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Autore: Risa_chan    09/06/2022    1 recensioni
Shouyou, quel giorno, aveva deciso che voleva raccogliere dei fiori.
Può sembrare uno strano passatempo per una divinità, ma non aveva un incarico ufficiale se non quello di accompagnare suo padre e aiutarlo nei suoi compiti.
Sicuramente aveva moltissimo tempo e una gran voglia di fare tantissime cose, come nuotare nelle sorgenti o nel mare o, giocare e chiacchierare con gli amici, e sì, anche raccogliere fiori.
Così lui e Tadashi se ne stavano in mezzo al prato cercando gli esemplari più belli; tulipani, peonie, ortensie… poi alla sua vista comparve un bellissimo Narciso.
Si avvicinò per raccoglierlo.
«Guarda che bel…» esclamò Shouyou ma non fece in tempo a finire la frase che una voragine nera si aprì sotto di lui.
Un uomo alto e bellissimo, su un carro fatto di ossa e avorio e trainato da enormi cavalli neri, afferrò Shouyou trascinandolo con sé nelle profondità della terra.
[AstuHina] [Mito Au] [6000 parole]
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsumu Miya, Koushi Sugawara, Shouyou Hinata
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note

 
Breve storia triste: leggendo  “Una certa inclinazione della luce” di _Kodma – consiglio a tutti di leggerla perché è meravigliosa- ho avuto una fugace immagine di Suga mamma in veste della dea  Demetra; parandone con _Kodma,  lei mi ha spronato a scriverne su.  Quindi  ecco questa creatura partorita dalla mia mente, e che voi miei poveri, dovrete sorbirvi. Spero possiate perdonarmi.
Per poter comprendere la storia è necessario fare una premessa: la storia è insperata al mito di Persefone, più nello specifico del ricerca di Demetra per ritrovare la figlia -nel nostro caso figlio, ma cosa potevate aspettarvi?-.   E' una fic Mito AU ma spero di essere riuscita a mantenere IC i personaggi. 

Schema del mio personale Panteon

Zeus: Bokuto
Era: Keiji Akaashi  ( chi altri se no?!)
Mercurio: Noya
Demetra: Suga mamma
Persefone: Hinata
Figlia di Oceano: Yamaguchi
Oceano (Titano, divinità fluviale): Daichi
Ade: Astumu ( fa morire da ridere lo so)
Thanatos: Osamu
Apollo: Oikawa
Dioniso: Tendo
Ares: Ushijima
Eos dea del alba: Hitoka
Poseidone: Kageyama
 
Bon, con questo è tutto.
 
Kiss

Risa



______________________________________________________________

Sei chicchi di melagrana

 
 
 

 
 
 

Dedicata a _Kodma che mi ha incoraggiato a scriverla

 
 




 
Shouyou, quel giorno, aveva deciso che voleva raccogliere dei fiori.
Può sembrare uno strano passatempo per una divinità, ma non aveva un incarico ufficiale se non quello di accompagnare suo padre e aiutarlo nei suoi compiti.
Sicuramente aveva moltissimo tempo e una gran voglia di fare tantissime cose, come nuotare nelle sorgenti o nel mare o, giocare e chiacchierare con gli amici, e sì, anche raccogliere fiori.
Così lui e Tadashi se ne stavano in mezzo al prato cercando gli esemplari più belli; tulipani, peonie, ortensie… poi alla sua vista comparve un bellissimo Narciso.
Si avvicinò per raccoglierlo.
«Guarda che bel…» esclamò Shouyou ma non fece in tempo a finire la frase che una voragine nera si aprì sotto di lui.
Un uomo alto e bellissimo, su un carro fatto di ossa e avorio e trainato da enormi cavalli neri, afferrò Shouyou trascinandolo con sé nelle profondità della terra.
 
 
 


 
Sulla cima del monte Olimpo, oltre la densa e soffice coltre di nuvole, si nascondeva la dimora degli dèi: un castello sospeso nel cielo di un immortale bellezza, fatto di marmo e oro, splendeva ad ogni ora grazie ai lampi di Bokuto, il Re  che governava  su tutti gli olimpi.
Gli dèi vivevano l’eternità tra feste e divertimenti, viaggiando da un posto e l’altro, raccogliendo le preghiere ed esaudire i desideri degli umani. Ogni divinità secondo l’importanza, possedeva immense ricchezze ed  appartamenti in cui potere mangiare ambrosia, riposare dalle fatiche dei loro compiti o festeggiare tra loro, quando almeno, non era lo stesso Bokuto ad organizzare  sontuosi banchetti.
 
Koshi se  ne stava in una delle stanze del suo personale palazzo tra le nuvole, aspettando che suo figlio tornasse, nel frattempo si riposava leggendo un libro. Il Dio della terra e dell’agricoltura era spesso via per il mondo, intento a far fiorire le colture.
Aveva il suo bel da fare perché ogni luogo aveva diversi tipi di piante e di campi che fiorivano in tempi assai diversi, perciò, aveva ideato un programma dettagliato in cui aveva segnato quando, dove e cosa fare per ogni giorno dell’anno.
Il suo lavoro non era niente se paragonato all’impegno che gli procurava suo figlio Shouyou: vivace e allegro, instancabile e caparbio combinava guai spesso, nonostante avesse raggiunto l’età della ragione.
L’avanzare dell’età era un concetto assai relativo per un immortale, tuttavia, Koshi sperava che il suo prezioso bambino potesse mettere la testa sulle spalle. Desiderava che fosse capace di difendersi da quei brutti ceffi che gli giravano sempre in torno. Shouyou era la personificazione dell’estate e molti sul monte Olimpo lo corteggiavano; lui, puro e ingenuo, sorrideva a chiunque.
Koshi aveva molta più saggezza  da sapere che gli dèi , come gli uomini, sapevano essere volubili e le loro intenzioni non erano sempre buone. Non avrebbe mai e poi mai consegnato suo figlio nelle mani di chicchessia, prima dell’assoluta prova di esserne degno. Un esame che ancora nessuno aveva superato, dunque lo avrebbe tenuto vicino a sé ancora, per  molto molto tempo.
Mentre si domandava che ora fosse, il più giovane figlio di Daichi si presentò trafelato e sconvolto. «Mio Signore! È accaduto una disgrazia!»
Il dio si alzò di scatto allarmato: « Si tratta di Shouyou? »
«È stato rapito! Non ho potuto fare nulla…» rispose Tadashi disperato.
Le labbra di Koshi tremarono appena. «Chi è stato?»
«Astumu.»
Solo il Signore degli Inferi poteva compiere un azione tanto orribile.
La rabbia si impossessò completamente del Dio. «Quel brutto… spregevole essere… come ha osato…»
«Koshi-san…» lo richiamò Tadashi ancora più spaventato dalla reazione del Dio.
Gli occhi dorati, solitamente dolci, si erano colorati da una luce rossa, i lineamenti induriti del volto facevano presagire che presto avrebbe scatenato tutto il suo potere.
La terra tremò, si alzò un vento sferzante, e la terra, sotto di loro, cominciò ad inaridire, gli alberi a rattrappirsi e a perdere le foglie. Il mondo cadde all’improvviso in un freddo inverno senza precedenti. Fiori, frutta, ortaggi furono colpiti da pioggia, grandine e gelo, distruggendo ogni cosa in poco tempo.
«Bokuto!» gridò Koshi.
 
L’urlo risuonò per tutto l’Olimpo raggiungendo le orecchie del Re degli Dei. «Akaashi, hai sentito?»
Kenji gli lanciò un occhiata esasperata: fino a quel momento  aveva dovuto sorbirsi lagne a non finire ma, in un battito di ciglia  Bokuto aveva dimenticato il suo cattivo umore.
«Non c’è niente da esultare, deve essere accaduto qualcosa di grave.»
Neanche il tempo di dire a che le porte della stanza si aprirono violentemente; Koshi marciò dentro il salone a passo di marcia, livido. Puntò il dito contro Bokuto. «Tu! Devi fare qualcosa, subito!»
«Hey, hey, hey! » Bokuto poggiò una mano sul ginocchio,« Perché tanta rabbia, Koshi?»
«Il mio dolce bambino…» singhiozzò disperato.
Bokuto lo guardò perplesso: «Shouyou non è più un bambino.»
L’occhiata che, sia Akaashi sia Koshi gli lanciarono, gli fece capire di avere detto la cosa sbagliata.
«Atsumu l’ha rapito! Devi riportarlo qui!»
Kenji, molto più comprensivo,  strinse Koshi in un abbraccio cercando di pronunciare parole incoraggianti. « Shouyou sarà di nuovo qui presto, vero Bokuto-san? »
Più semplice a dirsi che a farsi. Non aveva nessun tipo di potere nel regno dei morti; nessun mortale o Dio poteva entrare negli Inferi senza invito del padrone di casa. Senza contare che, era perfettamente cosciente del motivo per cui Tsumu-Tsumu avesse rapito Shouyou. Era scoppiato un amore folle tra i due, ma sembrava che Koshi non avesse nessuna intenzione di acconsentire al matrimonio.
Sapeva che l’amore di Atsumu era ricambiato, ed era certo che il Dio del oltretomba non avrebbe mai rinunciato al suo amore. 
Brutto, brutto affare… non poteva certo dire a Koshi che comprendeva il comportamento di Atsumu, dal canto suo avrebbe fatto questo ed altro, per il suo Akaashi; non poteva nemmeno dire a Koshi  che il suo senso di protezione era davvero eccessivo. Inoltre, il Dio della fertilità aveva le sue ragioni per essere arrabbiato.
Così optò per la scelta meno indolore possibile. «Noya!»
Il messaggero degli dèi rispose subito alla chiamata. Li raggiunse immediatamente atterrando energicamente nel salone. «Mi hai chiamato?»
Nishinoya era un piccoletto, con le ali dorate ai piedi, un aria selvaggia e rassicurante al tempo stesso.
«Vai negli inferi, e di a Tsumu-Tsumu che quello che ha fatto è una cosa brutta,» le occhiate di  Akaashi e Koshi lo spinsero a sottolineare, «molto brutta, e deve lasciare andare immediatamente Shouyou.»
Nishinoya annuì: «Sarà fatto!»
Spiccò il volo e si allontanò più velocemente possibile.
Nel frattempo, il trambusto aveva attirato altri dei. Ogni evento che potesse destare scandolo e chiacchiere era miele per le divinità.
Il primo pettegolo a capire la situazione fu ovviamente Satori. «Olololo! Hai sentito Wakatoshi?»
Il Dio della guerra, il quale sembrava essere capitato lì per caso, annuì. «Situazione complicata.»
«Come si risolverà?» chiese Satori.
Ushijima rispose asciutto. «Con la guerra.»
Una risata derisoria li costrinse a voltarsi. «Sanguinario e brutale , come sempre.»
Oikawa se ne stava con una spalla appoggiata la colonna corinzia e con l’altro braccio teneva la lira d’oro.  La veste candida copriva il corpo scultorio, l’espressione frivola ma attenta guardava il padre disperato venir consolato da una ansiosa Hitoka.
Tendo  ridacchiò. «Tu che ne sai più di noi, cosa scioglierà il nodo di questa matassa? »
Oikawa alzò le spalle: «Chi lo sa, Astumu fesso non è, avrà sicuramente trovato un modo per legare a sé Shouyou, né Koshi si darà di certo per vinto.»
 
 
***
 
 
L’oltretomba era, un posto enorme e buio, per lo meno nella sua gran parte; i campi elisi erano gli unici luoghi che avessero luce, erba e fiori. Il resto era silenzio e tranquillità, costellato di fiumi, boschi, rovi e spine, città  turrite, porte e paesaggi foschi ma vari[1].
 A Shouyou piaceva; aveva da subito apprezzato il fascino dell’Ade, con le sue nebbie e i suoi crepuscoli. 
Riusciva a vedere la sua bellezza perché assomigliava così tanto ad Astumu. Rivedeva lui in ogni pietra  e in ogni pezzo di marmo nero del suo palazzo. Il Dio del inferi  aveva tutto quello che si poteva desiderare, bellezza, potere e carisma, eppure, fin dalla prima volta che aveva parlato con lui, gli era sembrato tremendamente solo.
«Sono sorpreso,» esclamò Atsumu seduto accanto a lui.
 Si trovavano nella sala da pranzo davanti ad una tavola imbandita di cibo, e il padrone di casa cercava di convincerlo a mangiare.
«Di cosa?»
Tsumu bevve un sorso di vino. «Non pensavo ti saresti adattato così bene a tutto questo,» allargò le braccia per indicare il luogo in cui si trovavano.
Il Dio si era preoccupato che Shouyou potesse avere qualsiasi cosa desiderasse; lo riempiva di attenzioni e cure. Desiderava che si trovasse bene a vivere con lui, e temeva  più di qualsiasi  altra cosa che fosse infelice.
Era pur sempre la casa delle anime morte e questo poteva far perdere l’attrattiva di viverci. A Shouyou tuttavia non importava.
«Ci sei tu, Tsumu, e a me basta.»
 

DIECI MESI PRIMA…

 
 
 
«Sto arrivando!»  gridò Shouyou; fece qualche passo indietro, prese la rincorsa e si tuffò nell’acqua blu della sorgente. Mentre riemergeva per nuotare sentiva i suoi amici ridere e schizzarsi per gioco, come se per loro fosse la prima volta.
Shouyou nuotava pigramente di qua e di là, a volte facendosi trasportare dalla corrente sotterranea godendosi  i raggi del sole.
Era il suo posto preferito. Una piscina naturale circondata da un faggeto rigoglioso dove poter fare il bagno in acqua limpida, fresca e di un colore blu profondo. A volte si spingevano fino al fiume, per pescare, raccoglievano frutta e  miele  per fare un pic-nic tra gli alberi.
Koji  attirò la sua attenzione sventolando un braccio nella sua direzione. «Sho-chan! »
Teneva sotto l’altro braccio una palla fatta di stracci e cuoio. «Vuoi giocare con noi?»
Poiché Shouyou adorava i giochi in cui bisognava lanciare e colpire  la palla, accettò con gioia. Scelsero  un punto in cui  l’acqua arrivava loro alla pancia e cominciarono giocare. Perdeva un punto chi lasciava cadere la palla per primo.
Erano talmente concentrati che, all’inizio, non si accorsero del trambusto creatosi a riva.
 Il primo a notarlo fu Izumi. «Ragazzi guardate!»
Era comparso un ragazzo alto, capelli scuri e un ciuffo biondo; aveva un chitone nero fatto di tessuti pregiati, parlava con alcune ninfe del bosco.
« Chi è?» chiese Shouyou.
Tadashi lo guardò allibito: « Come fai a non conoscere Astumu, il dio degli inferi?»
Lo sgomento che provò gli si leggeva in faccia.
«E’ che se ne sta sempre nel oltretomba! » si giustificò Shouyou.
Koji si mise le mani dietro la nuca. «Cosa ci fa qui, allora?»
Izumi alzò le spalle, mentre Tadashi  rispose: «A quanto dicono stia cercando una compagna o un compagno.»
Erano un gruppo numeroso,  titani, ninfe e geni,[2] nati  lo stesso anno di  Shouyou, e diventati suoi compagni di avventure che amava intraprendere sulla terra. Belli e immortali erano i candidati ideali per divenire sposi di  un Dio potente come Atsumu.
Shouyou non poteva conoscere  i desideri del Dio ma se davvero stava cercando qualcuno da sposare, decisamente stava fallendo.
In principio Atsumu aveva attirato l’attenzione di molte ninfe.  Due potamidi[3] sorelle gemelle lo guardarono sognanti.  Poi però il Dio disse loro qualcosa che le spinse a  scappare via in lacrime.
Come gli veniva in mente di apostrofare “scrofa” una possibile conquista? La stessa cosa capitò quando provò a parlare con altri suoi amici, con l’identico risultato.
Shouyou si mosse verso la riva curioso e divertito.
«Shouyou dove stai andando?»
«Voglio vedere più da vicino!»
Atsumu gli dava le spalle sconfortato dalla  fuga che si era creata intorno a lui.
Da vicino le sue spalle sembravano ancora più possenti e forti; poteva percepire il potere che emanava, e allo stesso tempo sentiva una malinconia di cui non capiva l’origine.
 Shouyou ridacchiò.  «Se fai così scapperanno tutti!»
Quando si  accorse della sua presenza, Astumu si voltò verso di lui: «E Tu chi  diavolo saresti?»
Shouyou era un Dio minore e provava sempre un po’ di paura di fronte a quelli più potenti di lui, ma era determinato e trovò il coraggio per rispondere con la sua consueta energia.
«Mi chiamo Shouyou, piacere di conoscerti.»

Un lampo di  comprensione attraversò gli occhi di Atsumu; conosceva bene suo padre e sapeva che aveva un figlio con quel nome.
Il Dio non si scomodò a presentarsi.
«Cosa vuoi?» chiese.
«Niente, ma posso darti qualche consiglio?»
 Atsumu lo guardò oltraggiato. «Non ho bisogno di aiuto.»
«Ma se fai schifo, »  disse d’istinto, « non ti arrabbiare, ma è vero!» si affrettò ad aggiungere poi.
Il Dio degli inferi non volle ascoltarlo e proseguì con i suoi disastrosi tentativi di corteggiamento.  Era sorprendente come un tipo bello e affascinante riuscisse ad essere così difficile e odioso allo stesso tempo. Era troppo schietto e non utilizzava  mezzi termini quando diceva la sua.
Il brutto carattere del signore dei morti era famoso, erano in  molti a odiarlo, ma forse dietro c’era solo passione  e non cattiveria. Forse Atsumu  era semplicemente incompreso.
«Dove sbaglierei, sentiamo,» sputò ad un certo punto il Dio. Aveva il broncio più buffo che avesse mai visto.
«Cosa?»
«Lo so che muori dalla voglia di dirmelo.»
Shouyou sorrise.
Non riuscì a rispondere perché Tadashi lo richiamò all’ordine: «Shouyou è tardi, dobbiamo sbrigarci a tornare a casa!»
«Arrivo!» rispose prima di   rivolgersi  nuovamente ad Atsumu, «Devo andare, ciao! »
 

***
 

Quel sorriso lo aveva perseguitato per tutta la notte. Credeva che soltanto quell’odioso di Toruu poteva brillare tanto. Invece quel tipetto era capace di oscurare persino il sole.
O forse era lui a non essere abituato? Doveva rivederlo o sarebbe uscito pazzo!
Riuscì a rincontrarlo qualche giorno dopo, in una radura alle pendici del monte Olimpo ; se ne stava seduto, gambe sospese nel vuoto, su un ramo di un albero millenario.
«Ciao!» lo salutò gentile Shouyou.
«Ciao, cosa fai lassù?»
Shouyou scese con grazia atterrando su due piedi con leggerezza.  I suoi occhi brillavano di una luce maliziosa e ingenua allo stesso tempo; ed erano grandi con ciglia lunghe e chiare messi in risalto dalla rossa  capigliatura indomabile. Atsumu non era ceco  neanche al corpo flessuoso del giovane ed era davvero curioso di conoscere quel ragazzo impertinente. Non era cosa di tutti giorni, trovare qualcuno che  osasse dirgli che stava sbagliando o fargli una semplice critica. Neanche Tobio-kun e Bokuto, Dei del suo stesso rango[4], provavano mai a fargli notare le sue mancanze. Solo Samu lo faceva di continuo.
«Volevo vedere quanto in alto potevo arrivare.»
Atsumu inarcò le sopracciglia. «Fai le cose che fanno i mortali?»
Shouyou annuì vigorosamente: «Non mi piace molto stare fermo, amo il movimento, sai, le gare sportive o anche arrampicarsi, saltare in alto, giocare con la palla.»
 La conversazione si bloccò perché Atsumu non aveva la minima idea di come commentare a tanto entusiasmo.  Non poteva neanche dirgli che  desiderava riprendere il discorso che avevano iniziato quando si erano conosciuti.
Shouyou lo salvò da quella situazione imbarazzante. Scoppiò a ridere: «fai proprio pena nel corteggiare!»
«Non ci sto provando con te!»  rispose.
Shouyou non demorse: «Perché sei venuto fino a qui? »
«Sono capitato per caso!»
Shouyou non ci credette, ma invece di rimarcarlo gli trovò una scappatoia.
«Volevi sapere dove sbagli, non è così?»
Atsumu si affrettò ad annuire. Quando si erano incontrati Shouyou era parso interessato a spargere consigli e non poteva negare che, era curioso di sapere la sua opinione. Non era lì per quello, ma si disse, erano solo dettagli.
Il giovane per  ricompensa sorrise e ancora una volta Cupido lo trafisse. «Se vuoi corteggiare una ninfa per prima cosa non devi essere così odioso con lei.»
Atsumu sbuffò: «Dico quello che penso e  le ninfe a volte sanno essere davvero fastidiose.»
 «Ah! Sei un tipo difficile...»  esclamò.
«Forse,» rispose alzando le spalle.
«Non è un male, » teneva una mano sul mento pensoso, « vuol dire che stai cercando qualcuno di speciale. »
Atsumu sgranò gli occhi sorpreso, per la prima volta qualcuno lo capiva al volo. Non voleva  sposarsi perché fosse scontento di ciò che gli era capitato in sorte, come molti racconti umani volevano far credere: amava il suo regno benché un po’ tetro. Da quando era diventato il sovrano dell’ Ade aveva cercato di organizzarla al meglio, facendo in modo che tutte le anime fossero giudicate con giustizia.
Governava il suo regno con passione e dedizione, e voleva una compagna o un compagno che  regnasse insieme a lui, che fosse pronto, sveglio e vivace, che lo facesse sentire meno solo.  
Aveva Samu ma era qualcosa di diverso; per quanto fosse fondamentale la sua presenza non era come avere qualcuno che lo capiva affondo e lo accettasse per quello che era.
Trovare una compagna o un compagno era stato più difficile del previsto; aveva avuto poche occasione di uscire dall’Ade, e chiunque incontrasse non aveva le qualità giuste perché lui riuscisse a mantenere l’interesse. Ma ora…Shouyou era riuscito a rapire tutta la sua attenzione. Gli faceva provare sentimenti che non aveva provato mai; si sentiva nervoso, goffo e insicuro.
Non sapendo come, Atsumu si trovò a parlare di sé degli impegni che lo tenevano legato al suo regno.
«Te ne stai sempre chiuso in casa tua?»
«La maggior parte del tempo.»
Shouyou chiese di nuovo: «Come mai?»
«Sono molto impegnato, perché me lo chiedi?»
«Se cerchi qualcuno di speciale dovresti uscire di più,» cominciò, «esci con me, potrai incontrare molte persone nuove!»
Atsumu non poteva credere alle sue orecchie, e accettò l’invito.
Nonostante gli impegni lasciava il suo palazzo più spesso per incontrare Shouyou, il quale lo trascinava in giro  alle feste per conoscere qualche titano o un’altra divinità primordiale. Per lo meno  fino a quando smisero di vedersi insieme ad altri numi per rimanere solo loro due.
Shouyou era genuinamente interessato a  tutto quello che lo riguardava, faceva mille domande, lo studiava quasi, come se volesse conoscerlo intimamente, senza però svelare troppo di sé.
 Amava imparare e fare esperienze nuove, non aveva il minimo pregiudizio. E questo lo aveva affascinato moltissimo.
«Voglio un carro tutto mio!»
Si erano travestiti da esseri umani per potere assistere ai giochi ad Olimpia. La gara di apertura era la corsa con i cavali con i carri.
Atsumu sorrise: «Puoi avere tutto quello che vuoi sei un Dio.,»  
«Non così importante, né ricco.»
Suo padre lo era, ma in nessun modo sarebbe potuto diventare potente quanto lui; la gerarchia divina  era davvero ingiusta.
Shouyou meritava molto di più di quanto gli era concesso. Più lo conosceva e più capiva quanto valesse. Koshi lo teneva stretto a sé per una ragione, non osava immaginare quanti avrebbero voluto sposarlo. Uno dei tanti era stato Tobio stesso,  ma a quanto pareva Koshi non ne aveva voluto sapere.
 Quando lo aveva sentito, Atsumu non aveva capito la ragione di rifiutare un matrimonio così vantaggioso. All’epoca non conosceva ancora Shouyou, e aveva decisamente cambiato opinione; il solo ricordo di una tale possibilità gli faceva ribollire il sangue nelle vene.
Ma se aveva detto no a Il re dei mari, quanta possibilità aveva lui? E Shouyou lo desiderava quanto lui?  
Aveva creato un legame fisico con Atsumu, cercava il contatto,  gli stringeva a volte la mano, altre volte gli donava carezze veloci sul braccio; altre ancora  si sporgeva  verso di lui così vicino da sentire il calore della sua pelle.
Però non si era mai spinto verso qualcosa di più esplicito.
Nel pomeriggio seguirono la gara di Pentathlon. Shouyou lo trascinò a vedere le gare nei i giorni successivi perché desiderava vedere tutte le gare in programma. L’ultimo giorno assistettero alla premiazione e poi al banchetto.
Mangiarono selvaggina e frittelle al miele, bevendo vino festeggiando fino a notte.
«Ti sei divertito?»
Atsumu annuì.
«Non dovevi essere già a casa?»
Shouyou rise. « papà fa un eccezione quando ci sono i giochi,  sa quanto mi piacciono.»
Fu allora che gli venne in mente un idea. Fischiò due dita per richiamare i suoi cavalli; in poco tempo arrivarono al galoppo attaccati al suo carro.
Shouyou era rimasto a bocca aperta alla magnificente vista.
«Nel frattempo che avrai  il tuo personale…»
Shouyou girò la testa di scatto verso di lui, incredulo:  «Me lo lascerai guidare?»
Astumu gli fece cenno di salire e il giovane saltò su contento. Aspettò che Atsumu salisse accanto a lui  prima di partire a tutta velocità.
Come ogni carro divino, quello di Atsumu poteva andare sulla terra, sull’acqua o in cielo.  Shouyou decise di spiccare il volo per camminare tra le stelle. Solo la Luna come testimone e a far loro da guida, arrivarono fino alla Magna Grecia. Atterrarono in un promontorio roccioso a picco sul mare.
Shouyou gli si gettò tra le braccia.  «Grazie.»
Era caldo l’abbraccio di Atsumu, avrebbe potuto rimanere  stretto al Dio per sempre.  Fino a quando Atsumu non lo  baciò, e allora avrebbe voluto baciarlo per tutta la sua eternità.
«Posso chiamarti Tsumu, ora?»
 «Sì,» sussurrò Tsumu prima di tornare a baciarlo  ancora.


***



Shouyou prese un respiro profondo ed entrò nella stanza.
Quello che doveva fare era semplice. Trovare il coraggio per dire a suo padre che stava uscendo con il Dio degli inferi in persona.
Koshi si voltò sorridendo verso di lui: «Buon giorno dormiglione.»
«Sai, papà io…»
Koshi aveva sempre avuto uno strano presentimento se riguardava suo figlio, si preoccupò. «Qualche umano ti ha infastidito di nuovo?»
Tutto il coraggio che aveva cercato dentro di sé sfumò; ricordava la brutta fine dell’ultimo umano che aveva fatto arrabbiare suo padre. Ridotto a mendicare per la fame insaziabile e a vendere la sua stessa figlia.
Non che Koshi avrebbe potuto fare una cosa simile a Tsumu ma gli occhi di suo padre parlavano chiaro, meglio aspettare ancora.
«No, vado a trovare Tadashi ,» raccontò, «Ha  una nuova stella marina e vuole farmela vedere.»
Shouyou non era un bravo  bugiardo, preferiva le mezze bugie. Tadashi voleva davvero mostragli una stella marina ma lui aveva  rifiutato.
«Va bene, non fare tardi.»
“Troverò un momento migliore!” pensò.
Un momento che non trovò mai. I loro appuntamenti segreti furono scoperti prima che Shouyou  potesse farlo.
Oikawa li vide passeggiare insieme dal suo carro mentre trainava  il sole nel cielo. Dopo il tramonto la prima cosa che fece fu  correre da  Bokuto per raccontargli la novità.
Il re di tutti gli Dèi aveva cercato di trovare un partner al suo amico senza successo, si era quasi rassegnato a vederlo solo quando era giunta la voce che finalmente Atsumu avesse trovato un partner. Aveva indagato con il diretto interessato ma quello non aveva voluto né ammettere la storia d’amore né dire il nome.  Visto l’insuccesso,  aveva chiesto a Toruu di tenere occhi e orecchie aperti per scoprire la verità.
«Ne sei sicuro?»
Oikawa annuì: «Sho-chan e Atsumu in carne d’ossa.»
Bokuto  scoppiò dalla gioia alla notizia.
«Shouyou ma certo, è perfetto!», esclamò Bokuto allargando le braccia eccitato, «faremo una grande festa nel salone!»
Kenji cercò di farlo ragionare. «Non stai correndo troppo, Bokuto-san?»
«Ti dico che un matrimonio ci sarà!» ribatté convintissimo Bokuto.
«Oikawa ti rendi conto di cosa hai fatto?» chiese Kenji esasperato da tutta quella mancanza di giudizio.
Toruu non sembrò dispiaciuto affatto. «Non potevo tenerlo per me, ti pare?»
Neanche a farlo a posta, Koshi comparve nel momento giusto per sentire Bokuto straparlare di nozze e ricevimenti.
«Quale matrimonio?» chiese.
Bokuto guardò il suo sposo affranto e quello si prese l’onere di dire la verità. Era amico di Koshi e sapeva quanto amasse suo figlio. Non avrebbe mai nascosto nulla che lo riguardasse.
«Nessuno per ora, ma pare che Atsumu stia frequentando Shouyou,» spiegò.
« Pare che stia  frequentando Shouyou?» ripeté con finta calma.
Akaashi annuì: «Oikawa li ha  visti insieme.»
Gli occhi di Koshi saettarono subito sul Dio del sole, il quale alzò le mani: «Li ho solo visti passeggiare, non so altro.»
«Lo scoprirò io , statene certi. »
Non aveva notato nessun  comportamento particolarmente preoccupante in suo figlio, tuttavia, aveva avuto l’impressione che fosse evasivo alle sue domande.
Per prima cosa decise di indagare tra i suoi amici. Non Tadashi, Koji o Izumi perché  avrebbero mentito per proteggerlo ma andò da alcune ninfe.
Quello che scoprì lo preoccupò ancora di più.
 «E’ da tanto che Sho-chan non esce con noi,» gli  racconto Aura[5], «secondo noi vede il suo amore.»
La  driade accanto a lei  ridacchiò: «Dicono che sia il Dio degli inferi.»
Non c’erano più dubbi: Shouyou gli aveva mentito; non era uscito con gli amici come gli aveva detto.
Mancava solo la prova regina.
Un giorno finse di andarsene prima di Shouyou e di soppiatto lo seguì. Ad aspettarlo davanti al suo carro c’era Atsumu sorridente  allargò le braccia per prendere al volo suo figlio. Il bacio strappa fiato che si scambiarono fugò ogni dubbio sulla natura della  loro relazione.
La prese peggio di quanto suo figlio si potesse aspettare.
«Hai mentito,» disse quando Shouyou cercò, di spiegargli i suoi sentimenti, «e questo fatto è molto grave.»
Koshi si voltò furente verso Atsumu: «dovevi chiedere il mio permesso prima di frequentare Shouyou, lo sai.»
«E me l’avresti concesso?» chiese Atsumu  sarcastico.
«No, è troppo piccolo.»
Shouyou esclamò indignato: «Ma ho 18 anni!»
«Appunto,» Koshi mise le mani sui fianchi, «hai l’eternità, puoi aspettare prima di lanciarti in rovinose relazioni.»
«Ma…» cercò di obbiettare; Koshi fu irremovibile. «Ti proibisco di vederlo,» poi indicò minaccioso Atsumu, « e tu  stai  lontano da mio figlio.»
 
Se Shouyou rimase speranzoso, Atsumu decise di agire altrimenti.
 
***
 
«Shouyou-kun,» Astumu attirò la sua attenzione di nuovo verso la tavola imbandita, «devi mangiare qualcosa…»
Shouyou scosse la testa: « Mio padre dice sempre che non devo mangiare nulla di cui non conosco la provenienza.»
Tsumu sbuffò: « Koshi non ha mai voluto che mi vedessi, ma questo non ti ha impedito di frequentarmi  in questi mesi.»
È diverso…» esclamò, « non so se è la cosa giusta da fare, Tsumu.»
«Anche gli dèi devono mangiare,» rispose Atsumu.
Shouyou lo guardò storto: «Intendevo rapirmi  e portarmi qui.»
Il Dio chiuse gli occhi e sospirò. Lo amava così tanto che proprio non riusciva più a stare senza di lui, e aveva preso una scelta avventata.
Poteva  anche ammetterlo; il suo piano era un colpo basso, eppure non gli era stata data altra scelta se non quella di agire perché lui e Shouyou potessero essere felici.
La prima parte del piano aveva avuto successo, ora doveva mettere in atto la seconda.
Astumu si inginocchiò davanti al giovane e gli prese le mani; baciò le nocchie una alla volta.
«So che stai soffrendo per via di tuo padre…»
Shouyou interruppe il suo discorso: «E’ vero non la presa bene quando  ha saputo di noi, ma sono certo che capirà se spieghiamo!»
Quel ragazzo riusciva ad essere  troppo ottimista e ingenuo per il suo bene. Si trattenne dal dirgli la cruda realtà: Koshi gli aveva intimato di vederlo mai più, la possibilità che ascoltasse le loro ragioni era inesistente.
Optò per un discorso più diplomatico. «Lo so, ma dobbiamo far valere le nostre ragioni e questo è un modo per farci ascoltare.»
Shouyou annuì.
«Bene, ora mangia.»
Shouyou  mangiò sei chicchi di melagrana, per fare contento il suo fidanzato.
«Sei uno stronzo manipolatore.»
La voce proveniva da un angolo vicino alla porta. Osamu se ne stava abbraccia conserte, con le grandi ali neri ripiegate sulle spalle.
Astumu ignorò il suo commento: «Dove eri andato a finire?»
« Facevo tutto il lavoro, » allargò le braccia ad indicare i muri, «la baracca deve andare avanti.»
«Allora perché sei qui?»
«Nishinoya ha un messaggio da darti.»
La partita era cominciata.
«Facciamolo accomodare, allora.» disse Atsumu pronto.
 
***
 
 
«La risposta è no.»
Bokuto piegò il capo: « Cosa?»
«Astumu non ha intenzione di lasciare andare Shouyou,» Noya spiegò cercando di essere più preciso.
C’erano tutti, a parte Tobio, rimasto nella sua casa in fondo al mare, tutti gli Dèi non vedevano l’ora di sapere come quella sorrida faccenda si sarebbe conclusa.
«Ma Shouyou sta bene?» chiese Koshi allarmato.
Noya annuì ma l’espressione seria sul suo volto non presagiva nulla di buono. «Sta bene, ma devo dirtelo, ha mangiato  sei chicchi di melagrana.»
La legge parlava chiara: chi mangiava qualsiasi cosa  proveniente dal oltretomba apparteneva a quel mondo e non avrebbe più potuto lasciare senza dover ritornare. . Atsumu aveva legato suo figlio inesorabilmente a sé e sarebbe stato impossibile riaverlo indietro.
«Questo cambia tutto,» rifletté Bokuto.
«Andrò a  riprenderlo io stesso,» Koshi si alzò in piedi, « se pensa che , questo possa fermarmi, si sbaglia di grosso.»
Bokuto cercò di dire qualcosa  per calmare le acque senza successo. «Hey, hey, hey…»
«Niente crescerà mai più, il mondo avrà un inverno senza fine se Shoyo non tornerà casa!» esclamò Koshi.
Partì in una nube grigia senza ascoltare il richiamo di nessuno dei suoi amici, e fratelli dei, con solo  in testa il suo bambino nel freddo buio dei morti.
Shouyou era luce e fuoco, l’essenza stessa della vita, la sua creatura più preziosa. Era così piccolo tra le sue braccia quando nacque, forte  e determinato mentre scalciava e si dimenava pronto a scoprire il mondo che lo circondava. Più diventava grande e più i suoi occhioni si riempivano di meraviglia per ogni scoperta che faceva, ogni cosa che incontrava.  
Da sempre erano stati solo loro due, anche tra gli dèi, erano una cosa sola e nessuno poteva porsi fra loro.
Atterrò davanti la grotta, la quale celava la porta per l’ade  e senza indugio vi entrò.  
La grande porta di ferro non era l’unico ostacolo al suo scopo. Dietro di essa c’era Cerbero pronto a sbranare chiunque cercasse di oltrepassare lo Stige, il fiume sotterraneo che portava nel cuore degli inferi. Stava pensando a come abbattere la porta che questa si aprì lasciandolo passare.
Dall’altra  parte Atsumu lo stava aspettando con un sorriso stampato in faccia.
«Mi hai sorpreso, da te  non mi sarei  di certo aspettato di vederti piombare qui.»
Koshi ringhiò: « da te mi  aspetto solo il peggio, come rapire persone, per citarne una.»
Atsumu scosse la testa, il sorriso ancora stampato sulle labbra. «Ed io che speravo di poter parlare in maniera civile.»
Koshi rise e ignorò la battuta sarcastica. «Lascia andare Shouyou.»
Qualcosa nel viso del Dio dei morti mutò, sembrava quasi affranto tanto quanto lui per quel dramma senza soluzione. Koshi volle ma non poté ignorare davvero quel guizzo di umanità.
«Non posso,» rispose.
«Per la stupida legge degli inferi?»
«Perché lo amo.»
Koshi  fissò il viso del Dio con una tale intensità come se volesse trapassarlo fin dentro le ossa immortali. Non disse nulla  soppesando le parole dell’altro per decidere  quali fossero le intenzioni dietro quelle parole.
Se era giunto fino lì impossessato di una rabbia  cieca, ora, aveva riacquistato la sua compostezza, diritto come un fuso, freddo come l’inverno parlò.
«E quanto impiegherai per stancarti e buttarlo come un giocattolo vecchio?»
«Se pensi questo non hai capito nulla.»
Koshi fu ancora più lapidario. «E’ così che pensi di convincermi delle tue buone intenzioni?»
«Non sto cercando di convincerti.»
Atsumu fece un passo verso il grosso cane degli inferi accucciato in un angolo che dormiva della grossa. Accarezzò il folto pelo nero.
«Anche se ti dicessi che non mi stancherò mai di Shouyou, non servirebbe a nulla,» Atsumu osò ancora di più, «perché sei troppo ottuso per sentire ragione.»
La tempia di Koshi pulsò, così fece la terra, un boato risuonò per diverse miglia di distanza.
 «Insulti pure adesso?!»
Koshi era una divinità pacifica ma come tutte le altre aveva un potere immenso, e come tale poteva anche essere letale. Nella sua mano comparve una grossa lancia pronta a squarciare il nemico. Atsumu, dal canto suo sguainò la lunga spada nera.
«Per favore smettetela.»
Veloce come un lampo, con un balzo altissimo, Shouyou si frappose tra i due,  costringendoli ad arretrare per evitare di ferirlo per sbaglio.
«Shouyou, spostati!»
«No,» rispose deciso.
«Shouyou-kun, dagli retta, ci penserò io…» disse gentile Tsumu ma l’altro non si mosse di un millimetro da dove era.
«No, devo farlo io.»
Shouyou guardò suo padre dispiaciuto. «Sono felice di vederti, mi spiace averti fatto preoccupare.»
Koshi scosse la testa: «Non devi preoccuparti, lo so che tu non c’entri nulla.»
«No, So che Tsumu ha sbagliato a comportarsi così ma…»
«Perché lo stai difendendo? Sei andato con lui volontariamente?»
«No! ma voglio rimanere,» l’espressione ferita di Koshi gli fece male, ma continuò: «per favore ascoltami!»
Lo chiese con  tanta disperazione, che Koshi vacillò, annuì.
 Con la voce più decisa e ferma che aveva, Shouyou cercò di spiegare ciò che disiderava più di ogni altra cosa.
«Tsumu ha sbagliato ma lo ha fatto perché temeva che tu non avresti capito. Ci siamo innamorati e sono certo che lui è quello giusto per me, e io lo sono per lui,»  disse.
Koshi fece scomparire la lancia. Si avvicinò a suo figlio, gli  accarezzò il viso asciugando la lacrima che si era fermata sulla sua ciglia nel tentativo di trattenerla.
 Era forse stato la causa del dolore di suo bambino? Poteva essere stato un tantino ceco?
«E comunque non ci puoi fare più niente!»
Assolutamente, era colpa di quel brutto egocentrico bastardo.
«Astumu-san!» lo sgridò suo figlio.
Shouyou guardò l’uno poi l’altro: «Vorrei che le due persone più importanti per me, andassero d’accordo.»
Nessuno dei due potevano negare qualcosa che Shouyou chiedesse con tanta insistenza, perciò, si scambiarono una stretta di mano in segno di pace.
Mancava soltanto di trovare un compromesso accettabile per tutti.
In loro aiuto venne il Re degli dèi.
 Le tre divinità alla chiamata del Signore del cielo raggiunsero la cima del monte Olimpo.
Bokuto sedeva sul suo scranno meditabondo ascoltando  le parole sussurrate  di Kenji  sporto verso il suo orecchio.  Se Bokuto era il cuore e i muscoli, Kenji era la mente e lo spirito, quello capace di trovare soluzioni per ogni disputa.
«Questa situazione è andata troppo avanti, non possiamo permettere che il mondo vada in malora, Koshi;» si voltò verso il compagno che annuì, «Tsumu-Tsumu sebbene io ti capisca, la tua azione è stata sconsiderata.»
Koshi chinò la testa in segno di assenso mentre Atsumu si limitò a un brontolio incomprensibile. Bokuto si accontentò e si rivolse a Shouyou.
«Quanto hai mangiato nel mondo dei morti, Sho-chan?»
Il ragazzo ci pensò su poi rispose: «Solo sei chicchi di melagrana.»
« Shouyou passerà nel regno dei morti sei mesi, e gli altri sei mesi tornerà a vivere con Koshi, così ho deciso.»
 Il patto fu sottoscritto con una stretta di mano tra il Dio dell’agricoltura e dei morti.
Con il cuore pesante, Koshi abbracciò il suo prezioso figlio prima di lasciarlo andare.
«Hai ragione, devo fidarmi di te,» disse dolcemente prima di rivolgersi ad Atsumu con un tono molto meno amichevole, «Se gli farai del male, sarò implacabile.»
 

 
Nel mondo tornò la bella stagione il giorno in cui finalmente Shouyou poté riabbracciare suo padre. Le porte dell’inferno si aprirono, e Koshi era lì, felice di poter passare del tempo con il suo prezioso figlio. Sembrava felice insieme al suo compagno e questo per lui bastò a placare ogni sua paura.



 

Fine

 
[1] Questa descrizione dell’inferno è inspirata al mito ho preso questa informazione nel libro “Ade e Persefone: Gli dèi degli inferi” (a cura di) Tommaso Braccini  editore Pelago.”
[2] Divinità tutelari romane; su un forum ne parlavano come la versione maschile delle ninfe e ho deciso di adottare questa interpretazioni.
[3] Ninfe di fiume
[4] In quanto fratelli di Zeus, Ade e Poseidone possono considerarsi gli dèi più potenti del pantheon greco; per lo meno ho voluto dargli questa accezione.
[5] Ninfa del vento.
   
 
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