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Autore: AlsoSprachVelociraptor    15/06/2022    0 recensioni
Tre elfi nel regno degli umani non sono una visione comune, eppure il mercante Jason, il cavaliere Dobromil soprannominato DogPoo e il duca Bradley, elfi della corte di Re Kyle di Larnion, si trovano in missione per conto del loro sovrano nelle pericolose terre non-magiche.
Non sanno cosa li aspetta.
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Jason/Tweek, basato su “Stick of Truth”. Contiene violenza.
La mia prima fanfiction di South Park!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dog Poo, Tweek
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: Violenza
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Le foreste del regno degli umani erano meno… magiche, rispetto alle foreste del Regno di Larnion, il territorio degli Elfi.
Erano passate diverse settimane da quando aveva iniziato il suo viaggio, ma Jason, il mercante che riforniva le riserve reali del Castello, ancora non riusciva ad abituarsi a quei paesaggi che gli sembravano tanto surreali quanto… banali.
Nessuna fata che si aggirava divertita tra i cespugli, nessuno gnomo in agguato, nessun aggressivo unicorno maschio durante la stagioni degli amori a scacciare chiunque intruso dal suo territorio.
Jason si stava davvero annoiando, a bordo del suo cavallo e al fianco del suo amico e guerriero fidato Dobromil, la divisa e il viso come al solito sporchi di ogni disgustosa sostanza che avessero incontrato dal castello del Re Kyle fin lì. Jason spesso si chiedeva come facesse Dobromil- che era stato soprannominato anche “DogPoo” nella sua giovinezza, per ovvie ragioni- a sporcarsi così tanto, in così poco tempo. Sembrava attrarre polvere e sporcizia, come i diamanti maledetti delle miniere dei Nani del sud del continente. Ne aveva venduti un paio nella sua vita, e ogni dieci minuti doveva pulirli con un panno speciale, o si sarebbero completamente ricoperti di particelle di polvere che li rendevano decisamente meno brillanti di quanto fossero.
Dietro di loro, sul suo nobile stallone, il duca Bradley, giovane elfo discendente da una famosa casa nobiliare di Larnion che li accompagnava in missione, in quanto suo padre voleva avere un erede coscienzioso e che capisse il mondo anche fuori dal suo grosso castello. A Jason, Bradley sembrava solo un ragazzino viziato. Biondo e bellissimo, centoventi anni di pura grazia e spensieratezza, Bradley non badava minimamente al paesaggio. 
DogPoo e Jason avevano almeno tre volte la sua età, e per gli elfi, i secoli sulle spalle valevano più di ogni altra cosa.
Avevano da poco lasciato il regno di uno stregone umano, e si erano addentrati nel fitto della foresta per raggiungere la prossima città senza impiegare altre settimane. Una settimana per un elfo non era nulla, certo, ma se potevano evitarsi la rogna di circumnavigare interamente la foresta, l’avrebbero evitato con piacere.
Sprecare tempo non piaceva nemmeno a creature che potevano vivere oltre 700 anni.
Lo stregone li aveva avvertiti che nella foresta c’erano bracconieri, cacciatori, e una tribù di uomini che vivevano a contatto con la natura, senza elevarsi sopra ad essa. Un nutrito gruppo di primitivi, che vivevano una vita semplice, ma potevano essere molto violenti e guerriglieri, e di stare in guardia a non calpestare il loro territorio, o non essere troppo aggressivi con loro.
Gli esseri umani non erano abituati a vedere gli elfi, e perciò, spesso, ne avevano paura.
“Voglio vedere un barbaro umano!” rise Bradley, il suo cavallo tra quello di Jason e DogPoo, leggermente più lento dei due guerrieri. 
“Non glielo consiglio, milord.” gli rispose sir DogPoo, sempre educato seppur ricoperto di lordume, “non devono essere un gran spettacolo. Piuttosto, la mia attenzione verso gli umani andrebbe ricercata verso le famose ballerine umane di Kupa Keep…”
Jason roteò gli occhi, incurante e inespressivo come sempre. Non gli interessava vedere quelle ballerine agitare il bacino in quei disgustosi luoghi chiusi e senza ossigeno, dove centinaia di umani maschi si radunavano per abbaiare come animali a quello spettacolo.
Indicò ai suoi due compagni di viaggio una radura, dove l’erba era meno fitta e la sterpaglia più rada, sotto le fronde di un gigantesco albero secolare, che spiccava sopra tutti gli altri.
Doveva essere un albero magico, giunto come seme in quella normale foresta umana chissà come millenni orsono.
“Riposiamo qui, milord. Potete meditare un po’ mentre vado a caccia.” disse Jason, scendendo da cavallo.
DogPoo fece lo stesso. “Io preparo il fuoco nel frattempo.”
Certo, Jason era capace di meditare anche stando a cavallo quanto la sua meditazione era leggera, ma non desiderava farlo. Preferiva adagiarsi a terra di gran lunga, per evitare di essere colto alla sprovvista proprio nel mezzo della trance meditativa- certo, avrebbe saputo reagire molto più rapidamente che il profondo sonno degli esseri non magici, ma non sarebbe stato comunque piacevole, ed era meglio evitarlo.
Cingendosi il corpo col suo mantello magico, che schermava l'odore del suo corpo e lo rendeva indistinguibile dalla vegetazione attorno a sé se rimaneva abbastanza fermo, si inoltrò nel fitto della foresta, alla ricerca di selvaggina, arco in mano e freccia incoccata.
Vide qualcosa muoversi tra le fronde. La vista di Jason, in quanto elfo, era superiore a quasi ogni razza di umanoide dell’intero continente, e anche se Jason era nato e cresciuto in una famiglia borghese e in una cittadina piuttosto che nei boschi, i suoi istinti da cacciatore erano estremamente sviluppati. E, d’altronde, Jason era un uomo allenato, preparato, e pronto all’azione, dopo anni e anni passati ad allenarsi assieme ai più grandi guerrieri del regno, come il mitico Stanley Marshwalker, cresciuto nella foresta incantata dai feroci lupi magici. Certo, non era al livello di Stan- nessuno lo era, davvero- ma se la cavava. 
Un bravo mercante doveva anche sapersi difendere.
Le sue lunghe orecchie captarono un rumore, proprio dove aveva avvertito un movimento. La notte stava calando, ma non importava- alle creature non dotate di magia la notte faceva paura, ma non alla grande razza degli elfi.
Acquattato, aspettò che un cervo, o un altro animale di quelle foreste lontane facesse capolino, ma… nulla.
“Jason! JASON!”
L’elfo dai capelli scuri si voltò, si alzò in piedi, dimenticandosi completamente della caccia, iniziando a correre indietro, verso l’accampamento del suo gruppo, verso la voce che l’aveva chiamato- era lord Bradley!?
Jason scattò indietro, facendo per tornare, ma cadde a terra. Un dolore si sparse per tutto il suo corpo, e non capiva da dove provenisse, o cosa fosse successo.
Un piede pressò sulla sua schiena, mozzandogli il respiro mentre le mani raschiavano l’erba e il terriccio sotto di lui, un grido strozzato che lasciò la sua gola quando sentì diverse mani sul suo corpo, bloccarlo a terra, stringergli le caviglie, i polsi, il collo.
“Guarda, ne abbiamo beccato un altro!”
Sentì una mano nei capelli strattonargli in alto la testa, e, seppur provando a divincolarsi, dovette fare quello che voleva l’essere sopra di lui, e tutti gli esseri attorno a lui, di cui vedeva solo gli stivaloni in pelle, e a malapena. La vista era offuscata, come coperta da un pizzo colorato, tante lucine che roteavano nel suo campo visivo senza sosta.
Il viso verdastro di un orco riempì la sua visuale. L’essere sghignazzava, mentre Jason veniva sollevato contro la sua volontà, e stretto come un insaccato, il tutto mentre i grossi orchi lo circondavano e ridevano di lui.
“Portatelo alla carrozza con gli altri orecchie-lunghe. Questi ci faranno fare un sacco di soldi giù a Kupa Keep!” rise quello più grosso, dalla pelle color muffa e l’odore simile al marciume che emanava.
Jason mantenne un’espressione neutra sul viso sporco di terriccio, guardando con sfida, occhi negli occhi, il suo aguzzino.
“Abbassa lo sguardo, schifoso orecchie-lunghe.” ringhiò il grosso orco. 
Jason non lo fece. 
Aveva passato momenti peggiori di quelli, nella sua lunga vita. Quegli orchi erano solo schegge inutili sotto al piede di un elfo. Un’intera loro vita era lunga solo quanto una festività elfica, e intere generazioni di quegli esseri barbarici non coprivano nemmeno una vita di un elfo. Creature senz’anima, destinate all’oblio della morte eterna.
Gli occhi violetti di Jason rimasero inchiodati su quelli neri dell’orco, finchè quello non lo colpì così forte sull’ampia fronte da farlo svenire immediatamente.
 
*
 
Il giovane elfo tossì, schizzi di saliva rossa sul pavimento della sua casa.
“Alzati in piedi Jason, subito!” gridava suo padre, una mazza di ferro tra le mani. Jason, a fatica, obbedì- come sempre- e si rimise in piedi, brandendo lo spadino di legno tutto scalfito e lo scudo troppo grosso e pesante per un bambino della sua età.
Suo padre partì di nuovo alla carica, e questa volta Jason riuscì a parare col suo scudo, prima che scivolasse dalle sue mani sudate e con un tonfo colpisse il pavimento.
Suo padre, questa volta, non lo colpì con la mazza, ma col palmo della mano, ben aperto sul suo viso. Jason incassò, e serrò gli occhi, pronto al prossimo schiaffo, che arrivò come ormai di prassi.
“Devi difenderti meglio, combattere meglio, essere il migliore!” strillò suo padre, le lunghe orecchie rosse come peperoni. Ogni volta che si arrabbiava- spesso- il suo intero viso diventava quasi viola.
“Di quelli come noi, non frega un cazzo a nessuno. Devi fare tutto da solo, e impararlo in fretta! Ricordati che a nessuno frega un cazzo della tua vita! Se non importa nemmeno a te stesso, perchè dovrebbe importare agli altri? Brutto idiota!”
Jason venne colpito ancora, e ancora, e ancora.
 
*
 
Jason si svegliò gridando dal dolore, e quando abbassò lo sguardo trovò lo stivale sporco di DogPoo conficcato nella propria coscia sanguinolenta.
Si scostò con violenza, quasi cadendo su un fianco. “Che cazzo fai!?” gli sibilò contro, confuso e infastidito e dolorante. Si sentiva metà viso gonfio e rigido, e il fianco e la coscia erano conficcati da tre frecce di fattura grezza e primitiva.
Ah, gli orchi. Era svenuto, dopo essere stato colpito e catturato.
"Compagno, sei vivo, che sollievo!!" sorrise DogPoo, il viso tumefatto e un occhio chiuso e gonfio. Jason sospettava di non avere un aspetto migliore.
Guardandosi attorno, si accorse di essere rinchiuso in una stretta stanza di legno, completamente chiusa se non per un'apertura su un lato, che continuava a muoversi. Erano in una cassa, o un…
"Una carovana?" chiese Jason, e DogPoo confermò. "Ci hanno rinchiusi qua dentro, trasportato per diverso tempo verso chissà quale destinazione, e poi si sono fermati. Voci fuori, e poi ripartiti. Così a intervalli regolari." continuò l'elfo dai corti capelli color cenere, i polsi legati alle caviglie da una pesante corda grezza, come un cervo appena cacciato.
Anche Jason era legato, ma i suoi polsi erano fissati dietro la sua schiena, e legati alla vita da un'altra corda.
Al tocco, sembrava una specie di paglia. Facilmente infiammabile, difficilmente strappabile con la sola forza delle braccia, urticante al tocco prolungato e dal fumo molto fastidioso. Jason la conosceva bene, perché di quelle ne aveva vendute a bizzeffe. Si chiese se quella che ora gli legava i polsi non fosse stata un tempo una corda nei suoi magazzini.
Appesi alle pareti, diversi tipi di erbe da spezie e da incenso, e Jason, grazie al suo lavoro da mercante, le conosceva tutte.
Lord Bradley era accucciato nell'angolo più remoto della carovana, le braccia legate attorno ai fianchi e nessun segno di violenza sul suo viso, se non per i capelli dorati scompigliati.
Non c'erano solo loro, benché i tre fossero gli unici elfi lì.
Due fate, minuscols e tenute sigillate dentro un vaso, una dalla pelle scura intarsiata da splendide luci fatate- che tuttavia si stavano pian piano spegnendo, mentre piangeva disperata sul fondo del barattolo, e l'altra pallida e bionda dalle ali che baluginavano nel buio mentre sbatteva continuamente contro il vetro. Diversi gnomi legati tra di loro, e nessuno si muoveva, le teste ciondolanti e sprovviste del loro solito cappello. E poi, come previsto, diversi umani.
Al fianco di Jason ce n'era uno che continuava a piangere e singhiozzare, talmente forte da confondere i pensieri all'elfo dai capelli scuri. 
L'umano doveva essere uno di quei barbari di cui aveva parlato lo stregone. Era alto e forte, dalla pelle rosata costellata di simboli e disegni neri tatuati- o forse semplicemente disegnati- su essa, dalle braccia al torso e persino al viso, scavato e pallido e ferito. Il sangue usciva dal suo naso, e nei suoi capelli biondi sparati ovunque c'era del sangue scuro e incrostato.
Le sue mani, a differenza di quelle degli elfi, erano strette da manette di pesante ferro, probabilmente perché, con le larghe spalle e spessi bicipiti dell'uomo biondo, avrebbe fatto a pezzi le corde.
Jason era dispiaciuto per l'umano. Doveva essere un giovane adulto, anche se non sapeva ben dire l'età degli umani, e stava piangendo come un bambino, gli occhi completamente viola e gonfi per le lacrime.
Jason doveva liberare tutti loro.
Si sporse verso l'umano, il suo ginocchio che strisciò contro quello dell'uomo biondo.
"Va tutto bene. Va tutto bene." gli sussurrò, e l'umano alzò lo sguardo, occhi color nocciola dalle pupille dilatate. C'era un buio sconsolante in quella carovana, e gli umani non vedevano bene quando la luce era poca.
Jason ripeté le sue parole, ora che aveva la sua attenzione. "Va tutto bene."
L'umano sussurrò qualcosa verso di lui, tirando su col naso. La sua voce era più calma, ma Jason non aveva idea di cosa l'umano avesse detto, e ciò voleva dire che lui non avesse capito nulla di ciò che aveva detto l'elfo.
Non importava. Non ora.
Come previsto da DogPoo, la carovana si fermò ancora, e gli orchi parlottarono fuori dalle pareti di legno, poi l'intera stanza fu scossa e ripartí, col ritmo lento dei muli da traino degli orchi.
"Fanno il cambio…" sussurrò Jason a DogPoo, che annuì.
Contarono entrambi quanto tempo passava da una fermata all'altra- beh, non potevano fare molto altro, no?
L'umano al fianco di Jason mugolò ancora, disse qualcosa, e si avvicinò all'elfo, appoggiando il suo corpo al fianco sano di Jason. L'umano era caldo, tremante, e più alto e massiccio di lui, e Jason lo lasciò fare, sentendo la sua testa sulla spalla e i capelli biondi contro il viso.
Quando entrambi i guerrieri elfi contarono un'ora umana, la carovana di fermò, e ci fu un altro cambio.
"Un'ora. DogPoo, continua a contare. Avvertimi quando passano venti minuti."
Jason si alzò sulle ginocchia, ignorando le lancinanti fitte di dolore al fianco e alla coscia, dove le lame degli orchi erano ancora conficcate nella sua carne, scostando il più delicatamente possibile l'umano al suo fianco, e strisciò verso il barattolo delle fate.
"Signore fay, voi siete in grado di usare la magia?" chiese alle due, che alzarono la testa verso l'elfo. Quella bionda scrollò le spalle, mentre quella mora affondò il viso nelle mani. "Non chiuse qui dentro. Non in questa situazione di stress." disse lei.
"E se vi liberassi? Sareste capaci di creare un fuoco magico?" continuò Jason, la voce stoica e sicura. Le due si scambiarono uno sguardo.
"Anche piccolo."
Quella dai codini ricci annuì. 
"E come intendi liberarci?"
A questo Jason non ci aveva pensato. Si voltò a fatica e prese il barattolo tra le mani, lo sollevò e lo lasciò ricadere a terra, provocando un grido delle due fate.
"No, così ci ammazzi!" Gridò quella bionda, cappottata a testa in giù dentro al vetro.
Jason si lasciò scivolare a terra, stanco, dolorante e senza idee.
Cosa avrebbe fatto, da solo, ora?
Al suo fianco, un calore familiare. L'umano biondo l'aveva raggiunto, i suoi occhi grandi e spaventati ora piegati in un'ulteriore emozione.
Jason lo lasciò fare mentre con una mano indicava alle fate di spostarsi verso il collo del barattolo, più stretto e di fianco al tappo di sughero.
Il barbaro alzò entrambe le braccia, i muscoli del tronco e delle spalle talmente tesi da quasi dover uscire dalla sua pelle, e con una precisione millimetrica colpì il barattolo con la pesante manetta ai suoi polsi.
Il vetro fece un rumore così assordante da stordire Jason per un istante. Il suo finissimo udito da elfo poteva essere un vantaggio come uno svantaggio.
In pochi colpi, il vetro fu così frantumato che collassò su sé stesso, le due fate protette dal tappo di sughero che le teneva confinate e deboli lì dentro. Ironico.
Le due fate strisciarono fuori dal vaso disintegrato sgranchiendosi le ali, che ripresero quasi subito colore e vitalità. 
Jason si voltò verso l'umano, che gli stava sorridendo. Gli sorrise a sua volta. "Grazie." gli sussurrò, anche se non poteva capirlo. Il viso dell'umano sembrava più morbido ora, più gentile, meno selvatico. 
"Cosa possiamo fare per te, elfo?" chiese la fata mora, il colore tornato nella sua figura che ora baluginava al buio come una stella nel firmamento.
Jason ricapitolò per un istante il suo folle piano nella sua testa per un istante, prima di esplicarlo alle fate.
"Una di voi deve dare fuoco alle corde, con un fuoco magico lento ma costante, e l'altra deve spingerlo verso l'alto, poi…"
 
*
 
"Tra un po' ci fermiamo?"
"No, manca ancora mezz'ora… poi tocca a te guidare, d'accordo?"
Un orco sniffò l'aria, mentre gli altri tre lo guardavano straniti.
"Che c'è?"
"Un odore strano… fumo…"
"Fumo?"
Non c'era nessun fuoco o accampamento nei dintorni. Era notte, e la luce delle fiamme si sarebbe vista facilmente, anche a chilometri di distanza.
Ma ora anche il capo degli orchi sentiva quella puzza, e si guardò intorno, alla ricerca della fonte.
Con orrore, si accorse dei flutti di fumo grigio che provenivano dalle crepe nel legno del loro cargo.
"No! I prigionieri!" gridò il capo, spaventando tutti i suoi compagni. "Se crepano non possiamo più venderli al mercato degli schiavi!" ringhiò, fermando i muli da soma e spingendo giù uno degli orchi suoi sottoposti. "Controlla!"
Lui si sbrigò al cargo, che puzzava di fumo così tanto da rendere difficile avvicinarsi. Anche i suoi due compagni di viaggio gli si accostarono, terrorizzati da quello che avrebbero potuto vedere. Tutti i loro soldi andati in fumo, letteralmente…
Alzò le due traverse di metallo che tenevano chiuso li cargo e spalancò le due ante, ma tutto quello che vide fu fumo.
E un grido.
"Ora!"
I tre vennero investiti da un getto di fumo rancido e urticante, e caddero a terra doloranti.
"Via! Via!" gridarono Jason e DogPoo, che avevano il compito di portare a termine la missione, proteggere il giovane lord che gli era stato affidato e tutte le genti in difficoltà.
L'unico vero cavaliere era DogPoo, ma Jason si sentiva in dovere lo stesso. 
Jason aiutò anziani e bambini giù dal cargo, mentre DogPoo diligentemente accompagnava da aprifila lord Bradley e gli altri nella foresta.
C'era poco tempo, prima che gli orchi riprendessero i sensi…
Mentre aiutava le genti magiche e non a scendere dall'alta carovana, si accorse che, vicino a lui, anche l'umano biondo lo stava aiutando. 
Jason appoggiò una mano libera sulla sua spalla, ricoperta da segni tribali.
"Vai, scappa, segui DogPoo!" gli parlò con voce piena di fretta. L'umano lo guardò shockato, e non si mosse. Jason fece pressione sulla sua spalla verso il basso e fuori dalla carovana, le sue mani ancora incatenate col metallo. Fece cenno con la testa, e poi indicando la lunga fila di prigionieri in fuga. "Vai!"
Jason non sarebbe riuscito a seguirli, in qualsiasi caso. La sua gamba era diventata fredda, insensibile, e pesante. Non sarebbe nemmeno riuscito a camminare, figurarsi correre nella foresta. Ma poteva salvare l'umano.
L'uomo biondo riluttante scese dalla carovana, iniziando a correre nella direzione degli altri sopravvissuti, mentre Jason si sedeva sul bordo, tentando di fare pressione sui suoi avambracci per scendere.
Avrebbe trovato un bastone, magari. Forse avrebbe potuto seguirli.
"Sono scappati!" ringhiò una voce familiare.
Oh no.
Jason contò a terra gli orchi, ed erano solo tre. 
E ora ce n'era uno in piedi, davanti a lui, dalla pelle color muffa e gli occhi rossi assetati di sangue.
"Tu…!" ruggí, i dentacci scoperti e digrignanti dalla rabbia.
Jason tentò di tirarsi indietro, ma l'orco lo afferrò per la camicia, e lo sbatté a terra con tanta forza da mozzargli il fiato.
Lo prese dal mantello e lo lanciò lontano, e Jason ricadde a terra come una bambola, incapace di reagire. Sentiva il sapore del terriccio e del sangue nella bocca, e le orecchie fischiavano.
Tentò di sollevarsi, di trascinarsi lontano, ma lo stivale dell'orco sulla sua schiena lo schiacciò a terra, e poi ancora, e ancora, il respiro strappato via dai suoi polmoni e l'aria sostituita col dolore e, probabilmente, anche una buona dose di sangue.
Con un calcio l'orco, dal viso ormai irriconoscibile e contratto dalla rabbia cieca, lo fissò con rabbia e disgusto e odio, tanto odio.
"Sarei diventato ricco! Ma sono scappati tutti! Ora sarò povero per sempre! Ed è tutta colpa tua!" sbraitò. Si piegò sul corpo martoriato di Jason, le sue grosse mani si strinsero al suo collo sottile, e strinsero, strinsero finché Jason non sentì la testa leggera, il dolore scomparire, i suoni e le grida ovattati…
Suo padre, in fin dei conti, aveva ragione. A nessuno sarebbe fregato davvero di lui, nemmeno della sua morte.
Vide solo una macchia dorata dietro l'orco. Rosso nel verde, e la presa sul suo collo scomparve, e l'aria affluì di nuovo nella sua gola e nei suoi polmoni e Jason tossì così forte da farsi male da solo alle costole.
Si tirò su a sedersi con una forza che non sapeva di avere ancora, occhi sbarrati a osservare l'orco davanti a lui con la gola squarciata da orecchio a orecchio, così in profondità da quasi staccargli la testa dal corpo.
Trionfale e bellissimo sopra di lui, glorioso come una statua al Castello del Re, il barbaro, ora ricoperto di sangue fresco e lucente, il pugnale elfico di Jason nella mano nervosamente stretta attorno all'elsa dell'arma. 
Jason rimase a fissarlo interdetto. Era tornato per lui?
L'adrenalina nelle vene di Jason si stava smaltendo velocemente, e le forme stavano tornando a confondersi l'una con l'altra. Il barbaro si piegò, e Jason sentì il proprio corpo venire sollevato quasi senza sforzo. Appoggiò la testa contro il corpo caldo del barbaro, finalmente lasciandosi scivolare nell'incoscienza.
 
*
 
Riaprì gli occhi. Era svenuto un po' troppe volte quel giorno, e non gli piaceva.
Jason richiuse gli occhi, acciecato dalla luce del giorno, e borbottò qualche lamentela sottovoce, portandosi un braccio sopra gli occhi. L'avambraccio toccò la garza sopra il suo sopracciglio, e digrignò i denti dal dolore. Era probabilmente rotto, ma qualcuno l'aveva medicato.
"Jason!" gridò decisamente troppo forte una voce familiare- era DogPoo, ed era vicino.
Oh no, erano ancora nella carovana degli orchi? O era stato tutto un sogno?
Jason si decise ad aprire davvero gli occhi, trovandosi in una tenda rudimentale, tenuta in piedi da pali di legno.
Jason era steso su un materasso rudimentale, di paglia e tela, ma era sempre più comoda che all'addiaccio.
Dentro la tenda, oltre a DogPoo, entrarono anche il giovane lord Bradley, tutto sorridente e pettinatissimo, un anziano vestito di stracci e ricoperto di disegni sul viso, e il barbaro biondo. Lo sguardo di Jason cadde sull'ultimo, e venne ricambiato, anche se per pochi istanti, prima che abbassasse lo sguardo con un tic all'occhio. Gli sorrise. 
"Tu mi hai salvato. Non so come sdebitarmi."
Il barbaro non rispose.
"Sai Jason, lord Bradley parla la lingua comune, il parlato degli umani" spiegò DogPoo mentre lord Bradley disse qualcosa in quella lingua così grezza all'umano biondo, le cui guance divennero più colorate e il tic all'occhio più pesante. Rispose qualcosa, stringendosi le mani nelle mani.
"Dice che vuole sapere il nome dell'elfo a cui deve la libertà." 
L'elfo castano si tirò su a fatica, appoggiando il ginocchio della gamba avvolta in spesse garze a terra.
"Jason di Larnion. Io ti devo la mia vita." disse come da prassi, abbassando la testa, i lunghi capelli che gli coprirono il viso.
“Jason.” ripetè l’umano, le mani che tremavano visibilmente. Se ne portò una al centro del petto. “Tweek.”
Tweek era il suo nome, dal suono esotico e straniero, e a Jason già piaceva. Lo ripetè un paio di volte nella sua mente. Tweek. Si sarebbe potuto abituare a pronunciarlo.
“Piacere, Tweek.” disse Jason, godendosi come il suono di quel nome si contorcesse nella sua bocca, in una pronuncia strana. L’uomo biondo annuì, tirandosi i capelli indietro dal viso, spettinandoli ancora peggio di quanto fossero prima. 
Anche se gli umani non erano considerati particolarmente attraenti per gli standard elfici, Jason trovava questo umano in particolare, Tweek, bellissimo. A Jason non importava della bellezza- lui stesso non era considerato un elfo particolarmente attraente, ed era prevalentemente immune al fascino altrui, ma Tweek era semplicemente diverso. Capelli selvaggi e indomabili, occhi perennemente sgranati, fisico ben più massiccio del tipico elfo, e la sua pelle imperfetta e screziata da simboli, tatuaggi, cicatrici.
Anche Tweek lo stava guardando, una mano alla bocca a mordicchiarsi le unghie con ansia, le sue iridi che scorrevano sul corpo di Jason, che si era rimesso a sedere sul materasso nel frattempo.
Lord Bradley ovviamente rovinò il momento mettendosi in mezzo. “Il capovillaggio ha detto che puoi già metterti in viaggio e le tue ferite non sono gravi, possiamo tornare al castello!” 
L’espressione di Jason rimase la stessa, ma dentro di sé, avrebbe voluto piangere. Proprio ora che si era sentito vicino a qualcuno… La sua mente da mercante pensò in fretta, ad altre cose da dire oltre a quello.
“E le nostre merci? Gli orchi le hanno prese. Non possiamo tornare a mani nude dal Re.”
“Gli orchi sono tutti stati sconfitti, Jason.” rispose DogPoo, che, in un angolo della tenda, stava affilando la sua spada elfica. “Prendendo anche le loro merci, il valore del nostro raccolto è almeno triplicato!”
Ah. Allora non c’era proprio nessuna scusa per rimanere assieme a Tweek almeno un altro po’.
Il dolore al fianco e alla gamba erano diminuiti, e grazie al suo sangue da Alto Elfo sarebbe guarito in pochissimo tempo. Purtroppo.
“Va bene, mi vesto e preparo, e sarò pronto prima dello zenit.” rispose Jason, nessuna inflessione nella voce.
 
*
 
Sul cavallo la coscia faceva male, anche con tutte le garze e protezioni e unguenti antidolorifici che aveva applicato sulla ferita ancora aperta. Faceva male, ma non importava.
Voleva tornare a casa. Voleva dimenticare quell’orribile esperienza, andare alla taverna a bere coi suoi colleghi, partecipare a una festa dove il bardo del Castello cantava le sue solite canzonacce sconce e gli elfi ballavano e cantavano e si divertivano.
Mentre stringeva gli ultimi ganci alla sella del cavallo, non vedeva l’umano- Tweek da nessuna parte. Meglio così. Non se la sentiva di dirgli addio, e sapeva che sarebbe stato per sempre.
Aveva lasciato davanti alla sua tenda il proprio pugnale, quello con cui Tweek l’aveva salvato dall’orco. Non era abbastanza come ringraziamento, ma Jason non avrebbe saputo come altro fare.
In una cinquantina d’anni, una quisquilia per un elfo, l’umano sarebbe probabilmente morto. E Jason sospettava che per una cinquantina d’anni non avrebbe più avuto voglia di addentrarsi di nuovo nel regno degli umani- che aveva scoperto che no, non era affatto banale, sotto nessun punto di vista.
Fortunatamente Jason aveva allenato i muscoli del viso a non muoversi ed esprimere nessuna emozione non necessaria, e non mostrò il tormento che la sua anima stava sperimentando.
“Jason…” intervenne DogPoo, accostandosi a Jason, perso nei propri pensieri. Sollevò gli occhi violetti su quelli dorati del cavaliere, un sorriso sbalordito sul volto tumefatto e, ovviamente, sporco. “..c’è qualcuno che chiede di te!”
Jason sgranò gli occhi, sbiancando completamente e sentendo il cuore battergli forte nel petto. “Sì?”
Su un cavallo che era più un massiccio ronzino che gli eleganti stalloni elfici, l’uomo biondo, Tweek, si avvicinò al gruppo degli elfi. Legato alla spessa cintura di cuoio, il pugnale di Jason. Sul viso pieno di ansia c’era anche tanta determinazione, e si batté il pugno sull’ampio petto.
Bradley, che stava ancora sistemando i drappi sul suo cavallo, scoppiò a ridere a sentire le parole incomprensibili dell’umano, che si irrigidì sul proprio cavallo, gli occhi sgranati in quell’espressione di senso di colpa e terrore che Jason aveva visto più volte- e ogni volta trovava adorabile, purtroppo per lui.
“Cos’ha detto?” chiese l’elfo dai capelli lunghi e scuri, quel giorno sciolti completamente sulle spalle invece che finemente decorati da treccine e gioielli com’era solito fare. Bradley ancora ridacchiava.
“Che vuole servirti e seguirti fino al regno degli elfi. Però l’ha detto in un modo dolcino!” sghignazzò l’elfo biondo. “Mi sa che gli piaci!”
“Beh, è una fortuna.” commentò DogPoo col suo modo sempre educato, ma un sorrisetto sulle labbra. “Perchè è ricambiato, non è così, Jason?”
“Ah sì?” chiese lord Bradley, che non era un asso nel comprendere quelli attorno a lui- o comprendere le cose in generale, in realtà.
Il viso pallido di Jason divenne rosso mentre manteneva la sua espressione stoica. Guardando Tweek dritto negli occhi, però, gli rivolse un leggero e raro sorriso prima di spronare il suo cavallo verso il sentiero che conduceva fuori dal villaggio.
“Allora andiamo, tutti e quattro.” disse Jason, che, benchè si sforzasse, non riusciva più a smettere di sorridere ora che Tweek il barbaro galoppava al suo fianco.
   
 
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