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Autore: summers001    17/06/2022    5 recensioni
Missing moments | Andrè&Oscar
Dal testo:
Alain si mise ad urlare. “Credo che vi ami, comandante!” Percepivo il disprezzo nella sua voce. Lo capii ed internalizzai. Ne provavo anch’io, ma non era importante in quel momento.
Shh! Avrei voluto dirgli. Lo so, lo so da un po’ o forse non del tutto. Fino ad allora avevo creduto che il suo amore per me fosse fugace, estinguibile. Se l’avessi ignorato abbastanza alla fine saremmo tornati ad una imbarazzante parvenza di normalità. Invece Andrè s’era ridotto a piangere lacrime e sangue che gli imbrattavano il viso, i vestiti ed i capelli.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quando successe non fu il trambusto ad allarmarmi. Al contrario, fu il silenzio. Prima delle urla, soldati che correvano, chi a godersi lo spettacolo, chi a tirar mano. Poi il silenzio. Qualcosa di grave era successo. Mi affrettai per uscir fuori e  seguirli. Mi feci largo tra la folla col cuore che mi batteva sempre di più. Li trovai tutti in una delle camerate. Sentii la voce di Alain ed improvvisamente non lo stavano più raggiungendo ma stavano fuggendo.

Rimasi in piedi in una stanza vuota. C’era un corpo accantonato sotto una finestra, picchiato, torturato, massacrato, mentre Alain controllava che fosse vivo. Sapevo che quel corpo era André. Non riuscii a togliergli gli occhi di dosso. Volevo cercarlo nella stanza, pensare che si fosse dissociato dalla folla, invece no era stato proprio lui da solo contro chissà quanti di loro. Non sapevo ancora se fosse vivo o morto, aspettavo il verdetto di Alain incapace di muovermi dal posto.

“Oscar…” lo sentii mugugnare poi. Ripresi a respirare con le lacrime che mi inumidirono gli occhi. “…. N-non t…” balbettava, col suo nemico che sul suo collo aspettava le sue prossime parole. Avrei voluto allontanarlo, dirgli di lasciarlo da solo, non toccarlo più. Le parole di André però arrivarono prima, come una lama nel petto “…sp-sposa…re”.

Alain si mise ad urlare. “Credo che vi ami, comandante!” Percepivo il disprezzo nella sua voce. Lo capii ed internalizzai. Ne provavo anch’io, ma non era importante in quel momento.

Shh! Avrei voluto dirgli. Lo so, lo so da un po’ o forse non del tutto. Fino ad allora avevo creduto che il suo amore per me fosse fugace, estinguibile. Se l’avessi ignorato abbastanza alla fine saremmo tornati ad una imbarazzante parvenza di normalità. Invece Andrè s’era ridotto a piangere lacrime e sangue che gli imbrattavano il viso, i vestiti ed i capelli.

In quel momento però lo capii. Pensai agli ultimi avvenimenti ed alle sue parole. C’era una ragione più grande per cui non potevo sposarmi, più della mia mancata volontà, più dell’ipocrisia di mio padre e del perdono che non sentivo di dovergli. Se mi fossi sposata, lui ne avrebbe sofferto. L’amore che lui provava per me era già allora un contratto. Gli dovevo questo per tutto quello che negli anni mi aveva dato. Il dolore che provai nel vederlo in quelle condizioni, nel saperlo sofferente come solo l’amore può rendere, fece immediatamente soffrire anche me. Mi si lacerò il cuore e la ferita cominciò a sanguinare. Avrei voluto piangere lì con lui, invece raccolsi tutto il mio coraggio e lo raggiunsi. Mi chinai accanto a lui e mi sedetti sul pavimento sporco. Lasciai che gli stivali bianchi si macchiassero di polvere e sangue.  Non mi resi neanche conto che Alain era andato via. Potevo farlo anche davanti a lui per quanto mi fosse importato.

Avevo paura di sfiorarlo, toccarlo. L’avevo fatto mille volte nel corso degli anni, ma mai così. Volevo vestire i panni di quella donna che amava allora. Non credevo potessi essere io. Mi sentivo impacciata, presi un respiro profondo e gli sfiorai la schiena. Fece una smorfia di dolore e mi decisi a prendermi cura delle sue ferite, sia dell’animo che della carne. Come sempre, glielo dovevo.
“Andrè.” Lo chiamai con timore, quasi fosse una domanda. La voce mi uscii più flebile di quel che credessi. Ero in preda ad una forte emozione e mi convinsi che fosse solo paura per la sua condizione e commozione per il suo affetto che non avrei mai saputo ricambiare. “Andrè.” Lo chiamai di nuovo e sembravo quasi sull’orlo delle lacrime.

Lo aiutai a rigirarsi, anche se non voleva. “Devi aiutarmi a portarti in infermeria.” Lo supplicai, ma lui mi ignorò e continuò in quel suo pianto silenzioso e disperato. Attesi così tanti secondi in cui col dorso delle dita gli toccai la mano. Ne aveva una davanti al volto, che chiuse a pugno. L’altra invece era abbandonata lungo il corpo. Rimasi così ferma per un po’, poi col pollice gli carezzai il polso avanti e dietro in una nenia che speravo lo calmasse. Mi ricordai della nonna che ci carezzava le tempie così da bambini.

C’era un silenzio disperato in quell’angolo di mondo. La stanza puzzava come tutte le altre della caserma, in più però sentivo l’odore del suo sangue. Mi diede fastidio, quasi alla nausea. Pensai che avrei voluto pulirgli il volto, vestirlo con vestiti puliti, quelli di casa nostra, dove nessuno l’aveva mai colpito in quel modo. Sfiorargli la pelle calmò anche me, ma non lasciai che il contatto con lui mi distraesse dalle cure che volevo dedicargli.

“Scusa.” Lo sentii parlare. Alzò per un attimo gli occhi, giusto per il tempo che li notassi e poi si nascose di nuovo da me.
Volevo guardarlo. Volevo consolare il mio caro amico, compagno di vita. Ero anche egoisticamente curiosa di vedere come fosse fatto l’amore vero nei miei confronti, che faccia aveva essere amata fino alla punizione corporale. Avrei voluto chiedergli di non farlo: non punirti, non mi amare. Non lo merito.

“Sai,” cominciai a dire e sperai di essere quanto più dolce possibile, una qualità che mai mi sarei attribuita, ma dovevo provare e forse in qualche momento mi stava uscendo naturale “non ho mai pensato che un matrimonio mi avrebbe fatto felice.” Ammisi, ed all’epoca era vero “Mio padre è in un delirio di ammenda, ma capirà, glielo dirò.” Mi convinsi “Io non mi sposerò.”

Ed allora fu mia missione mantenere la parola. Quella promessa mi generò col tempo ansia del confronto con mio padre. L’avrei cercato ed evitato allo stesso tempo. Speravo di avere il coraggio di dirglielo a chiare parole, lo volevo quel coraggio, glielo dovevo. Non mi ero mai apertamente schierata contro il volere di mio padre nei miei confronti, forse per voglia di compiacerlo ogni volta, sperando di ricevere affetto. Invece, senza volerlo, sin da piccola mio padre mi aveva fatto il regalo dell’amore di quest’uomo che nonostante non fosse nobile, nonostante fosse apertamente schierato con la filosofia di libertà dell’epoca di cui era figlio, aveva difeso il legame che aveva con me, di nascita schierata controcorrente.

“No.” Lo sentii mugugnare. Non voleva trattenermi in un ricatto, capii. Lo vidi mettere le mani a terra e farsi forza. Alzarsi, seppur accartocciato e barcollare verso la finestra. In quel momento mi mancò il suo contatto. L’avevo scoperto da pochi secondi e già quel calore familiare mi mancava. Mi convinsi che fosse affetto per il mio tenero amico d’infanzia. Cancellai tutto quello che c’era stato nel mezzo, decisi che potevo voler bene almeno ad una persona, che non era giusto dimenticarmene.

Scrutai il suo profilo. Mi incantai come si guarda il mare. L’avevo osservato così spesso tra le righe, che mi ero dimenticata di come fosse fatta la sua presenza.

Riemersi dai miei pensieri quando lo vidi barcollare. Mi lanciai di scatto per infilarmi sotto le sue spalle. Lo agganciai per la cintura ed attesi che ritrovasse l’equilibrio usandomi come appoggio. Teneva le braccia appese lungo il corpo, cercava di evitare di toccarmi. In questo quasi non lo riconoscevo. Non era mai stato timido. Rimanemmo fermi a guardare le imposte chiuse della finestra. La luce filtrava appena, disegnando righe di sole nell’aria e sulle nostre uniformi.

Non devi far finta di essere forte. Gli avrei detto, anche se l’ammiravo. Ammiravo la sua abnegazione ed insieme gliene facevo una colpa. Più passavano i minuti e più mi feriva. “Andrè.” Riuscii a chiamarlo invece.

“Perdonami.” Disse a capo chino. Cercò di allontanarsi da me, ma io lo ricorsi e lo afferrai di nuovo. Questa volta lo tenni stretto e cominciai passo dopo passo a portarlo in infermeria. Più camminavamo, più in me cresceva il senso di colpa. Camminavo come se quel viaggio mi portasse all’ammenda. Non potevo amarlo, pensavo, ma potevo occuparmi delle sue ferite. Potevo curarlo, non sposarmi, chiedergli scusa per essere stata sciocca, volergli bene ed accompagnarmi a lui come non avevo bisogno, ma avevo sempre fatto. Capii solo allora grazie a lui che essere forte non significa esser soli, ma non arrendersi. Forti ed anche pazzi.

Raggiungemmo l’infermiera ed il medico mi indicò un lettino. Lo aiutai a sedersi più lentamente che potei. Misurai la fretta con cui vivevo da sempre. Una volta seduto gli rimasi accanto come un’ombra.

Il medico si avvicinò portando con sé un piccolo catino in ceramica con dell’acqua. Aveva bende e bottiglie in vetro scuro, che mascheravano i disinfettanti a base di mercurio già accanto al letto, dietro di me. Fece un gesto brusco ad Andrè di spogliarsi. In fretta, come se non si curasse del suo dolore. Mi lanciai di nuovo da lui e lo aiutai a tirarsi giù dalle braccia la giacca pesante. Puzzava di sangue e sudore, come quella caserma sempre, ogni volta. Sopportai e gli chiesi di sopportare.

Il dottore gli passò un panno bagnato sui lividi e sulle ferite. Poi passò a scrostargli via lo sporco dalla carne viva sulla schiena. Solo allora lo vidi trattenere il dolore in bocca, con le labbra chiuse e le sopracciglia aggrovigliate. Avrei dovuto prendergli la mano, come si fa con i bambini e gli amanti, fargli sapere che non fosse solo, ma avevo paura che la mia presenza soffocante potesse ferirgli di nuovo l’animo, ancora piagato.

Quando il medico ebbe finito, lo ringraziai. Quello mi fece cenno col capo e mi porse il saluto militare. Mi presi una sedia dalla scrivania al centro della stanza e mi sedei accanto ad Andrè. Era disteso a pancia in giù, con la schiena scoperta e le ferite ricoperte da garze bianche di lino, che si erano già impregnate al centro di sangue e mercurio. Non riuscivo a staccare gli occhi da quelle ferite. Pensavo a cosa gli avessero fatto quei bastardi. Lui non parlava, non mi guardava. Aveva girato il capo dall’altro lato, lasciandomi a fissare la  sua chioma scura.

“Scusa.” Gli bisbigliai. Per gli ultimi anni, gli avrei dovuto dire. Per non averti capito, valorizzato, difeso. Scusa per averti allontanato, ferito, lasciato in pasto alle bestie.

Andrè si girò di scatto a guardarmi. Riuscivo a distinguere le sfumature di quel verde persino all’ombra di quella stanza. Con l’occhio buono mi fissò come se potesse leggermi dentro. Mi spaventò quasi. Ne ebbi un’irrequieta paura, come una preda davanti ad un leone. Avrei voluto nascondermi, seppellirmi, piangere, implorare pietà. Ma Andrè poi sorrise e solo allora il dolore lo cullò nel sonno.

Rimasi con lui tutta la notte, rifiutandomi di pensare o di interrogarmi su quello che mi stava succedendo. Forse avevo paura di scoprire di essere una persona ancora peggiore di quel che credevo. Forse era qualcos’altro. Mi addormentai anch’io: il busto sulla sedia e le braccia incrociate a farmi da cuscino sul materasso.

Non ricordo quanto dormii o se sognai. Al mattino, col sole che timidamente entrava dalla finestra e colorava di bianco i muri, Andrè era già sveglio. “Buongiorno.” Mi salutò a bassa voce.

“Buongiorno.” Risposi io, riscuotendomi, mettendomi in piedi e pulendomi la bocca col dorso della mano. Mi stiracchiai e mi allontanai. Guardai la finestra con il sonno che ancora mi annebbiava la testa. Mi ripresi del tutto alla vista di due reclute che passeggiavano piano nel cortile della caserma. “Hai la giornata libera,” gli concessi come se fosse scontato “ci vediamo a casa stasera.” Gli dissi poi, sperando che seguisse il mio consiglio. Avrei voluto davvero trovarlo a casa, col vino davanti al camino, a giocare a scacchi o a leggere complicatissimi testi in latino.

“Certo.” Mi rispose solo.

Entrambi dimenticammo che quella sera si sarebbe tenuto il ballo in mio onore, a cui mi presentai vestita da uomo, accompagnata dai miei soldati. Non rividi Andrè quella sera, nonostante lo cercai tra la folla. Decisi che quella festa era noiosa perché lui non c’era.

Il giorno dopo un pazzo attentò alla vita di mio padre. Erano i giorni in cui cercavo di evitarlo per non comunicargli quella mia decisione di deluderlo. Mi sentii a pezzi. In due giorni le persone a cui tenevo di più al mondo erano andate vicine alla morta. Mio padre, l’uomo che credevo mi avesse incarcerata in una vita che non mi apparteneva, era stato ferito quasi a morte. Avevo rischiato di perderlo, senza che io l’avessi mai ringraziato invece per la libertà che mi aveva regalato, un privilegio che sentivo sempre più vicino e sempre più prezioso. Sul suo letto piansi e gli comunicai la mia decisione, lo ringraziai ed uscii dalla porta della sua stanza pronta a crollare di nuovo.

Fu lì che mi trovò Andrè. A terra, in un fiume di lacrime, crollata sotto il greve peso di un dolore che non avevo mai provato. Alzai il volto e lo vidi che mi porgeva un fazzoletto. Sorrise, s’abbassò e me lo mise in mano. Scoppiai ancora e continuai a piangere e singhiozzare. Non mi aiutò a tirarmi su, anzi rimase giù con me. Con fare naturale, mi prese per le spalle e mi aiutò a poggiarmi sulle sue. Mi rintanai nel suo collo, dove continuai fino ad esaurire le lacrime.

Quell’abbraccio e le carezze lente ebbero l’effetto di calmarmi. Sentii dei passi dietro di noi, ma non me ne curai. Volli rimanere nel buio che mi ero creata, dove sentivo un odore familiare ed analgesico per l’anima. Quando lo sentii voltarsi e sottrarmi il mio piccolo mondo gli strinsi la giacca con una mano stretta a pugno.
“Sono qui.” Mi rispose lui, tornando da me a dedicarmi tutte le sue attenzioni. Ed era vero. Lui c’era. Lui c’era sempre.

 

Angolo dell'autrice
Ok, questa è la mia terza storia su Lady Oscar. Stavolta più breve delle altre.
I missing moments sono un genere che mi è sempre piaciuto e spero che questo possa piacere un po' anche a voi. Ne stavo abbozzando degli altri e qualora succeda, li aggiungerò ad una raccolta a questo punto.
Beh, fatemi sapere che ne pensate.
Un bacio a tutti. 
Summers
  
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