Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: kamony    12/06/2022    4 recensioni
Una missione da compiere: riportare la terra alla vita. Un uomo distrutto dal rimorso che ha bisogno di un motivo per tornare a sperare e a lottare. Due nuovi arrivi sull'Arcadia: una ragazza dal passato nebuloso, costretta a fingersi ciò che non è, e un ragazzo che ha qualcosa da nascondere. La loro presenza scombinerà le dinamiche a bordo della nave pirata più famosa della galassia, il cui capitano si troverà a dover fare i conti con sentimenti che credeva morti per sempre. Storia ambientata totalmente nel movieverse con alcune contaminazioni dal multiverse di Capitan Harlock
|Harlock, nuovo personaggio, Yama, Meeme, Yuki Kei, Yattaran e un po' tutti i personaggi|
|Romantico, avventura, introspettivo, shi-fi|
Fic rivista e corretta. Postata nel 2014, cancellata da me nel 2018
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Nuovo personaggio, Yama
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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  .41.



CONTO ALLA ROVESCIA


I giorni a seguire furono difficili e strani.
Tra le altre cose, Yama aveva avuto la febbre alta ed era stato molto male, come se avesse avuto una forte reazione gastro intestinale, o qualcosa di simile. Si era disidratato e aveva passato tre giorni in infermeria, con costante reintegrazione di sali per via endovenosa. Probabilmente lo choc subito per ciò che aveva scoperto riguardo Nami, alla fine, lo aveva provato non solo sul piano emotivo, ma aveva avuto anche una ripercussione fisica.

Joy non aveva più parlato con Harlock della decisione che aveva preso. Non una sola parola in proposito era uscita dalle sue labbra dopo quel chiarimento e questo dilaniava il Capitano, ma le aveva fatto una promessa e non le avrebbe chiesto niente. Come le aveva detto, si fidava di lei, sebbene questa cosa gli costasse moltissimo.
La biologa gli aveva chiesto il permesso di uscire dall’Arcadia un paio di volte, sempre accompagnata da Yattaran. La prima volta era stata per andare con il suo primo ufficiale e Kei su Ferenginar
(1), dove, una volta al mese circa, facevano scalo a fare provviste di cibarie e non solo. In quel pianeta c’erano un sacco di negozi, mercati e ingrossi planetari, in cui si poteva trovare veramente di tutto. Dal cibo coltivato in serra, alle navette spaziali usate, ai mobili di antiquariato terrestre di antica foggia e memoria, ai libri di carta, armi di ogni genere e fattura: moderne e antiche, abiti e molto altro. Se qualcuno cercava qualcosa, qualsiasi cosa, su Ferenginar era molto probabile che la trovasse.
Harlock non le chiese il perché di quella richiesta. Gliela accordò, non senza preoccupazione, ma rispettava Joy e la sua libertà, sebbene rimase in ansia finché non rientrarono tutti sani e salvi. Poi c’era stata la richiesta per poter andare su Clessidra e, benché non ci fossero state domande in proposito, Harlock capì subito che volesse andare lì per via dei viaggi temporali, per avere un incontro con il professor Daisuke  Akido e, certamente, per definire meglio il suo passaggio da una dimensione all’altra. La cosa lo turbò oltremodo, ma non proferì parola. Ovviamente, le accordò il suo permesso.

 

***

Quella mattina il Professore ricevette Joy nel suo studio su Clessidra. 
Le stava spiegando come fare per ottenere un passaggio extra, oltre a quelli preventivati in precedenza, che avevano aperture temporali con una cadenza semestrale e tutto un altro modo di esecuzione. La ragazza doveva effettuare un viaggio attraverso il tempo quanto prima, non poteva assolutamente aspettare sei mesi e doveva avere un’alternativa, per questo lo aveva contattato con il famoso trasmettitore che le aveva lasciato per le emergenze. 
Yattaran era presente, la biologa aveva insistito affinché ascoltasse con lei, perché si fidava di lui e voleva che sentisse che cosa la aspettasse, in caso di bisogno era certa che il primo ufficiale dell’Arcadia l’avrebbe aiutata.
Il Professore all’inizio era stato restio a rispondere a quella domanda ma quando capì che c’erano di mezzo problemi di salute, si arrese e le rivelò ciò che le premeva sapere.
Joy aveva detto solo di stare male, che poi era anche la verità, e di dover rientrare nel suo arco temporale nel giro di massimo un mese, omettendo la motivazione Nami. Yattaran aveva spiegato dettagliatamente al professore il problema con il chip, che il tempo per lei era fondamentale per salvarsi, così alla fine l’uomo si era convinto.
“C’è solo un altro modo con cui puoi accedere al tuo arco temporale attraverso la Chiave Sonica, quando vuoi e in modo più veloce, ma devi sapere che questo metodo è un po’ più difficoltoso e rischioso, di ciò che ti avevo spiegato la prima volta. Il viaggio è possibile solo tramite l’apertura di un varco temporale direttamente dentro la Nebulosa
(2) Kairos(3), dove potrai trovare diversi tipi di Resto di Supernova(2) . Sono stelle che collassano su se stesse, e ogni volta che questo accade, si aprono dei passaggi, o porte temporali, della durata di circa tre giorni. Sono Scuciture Temporali(4), una sorta di cunicoli detti anche wormholes(5), in cui è possibile la navigazione spazio-temporale creata dall’antimateria sprigionata dall’attivazione della Chiave Sonica una volta che l’avrai impostata.” L’uomo sospirò e prese fiato. “La nebulosa Kairos, si trova a trenta nodi ad ovest di longitudine galattica del sistema stellare di Krisis(6) ” aggiunse infine.
Yattaran solerte prese nota.
Joy aveva ascoltato, anche se a dire il vero era un po’ difficile per lei capire esattamente tutto.
“La Chiave Sonica va impostata con anno e luogo, questo lo ricordo bene” disse la biologa concentrandosi “Ma non mi è molto chiara la dinamica del passaggio…” chiese un po’ perplessa. Tutte quelle spiegazioni non avevano chiarificato in sostanza che cosa avrebbe dovuto esattamente fare.
Il professore sorrise “È più facile di quello che sembra a parole. Devi prima andare in ricognizione nella nebulosa, attivare il rilevatore di Resto di Supernova che ti darò, e vedere quando puoi attraversare una scucitura, o porta temporale che dir si voglia. Il rivelatore ti indicherà esattamente giorno, ora, minuti e secondi esatti, del più prossimo collasso di una supernova. Tu, quando accadrà, dovrai essere semplicemente lì, da sola, con la tua Chiave Sonica impostata. Il wormhole ti risucchierà automaticamente, facendoti letteralmente passare da una dimensione all’altra e da un tempo all’altro. Ovviamente il tempo non verrà riavvolto, quindi non tornerai al momento di partenza. Ritornerai esattamente nell’anno e nel luogo indicato nella Chiave Sonica, ma non nel momento esatto di quando sei partita. Sarà un momento qualsiasi di quell’anno, in quel luogo, e tu sarai la tu di adesso e non di quando sei partita, mi capisci?”. 
La ragazza annuì. “Praticamente se io imposterò: Londra 2034, mi ritroverò direttamente da qui, nella mia città natale nel 2034, ma non posso sapere esattamente in che punto, né in che mese e giorno, giusto?”.
Il professore annuì “Più o meno sì” e poi aggiunse “Tieni bene a mente che questo tipo particolare di passaggio nel tempo non sarà immediato, ma avverrà attraverso il tunnel temporale chiamato wormhole, e potrebbero passare anche alcuni mesi prima di attraversarlo completamente, anche se tu non te ne renderai conto, perché lo farai alla velocità della luce e quindi ti sembrerà immediato, anche se di fatto non lo sarà”.
“Va bene, lo terrò a mente, ma come farò se dovrò essere da sola nella nebulosa?” chiese ancora un po’ preoccupata. Lui la faceva semplice, ma a lei sembrava tutto molto assurdo e anche angosciante.
L’uomo sospirò “Basta che tu ti addentri con una navetta, ma mi raccomando, devi essere solo tu, altrimenti ti porterai dietro chiunque. Non puoi avere neppure un veivolo  d’appoggio. Nessuno deve entrare nella nebulosa a parte te. Questo deve essere chiaro, perché una volta attivata la Chiave Sonica non si potrà più fare niente, chi c’è passerà al di là automaticamente” e guardò anche Yattaran, per accertarsi che fosse tutto chiaro.
Il pirata annuì, dandone conferma. 
Joy deglutì. Non avrebbe mai pensato che quando aveva imparato a pilotare l’aereo navalizzato, le sarebbe poi servito per quello. Quindi era tutto chiaro e risolto, almeno dal punto di vista teorico. 
Il Professore fece ancora qualche raccomandazione, poi le consegnò il rilevatore di Resto di Supernova e si congedarono.
Sulla via del ritorno, Joy e Yattaran parlarono molto. Lei gli fece delle richieste specifiche e lui acconsentì, ma per il momento erano tutte cose che sarebbero dovute rimanere tra loro due, e il pirata le dette la sua parola che così sarebbe stato.

Per la biologa non era facile. Questo suo atteggiamento di chiusura, altro non era che una barriera difensiva tirata su per disperazione.
Si era convinta a tornare sui suoi passi unicamente per salvare Nami, ma alla fine stava cercando di auto convincersi che fosse comunque a priori la scelta migliore, anche per Harlock e forse pure per lei. Lo amava così perdutamente che aveva voluto provare a fare quel sogno meraviglioso che sarebbe stato vivere con lui, anche a costo di grandi rinunce e sacrifici, ma la realtà la stava obbligando a rendersi conto che quella era solo una chimera. Il Capitano, come aveva sempre saputo e capito, apparteneva all’Arcadia e ora aveva anche un’importante missione da compiere, e lei sarebbe solo stata d’intralcio. Era meglio così, andarsene e tornare da dove era venuta, che poi era il suo luogo natio, sebbene in quella nave avesse avuto tutto quello che non avrebbe mai neppure sognato, quando era sulla Terra.
Naturalmente aveva una gran paura. Essendo mentalmente libera, e non condizionata artificialmente, come lo era stata quando era stata spedita là da suo padre, grazie al chip, capiva e temeva l’enorme incognita che si celava dietro quel salto nel buio. Fare questo viaggio nel tempo le sembrava come una sfida alle leggi della natura e, in un certo senso, alla morte stessa. Ma ormai il dado era tratto e indietro non poteva tornare, doveva affrontare questa prova e doveva farlo da sola, con le sue forze o non ci sarebbe mai riuscita, per questo non ne parlava con lui, perché poi le sarebbe mancato il coraggio.

Harlock era un automa. Faceva tutto molto meccanicamente. Ancora non aveva elaborato e metabolizzato il lutto, che la prossima perdita di lei lo stava appena sfiorando, il peggio sarebbe arrivato quando se ne sarebbe andata e ci avrebbe dovuto fare i conti sul serio. Si stava preparando alla sua maniera, impermeabilizzandosi, o almeno cercando di farlo, perché era difficilissimo. L’unico conforto gli veniva da Tochiro e da quella fiammella di speranza che aveva acceso in lui, a cui si attaccava come un moribondo fa, nonostante tutto, alla vita che non vuole lasciare.
A volte vagava per la nave come se non avesse una meta, in realtà pensava. Intanto cercava di tenersi occupata la mente, elaborando strategie per la riedificazione della Terra, come ad esempio trovare qualcuno che potesse portare avanti il lavoro di Joy. Era chiaro che se ne sarebbe stata lì ancora per poco e, di certo, non si poteva mandare a monte tutto ciò che avevano costruito in quei mesi. E poi pensava ad altro, tutte cose che gli frullavano in testa come un mulinello che lo consumavano, ma che per fortuna gli davano anche un appiglio per lottare.
Naturalmente cercava di stare con lei il più possibile, desiderio condiviso anche da Joy, sebbene si imponessero di mantenere una certa normalità, per evitare di rendere ancora più doloroso il tempo rimasto a loro disposizione.
Quando seppe che era rientrata da Clessidra, il suo primo impulso fu quello di raggiungerla immediatamente e tempestarla di domande, ma si dominò. Volle darle del tempo per sé, immaginando che fosse turbata e preoccupata, quindi lasciò che passasse un’intera e lunghissima ora, prima di decidersi a raggiungerla.
Era certo che fosse nella loro cabina. Neppure lui si spiegò questa sicurezza, ma di fatto ebbe ragione. 
La biologa era in bagno. La porta socchiusa lo portò ad avvicinarsi silenzioso ed a sbirciare oltre la feritoia.
Da quando era lì e stavano insieme, era la prima volta che la vedeva fare il bagno nella sua preziosa vasca in rame del diciottesimo secolo. Un altro oggetto d’antiquariato terrestre che aveva reperito molti anni prima, proprio su Ferenginar, e che aveva fatto poi personalizzare con dei rilievi a forma di Jolly Roger sulle fiancate e sullo schienale, più alto dei bordi. Era molto bella, poggiava sul pavimento e non vi era fissata, ma sorretta da zampe di leone, di foggia molto antica, senza rubinetti, da usare solo con l’ausilio della brocca, proprio come nell’epoca da cui proveniva. Era diventata in realtà più un oggetto decorativo, dato che alla fine, facevano sempre la doccia, ma quel giorno Joy ci si era immersa, usando una piacevole essenza, riprodotta artificialmente, di muschio bianco che profumava delicatamente tutta la stanza. Se ne stava lì a mollo, con le ginocchia strette al petto e il mento poggiato su di esse, sembrava essere persa in chissà quali pensieri.
Harlock sospirò. Si spostò e si levò tutti gli ingombri, guanti compresi, restando in maglia e pantaloni. Quindi entrò nella stanza da bagno. Lei da dietro avvertì la sua presenza ma non si mosse. Stava male, era molto triste e molto angosciata, come lui aveva immaginato, era sconvolta dalla visita fatta al professore. Il Capitano osservò il collo e la sua schiena nuda, poi d’istinto s’inginocchiò proprio dietro lo schienale della vasca. Avvicinò il viso alla sua nuca. Joy rimase sempre ferma, nella solita posizione rannicchiata, immobile, senza dire una parola. Harlock allora si bagnò le mani nell’acqua e prese la saponetta, la strofinò, producendo una schiuma leggera e profumata, quindi con molta delicatezza e premura, cominciò piano ad insaponarle prima il collo e poi pian pianino le spalle, e la porzione di schiena che era fuori dall’acqua tiepida, come se le facesse una sorta di lenta e leggera carezza. Era il suo modo di farsi sentire vicino, senza però interferire troppo. La stava lavando senza malizia, né con sensualità, il suo era solo un gesto puro e amorevole verso la persona che amava.
Joy chiuse gli occhi e lasciò che quella cura quasi materna che lui le stava regalando, le desse un po’ di pace. Ad un certo punto la mano di Harlock scivolò sul braccio, fino ad incontrare la sua mano. La prese tra le sue e continuò a carezzarla insaponandola, stendendole le dita una ad una, con gentilezza.
Fu in quel momento che lei parlò.
“Quando andrò via, lo farò da sola” disse quasi a fatica. Le parole le uscirono di bocca stentate. 
Lui si bloccò di colpo, smettendo di insaponarla, con i sensi come allertati e stava per parlarle, ma lei lo precedette “Lo farò senza dirtelo. Un giorno, andrò via e non mi troverai più. Deve accadere così, o non sarò in grado di farlo, mi capisci? Nessun addio, nessun pianto, o ultimo giorno insieme, niente di niente. Devo scappare finché ne ho la forza, o non lo farò più…”.
Sentendo quelle parole, Harlock ebbe una sensazione tremenda, come se il cuore gli si fosse fermato per qualche secondo. Avvertì una fitta acuta, simile ad una scheggia di vetro che schizzando gli avesse attraversato lo sterno e spezzato il fiato, con un dolore così sordo e vivido che lo fece sussultare appena, parendo reale, ma poteva capirla, sapeva che come sempre aveva ragione lei.  
Tanto verrò a riprenderti!
Pensò subito d’istinto, ritirando le mani da quella di lei, per tornare ad insaponarle una spalla, mentre il cuore aveva ripreso la sua corsa di battiti.
La mano di Joy raggiunse nuovamente la sua, stringendola appena, per attirare ancor più la sua attenzione e gli rispose come se avesse udito il suo pensiero “Non metterti strane idee in testa Harlock, non si può fare avanti e indietro nel tempo, così come se niente fosse. È pericoloso e definitivo in certi casi. Tu devi stare qui, nella tua nave, nel tuo mondo. Promettimi che cercherai di rassegnarti e che ti rifarai una vita”.
Il silenzio che le restituì, per lei, fu più eloquente di mille parole, già aveva capito che non si sarebbe arreso con facilità.
Il Capitano non disse nulla. Infatti, le sfiorò appena la nuca con un bacio lieve. E le circondò le spalle in un abbraccio forte e disperato. Fu quella l’unica risposta che le diede. Non poteva prometterle una cosa che non avrebbe mantenuto.
Era la famosa fiammella che aveva instillato in lui Tochiro: la possibilità di poter andare da lei, nel suo arco temporale, esattamente come lei aveva fatto con lui.
Harlock finì di lavarla, poi lei si alzò e lui l’aiutò ad avvolgersi nel bianco asciugamano di lino, Joy se lo legò appena sopra il seno. Poi la precedette nella stanza adiacente dove c’erano i vestiti, lasciati sparsi sul letto.
La ragazza appena lo raggiunse, con un unico gesto, lasciò che l’asciugamano le scivolasse di dosso e si posasse ai suoi piedi come una morbida nuvola, rimanendo completamente nuda davanti a lui, mentre l’aria si saturava del profumo gentile di muschio bianco che traspirava dalla sua pelle ancora appena umida.
Harlock non si mosse, dentro di lui c’erano troppe emozioni contrastanti in collisione tra loro.
Amore, dolore, desiderio, rabbia, rassegnazione, speranza e molte altre ancora, che si rincorrevano l’un l’altra come in un girone infernale.
Lei gli tese la mano “Fai l’amore con me…” gli disse in un soffio, con lo sguardo infinitamente triste e smarrito. A lui parve quello di una bambina impaurita da qualcosa di troppo grande per lei.
Le si avvicinò, le prese la mano e poi la prese tra le braccia. Le baciò le tempie, la fronte, i capelli e labbra, poi, dopo essersi spogliato, fece l’amore con lei, nel modo più dolce e struggente che conosceva. Prolungando quel momento il più possibile, con una calma quasi dolorosa, mosso da un profondo moto di puro amore. Non smettendo mai di baciarla e carezzarla, adorandola con lo sguardo che non distolse neppure una volta, come se avesse paura che potesse scomparire direttamente tra le sue braccia, quasi fosse un sogno che si potesse dissolvere come il pulviscolo impalpabile, che danza nell’aria rischiarata dalla luce.
Alla fine rimasero abbracciati a lungo, stretti, cercando di riempirsi di amore e attenzioni, come se volessero fare scorta l’uno dell’altra. Anche se ormai, ogni volta che facevano l’amore e stavano insieme, era come se una parte di ognuno di loro morisse un po’ nell’altro, perché la tristezza comunque, velava ogni loro gesto.

Più tardi Harlock si alzò e le chiese di rimanere in cabina, voleva fare una cosa con lei, ma non le disse che cosa.
Era da un po’ che ci pensava e adesso, dopo la confessione della biologa di voler andarsene via senza avvisarlo, si era deciso a muoversi.
La loro era una situazione veramente difficile ed estremamente dolorosa, ma lui capiva Joy profondamente. Gli costava moltissimo lasciarla libera di fare una cosa del genere, ma non poteva fare altrimenti, perché sapeva che, in fondo, era la cosa più giusta e sensata. Era perfettamente conscio che se si fossero straziati a vicenda, in un lungo e terribile addio, tutto sarebbe stato più difficile, forse addirittura ingestibile, perché dentro di lui, così come ovviamente dentro di lei, c’era una parte che urlava disperata e rabbiosa che non voleva cedere e rassegnarsi alla realtà dei fatti. Tenerla a bada e dominarla, era sempre più difficile, era quasi come voler imbrigliare il vento.

Harlock aveva affidato la sicurezza di Joy a Yattaran, che aveva capito ed accettato. Era onorato di poter fare da protettore alla compagna del suo Capitano, in una così delicata missione. Non gli chiese neppure perché non lo facesse lui, si limitò a dare la sua disponibilità assoluta. Il Capitano sapeva che l’avrebbe difesa e custodita a costo della vita. Non poteva saperla in mani migliori.
Era uno dei sacrifici più faticosi che avesse mai dovuto superare, ma Harlock lo stava affrontando di petto, come suo solito e stava cercando di prendere solo il buono e di lasciare il cattivo. Il dolore cercava di metterlo da parte, per dopo, per quando lei non ci sarebbe più stata. S’impose di non farsi avvelenare neppure un secondo fin quando Joy fosse stata lì, e come per magia, la calma alla fine s’impadronì di lui, facendo in modo che potesse gestire al meglio il suo proverbiale autocontrollo.
“È una sciocchezza, ma mi piacerebbe farla assieme” le spiegò, riferendosi a ciò che voleva fare, giusto prima di darle un bacio ed uscire misteriosamente dalla stanza.
Tornò poco dopo, con in mano un vassoietto nero, in cui facevano bella mostra di sé: una specie di teiera sempre nera e ma rifinita in oro, con dei disegni raffiguranti degli aironi in volo, e sei coppette di foggia simile, anch’esse nere e oro. La ragazza lo guardò curiosa, lui sorrise appena, piegando solo un angolo della bocca “Non è thè” le disse subito e versò il liquido che sembrava acqua in tutte e sei le coppette “È sakè!” le spiegò.
“E a che serve tutto ciò?” gli chiese incuriosita. 
Lui si sedette al tavolo con lei e la guardò “Si tratta di un’antica tradizione giapponese, un gesto simbolico che mi fa piacere condividere con te. Sono di origini tedesche come ti spiegai, ma mia nonna era giapponese e ho assorbito molte cose da quella cultura, che ho scoperto nel tempo di amare molto e a cui, per tanti versi, mi sento affine”.
Lei sorrise appena, lui non poteva capire, ma era chiaro che tra loro ci fosse una connessione fortissima. Era strabiliata di come fossero in sintonia, quasi fossero due parti di un solo nucleo.
“Mi piace moltissimo che tu abbia sangue giapponese nelle vene! Ti si addice e spiega molte cose sul tuo modo di essere” gli disse entusiasta, poi chiese spiegazioni su quello che intendeva fare con il sakè.
Lui non voleva pensare a ciò che sarebbe accaduto a breve, annegandosi l’anima nel rimpianto e nell’angoscia. Non sempre gli riuscisse bene autocontrollarsi, ma in quel momento stava facendo una cosa a cui teneva tantissimo e si impose di non sciuparla con la tristezza e il dolore.
“Si tratta di un rito antico, consiste nello scambio di tre coppe di sakè che vanno bevute in tre sorsi. Tutto qui” le disse molto ermetico, come suo solito. Lei intuì che dietro quel gesto ci fosse sicuramente molto di più ma che Harlock, per qualche ragione, non volesse rivelarlo. Rispettò questo suo desiderio, perché sembrava essere importante per lui e perché tanto, una volta rientrata a Londra, avrebbe poi cercato di sapere che cosa significasse realmente quel rito così particolare e curioso. Ora preferiva assecondare la sua volontà, senza contrariarlo.
Bevvero così il sakè in tre sorsi, da tre coppette ciascuno.
Alla fine la strinse a sé, tra le braccia e la baciò ancora.

Il tempo tra loro era così. Strano. Corto e lungo. Prezioso e maligno.
Inesorabile scorreva comunque e non c’era verso di fermarlo, neppure facendo finta di non considerarlo. Faceva la sua strada imperterrito e spietato, senza riguardo.
Tic, tac. Tic, tac.
Il ritmo era preciso e il suo percorso, nel cronometro delle circostanze, era quasi giunto a termine.
Ogni notte era un momento ancora più esclusivo e intimo per loro. Parlavano tantissimo. Erano giunti alla conclusione che il lavoro di Joy dovesse essere portato a termine da Yama. Lei lo avrebbe istruito a dovere e Harlock avrebbe trovato un biologo che gli facesse da supporto. Di fatto, tramite Kei, avevano già allertato un contatto su Gorianus, a giorni avrebbero avuto delle risposte in tal senso.
La paura di Joy aumentava con la consapevolezza che ormai mancasse poco al passaggio. Harlock la percepiva quasi fisicamente e si dannava per non poterla aiutare. 
Cercava comunque di infonderle pace e sicurezza, in tutti i modi possibili per quanto potesse, distraendola e cercando di mostrarsi relativamente tranquillo. 
Quando non era con lei, era sempre nella sala del Computer Centrale e con Yattaran. Lo stava martellando ogni giorno perché all’ora fatidica fosse pronto e reattivo ad ogni evenienza e bisogno di lei. Aveva parlato con il suo amico di ciò che Yattaran gli aveva dettagliatamente spiegato circa il viaggio nel tempo che Joy avrebbe dovuto affrontare, e Tochiro sembrava piuttosto tranquillo. Inoltre Harlock mordeva il freno per capire e sapere come e quando potesse lui viaggiare nel tempo, ma quella era una questione assai più complicata e delicata, che non avrebbe visto la luce molto presto, come invece avrebbe sperato.
Intanto, sebbene fosse ancora malaticcio, Joy si era messa alle costole di Yama e lo stava istruendo a dovere. Per le colture il più era stato fatto, si trattava solo di conservare nel giusto modo il materiale, per poter poi impiantarlo nelle serre su Caladan e coltivarlo prima di ripiantarlo sulla Terra. Il ragazzo sembrava appassionato e davvero interessato, anche se oramai si sentiva abbastanza portato anche per fare il pirata. Aveva questa dualità particolare che incuriosiva Joy. Era forte e gentile. Determinato, ma anche delicato. Un binomio curioso, ma anche affascinante, in un certo senso.
Per fortuna il contatto di Kei aveva trovato un valido sostituto di Joy, un giovane biologo ricercato dalla Gaia Sanction per ribellione, che addirittura aveva a suo tempo anche collaborato con Nami, pronto e fiero di arruolarsi.

Meeme invece, in quei giorni era molto agitata. C’era un dubbio che le era venuto e che le dava il tormento. Da una parte le sembrava una cosa improbabile, ma dall’altra cominciava ad esserne quasi certa, per via di una serie di motivazioni concatenate l’una all’altra, che la portavano tutte in un’unica direzione. 
Decise di non attendere oltre e di fare la scansione del DNA ad Harlock e Yama. Era tempo di sapere la verità.
Il più facile da reperire fu il ragazzo. Era in armeria a catalogare. Ora doveva solo convincerlo senza dargli troppe spiegazioni.
“Come stai Yama?” gli chiese, accennando un sorriso con la piccolissima bocca verde acqua.
Il ragazzo, che aveva sempre avuto una sorta di attrazione mista a timore verso l’aliena, la guardò incuriosito. Era un essere molto affascinante, ma quegli occhi con la doppia palpebra, erano a tratti inquietanti e totalmente diversi da quelli umani, privi di quell’espressività in cui potevi leggere le sfumature delle emozioni, infatti non si capiva mai che cosa potesse realmente pensare. Allo stesso tempo però, queste caratteristiche, così particolari, avevano un fascino magnetico, catturavano inesorabilmente l’attenzione dell’interlocutore che finiva per non staccare lo sguardo da lei, che sapeva infondere, con i suoi gesti e il suo modo di fare, una grande calma.
“Non bene” ammise “Sono molto debole e ancora ho un bel po’ di disturbi spiacevoli, ma passeranno” le spiegò, non capendo come mai gli chiedesse della sua salute, non erano soliti intrattenersi in conversazione, né erano intimi.
“Non ne sono sicura, ma forse potrei sapere l’origine dei tuoi improvvisi mali” buttò lì Meeme, con studiata noncuranza.
“Devo preoccuparmi?” chiese il ragazzo, drizzando le antenne.
“Non necessariamente, però se me lo consenti, vorrei farti una scansione del DNA” gli propose.
“Una che?” chiese Yama un po’ interdetto.
L’aliena gli spiegò che cosa avrebbe fatto. Attraverso la materia oscura plasmata tra le sue mani, avrebbe creato una sorta di campo energetico in grado di leggere e riportare nella bolla di dark matter tutta la struttura del suo DNA e lei avrebbe potuto poi leggerlo, per compararlo con quello di Harlock.
Il ragazzo strizzò gli occhi riducendoli a due fessure e cercò di capire che intendesse l’aliena.
“E che c’entra Harlock?” chiese infine.
Meme chiuse le prime palpebre e sospirò.
“Il vostro gruppo sanguigno comune mi sarà di aiuto per capire meglio i tuoi mali” gli rispose vaga.
Yama non era molto convito “Ma davvero?” le chiese scrutandola.
“È una pratica nibelunga sviluppatasi su Yura, il mio pianeta d’origine, non puoi comprenderne le modalità tu che sei di una razza diversa dalla mia, solo io posso” gli rispose tranquilla ma decisa, non voleva né poteva dirgli altro.
Sembrò averlo convinto. Il ragazzo allargò le braccia “Che devo fare?”.
Si era arreso, tanto gli avrebbe rotto le scatole finché non le avesse dato retta, era un’aliena ma pur sempre una femmina e come tale era testarda, quindi era meglio levarsi il pensiero.
“Niente. Penso a tutto io. Sarà un po’ fastidioso, ma sopportabile” rispose Meeme e subito cominciò a plasmare la materia oscura tra le mani, creando una sfera.
Ad un certo punto, la puntò dritta verso Yama e il ragazzo s’inarcò, sbarrando gli occhi. Si sentì come svuotare di tutta l’energia che aveva in corpo. Fu una sensazione molto forte, spiacevole, come se gli stesse risucchiando la sua forza vitale, e da lui partì una specie di flusso energetico di color giallognolo, che entrò direttamente nella sfera. In pochi secondi apparve la struttura completa del suo DNA, con tutte le informazioni del codice genetico che servivano a Meeme, l'aliena subito le memorizzò. Quindi lasciò che il flusso giallo rientrasse dentro il ragazzo, il quale sembrò come rianimarsi e si piegò su se stesso, tossendo un po’.
“È fastidioso ma non pericoloso” lo tranquillizzò, quindi insistette per accompagnarlo in cabina, dove gli raccomandò di riposarsi almeno un’oretta e poi tornare pure alle sue incombenze senza problemi.
Uscita dall’alloggio di Yama, si mise alla ricerca di Harlock.

Lo trovò poco dopo in Plancia, agitatissimo.

“Come sarebbe a dire che sono andati via!” stava chiedendo a Yuki, scuotendola appena per le spalle.
“Hanno preso una navetta e sono partiti, mi pare per una certa nebulosa… aspetta…” disse la ragazza, cercando di fare mente locale “Sì ecco: Nebulosa Kairos, così l’hanno chiamata”.
“Sei sicura?” gli chiese il Capitano irrigidendosi di colpo e diventando teso e rigido come un blocco di marmo.
“Sì, perché?”.
Ma Harlock non la sentiva già più.
È partita… è andata via…
Queste parole presero possesso della sua anima, della sua testa, del suo corpo, facendoli prigionieri in una morsa che gli spezzò ogni energia vitale e il resto sparì di colpo, inghiottito nel nulla.
Si ritrovò in una caverna d’angoscia profonda, soffocante, in cui era impossibile respirare, in cui non c’era nemmeno uno spiraglio di luce, una vera anticamera infernale. 
Inghiottito da quelle fauci enormi di disperazione, girò i tacchi, e le sue gambe, muovendosi da sole, lo condussero fuori dalla Plancia, senza neppure udire Meeme che lo chiamava insistentemente.

 

ATTENZIONE Se qualcuno conoscesse il “rito del sake” è pregato di non parlarne nei commenti per evitare di spoilerare, tanto lo spiegherò molto presto. Se ne volete parlare con me fatelo in forma privata. GRAZIE!!! :D

 

NOTE: 

I termini e le spiegazioni usati da me per la mia personale del tutto inventata e fantasiosa  visione dei viaggi nel tempo, si rifanno a dei classici fantascientifici e fantastici del genere quali ad esempio: Dr. Who (in primis), Ritorno al Futuro, Thor, Terminator (All rights reserved, no copyright infringement intended) ed altro ancora che ora per motivi di spoiler non posso dirvi, da cui ho attinto a piene mani, rielaborando e creando ex novo la mia visione d’insieme personale. Infatti ho immaginato che un collasso di Supernova (cosa esistente realmente) potesse, fantascientificamente, in quella particolare Nebuolosa (non esistente, ma inventata ad hoc da me, usando termini greci riguardanti il tempo) aprire porte temprali come appunto, ad esempio accade (in modalità del tutto diverse e non in una nebulosa) in Thor: The Dark World(All rights reserved, no copyright infringement intended), in cui sulla Terra in una fabbrica abbandonata c’è un passaggio temporale aperto.
 
La nonna giapponese di Harlock è una MIA personale invenzione frutto della mia fervida immaginazione.  

Glossario:

(1) FEREGINAR: noto come pianeta natale dei Ferengi abili commercianti e affaristi. Usato (solo come nome) in questa fic come omaggio a Star Trek - Deep Space Nine. (All rights reserved, no copyright infringement intended)

(2) NEBULOSA-RESTO DI SUPERNOVA: una supernova si forma quando una stella di grande massa raggiunge la fine della sua vita. Al termine della fusione nucleare che avviene nel nucleo, la stella collassa su se stessa. Il gas che sta cadendo può rimbalzare oppure si può surriscaldare espandendosi verso l'esterno, causando l'esplosione della stella. L'espansione del gas forma un Resto di supernova che è un tipo speciale di nebulosa diffusa.
Usata a mio piacimento e adattata ad uso e consumo della mia teoria inventata

(3) KAIROS: parola greca significa "un tempo nel mezzo", un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale "qualcosa" di speciale accade. Oppure anche: 'momento opportuno, il tempo giusto'.

(4) SCUCITURE TEMPORALI: Termine rielaborato e adattato a mio uso e consumo da una terminologia usata nel film Space Pirate Captain Harlock. (All rights reserved, no copyright infringement intended)

(5) WORMHOLES: termine di fisica quantistica è un ponte di Einstein-Rosen o cunicolo spazio-temporale, (in italiano letteralmente "buco di verme", ma tradotto in modo poco attinente col termine galleria di tarlo, o cunicolo di tarlo), è una ipotetica caratteristica topologica dello spazio-tempo che è essenzialmente una "scorciatoia" da un punto dell'universo a un altro, che permetterebbe di viaggiare tra di essi più velocemente di quanto impiegherebbe la luce a percorrere la distanza attraverso lo spazio normale. Il wormhole viene spesso detto galleria gravitazionale, mettendo in rilievo la dimensione gravitazionale strettamente interconnessa alle altre tre dimensioni: spazio e tempo. Questa singolarità gravitazionale, e/o dello spazio-tempo che dir si voglia, possiede almeno due estremità, connesse ad un'unica galleria o cunicolo, potendo la materia viaggiare da un estremo all'altro passandovi attraverso. 
Usato a mio piacimento e adattato ad uso e consumo della mia teoria inventata

(6) KRISIS: parola greca significa 'la scelta, il cambiamento cruciale'.

Alcuni links di riferimento
http://it.wikipedia.org/wiki/Kairos 
http://it.wikipedia.org/wiki/Nebulosa 
http://it.wikipedia.org/wiki/Ponte_di_Einstein-Rosen

 

  
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