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Autore: DalamarF16    29/06/2022    4 recensioni
[set: Malandrini a Hogwarts] Ci sono giorni che non lo sai, ma ti svegli, e quando andrai a letto avrai fatto una scelta che ti cambierà per sempre.
Ovvero, come una scelta di Sirius porterà nuove consapevolezze, e l'amicizia di Remus Lupin.
AKA: Lupin viene attaccato, Sirius interviene.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Potter, Remus Lupin, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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CI SONO GIORNI

Ci sono giorni che non lo sai, ma ti svegli, e quando andrai a letto avrai fatto una scelta che ti cambierà per sempre.

Per Remus, uno di quei giorni è stato il giorno in cui ha ricevuto la lettera per Hogwarts, lui che mai si era aspettato di riceverla.

Chi aveva mai sentito di un lupo mannaro a scuola?

Il gufo aveva gettato tutti nel panico.

Remus, ovviamente, non vedeva l’ora di andare.

Era certo che là avrebbe trovato un proprio posto, che l’avrebbero curato, che le sue notti interminabili e incredibilmente dolorose avrebbero finalmente avuto fine.

I suoi genitori erano invece convinti che l’invito andasse rifiutato.

Hogwarts non era posto per un lupo mannaro; quel segreto era troppo pericoloso, troppo grande perché Remus potesse avere una vita normale, in più, non avrebbero potuto tenerlo a bada durante quelle notti.

Certo, se per tenerlo a bada intendevano rinchiuderlo in un vecchio bunker sotterraneo babbano della seconda guerra mondiale.

Poi Silente, il preside in persona, si era presentato alla loro porta.

Remus si sarebbe ricordato quel giorno per sempre.

Il ragazzino era stato mandato nella propria stanza, e lui aveva obbedito. Tra le altre cose, si avvicinava la luna piena, e Remus, come sempre prima di quei giorni, si sentiva come malato. Era sempre stanco, e le ossa gli dolevano tanto che anche le proprie attività erano limitate allo starsene accoccolato da qualche parte a leggere.

Remus, quindi, non si era lamentato alla prospettiva di potersi stendere per un poco,

Certo, era anche molto curioso, ma era troppo stanco per pensare di provare anche solo a origliare.

Si era quasi assopito quando aveva sentito bussare alla porta. Con sua grande sorpresa, Silente era venuto a fare due chiacchiere anche con lui, e Remus, pur sapendo di avere davanti il più grande mago della storia, si era subito sentito a proprio agio.

Silente non lo trattava come un malato, né come un animale, né come una bestia pericolosa. Gli aveva spiegato che aveva studiato con un vecchio amico, l’altrettanto famoso magizoologo Newt Scamander (che tanto aveva fatto per l’inclusione dei lupi mannari nella comunità magica, questo Remus lo sapeva dalle letture che aveva fatto non appena era stato in grado di capire a pieno la propria condizione), un modo per fargli frequentare Hogwarts.

Gliele aveva illustrate con chiarezza, senza mai dargli l’impressione di minimizzare la questione o di semplificare il problema, e gli aveva dato alcune semplici regole, di cui, la prima, ovviamente, sarebbe stata la segretezza.

Da lì allo smistamento a Grifondoro, il tempo era sembrato volare.

Poi si era scontrato con la dura realtà.

Era un lupo mannaro, solo, in una scuola.

Gli sembrava ancora di sentire la voce di sua madre raccomandargli di passare il più possibile inosservato, di non attirare attenzioni su di sé.

Non solo, si sentiva costantemente osservato e sotto pressione, e per di più con tutte le persone con cui poteva finire in dormitorio, era capitato con un membro della famiglia dei Black, famosi per le loro idee profondamente radicali che voltavano all'esaltazione del purosangue e al disprezzo di qualunque altro mago o creatura.

Remus era un lupo mannaro, e per di più mezzosangue. Tombola!

E, perché le disgrazie non vengono mai da sole, con tutte le case con cui potevano avere la maggior parte della lezione, ovviamente ai Grifondoro erano toccati i Serpeverde.

Perfetto.

Remus, quindi, alla luce dei fatti, cercava di rendersi quanto più possibile invisibile, sia ai compagni sia ai professori.

Professori che, come Silente gli aveva detto, erano ovviamente al corrente della sua particolare condizione. Remus preferiva ignorare quale fosse il loro pensiero su di lui cercando di ottenere i migliori risultati possibili.

Il risultato era che, arrivato alla terza luna piena, Remus era esausto e senza amici.

Non solo, i Serpeverde, nonostante i suoi tentativi di mimetizzazione con l'ambiente circostante, avevano iniziato a notarlo, rendendolo spesso vittima di battute e piccoli episodi sgradevoli, che gli avevano procurato più ferite al suo già quasi inesistente orgoglio che al proprio corpo, soprattutto perché, anche tra i Grifondoro, non mancavano le risate alle prese in giro, anche se, almeno finora, nessuno, nemmeno Black, si era ancora azzardato ad attaccarlo, probabilmente sapevano che, se beccati dalla McGranitt, non l’avrebbero passata liscia.

Remus doveva ammettere che quella donna, tutto sommato, gli piaceva. Era l’unica, Silente e il signor Scamander a parte, a non trattarlo come se avesse la lebbra, cosa che invece agli altri insegnanti non sempre riusciva benissimo.

Quel giorno, la strada verso i sotterranei, verso l'aula del professor Lumacorno, gli era sembrata infinita, e preferiva non pensare alle scale che avrebbe dovuto risalire al ritorno.

Si teneva rasente al muro, attento a non intralciare il cammino degli studenti più veloci di lui, desideroso solo del suo solito banco in fondo alla classe.

La luna sarebbe stata solo tra tre giorni, ma, per un qualche strano motivo, questo mese lo stava colpendo più del solito, e quella mattina tirarsi su dal letto era stata un'impresa.

Peccato che Remus, a quella lezione, non ci sarebbe arrivato.

***

Ci sono giorni che non lo sai ancora, ma prenderai decisioni che ti cambieranno non solo la vita, ma anche la percezione che hai di te stesso.

All’alba di quella giornata di fine ottobre, si era svegliato con un solo pensiero in testa: il giorno dopo ci sarebbe stato il primo banchetto di Halloween della sua carriera ad Hogwarts, e lui e James avevano ideato grandi scherzi per tutti!

I due erano ormai un duo inseparabile, e ormai quasi tutti avevano capito che, prima o poi, sarebbero stati vittime di un loro scherzo.

“Ehi, Sirius! Che dici? Sangue e cadaveri nel letto di Lupin domattina?”

Lui e James si stavano godendo una gran bella colazione a base di uova, bacon e toast con la marmellata, pianificando gli scherzi per la sera successiva.

Si fosse trattato di chiunque altro, Sirius non avrebbe esitato a concordare con James, sarebbe stato lo scherzo perfetto per quel ragazzino schivo, ma gentile, che sembrava fare l’impossibile per girare al largo da tutto e tutti, ma, per un qualche motivo che perfino lui ignorava, si ritrovò a scuotere la testa.

I suoi parenti Serpeverde gli stavano già dando il tormento a sufficienza, anche se gli veniva difficile dissociarsi da quelle derisioni.

“Allora a chi?”

I due si guardarono appena per un secondo, prima di sogghignare e dire all’unisono:

“Evans!”

La pianificazione dei loro scherzi proseguì durante tutta la strada fino ai sotterranei, e proseguì per tutta la lezione di pozioni, degenerando quando James decise di far esplodere il calderone di Severus Piton, cosa che gli procurò un richiamo e l’ordine di fermarsi a fine ora per una bella girata di capo e, probabilmente, una punizione.

Sirius, ovviamente, non era stato trattenuto dal professore. Lumacorno era ben noto nell’ambiente di Hogwarts per tenere in alta considerazione più il cognome che i veri e propri meriti, e, ovviamente, non si sarebbe mai sognato di mettere un Black in punizione, nemmeno se questi era un Grifondoro.

Quindi, Sirius si ritrovò a tornare da solo verso la sala comune, dove avrebbe aspettato James (e recuperato un po’ di materiale per i loro scherzi) prima di andare a pranzo.

Quasi finì faccia a terra quando il suo piede urtò contro un qualcosa che sembrava… una borsa?

Si chinò d’istinto e la prese in mano, riconoscendola al volo: Remus la appendeva sempre ordinatamente al proprio appendiabiti accanto al letto, al contrario di quelle degli altri tre che erano sempre ovunque tranne dove avrebbero dovuto stare.

"Remus?"

Sirius chiamò piano, incerto.

Il ragazzo non si vedeva da nessuna parte. Nel mentre, Sirius rimise i libri nella borsa e la richiuse, posandola in un angolo dove nessun altro ci sarebbe inciampato sopra.

Fu allora che senti un… miagolio?

Miagolio?

Mmm no.

Quando il suono si ripetè, Sirius capì che non si trattava di un gatto, ma di un lamento quasi soffocato.

All'erta, bacchetta alla mano (era pur sempre in territorio Serpeverde, e se erano tutti come Bella, beh, le cose potevano finire male), si avvicinò alla segreta da cui provenivano i suoni. Ora non erano più soli gemiti soffocati, ma singhiozzi e botte.

Sirius non si fermò nemmeno a guardare chi fosse, agì per puro istinto, in difesa del compagno di dormitorio.

Lanciò uno schiantesimo e una serie di petardi che, più che ferire, spaventarono i tre Serpeverde, che scapparono urlando.

Sirius si concesse solo un ghigno.

Erano sempre molto bravi a prendersela con i più deboli, questo Sirius lo aveva imparato fin da piccolino; perchè no, non si risparmiava nessuno, nemmeno all'interno della famiglia, il che non era difficile quando anche l'atteggiamento degli adulti era quello di favorire questi atteggiamenti per, com'è che lo definivano? Ah, sì, fortificare lo spirito e imparare a mostrarsi superiori, a portare con onore il nobile cognome della famiglia Black (o qualunque altra famiglia purosangue a caso).

Peccato che fossero tutti molto bravi e coraggiosi solo finchè qualcuno non si ribellasse.

E Sirius aveva capito molto presto che era quello il modo di sopravvivere, da cui era derivata anche la capacità di porre fine a questo massacro.

Il ragazzo riportò la propria attenzione sul ragazzino di fronte a lui, che ancora non si era mosso dalla sua posizione, rannicchiato a palla sul pavimento, cercando di rendersi il pii piccolo possibile.

"Lupin? Remus?" Sirius chiamò piano, ma questo provocò solo un'altra ondata di pianto e suppliche.

"B-basta… t…ti… prego…l-lasciami… t-ti…p-prego…b-basta…"

Era quasi doloroso sentirlo, ma Sirius non poteva, onestamente, pretendere niente di diverso. Non poteva certo definirsi innocente.

Troppo spesso, infatti, si associava ai suoi cugini nel prendere il giro ragazzi come Remus, anche se, da quando aveva iniziato a frequentare James, questi aveva preso l'abitudine di richiamarlo all'ordine.

Vero è, anche, che Sirius non era mai andato oltre qualche sfottò verbale. Questa aggressione era decisamente oltre ogni limite che potesse sopportare.

Sirius provò a fare un passo avanti, a posare piano una mano sulla spalla di Remus, ma il ragazzino iniziò a piangere e tremare anche peggio di prima, e Sirius, non sapevo che fare, si allontanò, sedendosi al lato opposto della segreta.

"Sono io, Remus, non ti farò del male, siamo soli…te lo giuro… calmati ti prego…"

Ma Lupin non diede cenno di volersi calmare, ormai scoppiato in singhiozzi che scuotevano tutto il suo esile corpo.

Non sapendo che fare, conscio del freddo che faceva in quelle segrete, si tolse la tunisca e, molto delicatamente, la fece lievitare fino a farla cadere sulle spalle dell'altro.

Fu un atterraggio più brusco del previsto, ma ancora non aveva imparato bene a controllare la totalità dell'incantesimo.

***

Remus si immobilizzò per un secondo, guardò incredulo mentre Sirius, sempre un po' impacciato, muoveva la tunica sulle sue spalle per coprirlo meglio. Esitò un attimo, prima di prendere un lembo e completare l'opera.

Alzò, timoroso, gli occhi verso l'altro, quasi certo di trovarci l’ennesima derisione, o che Black stesse solo aspettando il momento buono per strappargli la tunica e ridergli in faccia, come faceva sempre quando i Serpeverde iniziavano con le loro prese in giro.

Quello che vide, invece, erano due occhi scuri, preoccupati, che lo guardavano un po’ smarriti e spaventati, come se non sapessero davvero cosa fare, cosa dire, come comportarsi.

Sirius se ne stava lì seduto e lo guardava, senza muovere nemmeno un muscolo, senza quasi respirare, come se temesse che un movimento sbagliato gli avrebbe causato un nuovo pianto.

Remus scoprì che, inspiegabilmente, la presenza dell’altro, lo faceva quasi sentire al sicuro, forse perché, quel giorno, era il primo gesto non aggressivo che riceveva (gli altri Grifondoro, normalmente, si limitavano a ignorarlo, per lo più, il che, se non era propriamente aggressivo, di certo non era un comportamento amichevole).

“G-g-grazie.” Riuscì ad articolare dopo non sapeva nemmeno lui quanto silenzio.

***

Sirius non aveva staccato gli occhi da dosso da Lupin per tutta la durata del pianto, dell’attacco di panico, o qualunque cosa fosse la cosa che aveva appena visto.

Quando finalmente si era calmato e aveva alzato gli occhi verso di lui, per un attimo si era sentito come sotto gli occhi della professoressa McGranitt: non importa cosa avesse detto o fatto, avrebbe comunque causato la reazione sbagliata. 

Di conseguenza, non aveva osato muovere un muscolo; era rimasto fermo, con gli occhi incollati nei suoi, finchè non aveva parlato.

Solo allora rilasciò un respiro che non si era accorto di aver trattenuto.

“Scusami.” 

Si ritrovò a dire prima ancora che la sua bocca si collegasse al cervello.

Quella parola era partita da qualche parte dentro di lui, e si accorse, con un minuto di ritardo, che forse era la cosa più sincera che avesse mai detto in vita sua.

***

“P-Per… cosa?”

Sirius Black… gli stava chiedendo scusa?

La sua domanda lo aveva evidentemente messo in difficoltà, e Remus, essendo Remus, stava quasi per correggere il tiro e dirgli che andava bene ugualmente, ma Sirius, finalmente, sembrò capire cosa doveva dire:

“Per… per aver riso… alle loro battute. P-per… per non… averti mai difeso…”

“Loro… sono… la tua famiglia.” Obiettò Remus, che davvero, immaginava che Sirius, essendo finito per un qualche motivo oscuro in Grifondoro, dovesse in qualche modo mantenere una certa “facciata”, probabilmente più per quieto vivere che per vera convinzione, e Remus non era certo nuovo a questa dinamica. Erano 6 anni che la sua famiglia campava di facciate.

“N-non c-c’entra. Tu… sei il mio compagno di dormitorio… e… io sono… Grifondoro. N-non dovrei… comportarmi da… da…”

“Da Serpeverde? Da Black?” Gli venne in aiuto, forse con una punta di acidità non esattamente voluta, ma che gli era uscita spontanea.

***

Sirius si ritrovò ad annuire, e per la prima volta, quel cognome gli pesava.

Comportarsi da Black.

Per la prima volta, andò oltre ai precetti che gli avevano inculcato, oltre il “portare in alto il buon nome dell’onorevole e antica casata”.

Essere un Black, cosa voleva dire?

Per la prima volta, passò in rassegna tutti i precetti e i “valori” della casata Black e dei loro parenti: disprezzo dei nati babbani, disprezzo verso i mezzosangue, disprezzo verso tutti coloro che erano favorevoli all’inclusione di tutti i maghi nella comunità, indipendentemente dalla loro discendenza.

Essere un Black voleva dire anche scegliere con attenzione chi frequentare, con chi parlare, con chi fare amicizia, e, per la prima volta, si ritrovò a rendersi conto che i suoi genitori mai avrebbero approvato James, e che, allo stesso tempo, Sirius non avrebbe mai potuto pensare alle lezioni senza Potter al proprio fianco.

Con un senso di nausea, si accorse che non voleva comportarsi da Black, non voleva comportarsi da Serpeverde, e non perchè era un Grifondoro, ma perchè il solo pensiero gli faceva sentire una strana sensazione allo stomaco, come se dovesse vomitare.

“Io… ho sbagliato.”

Ecco, aveva appena fatto un’altra cosa che gli avevano intimato di non fare mai. I Black non si scusavano, non ammettevano errori, perchè non ne commettevano.

Beh, Sirius era quasi certo che i suoi insegnanti avessero qualcosa da ridire a riguardo, ogni tanto.

Lui aveva qualcosa da ridire a riguardo, ed essere tra i Grifondoro glielo stava facendo scoprire ogni singolo giorno.

Come oggi.

“Ad… aiutarmi?”

Eh?

Certo, ovvio che Remus, che fino a letteralmente il giorno prima lo aveva visto spalleggiare chi lo derideva, ora pensava, dopo il suo lungo silenzio, che avesse cambiato idea.

“N… no. Quella… forse… è stata la prima cosa giusta che ho fatto…” si affrettò a specificare. “No…io… prima…a…”

“Va… Va bene.”

***

Un lato di Remus avrebbe davvero voluto continuare a tenerlo sulle spine, a fargli ammettere tutti i proprio sbagli a voce alta, ma la verità è che non era nelle sue corde fare una cosa del genere.

La sincerità nelle parole e negli occhi dell’altro gli bastavano, così pose fine alle sue sofferenze.

Si avvolse meglio nella tunica dell’altro, gemendo appena per il dolore causatogli dalle botte e dalla maledizione Cruciatus che uno dei più grandi gli aveva lanciato, non che lo avrebbe mai ammesso a voce alta, ovviamente.

Sirius gli si avvicinò con un fazzoletto in mano, e questa volta non si ritrasse. Obbedì quando gli chiese di alzare il mento, e lasciò che l’altro gli tamponasse piano le ferite.

“Andiamo, ti porto in infermeria.”

“No! No!”

“Remus…”

“St-Sto bene… sono… solo graffi… Per favore…” Lo implorò.

Sirius sospirò, ma annuì.

“Va bene. Vieni qui.”

Remus si morse entrambe le labbra per non urlare quando Sirius lo aiutò ad alzarsi.

La strada fino alla casa comune di Grifondoro, e poi fino al loro dormitorio, non gli era mai sembrata così lunga, nemmeno dopo la peggiore delle lune, e quando arrivarono finalmente al suo letto, entrambi erano stremati.

Si lasciò crollare sul letto con un gemito prima di rannicchiarsi in posizione fetale e abbandonarsi a un sonno che, per la prima volta, sapeva di sicurezza.

***

Dopo un’omelia durata mezz’ora sulle buone maniere e sul comportarsi sempre da gentiluomini di Lumacorno, e una molto meno piacevole mezz’ora di tirata da parte della McGranitt (conclusasi con una convocazione per il sabato successivo per una serata di punizione), James finalmente riuscì a tornare al dormitorio.

Non era esausto, ma dopo tanto urlare, aveva sicuramente bisogno di un po’ di riposo.

Fu sorpreso quando, entrando, trovò Lupin addormentato (il che non era di per sè una novità, James aveva notato quanto dormisse quel ragazzo, e come ci fossero giorni che sembrava non avere nemmeno le forze per alzarsi dal letto), con Sirius seduto accanto a lui, la schiena appoggiata sullo schienale e un libro in mano.

“Che è successo?” Chiese, immediatamente preoccupato che Sirius gli stesse facendo l’ennesimo dispetto.
James non l’avrebbe mai accusato ad alta voce, ma non gli era sfuggito come tendesse a schierarsi dalla parte dei cugini ogni volta che si scagliavano contro qualcuno, e che, troppo spesso, quel qualcuno era proprio il loro schivo e timido compagno di dormitorio.

“L’hanno attaccato.” Fu la sussurrata risposta. “Li ho… li ho cacciati…e l’ho riportato qui.”

“Sta bene? E’ ferito? Lo hai portato in infermeria?”

“Sta bene. Non ha voluto, così siamo tornati qui.”

James annuì.

“Tu come stai?”

“Non mi hanno fatto nulla, li… ho colti di sorpresa.”

Era una mezza risposta, e James lo sapeva, ma stava anche imparando a capire che Sirius Black non era uno da cui pretendere risposte se non ne dava spontaneamente, e quindi,per ora, lasciò in sospeso la questione.

“Nelle segrete?” Chiese, e Sirius annuì di nuovo.

 

“Qualcuno… che conosci?” Chiese ancora James, questa volta più cautamente. Sirius era sempre una bomba a orologeria quando si parlava di qualche parente, il che, in realtà, equivaleva praticamente a tutti i Serpeverde e, forse, almeno un’altra trentina di persone in tutta la scuola.

“Forse… non li ho visti bene, non ho avuto tempo… Stava… implorava che lo lasciassero, James. Non mi ha lasciato avvicinare per non so quanto tempo…”

“Vuoi dire che non ha nemmeno provato a difendersi?”

“Ci-Ci ho pr-provato…”

A rispondergli non fu Sirius, ma una voce roca e ancora forse un po’ dolorante; Remus si era svegliato, che fosse per colpa loro o meno, però, James non seppe dirlo. Aveva un’espressione così sofferente che potevano benissimo averlo svegliato i dolori per le botte ricevute. Con sua sorpresa, Sirius lo aiutò a mettersi seduto con gesti così gentili da stupire, probabilmente, perfino sè stesso.

“Grazie…” mormorò Lupin, poi li guardò entrambi negli occhi e riprese a parlare: “Ci ho provato, ma… erano in tre, e uno di loro mi ha immobilizzato… mi-mi sono spaventato…”

***

Remus sapeva che non era il massimo della vita ammettere così apertamente le proprie paure davanti a un Black, ma Sirius lo aveva salvato, e adesso lo stava aiutando a rimettersi in sesto, quindi, per un qualche motivo, sentì che poteva dirgli la verità.

“Beh, tipico di quegli idioti dei Serpeverde.” Commentò Potter in quel momento, e Remus, istintivamente, si tese, non sapendo come Black avrebbe reagito, ma, ancora una volta, fu sorpreso quando l’altro semplicemente annuì.

“Sì, beh, in gruppo è più facile essere forti…” concordò Sirius, prima di voltarsi verso di lui, “e scommetto che non hanno giocato pulito…”

“Pe-Petrificus totalus…” fu la semplice replica di Remus… “Hanno…tentato con.. Imperio…ma non ha funzionato…”

“I-Imperio?” 

“Già… Crucio però… quello… ha funzionato”

Okay, ora fu Remus a sorreggere per un secondo un Sirius che era diventato decisamente di parecchie sfumature più pallido.

“Hanno usato… la maledizione cruciatus? Su di te?” James sembrava nell’ordine incredulo, furioso e spaventato, mentre Sirius era semplicemente di un bianco cadaverico, e sembrava incapace di proferire parola.

Remus si scambiò uno sguardo implorante con Potter; non aveva voglia di rivivere nella propria mentre il dolore atroce che lo aveva colpito nell’istante in cui gli avevano scagliato la maledizione addosso; fino ad allora, aveva pensato che la trasformazione in lupo fosse la cosa più dolorosa che potesse capitargli, ma si era sbagliato.

Si riscosse quando Sirius improvvisamente si scostò, praticamente lanciandosi di corsa fuori dal dormitorio.

James rimase per un attimo indeciso su cosa fare, e lo guardava incerto.

“Vai da lui. Io… vi seguo”. 

Non c’era verso che avrebbe in alcun modo potuto correre veloce quanto loro, non dovendo fare i conti con le conseguenze del pestaggio e le prime fasi della ormai prossima luna piena.

Con un ultimo sguardo, James sparì.

***

Non poteva crederci.

Non poteva essere vero.

Non l’avevano fatto davvero, non anche loro.

Mentre correva a tutta velocità verso le porte del castello, preso dal solo ed unico desiderio di essere all’aperto, di poter vedere solo cielo sopra di sè, nella mente gli si affollavano mille pensieri, mille ricordi, e un solo ed unico pensiero: non voleva essere come loro, non sarebbe diventato come loro. 

Si divincolò quando sentì due braccia cercare di afferrarlo; sapeva, per istinto, che erano le braccia di James, ma in quel momento aveva solo bisogno di… di… di non essere toccato, di non essere… trattenuto o, in un qualunque luogo con delle pareti.

Cercò ancora di correre, ma le mani lo afferrarono di nuovo.

Cadde all’indietro, cercando di divincolarsi dalla presa, e un dolore acuto partì dal gomito e solo allora qualche parola riuscì a fare breccia.

“... Cadremo… lago!”

Solo in quel momento, anche ciò che lo circondava arrivò finalmente, davvero, ai suoi occhi. In effetti, i loro piedi, ancora intrecciati dalla caduta, erano praticamente sospesi sulle acque del lago.

Lasciò che tutta la tensione si dissolvesse, e si lasciò andare all’indietro, il respiro ancora affannato, il corpo scosso da un tremito incontrollabile.

Sentì che James lo trascinava indietro, al sicuro sul terreno freddo ai piedi di un albero, e lo lasciò fare, rannicchiandosi senza parlare.

“Sirius?”

***

James non aveva mai visto Sirius (o qualunque altra persona che conoscesse), in uno stato del genere.

Lo aveva visto correre senza minimamente curarsi della propria direzione, spalancare le porte della scuola come se la propria vita dipendesse da quello e poi lanciarsi diretto verso il lago.

Quando si era reso conto che l’amico non avrebbe rallentato, si era lanciato in uno scatto disperato, ed era riuscito a malapena ad afferrarlo prima che vi cadesse dentro.

Adesso, lo guardava senza avvicinarsi a lui, perché tutto nell’atteggiamento dell’altro gli diceva che no, non voleva assolutamente essere toccato, e James, questo, lo rispettava.

Vide con la coda dell’occhio Remus raggiungerli, corricchiando e zoppicando allo stesso tempo. Quando si fece più vicino si accorse che il ragazzo portava con sè i loro mantelli, che passò subito a James.

Si mise il proprio, poi si alzò e andò a posare il mantello sulle spalle di Sirius, che a quel movimento, sembrò, per un attimo, riscuotersi. Guardò James, e poi Remus, che arrossì leggermente.

“Fa freddo qui fuori, più che nelle segrete…”

“Non voglio…rientrare.”

“Ve bene, restiamo qui allora” Remus, stranamente, decise per sé e per James senza nemmeno consultarlo, e con un sussurro e un colpo di bacchetta, accese un piccolo fuocherello azzurro. Sorrise, quando i due lo guardarono curiosi. “Come ho detto, fa freddo.”

James scosse la testa, sorridendo.

“Aspettate qui, ok?” disse alzandosi, “torno subito.”

E senza un’altra parola, corse nuovamente verso il castello. Avevano il fuoco, tanto valeva procurarsi anche del cibo.

***

Remus si fece più vicino al falò, la sua condizione generale non propriamente compatibile con il freddo che gli stava penetrando nelle ossa.

James, fortunatamente, arrivò poco dopo, più o meno in concomitanza con il principio di imbarazzo che stava iniziando a sentire restando lì da solo, a tremare di freddo e a guardare la schiena di Sirius, talmente immobile che Remus non sapeva dire se stesse dormendo, fosse morto congelato o semplicemente tentasse di mandarli via senza proferire parola.

Una coperta pesante gli calò sulle spalle e Remus ringraziò con un sorriso James, che, apparentemente, aveva preso altre due coperte per sé stesso e Sirius, ma era anche passato dalle cucine a recuperare dei Marshmellow da scaldare e cuocere sul fuoco.

Ovviamente, come tutti i dolci del mondo magico, questi dolci differivano leggermente da quelli dei babbani. Se scaldati su fiamma viva, avevano la prerogativa di triplicare il loro volume, creare sulla superficie una crosta croccante come quella del pane appena fatto e di avere all’interno una consistenza soffice e spumosa come panna montata appena fatta, il tutto accompagnato da un sapore di cannella e vaniglia, che, più che i falò dei campeggi estivi, ricordavano un po’ il Natale.

Erano perfetti per questa giornata.

James gli passò un paio di bastoncini, e uno lo tenne lui stesso sospeso sul fuoco. Remus lo guardò, come a chiedergli perchè non coinvolgesse anche Sirius, ma ciò che ricevette in cambio fu solo un occhiolino e un silenzioso invito a reggergli il gioco.

Pronti i primi tre dolcetti, James toccò piano la spalla dell’amico, che ancora dava loro le spalle, e gli passò il proprio stecco.

“Dai, mangia.” Lo incoraggiò quando Sirius, finalmente si mosse, con una rigidità probabilmente data anche dal freddo.

“Non… ho fame…”

“Allora che succede?” Il tono di voce di James era dolce, ma si capiva che voleva una risposta, che Sirius non se la sarebbe cavata con il silenzio o una fuga, questa volta.

“N-non… v-voglio… essere come loro… N-non… p-posso…”

“Come chi, Sirius?” 

“L-loro… s-sono… l-la… mia… f-famiglia… non… voglio… diventare… come loro…”

“Tu… pensi di essere come loro?” Remus si era ripromesso di tacere, di non intromettersi ora che James stava riuscendo a cavare qualche parola fuori dalla bocca di Sirius. Era lui l’intruso in quel momento, e non voleva che Black si richiudesse nel suo guscio, una volta registrata la sua presenza. Tuttavia, non riuscì a trattenersi.

Sirius sussultò e lo guardò davvero per la prima volta, come se si fosse appena accorto, in effetti, di non essere solo con James.

Remus, a propria volta, si sentì un poco intimidito da quello sguardo così penetrante e controllato, che sembrava non rispecchiare l’insicurezza che gli avevano appena sentito nella voce.

Lo sguardo di qualcuno abituato a nascondere le proprie emozioni dietro una barriera impenetrabile, pensò subito Remus, che ricorreva alla stessa tecnica per nascondere il dolore della trasformazione. Tuttavia, si costrinse a continuare. 

“Tu- Tu pensi davvero, di essere come loro?” Ripeté, con un po’ di sicurezza in più nella voce, questa volta.

“Sono… la mia famiglia…” Ripetè di nuovo Sirius, come se questo riassumesse, più o meno, tutto.

“Tu mi hai difeso.” Puntualizzò di rimando, perchè qualunque discorso riguardante l’essere un individuo a sè stante, e perciò in grado di fare le proprie scelte, non avrebbe funzionato, e lo sapeva bene.

Era stato da quel lato del discorso fin troppe volte, quando si era chiesto, e quasi convinto, che non fosse giusto che restasse coi suoi genitori, quando aveva iniziato a considerare l’idea di raggiungere il lupo che lo aveva trasformato e il suo branco, per vivere insieme ai mostri come lui.

Quindi, decise di provare con la stessa tecnica che Silente e il signor Scamander avevano usato con lui quando erano venuto a consegnargli di persona la lettera di ammissione ad Hogwarts.

“Ti è dispiaciuto?” 

Okay, Remus doveva ammetterlo, non si aspettava quel tono, quasi di sfida di Sirius, almeno finchè non si accorse che non era sfida, ma una sorta di meccanismo difensivo, come se un qualche riflesso incondizionato gli dicesse che aveva mostrato debolezza difendendo un innocente.

***

Aveva difeso un debole.

Il pensiero lo colpì all’improvviso, e le parole di sua madre, gli risuonarono improvvisamente in testa.

Non lo facciamo perchè ci piace, lo facciamo per fortificarlo!

Quante volte le aveva sentite?

Quante volte aveva visto suo padre fortificare suo fratello, colpevole solo di essere un bambino?

Quante volte aveva subito lo stesso trattamento solo per aver mostrato debolezza e aver difeso Regulus dal trattamento?

Ora, quelle parole, dette da Remus, lo avevano inspiegabilmente messo sulla difensiva. Quello che aveva fatto sarebbe arrivato a suo padre, che di certo lo avrebbe nuovamente fortificato alla prima occasione.

Non voleva aggredire Remus, ma allo stesso tempo non potè farne a meno.

“No… io… g-grazie…” balbettò l’altro, e Sirius si costrinse a rilassarsi, dano un piccolo morso al marshmallow ancora intatto che aveva in mano.

“P…prego?” 

Nemmeno la domanda era esattamente voluta, ma nessuno lo aveva mai ringraziato per un gesto simile, e non sapeva davvero come comportarsi, un po’ come quando era stato smistato Grifondoro.

***

James credeva di capire che cosa stesse passando per la mente di Sirius.

La famiglia Potter, sebbene una delle purosangue da generazioni, non era ben vista dalla rosa della 28 sacre famiglie, di cui i Black erano, ovviamente, esponenti di spicco.

Il padre di James non aveva nulla in contrario all’inclusione dei nati-babbani, se questi dimostravano di avere poteri magici, e di certo non avevano educato James secondo i severi precetti che aveva visto applicare da alcune di queste famiglie durante cene e pranzi importanti a cui gli era capitato di partecipare.

Ricordava bene, sebbene allora non si sarebbe mai immaginato che quel bambino diventasse il suo migliore amico, come la madre di Sirius, ormai sei anni prima, tenesse i propri figli vincolati a sè e a stare dritti e in silenzio durante la festa di Natale indetti dalla famiglia Paciock (unico motivo per cui anche i Potter erano stati invitati), e di come avesse lanciato loro un incantesimo quando la stanchezza aveva iniziato a farsi sentire e i piccoli avevano dato i primi segni di irrequietezza, dopo tante ore in piedi.

Anche se Sirius non ne parlava mai, da quella scena, non era difficile immaginare come potesse essere gestito il resto dell’educazione in casa Black.

“Va tutto bene, Sirius…” provò a dire, non sapendo bene come approcciarsi.

“N-no…”  Era una sfumatura di paura quella che sentiva nella sua voce?

“Sirius.” La voce di Remus era stranamente ferma il suo tono, quello di chi non ammetteva repliche, ed entrambi i ragazzi si ritrovarono a guardarlo. “Hai fatto la cosa giusta.”

“Sirius.” James intervenne di fronte al silenzio dell’interpellato. “Pensi di aver fatto la cosa giusta? E voglio sapere la tua opinione,” specificò per essere chiaro, “non quella dei Black.”

“Io… sono un Black.”

“Sei anche Sirius. Non Walburga, non Orion. Sirius.” ribattè James, ormai deciso a tirare fuori un po’ di libero arbitrio dal suo amico. 

Il silenzio che seguì parve protrarsi un’eternità, poi, finalmente, arrivò la risposta.

“Io… credo… di sì.”

“E…ti dispiace?” James quasi sorrise quando Remus rigirò la domanda sull’amico, diretto come lo era stato lui.

Di nuovo, Sirius parve soppesare la risposta.

“Credo… di no.”

Jame si ritrovò ad annuire, mentre gli passava un braccio attorno alle spalle e lo faceva voltare verso il centro del loro falò.

“Sei un Grifondoro, Sirius…” Remus disse piano, “Io… che questo voglia dire qualcosa…”

“Che il cappello si è confuso?”

“No… che… cioè, sei un Black, ma… che sei anche Sirius… che… che puoi avere una scelta, se vuoi. E… quando mi hai difeso, lo hai fatto. Hai scelto.”

***

Sirius pensò un attimo a quelle parole, poi annuì, non sapendo bene come ribattere.

La verità era che era spaventato a morte da quello che sarebbe successo, da quello che suo padre gli avrebbe fatto alla prima occasione utile, quando i suoi avrebbero saputo quello che aveva fatto, ma, allo stesso tempo, si sentiva bene.

Sorrise, finalmente, a entrambi, e diede un bel morso al marshmallow.

 

Ci sono giorni che, non lo sai, ma prenderai decisioni che ti cambieranno la vita e quello, per Sirius, era stato uno di quelli.

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Note: eccomi tornata su questo fandom! Questa era se volete un seguito de Lo sbaglio del cappello, ma, come avete visto, si legge tranquillamente da sola.

Spero vi sia piaciuta!

Alla prossima!


 
   
 
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