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Autore: Krgul00    19/06/2022    0 recensioni
Quando Astra, un pastore tedesco di cinque anni, entra a far parte della sua vita, Maddie Foster non aveva pensato che questo avrebbe potuto portarla ad incontrare un uomo bellissimo e misterioso.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO UNO
 
Maddie Foster si rese conto dell’arrivo di maggio nel modo peggiore.
Negli ultimi anni il cambiamento del clima si era fatto sempre più evidente e, nonostante Sunlake fosse un piccolo paese in mezzo alle montagne, con l’arrivo della primavera le temperature già sfioravano i venticinque gradi. Per fortuna, nella contea di Lake Rock, dove era nata e cresciuta, l’aria era sempre stata secca e questo non dava segni di voler cambiare; pertanto, nessuno aveva mai davvero sofferto il caldo.
Tuttavia, Twin Lake City, vera e propria città nell’omonima contea limitrofa, era più bassa rispetto a Sunlake e quando il vento spirava da ovest, portando con sé nuvole grigie gonfie di calore, poteva trasformarsi in un vero e proprio forno. Principalmente perché questa cappa di umidità si incuneava tra le alte Vette dei Mille Laghi, andando a formare una magnifica serra naturale, almeno finché il vento non iniziava a soffiare in un’altra direzione.
Anche stare fermi era sufficiente per iniziare a sentire una piccola patina di sudore ricoprire ogni lembo di pelle scoperta e non, e soltanto un pazzo avrebbe scelto quella mattina di maggio per fare jogging per le strade di Twin Lake City.
Un pazzo e Maddie.
Anche se, a differenza di un qualsiasi tizio con improvvisi intenti suicidi, lei non si era ritrovata a correre per il marciapiede per un puro e semplice diletto personale.
In realtà, si potrebbe dire che i suoi guai risalivano a ventidue anni prima, quando una piccola Maddie Foster aveva chiesto, nella sua lettera a Babbo Natale, un unico regalo: un cucciolo. Perché se c’era una cosa che aveva sempre – e da sempre – desiderato era avere un cane.
Naturalmente, il barbuto signore in rosso l’aveva accontentata e, quella mattina del venticinque dicembre, ad attenderla sotto l’albero aveva trovato un piccolo e tenero gattino nero.
Così, il Natale successivo, Maddie aveva scritto ancora al Polo Nord, spiegando, senza possibilità di fraintendimenti, l’equivoco avvenuto l’anno prima e chiedendo un cane che andasse d’accordo con il suo adorato Mr. Cuddle.
Tre giorni dopo, una lettera firmata dal Primo Elfo di Babbo Natale l’aveva informata che i cani, per quell’anno, li avevano finiti e non avrebbero potuto esaudire la sua richiesta: che riprovasse l’anno prossimo.
Ma il suo desiderio era stato negato – per un motivo o l’altro - per i due anni successivi; finché, non era arrivato il momento che ogni bambino non avrebbe mai voluto arrivasse: diventare grande. Quindi, la sua infanzia era finita e con quella la grande bugia chiamata Santa Claus, e tutto aveva acquisito un senso: sua madre aveva paura dei cani, sin da quando, da ragazza, era stata morsa ad un braccio.
Nonostante vivesse da sola da quando aveva ventitré anni, Maddie non aveva mai approfittato di quella sua indipendenza per esaudire il suo desiderio. Almeno, non fino a nove mesi prima.
Infatti, quando la sua migliore amica, Charlie, le aveva chiesto se volesse adottare una femmina di pastore tedesco di nome Astra, lei aveva acconsentito con grande entusiasmo.
Le era stato detto sin da subito che Astra non era un cane come tutti gli altri. Innanzitutto, il suo padrone era morto un anno prima e il cane aveva risentito di quella perdita in modo sorprendentemente umano, cadendo in un vortice depressivo che gli aveva tolto anche l’appetito.
Maddie se ne era resa conto, in effetti: per i primi mesi insieme era stato davvero difficile spingerla anche solo a spostarsi dalla sua cuccia. In ogni caso, l’immenso affetto che aveva da dare le aveva donato nuova energia e vitalità: non l’aveva mai lasciata sola, portandola con sé al lavoro - in biblioteca - e approfittando di ogni momento per farle le coccole o coinvolgerla in qualche gioco.
Era inutile dire che Maddie si era affezionata velocemente a quel magnifico pastore tedesco; non solo perché averne uno era sempre stato il suo più grande desiderio, ma anche perché Astra era davvero facile da amare, con un orecchio a punta e l’altro perennemente pendente – a causa di una cartilagine assente – aveva un musetto davvero dolce e simpatico.
In secondo luogo, era stato Matthew Allen, superiore e collega di Charlie, che lei aveva conosciuto l’anno prima, a consegnarle il cane.
Nessuno, nemmeno il suo futuro marito, Logan, sapeva di preciso in che cosa consistesse il lavoro di Charlie Royce per i servizi segreti; tuttavia, preoccupata che Astra, piena della sofferenza per la morte del padrone, potesse manifestare atteggiamenti aggressivi, Maddie non aveva dato troppo peso a quella considerazione.
Però, non ci aveva messo molto a rendersi conto di quanto fossero state sciocche le sue iniziali paure: quel cane eseguiva qualsiasi ordine le venisse imposto; d’altronde, come poteva essere diversamente?
L’aveva realizzato un giorno, sulla strada per la biblioteca, quando il gatto della signora Terrile era spuntato da un cespuglio e gli si era parato davanti, in quel modo fastidioso che solo i gatti hanno nei confronti dei cani. Astra aveva iniziato ad abbaiare e a tirare il guinzaglio come una pazza, nel tentativo di raggiungere la sua nemesi naturale, e, mentre cercava di trattenerla, a Maddie era venuto spontaneo gridare “no!” e Astra aveva improvvisamente perso interesse – nel modo più assoluto - per il gatto.
Vien da sé che, una volta scoperto questo, Maddie aveva iniziato a formulare un qualsiasi ordine le venisse in mente, per vedere se il cane vi rispondesse, e Astra rispondeva eccome.
E quello non era tutto.
Una sera, mentre oziava sul divano con un poliziesco in tv, le era venuta in mente un’idea: aveva preso una pallina e gliel’aveva fatta annusare. Poi le aveva detto di rimanere ferma lì, sul divano di casa sua, ed era uscita per sotterrare la pallina in mezzo al terreno – ancora spoglio - del suo orto.
Una volta rientrata, le era bastato dire “cerca” e, scodinzolando a più non posso, come se fosse un gioco super divertente, Astra l’aveva portata dritta dritta all’obbiettivo.
Pertanto, in quei nove mesi, la loro vita insieme era stata assolutamente serena e priva del più piccolo dramma, almeno fino a quella mattina di inizio maggio, quando Maddie si ritrovò a correre per le strade di Twin Lake City.
Lei, che non aveva mai corso neppure dietro al bus della scuola – soprattutto perché sapeva che il signor Myers, da sempre un gran brontolone, non si sarebbe mai fermato ad aspettarla – si ritrovò ad inseguire un pastore tedesco improvvisamente impazzito. Perché era questa l’unica spiegazione a cui la donna riuscisse a pensare: un momento prima era in piedi, ferma davanti alla vetrina di un negozio d’abbigliamento e, l’attimo dopo, si era ritrovata distesa a terra, sull’asfalto bollente del marciapiede a contemplare il cielo coperto da quella insopportabile foschia umidiccia.
Quando era riuscita a rialzarsi, Astra aveva già travolto cinque persone e attraversato due incroci rischiando d’essere investita. Ed ora, due isolati dopo, eccola lì, rossa in viso, madida di sudore e con diverse ciocche di capelli sfuggite alla treccia che si era fatta, con tanta cura, quella mattina.
Aveva smesso di gridare già da un pezzo, ormai. Già dopo le prime tredici volte che le aveva urlato di fermarsi, era stato chiaro che il cane sembrasse diventato improvvisamente sordo a qualsiasi comando. In ogni caso, non avrebbe avuto fiato nemmeno per spegnere la fiammella di un’insulsa candelina di compleanno.
Svoltato l’angolo, Maddie non riuscì ad andare oltre e si fermò, aggrappandosi ad un lampione, nella speranza di riuscire a non cadere. Le gambe le tremarono per lo sforzo di reggerla in piedi e lei rimase per un momento così, ferma sul posto ad osservare la figura di Astra allontanarsi, facendosi spazio lungo la via: il cane, a differenza sua, non era affatto stanco da quella corsa spericolata.
Mi riposo solo un momento. Si disse, chiudendo gli occhi per un istante; ma, quando li riaprì, per poco non le venne un colpo, il che era tutto dire: era un miracolo se ancora non le era venuto un attacco apoplettico.
Per un momento, guardò sbigottita Astra entrare in una caffetteria e, quindi, scomparire alla vista.
Tutto questo casino per un po’ di caffè?
Si costrinse a spingersi in avanti e per poco non inciampò in un idrante.
Prese un appunto mentale per sé stessa: iniziare ad allenarsi con Charlie; non era possibile che a trent’anni si sentisse i polmoni in fiamme per quel piccolo sprint.
Riuscì ad arrancare fino al negozio e, una volta sulla soglia, le sfuggi un rantolo sconvolto alla vista della scena che le si parò innanzi: con la coda che si muoveva frenetica e uggiolando senza sosta, Astra poggiava le zampe anteriori sulle gambe di uno dei clienti seduti ad un tavolo, quasi cercando di salirgli in braccio, e gli leccava ogni parte del corpo che riuscisse a raggiungere, senza nemmeno fermarsi a riprender fiato.
Orripilata, Maddie si gettò in avanti, allungandosi subito a separare Astra dalla sua vittima.
“Oddio.” Farfugliò, ancora senza fiato.
Con tutta la forza che riuscì a racimolare, tirò il collare, riuscendo, con estrema difficoltà, a farla tornare con tutte e quattro le zampe a terra. Dovette ripetere due volte “ferma” prima che recepisse il comando, e anche allora, con la lingua penzoloni, sembrava a dir poco irrequieta, come se avesse in mente di saltare addosso a qualcun altro.
“Sono davvero mortificata.” Iniziò a scusarsi, con il fiatone, cercando di contenere quell’inspiegabile entusiasmo. “Non so proprio cosa le sia preso, non è mai capitata una cosa del genere prima. Di solito non è… oh.” Si bloccò di colpo, non appena alzò gli occhi verso l’uomo che, seduto su una delle sedie in ferro battuto della caffetteria, la guardava dall’alto in basso.
D’accordo, forse si era sbagliata ed era morta sul serio. Fatto che non l’avrebbe lasciata nemmeno troppo sorpresa: la sua preparazione fisica faceva davvero schifo. Tuttavia, non capiva proprio cosa potesse aver fatto di male in vita sua per esser finita all’inferno.
Perché, di certo, quello non poteva essere il paradiso.
Indizio numero uno: faceva troppo caldo e lei era sicura che in paradiso avessero l’aria condizionata.
Indizio numero due: solo in un loop infernale si sarebbe potuta ritrovare in quelle condizioni – sudata e chiazzata dai segni dello sforzo – difronte ad un esemplare maschile tanto meraviglioso.
Nella sua vita, passata in larga parte a Sunlake, Maddie poteva contare sulle dita di una sola mano gli uomini che l’avevano davvero stupita per la loro bellezza.
Uno di questi, sicuramente, era Luke Thomson, vicesceriffo e suo amico d’infanzia – per cui lei e Charlie avevano avuto una piccola cotta da adolescenti - che non poteva negarsi fosse oggettivamente molto attraente.
Aveva sempre considerato, poi, anche lo sceriffo, Logan Moore, come un uomo avvenente; anche se non si poteva definire bello in modo classico, come l’altro, aveva un suo fascino intrinseco che lasciava alquanto ammaliati.
Eppure, se avesse dovuto stilare una classifica, l’uomo davanti a lei sarebbe schizzato sicuramente al primo posto e, per stare tranquilli, Maddie gli avrebbe volentieri riservato anche il secondo.
Non solo era davvero splendido, con lineamenti ben proporzionati e una carnagione color caffè-latte che gli conferiva un ché di esotico, ma intorno a lui pareva aleggiasse un’aurea tutt’altro che quieta, come un leggero sentore di pericolo che non poteva far altro che catturare l’attenzione e la curiosità di una donna.
Non era quel tipo di pericolo che ti spingeva a girare i tacchi e dartela a gambe, scappando il più lontano possibile urlando di terrore; no, più che altro, Maddie ebbe l’impressione che, se provocato, quell’uomo sarebbe stato un serio rischio per chiunque, uno di quelli che non avrebbero lasciato un buon ricordo.
Sotto sopracciglia scure, dello stesso colore dei capelli rasati quasi a zero, profondi occhi scuri la fissarono con cupa intensità, e la sua bocca carnosa non tradì alcun sorriso, conferendogli un’espressione severa, al limite dell’irritato.
Maddie si sentì arrossire sotto quello sguardo cinico, e non seppe se a causa del fastidio di cui quell’uomo non sembrò fare mistero, oppure per l’infinita sfortuna – o fortuna, a seconda dei punti di vista – che, tra tutti gli uomini di Twin Lake City, il suo cane avesse scelto il più innegabilmente attraente da assalire.
Està bien.” Le assicurò lui. “Non importa.”
Fu così che si rese conto di esser rimasta a fissarlo imbambolata; non che l’uomo parve dispiacersene, in ogni caso.
Si riscosse, scuotendo la testa e sforzandosi di sembrare – per quanto ormai fosse difficile – una persona normale. Con una mano si tolse le ciocche umide che le ricadevano disordinate davanti agli occhi e pregò che, almeno, il suo deodorante mantenesse fede alla sua esagerata promessa promozionale: il sudore sarà solo un ricordo.
Si, come no.
In ogni caso, la cordialità che contraddistingueva ogni abitante di Sunlake emerse e la spinse ad accompagnare quelle scuse con un gesto di sentito rammarico: “Permettimi di offrirti la colazione, mi pare il minimo che io possa fare...”
Si tirò in piedi, ancora trattenendo Astra per il collare, fissando la sua maglia bianca macchiata di terra e polvere. Non le era mai capitato di doversi scusare con un uomo per esser stato assalito da un pastore tedesco di cinque anni dal peso di trenta chili ma, immaginava, che offrire una colazione non fosse una brutta idea.
Lui la valutò per un lungo momento, e non come potrebbe fare un uomo interessato ad una donna, quanto piuttosto come una guardia di sicurezza all’aeroporto: con quel pizzico di cautela e diffidenza.
Maddie sentì il suo stomaco contrarsi sotto quel minuzioso esame e, nervosa, si sistemò una ciocca inesistente dietro l’orecchio.
In ogni caso, alla fine, lui dovette arrivare alla conclusione che una donna come lei era, in fin dei conti, piuttosto innocua e incapace di costituire alcuna minaccia, perché le fece un semplice cenno di assenso con la testa.
“Mi chiamo Maddie, a proposito.” Si presentò, quindi, sedendosi sulla sedia difronte a lui, interpretando quel suo consenso come un invito, e protendendo una mano tra loro, aspettando che la stringesse.
Ancora con quella maschera di severità indosso, i suoi occhi risalirono per tutta la lunghezza del braccio di lei, fino a fissarsi nei suoi dolci occhi color caramello. 
Continuò a fissarla in silenzio, come se dovesse pensare a quale fosse il suo nome o se rifiutarsi di rispondere, prima di protendersi in avanti e avvolgerle la mano con la sua.
“Max.” Proferì, infine, con un tono duro e grave che, era sicura, non avrebbe dovuto scombussolarle lo stomaco come fece.
Distolse lo sguardo, e si soffermò sulla piccola bottiglietta d’acqua frizzante, ancora intonsa, davanti a lui. Alla sola vista, si rese conto di quanto fosse secca la sua bocca e si umettò le labbra aride in cerca di sollievo. “Ti dispiace se…?” Domandò timidamente, accennando all’oggetto.
Lui si limitò semplicemente a spingerla verso di lei e quando la sete fu solo un ricordo, e appoggiò la bottiglietta, ormai vuota, sul tavolino, si rese conto di avere tutta l’attenzione del suo nuovo e imprevisto accompagnatore.
Maddie si schiarì la voce, sentendo il suo cuore iniziare a battere all’impazzata. “Allora…” Iniziò, facendo finta di niente e sistemandosi più a suo agio sulla sedia. “Sei qui in vacanza?”
Anche stavolta, parve prendersi un momento prima di elaborare la risposta, e lei ne approfittò per  osservarlo attentamente: appoggiato allo schienale, con un braccio morbidamente proteso sul tavolo, avrebbe potuto incarnare il ritratto di un uomo disponibile, se non fosse stato per quella sua espressione di lapidaria imperturbabilità.
“Per lavoro.” Fu tutto quello che rispose, non accennando in alcun modo a voler contribuire alla conversazione.
Certo, si disse lei, nessuno sarebbe dell’umore di perdersi in chiacchiere, dopo esser stato assalito.
Pertanto, pensò di scusarsi ancora una volta: "Sono davvero dispiaciuta per prima. Mio dio, guarda la tua maglietta. Posso pagare la lavanderia se vuoi, oppure-"
"Non c'è bisogno." La interruppe, afferrando uno dei menù e iniziando a scorrerlo con attenzione, chiaro segno che per lui la faccenda era stata definitivamente archiviata.
Il silenzio calò tra loro e, interdetta, Maddie guardò Astra accucciarsi, felice e beata, ai piedi di Max, sotto il tavolo, e si disse che se un cane così intelligente riteneva quell’uomo degno di tutta quella simpatia, allora lo avrebbe fatto anche lei; quindi, non si fece scoraggiare dal suo ostinato mutismo e si convinse che fosse la timidezza a spingerlo a quella ritrosia.
Anche se, doveva ammettere, non c’era proprio nulla di timido in lui.
Lo imitò e prese il menù, ma lei, a differenza sua, non riuscì proprio a stare zitta.
“Sto morendo di fame. Non sono ancora riuscita a fare colazione questa mattina, credo proprio che prenderò i pancake al cioccolato… uhm, anche se non sembra ci mettano la polvere di cocco. Non sono la stessa cosa senza, ti pare? Però, potrei accontentarmi anche della granella di nocciola. Lo sapevi che sembra i pancake siano stati inventati dagli antichi romani? Certo gli ingredienti erano differenti ma comunque si può dire che la loro versione è l’antenata della nostra. E li vendevano anche per strada! Quindi hanno inventato anche lo street-food, non lo trovi incredibile?”
Max abbassò lentamente il menù, fino a poggiarlo di nuovo sul tavolino e i suoi occhi si posarono sul viso pieno di evidente meraviglia di lei.
Era chiaro che lei lo trovasse davvero incredibile.
L’uomo inarcò uno scuro sopracciglio verso l’alto, evidentemente sorpreso dal considerevole numero di parole che Maddie era riuscita a pronunciare senza doversi fermare a riprender fiato. Naturalmente, la donna non aveva ancora finito e, concentrata sulla carta che aveva tra le mani, la sua attenzione fu richiamata da ogni singolo dolce che v’era presente.
“Oddio! Hanno anche la torta al triplo cioccolato! Sono sicura che non è buona come quella della signora Peterson ma, dai, con tre tipi diversi di cioccolato niente può essere meno che squisito, ti pare? Daisy mi ha addirittura dato la ricetta, ma nessuno riesce a farla buona come la sua. È davvero impossibile.” Commentò in un brontolio e un leggero gesto della mano. “Uh, forse dovrei prendere anche le fragole, in fin dei conti ho già fatto esercizio oggi.” Ridacchiò tra sé. “Non c’è niente di meglio delle fragole di stagione, te lo dico io. C’è anche la torta di zucca, cavolo! E la cheesecake ai frutti di bosco! Sono così indecisa, tu cosa mi consigli? Vieni spesso, qui?”
Solo allora alzò gli occhi verso di lui e lo trovò intento a studiarla con palese curiosità, e quando lei gli rivolse un sorriso a trentadue denti, che le illuminò tutto il viso, le sopracciglia dell’uomo si aggrottarono.
“No.” Disse a mezza bocca, riportando lo sguardo al menù, ma, inevitabilmente, la sua attenzione fu di nuovo catturata dalla donna difronte a lui.
“Questo posto è davvero molto carino. Nonostante viva a Sunlake, non sono mai entrata in questa caffetteria, prima d’ora. Non che questo voglia dire nulla, non devo per forza conoscere ogni singolo negozio di questa città, in fondo non è nemmeno la mia contea.” Continuò, guardandosi intorno con radioso stupore, come se stessero facendo colazione nella regia di una regina e non in un’anonima caffetteria qualunque. “Anche il loro menù mi piace molto, devo dire ad Annabelle e…”
Maddie, sul punto di continuare quella conversazione a senso unico, fu interrotta dall’arrivo del cameriere, un ragazzo piuttosto giovane, un po’ brufoloso, che sembrava alquanto annoiato dal suo lavoro.
“Cosa posso portarvi?” Domandò con voce monotona, di chi è costretto a ripetere sempre la stessa cosa.
Maddie si mordicchiò il labbro inferiore, preda dell’indecisione. “Sui pancake al cioccolato mettete anche la polvere di cocco?”
“I piatti sono serviti proprio come c’è scritto sul menù.” Disse, come un automa, evidentemente stanco di stare dietro a qualunque pretesa dei clienti.
“Allora prenderei una fetta di torta di mele, un muffin ai mirtilli, le fragole e una spremuta d’arancia, per favore.”
Il ragazzo lo scrisse velocemente sul suo taccuino.
“Per me un caffè nero e la colazione classica.” Ordinò sbrigativamente Max. “Gracias.” E gli porse i loro menù.
Rimasero di nuovo soli.
Lui la fissò, ancora con quel suo sguardo intellegibile, e lei si sentì in dovere di giustificarsi: “Non fa mai male esagerare con la frutta…” Osservò, riferendosi alla sua ordinazione e giocherellando con il bordo della sua tovaglietta.
Non c’era bisogno di specificare che la torta di mele veniva servita con la panna montata o che le fragole erano affogate nel gelato alla vaniglia, era comunque frutta in ogni caso.
Le parve che un angolo delle labbra di Max avesse un fremito, ma dovette esserselo immaginato perché il suo tono piatto non tradì alcun divertimento quando acconsentì: “Mi pare giusto.”
In ogni caso, quelle parole la fecero rilassare sullo schienale della sua sedia e lei gli rivolse un altro caloroso sorriso, colmo di gratitudine per il suo – seppur tiepido - supporto.
Erano due le cose per cui Maddie Foster era famosa nel piccolo paese di Sunlake, a parte la sua gentilezza. Innanzitutto, era risaputo che, proprio come suo padre Arthur, Maddie andasse pazza per qualsiasi cosa contenesse zucchero - tranne i terribili dolci della sua amica Charlie ma, d’altronde, quelli non piacevano proprio a nessuno.
Non che qualcuno le avesse mai fatto pesare la cosa o si fosse mai azzardato a dirle che era grassa – a parte quell’idiota di Cameron Harris, naturalmente - perché non lo era affatto. Maddie aveva sempre saputo di non essere una donna eccezionalmente bella come Charlie, ma si reputava decisamente carina: alta poco meno di un metro e settanta, non faceva molto esercizio fisico – più che altro le piaceva molto camminare, soprattutto fare lunghe passeggiate per i bellissimi sentieri di montagna, in quel periodo – ed era formosa, ma i pochi amanti che aveva avuto – tre in tutto – non si erano mai lamentati delle sue curve.
I suoi lunghi e folti capelli castani, che, quando sciolti, le arrivavano sotto le spalle in morbide onde naturali, incorniciavano un viso grazioso illuminato da grandi occhi color caramello, di cui lei era sempre stata molto fiera.
In ogni caso, faceva sempre molta attenzione a quello che mangiava, cercando di soppesare in quel modo al suo stile di vita perlopiù sedentario. Ma quando si trattava di dolci, il suo autocontrollo andava a farsi benedire e per lei diventava davvero impossibile trattenersi.
In secondo luogo, Maddie era famosa per la sua parlantina nervosa. Tutti a Sunlake ricordavano la volta in cui, a tredici anni, lei e Charlie si erano intrufolate di notte nella biblioteca del paese ed erano state colte in flagrante – ironia della sorte - dall’allora bibliotecaria, e di come la signora Robinson fosse stata stremata dall’infinita e prolissa spiegazione della giovane Maddie sul perché della loro visita notturna. Aveva tirato in ballo le argomentazioni più contorte – ma comunque convincenti – che, di certo, non ci si aspettava da una ragazzina di tredici anni, la quale, da qualche parte nella sua lunga e accorata arringa, aveva anche citato Seneca e s’era appellata alla Costituzione.
Anche se Max non era a conoscenza di nulla di tutto ciò, di sicuro se ne rese conto da solo, perché gli unici momenti di silenzio tra loro furono quando la donna era troppo occupata a gustarsi con immensa goduria la sua colazione.
Tra un boccone e l’altro, però, lei gli raccontò del suo lavoro e di quanto le piacesse gestire la biblioteca. Si perse a descrive addirittura l’odore dei libri di cui era circondata e di come avesse letto, da qualche parte, che quel particolare profumo non fosse altro che il mescolarsi di diversi fattori chimici che il cervello umano associa ad un’esperienza positiva.
Naturalmente, ogni tanto rivolse qualche domanda anche a Max ma, fin da subito, le fu chiaro che quell’uomo non aveva interesse nel contribuire al discorso e si limitava a rispondere con il minor numero di parole possibile.
Tuttavia, l’ascoltò.
L’ascoltò davvero, con quello che le parve sincero coinvolgimento, ed era difficile per lei ottenere una tale considerazione quando iniziava a parlare senza sosta. Non era infrequente che gli interlocutori di Maddie, ad un certo punto, perdessero interesse per il fiume di parole che lei gli riversava contro, e lo capiva. Sentiva l’irrefrenabile bisogno di render partecipi gli altri di nozioni che lei scopriva tra le pagine, nella speranza che il suo interlocutore condividesse la sua stessa meraviglia.
Sapeva che a Sunlake erano troppo gentili per interromperla o dirle semplicemente di farla finita; perciò, ad un certo punto della conversazione, vedeva lo sguardo del suo interlocutore perdersi nel vuoto e focalizzarsi su altri pensieri.
Con Max non fu affatto così.
L’attenzione dell’uomo rimase su di lei e seguì attentamente ogni sua divagazione.
Maddie era sicura che fosse solo per gentilezza, in fin dei conti la doveva sopportare solo fino alla fine della loro colazione; eppure, quando arrivò il momento di pagare il conto, quella sua convinzione vacillò per un momento.
Mentre lei si affrettava a prendere il portafogli nella sua borsetta, Max passò la sua carta di credito al cameriere e lei non poté far altro che battere le palpebre confusa.
“Pensavo avessimo detto che avrei offerto io…” Osservò, quindi, guardando il ragazzo allontanarsi verso la cassa.
“Lo spirito della mia abuela mi perseguiterebbe in eterno se permettessi ad una bella donna di pagare il conto.” Fu la piatta spiegazione.
Gli occhi di Maddie schizzarono fulminei verso di lui, per trovarlo ancora intento a studiarla, comodamente appoggiato allo schienale della sua sedia.
Batté le palpebre più volte, come per schiarirsi la mente, in preda alla confusione e alla sorpresa. Le era parso, infatti, di aver percepito nel suo tono di voce una certa vena seduttiva; eppure, il suo viso non cambiò affatto espressione, in assoluto contrasto con le parole che aveva appena pronunciato.
Tuttavia, non poté impedirsi di avvampare e si domandò come fosse possibile che a maggio, nel pieno della primavera, in quella caffetteria continuassero ancora a tenere i riscaldamenti al massimo.
“Beh, g-grazie.” Fu tutto quello che riuscì a balbettare, incredibilmente a corto di parole, e nemmeno lei seppe se si riferisse a quel complimento inaspettato o al fatto che le offriva la colazione.
Probabilmente ad entrambi.
In ogni caso, non era un idiota, e non si soffermò troppo su quella gentile lusinga e la prese per ciò che era: una semplice cortesia.
Uscirono insieme, con Astra scodinzolante ed entusiasta di cambiare scenario, e, una volta uno difronte all’altra sul marciapiede, finalmente Maddie ebbe l’opportunità di ammirarlo nella sua interezza.
Era più alto di lei di almeno quindici centimetri. Non aveva un fisico massiccio, ma asciutto e slanciato, e indossava un paio di pantaloni grigi della tuta, che gli abbracciavano morbidamente la vita, con una semplice maglia nera a mezze maniche che gli aderiva addosso, mettendo in evidenza ogni singolo muscolo del suo petto. Deglutì e distolse lo sguardo, non volendo esser colta di nuovo a fissarlo.
Comunque, per loro era arrivato il momento di salutarsi.
Si schiarì la voce, spostando il peso da un piede all’altro. “Ti ringrazio per la colazione e mi dispiace ancora per Astra, non so davvero come sia potuto succedere.” Si scusò ancora, chinandosi ad accarezzare il cane tra le orecchie.
Seduta di fianco a lei, decisamente più tranquilla, Astra parve piuttosto soddisfatta da quella sua premura, e socchiuse morbidamente gli occhi, godendosi quella più che benvenuta grattatina.
L’uomo osservò con attenzione quel suo gesto, ma non disse nulla; pertanto, Maddie si sentì in dovere di continuare: “Mi ha fatto piacere conoscerti, Max.”
Le iridi scure di lui tornarono su di lei e Maddie ebbe l’impressione che fosse stranamente distratto, fatto evidenziato dal semplice cenno che le rivolse in risposta, come a voler dire che per lui era stato lo stesso, e lei dovette reprimere l’inspiegabile delusione che iniziò a fiorirle nel petto.
A disagio per il silenzio imbarazzato calato tra loro, tipico di due sconosciuti che non sanno come salutarsi, e dal suo sguardo pieno di… - indecisione forse? – qualsiasi cosa fosse, Maddie fece un passo indietro, portando Astra con sé.
Alzò un pollice sopra la spalla, ad indicare una vaga direzione. “Io e Astra abbiamo un appuntamento al parco.” Gli sorrise timidamente, prima di accennare un esitante saluto con la mano. “Allora… ciao.” E detto questo, si girò e si incamminò.
Riuscì a fare solo due metri prima di sentirsi chiamare da quella voce profonda: “Maddie.”
“Si?” Odiò il suono pieno di aspettativa che le uscì dalle labbra e la repentinità con cui si voltò. Come una disperata che desiderava non la lasciasse andare senza chiederle il numero di telefono o, comunque sia, senza farle capire, in qualche modo, che anche a lui aveva fatto piacere stare in sua compagnia.
Non che fosse una disperata, assolutamente no.
Era di gran lunga l’uomo più bello che avesse mai visto e, sospettava, fosse anche l’uomo più bello che avrebbe mai potuto vedere in vita sua; perciò, lei era assolutamente consapevole che fosse oltremodo fuori dalla sua portata.
D’accordo, forse, una piccola, minuscola, parte del suo cervello aveva fantasticato di un mondo in cui, una volta che si fosse voltata, avrebbe trovato Max in ginocchio, pronto a chiederle di sposarlo perché: sì, lei era la donna della sua vita!
Tuttavia, razionalmente sospettava che, tutto ciò che le avrebbe mai potuto effettivamente chiedere sarebbero state le indicazioni per raggiungere l’autostrada e così uscire per sempre dalla sua vita. Con grande probabilità, una volta che avesse varcato il confine dello stato, se non prima, si sarebbe già dimenticato di lei.
Invece, con le mani nelle tasche e la solita espressione impassibile, l’uomo le andò incontro e pronunciò parole che non avrebbe mai e poi mai immaginato.
"Mi piacerebbe molto accompagnarvi al parco. Posso?"
Oltre ad essere una delle frasi più lunghe che le avesse rivolto fino a quel momento, quella domanda, tanto gentile, ebbe l’effetto di lasciarla frastornata, come se le avesse appena mollato uno schiaffo in pieno viso.
“A-accompagnarci?” Ripeté, infatti, in un balbettio.
“Sì.” Ma, stavolta, difronte alla palese confusione di lei, che non accennò a rispondere, gli occhi di Max la scrutarono preoccupati e continuò: “Sempre che per te non sia un problema…”
“No!” Quasi urlò, protendendo una mano verso di lui come se volesse impedirgli di scomparire in una nuvola di fumo.
La guardò accigliato, forse pensando ad un modo per sottrarsi dalla proposta appena fatta: nessuno avrebbe voluto accompagnare al parco una matta, dopotutto.
Per cercare di darsi un contegno, Maddie chiuse gli occhi, fece un profondo respiro e, così, con le palpebre ancora ben chiuse, in un tono di voce normale – quasi professionale - disse: “Non è un problema.”
Quando riaprì gli occhi, lo trovò ancora più vicino, che la fissava dall’alto e a Maddie parve di vedere un baluginio di divertimento comparire nelle sue iridi color cioccolato.
“Permetti?” Le chiese in un tono basso e confidenziale, e lei, incantata dalla perfezione dei suoi lineamenti, non aveva la più pallida idea a cosa potesse riferirsi ma, comunque, annuì.
In quel momento, gli avrebbe permesso qualsiasi cosa, anche di asportarle un rene seduta stante.
Solo quando lui le sfiorò la mano che ancora teneva il guinzaglio e glielo prese, Maddie si riebbe.
Non era l’unica ad essere entusiasta della piega che avevano preso gli eventi; anche Astra era assolutamente elettrizzata all’idea di passare del tempo con lui.
Lei non vi aveva fatto caso ma, non appena Max si era avvicinato, il cane gli era andato incontro scodinzolando, incurante di avvolgere, così facendo, le gambe di Maddie con il guinzaglio.
E a quel punto, successe una cosa strana.
Cioè, ancor più strana del fatto che uno sconosciuto davvero bellissimo le avesse appena chiesto di accompagnarla al parco.
Le labbra di Max si protesero in avanti, come a schioccare un bacio – per poco non le venne un colpo -, e fischiò brevemente per due volte. A quel suono, le orecchie di Astra scattarono verso l’alto e subito iniziò a girarle intorno, nel verso opposto, liberandola.
“Oh.” Mormorò lei, impressionata da quel trucchetto. “Devi assolutamente insegnarmelo.”
Il tragitto verso il parco più vicino, oltre ad essere breve, fu silenzioso.
Maddie, decisamente meno nervosa, fu troppo presa dai suoi pensieri.
Si chiese il perché di quella sua richiesta; insomma, va bene, l’aveva ascoltata per tutto il tempo della loro breve colazione, ma era sicura che fosse solo un modo di non sembrare scortese, in fin dei conti, nulla nella sua espressione immutabile le aveva mai fatto capire che apprezzasse davvero la sua compagnia. Era di gran lunga più coinvolto da Astra che da lei, ma le parve assurdo che le chiedesse di accompagnarla solo per poter passare più tempo con il suo cane.
Che si fosse sbagliata?
Perciò lo studiò attentamente e, se anche Max si accorse di come lei lo sbirciasse, non lo diede a vedere e continuò a camminare incurante, senza mai dar segno d’accorgersi della sua attenzione su di sé.
C’era qualcosa di familiare nel suo modo di muoversi, nell’andatura disinvolta e decisa, quasi predatoria, con cui calcava il marciapiede, ma Maddie non riuscì a comprendere chi o cosa le ricordasse.
Decise che era messicano o, in ogni caso, latino e, per la prima volta, notò un tatuaggio sul polso sinistro, che faceva capolino sotto un sottile bracciale di cuoio lavorato ed intrecciato – davvero splendido, secondo lei.
Il tatuaggio sembrava una lettera, una D o una O, non seppe dirlo, ma vi fece caso solo perché aveva il braccio proteso in avanti, a tenere il guinzaglio e perché risplendeva sotto la luce del sole.
Man mano che lo osservava, poi, si rese conto di come quei suoi occhi scuri non rimanessero mai fissi su qualcosa: o si guardava continuamente intorno, oppure parevano facessero ordine tra una moltitudine di pensieri che gli frullavano per la testa.
Forse, era per quel motivo che non amava parlare – come era stato evidente a colazione –, preferiva soffermarsi sulle sue riflessioni personali, non consentendo, però, agli altri di accedervi e chiudendosi, di fatto, in sé stesso.
C’era qualcosa che le sfuggiva, però, se lo sentiva.
In ogni caso, arrivò alla conclusione che Max desiderasse semplicemente qualcuno che gli facesse compagnia. Non si trattava di lei, dunque. Chiunque altro sarebbe andato bene allo scopo, bastava qualcuno che si sedesse vicino a lui e gli ricordasse del resto dell’umanità al di fuori dei suoi pensieri.
E ne ebbe l’assoluta certezza quando si sedettero su una panchina, con Maddie che ogni tanto si alzava per lanciare ad Astra dei bastoncini presi da terra.
La guardarono correre, saltare e accucciarsi per rosicchiare il suo premio.
Successe allora, proprio mentre osservavano il pastore tedesco che se ne stava sdraiato sotto un albero a diversi metri da loro: l’uomo accanto a lei sospirò profondamente.
Quel silenzio che lei non si era ancora azzardata a interrompere l’aveva fatto sprofondare talmente tanto nelle sue riflessioni che, pareva, si fosse scordato di non esser solo, concedendole, così, uno piccolo spiraglio su quell’attimo di vulnerabilità.
Quel profondo anelito, fatto a pieni polmoni, non fu di sollievo o di appagamento, come quello di chi si gode una bella giornata di sole e relax; no, fu un sospiro infelice, grondante tristezza.
Così, quella maschera di austerità assunse tutt’altra forma agli occhi di lei e, finalmente, l’ultimo pezzo del puzzle andò al suo posto: quello che aveva visto sul suo viso non era irritazione o impassibilità, ma dolore profondo che pareva non abbandonarlo.
I suoi occhi scuri non erano duri e severi, ma semplicemente… spenti.
E il silenzio sembrava avesse come unico effetto quello di trascinare quell’uomo sempre più affondo negli abissi del suo tormento.
Pertanto, Maddie fu travolta dall’impellente bisogno di parlare, di dire qualcosa che lo distraesse, almeno per un momento, da quelle emozioni opprimenti. E la prima cosa che le venne in mente, nell’agitazione di trovare un qualsiasi argomento utile, fu: “Sono stata io a rompere Gino!”
Con la coda dell’occhio, vide la testa dell’uomo voltarsi di scatto verso di lei a quella sua improvvisa ammissione, e Maddie si sentì arrossire sotto il suo sguardo attento.
Abbassò gli occhi sulle sue mani in grembo, che subito iniziarono a torcersi tra loro nervosamente.
“Non ce la faccio più, lo devo dire a qualcuno, altrimenti impazzirò: sono stata io. Sono andata a cena a casa di Annabelle ieri sera e forse non avrei dovuto bere quel bicchiere di vino.” Lo sbirciò e le parve di vedere il biasimo nel suo sguardo a quella sua piccola bugia – non che vi fosse davvero, naturalmente, era solo frutto dei suoi sensi di colpa. “Oh, va bene! Due bicchieri. Ma non ero brilla, è solo che… era buio e io non l’ho proprio visto e ci sono inciampata.” Si voltò verso di lui, quindi, come cercando la sua comprensione. “È appena caduto da un lato e si è frantumato! Voglio dire, non l’ho colpito così forte, è stato solo un piccolo calcetto. Pensavo che quei cosi fossero più resistenti di così, e invece: puf! Andato. Completamente disintegrato. “
“Chi è Gino?” Gli chiese lui, il ritratto della perplessità.
Maddie lo guardò, sorpresa da quella domanda. “Lo gnomo da giardino della signora Howard, la mia vicina di casa.” Spiegò debolmente, senza fiato da quella sua sorprendente partecipazione.
Non aveva l’abitudine di dare dei nomi a quegli affari, solo a quelli che faceva a pezzi e “Gino, lo gnomo da giardino” suonava magnificamente nella sua testa.
Le sopracciglia scure di Max si aggrottarono e una piccola rughetta vi apparve nel mezzo. “Uno gnomo.” Ripeté a sé stesso, come a voler assimilare per bene quell’informazione.
“Si. Gracie è davvero gelosa dei suoi gnomi da giardino. Ripete in continuazione a tutti di non passare in mezzo al suo prato perché ha paura che uno dei suoi preziosi pezzi da collezione possano rompersi, ma nessuno le dà mai retta, a parte me. E poi? Per una volta che lo faccio anche io, rompo Gino. Non è giusto.” Sospirò, sconsolata per la terribile sorte toccata a quello stupido gnomo. “Lo avrei sostituito, davvero. Però, questa mattina, quando sono uscita di casa per venire a comprarlo, Gracie era già sulla scena del delitto e… sono andata nel panico; quindi, potrei averle detto…”
Si coprì il viso con entrambe le mani, cercando di nascondere la sua vergogna, non riuscendo a trovare il coraggio di continuare.
Qué?” Chiese Max in un mormorio curioso. “Cosa le hai detto?”
Maddie sollevò la testa e si voltò a guardarlo.
Con un braccio disteso sulla spalliera della panchina, verso di lei, e leggermente proteso in avanti, si ritrovò il viso di lui incredibilmente vicino e, per un momento, Maddie ebbe difficoltà a fare chiarezza tra i suoi pensieri.
“Le ho detto che è stato Cameron.” Sussurrò a sua volta e, subito, arrossì a quell’ammissione. Tuttavia, insieme a quell’afflusso di sangue, anche l’indignazione risalì in superficie. “E se l’è meritato, quell’idiota! Lui non dà mai retta alla signora Howard e passa sempre sul suo prato. Inoltre, sono sicura che, quella volta che ha rubato il mio frappè, non è stato solo una piccola svista. Oh, no. Col cavolo che lo era. Lo sanno tutti che sul mio frappè al cioccolato Ben mette la granella di nocciola, e lo fa solo per me. Perché me lo merito, visto che l’aiutavo sempre con le versioni di latino!”
Si ritrovò accaldata e con il respiro corto a causa di quella piccola sfuriata.
“Sembra davvero una persona terribile.”
“Oh, non ne hai idea.”
Naturalmente, Cameron Harris non era davvero così tremendo, semplicemente, si poteva dire che i due non andassero molto d’accordo.
Tutti avevano una nemesi nella vita.
Quella di Maddie era Cameron.
La loro antipatia era nata alle scuole elementari, per poi prender la forma di una sorta di faida alle scuole medie, quando lei aveva nascosto un serpente finto nel sottobanco di lui, facendolo spaventare a tal punto da farlo urlare così forte che il suo grido era riecheggiato – insieme alle prese in giro dei loro compagni – tra le pareti della scuola per un mese intero.
Lo aveva fatto solo perché Cameron non la smetteva di dare il tormento a Charlie, ma quell’episodio non era semplicemente caduto nel dimenticatoio, perché l’altro aveva risposto a quello scherzo e Maddie si era ritrovata a dover spiegare alla loro insegnante di storia che era sicurissima di aver messo nello zaino, quella mattina di anni prima, il suo tema sul colonialismo e la tratta degli schiavi, inspiegabilmente sparito.
Si sarebbe potuta risolvere così, quindi, con un bel pareggio. Ognuno aveva avuto quel che si meritava e potevano ritenersi soddisfatti, ma per due ragazzini, ovviamente, non fu così e quei reciproci dispetti continuarono; tantoché, una volta diventati adulti, non persero l’abitudine di approfittare di qualsiasi occasione utile per infastidirsi a vicenda.
Essendo diventati vicini di casa, poi, occasioni di questo tipo capitavano continuamente, per quel motivo, quindi, la macchina di Cameron spesso occupava due parcheggi invece di uno, oppure Maddie ammucchiava tutta la neve tolta dal suo vialetto su quello appena pulito dell’altro.
Eppure, stavolta, alla donna pareva d’aver superato un limite invisibile e indefinito.
Quelle furono tutte cose che Maddie raccontò a Max, insieme alle possibili ipotesi su quale sarebbe stata la risposta dell’altro – cosa per cui non aveva mai avuto bisogno di preoccuparsi.
Le sue chiacchiere ebbero come effetto sorprendente quello di riuscire a far sorridere quell’uomo che pareva esser fatto di granito e la prima volta che le labbra di Max si curvarono lentamente verso l’alto Maddie rimase senza fiato. Si perse a contemplare la piccola fossetta che vide comparire sulla sua guancia e, incredibilmente, le parve ancora più sexy, il che era tutto dire visto che già toccava le vette più alte del suo personale rivelatore di sexappeal.
Si era incantata a fissarlo, quindi, chiedendosi distrattamente cosa sarebbe successo se le avesse rivolto un sorriso vero, uno che mostrasse i denti. Probabilmente i suoi vestiti avrebbero preso fuoco e lei sarebbe morta di autocombustione. Semmai si fossero rivisti – cosa di cui dubitava – avrebbe dovuto assicurarsi di avere un estintore a portata di mano.
In ogni caso, si era riscossa, quando l’aveva chiamata per nome, con un tono basso che le aveva fatto vibrare ogni organo interno come una corda di violino.
Era capitato di nuovo, poi, e ogni singola volta Maddie aveva avuto bisogno di distogliere lo sguardo per poter fare mente locale e proseguire con il suo racconto.
In ogni caso, solo il brontolio del suo stomaco affamato la fece render conto di quanto tempo fossero rimasti seduti su quella panchina e, quando guardò l’ora sul display del suo telefono, Maddie si alzò di scatto, attirando l’attenzione di Astra che le si avvicinò subito, con il solito orecchio leggermente pendente e la lingua di fuori.
“Mio dio, è tardissimo, i miei mi aspettano per pranzo tra trenta minuti. Farò sicuramente tardi e già posso sentire la voce di mia madre rimproverarmi di avere la testa tra le nuvole.” Disse, iniziando a raccogliere la borsa e il guinzaglio dalla panchina, per poi abbassarsi e allacciarlo al collare di Astra.
Anche Max si alzò, guardandola svolgere quei semplici gesti meccanici per poi incontrare subito i suoi occhi color caramello, quando alzò la testa nella sua direzione.
Maddie gli sorrise, anche se una parte di lei avrebbe tanto voluto lasciarsi andare allo sconforto di dover salutare – stavolta definitivamente – quell’uomo.
Aveva vissuto trent’anni con la consapevolezza che nell’universo esistessero altri esseri umani dotati di tutta quella bellezza - anche se, prima d’allora, non aveva mai incontrato di persona un esemplare maschile appartenente a quella categoria – ed era sicura che potesse riuscire ad andare avanti ancora per altri settanta, se tutto andava bene.
Tuttavia, per convincere il suo cervello a mollare la presa da quella sua fantasia di una bella casa con lo steccato bianco, due piccoli marmocchi che correvano in giardino e lei abbracciata a quell’uomo che sembrava esser spuntato da una rivista di moda, decise che si sarebbe fermata a comprare un po’ di cioccolato, lungo il viaggio di ritorno – Sunlake distava più di un’ora di macchina da Twin Lake City, quindi gliene sarebbe servito parecchio.
In fin dei conti, se si fosse fermata un momento a ragionarci su, non sembrava avessero nulla in comune loro due e, di sicuro, se ne era accorto anche lui. Probabilmente un tipo così poteva circondarsi di tutte le belle donne che voleva e lei era di sicuro un’anonima tizia qualsiasi; anzi, magari parlava anche troppo per uno che sembrava spiccicasse appena due sillabe.
Aprì la bocca per salutarlo, ma le parole le morirono sulle labbra, quando lui parlò per primo: “Ti va di vederci di nuovo qui, domani?”
Ora, sul serio, cosa avrebbe mai potuto rispondere?
   
 
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