito, era difficile parlare con gli altri senza la possibilità di pensare.
Poi, ad un tratto, si ritrovò a rotolare sull’erba nel suo stesso Juggernaut. Sballottato per gli irruenti movimenti, ringraziò che ci fossero le cinture a tenerlo ancorato, e, quando si fermò, appurò di avere solo un rivolo di sangue che gli colava del limite dell’attaccatura dei capelli sulla fronte. Tentò di riavviare il sistema, ma non collaborava, quindi scelse di aprire il veicolo e saltare giù.
Ma fu probabilmente la peggior scelta che avrebbe potuto compiere.
Vide quel Juggernaut nello stesso punto dove qualche secondo c’era il suo; vide il Personal Mark, una donna avvolta in un vestito rosso cremisi, lo stesso del Vanadis. Il veicolo ufficiale di Lena come comandante tattico dell’Eighty Six Strike Package.
Infine, vide il razzo che era destinato a lui scagliarsi sul veicolo.
Iniziò a correre, ma già era senza fiato. Sperava che ci fosse qualcun altro su quel mostro meccanico, perché non avrebbe mai retto la notizia della morte della ragazza che amava. Mentre riusciva ad accettare che tutti lo abbandonassero, non avrei mai sopportato di perdere lei, la sua Handler One.
Ma, quando trovò il cappello di Lena a qualche metro più in là rispetto all’esplosione, spiegazzato e leggermente bruciato, non poté fare altro che raccoglierlo e stringerlo al petto, l’espressione vuota.
Lena non c’era più, lo aveva lasciato indietro.
Senza accorgersene, mentre i droni della Legione si ritiravano senza motivo, si inginocchiò, privo di forza nelle gambe, e scoppiò a piangere come un bambino. Fino a quel momento aveva pianto così solo per il fratello, ma non avrebbe mai potuto pensare che perdere Lena avrebbe lasciato un vuoto così grande al centro del suo petto.
••
Quando si svegliò, il suo corpo era indolenzito, abbandonata su dei sacchi di juta ammassati in un angolo. Intorno a lei, il buio della notte che l’abbracciava, salvo la finestrella sbarrata al di sopra di lei. Non riusciva a vedere niente, ma, quando si abituò all’oscurità, intravide i contorni di una stanza di qualche metro quadrato. Probabilmente era una cella per prigionieri, viste le mura di mattoni ingrigite ed i letti in ferro attaccati al muro.
Come ci era finita lì?
«Non
sei l’unica a chiederselo, piccola Alba.»
Presa per
lo spaventò, sussultò e si girò di
scatto. Nella cella
davanti alla sua, una ragazza poco più grande di lei. Il
corridoio che le
divideva era illuminato da lanterne, e lei era vicina ad una di esse,
per
quello riuscì a
vederne il volto. «Chi
sei?» domandò diffidente, rintanandosi
nell’angolo.
Lei
sorrise dolcemente, probabilmente provava pena per lei
nell’essere stata imprigionata. «Mi chiamo Anna
Maria. E Tu?»
All’inizio
non ricollegò, ma aveva la sensazione che quella non
fosse la prima volta in cui aveva sentito quel nome. Quando mise i
puntini
sulle i, la prima cosa che fece fu sgranare gli occhi stupita.
«La fidanzata
creduta morta di Olivia? Pensavo fossi morta tempo fa.»
«Proprio
io, in carne ed ossa. Immagino che pensino di me come ad
un cadavere in decomposizione, al momento.»
Lena si
morse un labbro. «Purtroppo si, ma Olivia non fa altro che
pensare a te e mettere il profumo che tanto ami. Non ti ha mai
dimenticata, ed
il suo Juggernaut porta il tuo nome.» la guardò
sorridere con dolcezza, al
pensiero della persona amata, per poi guardarsi attorno.
«Comunque, dobbiamo
trovare un modo per uscire da qui.»
L’altra
scosse la testa, il volto rabbuiato. «Non è
possibile, non
sappiamo neanche dove ci troviamo. Anche riuscendo ad uscire ed
ammettendo di
essere in grado di rubare un qualsiasi mezzo, potremmo anche essere in
pieno
territorio nemico e lontani da ogni traccia di civiltà,
senza contare che ci
circonderebbero immediatamente.»
«Hai
ragione, ma non intendo stare qui un minuto di più. E poi,
penso che Olivia sarebbe felice di saperti viva, non credi?»
Quando la
giovane dai capelli argentei si girò verso la sua cella,
riuscì ad intravedere Anna Maria mentre la guardava con
tenerezza. «Sei proprio
ingenua, ma mi piace la tua intraprendenza e coraggio, quindi ci sto.
Hai per
caso un piano, piccola Alba?»
Lena si
accorse che ancora non le aveva risposto alla precedente
domanda, quella del nome, ma quella che la compagna di cella le aveva
appena
fatto aveva sicuramente la precedenza. Si sarebbe ripresentata non
appena
avrebbe raggiunto i suoi compagni. «Non ancora, ma sono il
comandante tattico
della mia squadra, quindi qualcosa in mente me la farò
venire.» si guardò nelle
tasche, nella speranza di trovare qualcosa di utile. «Come
funzionano le cose
qui? Pasti, docce e cose così.»
«Tre
pasti al giorno, e dopo cena ci portano alle docce, mentre
ogni tanto vengono a controllarci.»
«E
quanto droni di solito lo fanno?»
«Uno
solo, ed è sempre lo stesso. Immagino non ci considerino
chissà quanto pericolose, relegate qui sotto.»
«Sfrutteremo
questa cosa a nostro favore, allora.» Mentre
l’ascoltava, nella mente della giovane si delineava un piano,
mentre la sua
mano, corsa nello stivaletto, si stringeva attorno al manico di un
coltellino.
Non era una delle migliori strategie a cui aveva mai pensato, ma
senz’altro era
già qualcosa. «La Legione non costruisce basi,
sfrutta gli edifici già
esistenti sebbene siano degradati. Guardando dove siamo ora e stando al
tasso
di umidità elevato, ci troviamo nelle prigioni di qualche
palazzo nobiliare, ma
dovremmo uscire in qualche modo per capire in che zona
dell’Impero di Giad per
orientarmi.»
«Sapresti
orientarti senza essere mia stata nel territorio dell’ex
impero?» Anna Maria era stupita.
Lena le
sorrise. «Come ho detto, sono il comandante tattico della
mia squadra. Ho dovuto studiare a lungo cartine ed edifici di ogni
angolo
dell’Impero per formulare delle strategie decenti e
sfruttarli per vincere,
quindi ora il nostro primo compito è quello di uscire da qui
e cercare di
arrivare a qualche balconata per studiare il territorio.»
tirò fuori la su arma
bianca e gliela mostrò con un sorriso allegro. «Ci
stai?»
••
Dall’altra
parte della porta, nessuna risposta. Con una mano
alzata in un pugno e l’altra che reggeva il vassoio con la
cena, Raiden fissava
preoccupato la superficie legnosa che separava lui ed il resto dello
Eighty Six
Strike Package dal loro comandante, che, a qualche giorno dalla morte
della
rampolla dei Milizé, si era chiuso in se stesso.
Il
ragazzo sospirò, per poi voltarsi verso gli altri.
«A parte per
combattere contro i droni della Legione, non ho idee su come farlo
uscire.
L’unica che era in grado di spronarlo
era…»
Anju gli
fece cenno di non dire il suo nome. «Manca a tutti, ma
per Shin era la sua ragione per combattere. Penso che per lui sia molto
più
difficile che per noi.» sussurrò per non farsi
sentire dal ragazzo. «E non è
l’unico a stare così. Shiden si sta sfogando
contro il sacco da boxe da giorni,
e ne ha già distrutti cinque.»
Theo si
passò una mano tra i capelli biondi. «Io ho paura,
ragazzi. E se decidesse di tornare a come era prima? Con quella voglia
suicida
di combattere?»
«Abbiamo visto
come era
diventato dopo aver ucciso il suo stesso fratello.»
mormorò Kurena, gli occhi
arrossati dal pianto. «Perdere Lena e saper che un giorno
dovrà ucciderla con
le sue stesse mani lo starà distruggendo.»
«E
se non fosse così?»
Tutti si
voltarono verso Frederica, che li stava osservando
decisa. «Che intendi dire?» volle essere chiaro
Raiden.
«Voglio
dire che noi diamo per scontato che Vladilena sia
diventata parte della Legione, ma sappiamo che non è
così stupida da mettersi a
pensare a Shin in punto di morte. Era conscia di come la Legione
arruolava
nuovi droni, non si sarebbe mai permessa di dire il suo nome sapendo
che poi si
sarebbe trovata a cercarvi per farvi fuori. Amava troppo Shin e teneva
troppo a
voi per farlo.»
«La
principessa ha ragione.» una Shiden distrutta prese la
parola,
attirando sul suo bel volto contorto dal dolore tutta la loro
attenzione. «Se
si fosse trovata in
una situazione
simile, non ci avrebbe mai fatto una cosa del genere.»
«”Se
si fosse trovata”?» ripeté Theo,
confuso. «Senti, Shiden, so
quanto sia a te che a Shin manchi Lena, ma ti prego di non darci false
speranze. Nessuno sopporterebbe di farsi illusioni e sperare per poi
scoprire
la realtà dei fatti, ovvero che Lena è morta e
noi non abbiamo potuto fare
niente per impedirlo.»
«Non
sono qui per questo infatti, ma per mostrarvi le prove di
quello che sto per dirvi.» la ragazza con il nome in codice
Cyclops si avvicinò
alla porta ed iniziò a prenderla a pugni. «Ohi,
Undertaker. È meglio se ascolti
anche tu, quindi anche se ti sei chiuso qua dentro apri bene i
padiglioni
auricolari.»
«Ehi,
Shiden, cerca di comprendere come si sente.» Raiden
tentò di
calmarla, ma lei gli rivolse un’occhiataccia.
«Proprio
perché capisco cosa prova che ho fatto ricerche ed ipotesi
per cercare una qualche prova che sua Maestà non
è morta! Non mi sono arresa
come ha fatto lui, e se la ami davvero, allora alza il culo, esci da
questa
cazzo di camera ed aiutami a cercare Lena!» Shiden era
davvero incazzata, e se
la prese con la porta della stanza di Shin.
Ad un
certo punto, l’ennesimo pugno si trovò in rotta di
collisione con un palmo, e la mano di Shin si chiuse attorno al suo
gancio
destro per proteggere il suo volto pallido e segnato dalle occhiaie.
Tutti
erano stupiti, Shiden aveva la bocca aperta mentre Frederica tratteneva
un
sorriso di vittoria. D’altronde, era stata lei a suggerire
all’ex comandante
dello squadrone Brisingamen di fare una scenata del genere per
provocarlo.
«Se
sei così sicura di quello che dici, parla.» furono
le prime
parole che lui pronunciò con voce roca. «Prima che
possiate anche solo dirmelo,
non importa quello che mi dirà. Preferisco tentare e
scoprire che la pista fa
acqua da tutte le parti piuttosto che non fare niente.»
guardò i suoi compagni
e, nonostante il suo aspetto non fosse dei migliori, nei suoi occhi
rossi
brillava qualcosa di indefinito. «Come hai detto tu, Kurena,
ho perso mio
fratello perché non potevo fare altro che dargli la pace. Se
c’è la possibilità
di evitare questo con la donna che amo, non starò qui a
girare i pollici.»
«Bene.
ora che Shinei è uscito dal letargo, prego Shiden, mostra a
tutti quello che abbiamo scoperto.» l’ex
imperatrice dell’impero giadiano diede
una pacca sul sedere della donna, la quale la guardò con un
sorrisetto per poi
schiarirsi la voce.
«Come
tutti voi sapete, di Vladilena Milizé è stato
ritrovato solo
il cappello, mentre del suo corpo non c’è la
minima traccia.»
«Penso
che sia normale, visto che è stata fatta saltare in
aria.»
Theo non ci trovava nulla di strano.
«Esatto,
ma questo avrebbe dovuto implicare che non avremmo dovuto
trovare proprio niente. Quindi,il mio dubbio è: come
è possibile che prima
dell’esplosione, sua Maestà abbia perso il suo
cappello da militare, pur
sapendo che non se lo toglieva mai mentre era sul campo di battaglia?
Soprattutto se è stato ritrovato lontano dal punto
dell’esplosione.»
Gli occhi
di Anju si spalancarono, increduli. «Ci stai dicendo
che…»
«Che
qualcuno l’ha tirata fuori prima che avvenisse
l’impatto, e
nel farlo il cappello si è
perso nella fuga?» concluse la domanda Shin. Come aveva fatto
a non pensarci?
Preso dalla disperazione, aveva fatto tabula rasa di tutto per lasciare
spazio
al suo dolore, senza pensare per un attimo che forse non era tutto
perduto.
Aveva avuto la prove tra le braccia per tutto il tempo!
Il cenno
di testa di Shiden servì solo a confermare. «E
c’è di
più: come da piano, Lena ci aveva detto di avviare la
registrazione dei nostri
Juggernauts per accumulare informazioni sui movimenti dei nuovi droni
per
poterli studiare. Quando hai abbandonato il tuo veicolo, Shin,
nonostante fosse
stato lanciato via, ha continuato a filmare e le immagini che abbiamo
trovato
sono prove che forse è ancora viva.» la donna mise
tra le mani di Raiden un
tablet, e fece partire il video.
Guardarono
tutto, dal combattimento che Shin stava conducendo fino
a quando l’Undertaker venne sbalzato via. Verso la fine,
prima che si vedesse
la figura del ragazzo entrare nel
campo
a lasciarsi andare ad un pianto disperato, Frederica si protese per
schiacciare
il tasto stop. «Nessuno se ne era accorto, eravamo troppo
impegnati a guardare
il Juggernaut di Lena bruciare con la convinzione che ci fosse dentro
anche il
suo corpo. Ma guardate bene questo pezzo: a lato,
c’è un movimento fulmineo che
nessun essere umano avrebbe mai potuto compiere, a meno che non si
parli di un
drone avanzato della Legione.»
Riguardarono
quel frammento, e si accorsero che la giovanissima
del loro gruppo aveva ragione: c’era stato uno spostarsi
troppo veloce per
essere ripreso nei minimi dettagli, ma il bagliore argenteo che si
intravide,
oltre che il cappello che rotolava sull’erba, era quello
dello spostarsi della
chioma lunga di Lena.
Shin
appoggiò un dito sulla figura sfocata della giovane,
accarezzandone i lineamenti pixellati.
«Lena…» disse solo il suo nome, con un
tono decisamente più dolce e la speranza che gli dava la
spinta per dire:
«Andiamo, ora. Andiamo a salvare Lena.»
••
«Tu
sei pazza.» le sussurrò Anna Maria, avvolta nel
suo
accappatoio, mentre teneva la figura esile di Lena seduta sulle sue
spalle. «E
se entrassero prima del previsto?»
«Sei
stata tu a dire che prima di mezz’ora non entrano a vedere se
sei morta nell’acqua calda del bagno!» le fece
notare l’altra mentre, con la
lama della punta del suo coltellino, svitava attentamente le viti che
tenevano
attaccata la grata del condotto di areazione al muro. «E
siamo appena entrare,
quindi abbiamo anche il tempo di rivestirci e metterci in
posizione.»
«Sei
sicura di quello che fai?» chiese mentre Lena le passava la
grata lentamente, per poi appoggiarla con delicatezza al muro.
«Non
è il miglior piano della storia, ma se il solo ed unico
drone
che si occupa di noi ci casca, siamo a cavallo.» scendendo
dalle sue spalle, la
giovane militare si diede una veloce lavata per poi rivestirsi, sotto
gli occhi
attenti di Anna Maria. «Perché mi
guardi?»
«C’è
qualcuno da cui vuoi tornare, non è vero?» se ne
uscì la
compagna di prigionia all’improvviso, mentre anche lei si
rivestiva. «Insomma,
sei così determinata ad andartene, e mi viene normale
pensare che ci sia
l’immagine di qualcuno che ti aspetta a darti la
forza.»
Lena
comprese dove voleva andare a parare. «Mi sembra di capire
che anche tu abbia sperimentato qualcosa del genere.»
«I
primi tempi ero come te. Mi aggrappavo al ricordo di Olivier
per cercare di trovare una scappatoia, ma con i mesi che passavano mi
arresi al
fatto che sarei morta in quella cella; quando sei arrivata tu, la mia
speranza
si è riaccesa, ma avevo la sensazione che anche tu saresti
stata vittima della
realtà e ci avresti rinunciato. Mi dispiace essere
diffidente, ma non voglio
illudermi troppo.»
«Lo
capisco. Ma, come hai detto tu, ci sono la mia famiglia ed una
persona speciale che non voglio che credano che io sia morta, quindi
non mi
arrenderò. Devo vivere, perché voglio vedere il
mare con tutti loro.»
«Chi
è la tua persona speciale? Il tuo ragazzo?» Anna
Maria si
legò i capelli in una coda alta.
Lena
annuì con vigore, l’amore che traboccava dai suoi
occhi. «Si
chiama Shin, è un soldato della Federazione di Giad come me.
Proveniamo tutti e
due dalla Repubblica di San Magnolia, ma io ero una Handler e lui il
comandante
dello squadrone Spearhead, quelli che gli Alba chiamano Eighty Six.
Adesso
invece lavoriamo fianco a fianco, lui a capo dell’Eighty Six
Strike Package ed
io lo aiuto come comandante tattico.»
«E
come è?» Anna Maria era curiosa di sapere di
più di quella
ragazza. Sembrava fosse una persona dolce e calma, ma secondo lei
nascondeva
qualcosa sotto quella facciata da angioletto. «Immagino che
tu ti sia presa una
bella cotta per lui non solo perché l’hai visto in
divisa.»
L’altra
si permise di ridere sommessamente. «Possiamo dire che
vederlo in quelle vesti ha aiutato molto. Ai miei occhi, Shin
è il più bel
ragazzo che abbia mai visto, con i suoi occhi rossi come rubini ed i
capelli
corvini, come è la persona più buona e gentile
che esista. Ha dovuto affrontare
tante cose brutte che gli sono accadute, è stato
discriminato, maltrattato, ha
dovuto uccidere, e pensa di non meritare di vivere. Invece voglio
stargli
accanto per dimostrargli che ci sono tante persone che gli vogliono
bene e che
lo sostengono.»
La
fidanzata di Olivia si mise in posizione, vicino ai cardini della
porta, seguita dall’Alba. «Sono sicura che sarai in
grado di farlo. Ma per
continuare, dobbiamo uscire di qua vive.»
«E
lo faremo. Ora stiamo in silenzio, fino a quando non arriva il
drone.»
Lena fece
in tempo a finire la frase che la porta si spalancò con
violenza, finendo addosso ai loro corpi. Fecero del loro meglio per
trattenere
un gemito di dolore, e si mise subito in ascolto. Dagli stridii che
riusciva a
captare, che diventavano leggermente più lievi,
capì che si era allontanato
dalla soglia per avvicinarsi al condotto lasciato aperto. Si protese e
lo vide
di spalle, la luce blu del suo unico occhio bionico concentrato sul
punto di
quella che pensava fosse stata la via di fuga delle due.
Con passo
felpato, sapendo quanto fini ai rumori potessero essere
quegli affari, Anna Maria e Lena sorpassarono la soglia della stanza e,
dopo
qualche passo lento, iniziarono a correre come delle forsennate per i
corridoi.
Nonostante il fiato corto e le gambe che chiedevano pietà,
non si fermarono
fino a quando non raggiunsero una finestra.
«Anna
Maria, aspetta!» Lena fu la prima a fermarsi nei pressi
della superficie vetrata, guardando gli edifici. Sapeva di doversi
muovere per
uscire da lì, perciò diede una rapida occhiata
intorno, individuando alcuni
dettagli significativi, ed esultò. «Non siamo
molto lontane dal confine, quindi
non dovrebbe essere difficile scappare verso il bosco senza farsi
notare. I
droni della Legione saranno concentrati sui versanti che sono stati
attaccati,
perciò basterà nascondersi ed evitarli.»
«Senza
armi?» L’altra
non
sembrava convinta. «Se dovessero vederci, sarebbe difficile
difendersi. »
«Non
abbiamo tempo di cercare delle armi qui dentro, avremo più
possibilità cercandole fuori. Ora andiamo, altrimenti ci
troveranno.»
Si
guardarono, decise ad andare fino in fondo, e ricominciarono a
correre.
••
«Adesso?»
Raiden non riusciva a crederci, mentre guardava il suo
compagno d’armi da più tempo e suo
migliore amico montare sull’Undertaker,
intenzionato a partire subito
per i territori dell’ex Impero di Giad. «Shin,
è una pazzia! Non puoi
attaccarli senza un piano dietro, ti farai solo ammazzare!»
«Non
me ne importa niente, Raiden! Se Lena è davvero
là, non
esiterò un solo secondo.» Shin alzò gli
occhi rossi su di lui, facendolo
ghiacciare sul posto quando gli chiese, sincero: «Se la
persona che più ami
venisse rapita sotto i tuoi occhi, aspetteresti ad agire, sapendola in
pericolo
in ogni secondo?»
L’altro
lo capiva, dannazione se lo capiva. «E va bene! Ma noi
verremo con te.» si girò verso i loro amici, i
loro compagni, trovandoli
d’accordo. «Lena è la tua ragazza, la
donna che ami, ma è anche il nostro
comandante e nostra amica. Noi ti aiuteremo, mentre Frederica e Shiden
spiegheranno a Grethe che siamo andati in ricognizione
speciale.»
Le ultime
due chiamate in causa annuirono, mentre Anju, Kurena,
Theo e Raiden salivano suoi loro Juggernauts. «Vi copriremo
le spalle.»
assicurò Shiden, per poi guardare Shin dritta negli occhi.
«Riportala indietro,
Undertaker.»
Lui
annuì solamente, ed insieme, come in passato, partirono
verso
l’ex impero.
«Siamo
sicure che funzioni? Non ha un bell’aspetto.»
asserì Anna
Maria, un sopracciglio inarcato alla vista del fucile malconcio.
«Potremmo fare
una prova per assicurarcene.»
«Rischieremmo
di farci scoprire, ed oramai sapranno che siamo
scappate, quindi saranno in allerta.» distratta
dall’analizzare l’arma, Lena
stava passando una mano sulla canna mentre chiariva il
perché non potevano fare
certe cose. «La canna sembra apposto, i proiettili anche,
quindi scopriremo sul
campo se funzionerà.»
«Sembri
esperta.»
«Quando
la Repubblica è crollata sotto l’attacco della
Legione, ho
dovuto lottare, usando qualcosa del genere.» la giovane
comandante alzò le
spalle. «Arriva qualcuno?»
L’altra
si sporse oltre la colonna dietro la quale si erano
nascoste da un paio di ore, evitando droni che correvano impazziti per
le
strade scoscese. Strizzò gli occhi. «Per ora
nessun marchingegno tecnologico in
vista…» non fece in tempo a dire con
tranquillità che potevano godersi ancora
un po’ di pace, che sospirò: «Fino ad
adesso.»
Cinque
droni dall’occhio rosso correvano verso di loro, e quando
Lena si sporse per vedere di cosa Anna Maria stava parlando, li
riconobbe.
«Sono dei Juggernauts!» esclamò,
buttandosi in mezzo alla strada sbracciandosi
come una matta. «Anche se non vedo i loro simboli, forse sono
della
Federazione.»
Sorrideva,
Lena, perché sarebbe presto tornata a casa.
••
Nello
schermo, Shin vedeva solo lei. La sua Lena, che, sorridente,
cercava di attirare la loro attenzione.
Il
sollievo lo pervase, ed il dolore che aveva sentito
attraversargli ogni fibra del suo corpo e del suo corpo si
affievolì, lasciando
il suo fisico in uno stato di torpore piacevole. Presto avrebbe potuto
prenderla tra le sue braccia e tenerla stretta a sé, e
questo bastava a fargli
riprendere lucidità, dopo aver passato lunghi momenti in cui
disperato si
chiedeva come avrebbe potuto vivere senza lei.
Prima
viveva nel buio da cinque lunghi giorni, ora vedeva la sua
luce risplendere nella sua vita.
Fermò
il suo Juggernaut, seguito dagli altri, e lo aprì. Non
pensava che li avesse riconosciuti, era impossibile da così
lontani, quindi
l’effetto sorpresa sarebbe stato dalla sua parte.
Saltò
giù e come un matto iniziò a correre. Con un
ghigno osservò
l’espressione di Lena cambiare da felice a stupita alle
lacrime che le
bagnarono le guance, mentre anche lei le andava incontro. Finirono una
tra le
braccia dell’altro senza nemmeno accorgersene, ed a nessuno
dei due sembrava
vero.
«Shin!»
esclamò lei affondando il viso nel suo collo. «Sei
qui,
non ci credo.»
«Oh
Lena, pensavo che non avrei mai potuto più fare
questo.» in
risposta, Shin la strinse ancora di più contro il suo petto,
passando le mani
tra i suoi lunghi capelli. «Ho passato giorni infernali senza
di te, certo che
fossi morta.»
«Anche
per me, Shin, anche per me.» Lena si allontanò
leggermente
per baciarlo sulle labbra a stampo. «E prima che tu lo dica,
non è colpa tua
quello che è successo. Se mai ti è passato per la
testa, non lo è: ho preso io
la decisione di salvarti, e non me ne pentirò mai.»
«Lo
ammetto, l’ho pensato.» ammise lui, contemplando il
viso che
tanto amava. «Se non fossi stato in pericolo, tu non avresti
passato niente di
tutto ciò. Ma poi mi sono detto che avrei fatto la stessa
cosa per te, quindi
ho cercato di capirti, anche se continuavo a pensare che fosse tutto
dipeso da
me.»
«Shin,
adesso tutto è finito. Siamo insieme, ed io non intendo
lasciarti mai più.» lo rassicurò lei.
«Comunque, mentre torniamo, avvertiamo
Olivia. Ho una sorpresa per lui.» indicò la donna
che era insieme a lei, la
quale continuava a guardarli da lontano. «Lei è
Anna Maria.»
«La
fidanzata di Olivia creduta morta?»
Lena
annuì. «Proprio lei. A
proposito…» si staccò mal volentieri
dal suo ragazzo, raggiungendo la ragazza. «Abbiamo passato
dei giorni assieme e
momenti di certo non normali, e non ho ancora risposto alla tua
domanda.» tese
la mano verso di lei. «Sono Vladilena Milizé, ma
tutti mi chiamano Lena. Ed
ora, torniamo a casa.»