Diels - Krantz B 78
Io
ti vorrei insegnare l’essere.
Ti
dico, anzitutto, che non è uno, come in molti anticamente hanno preteso. Se
infatti fosse uno, non sarebbe dunque divisibile sino all’atomo più compatto, e
non potresti dunque nell’uno trovare un centro, come in una sfera? Ed essendo
dunque questo centro altra cosa rispetto al tutto, pur essendone compreso, non
risulterebbe dunque l’ente diviso in parti? Perché non crediamo che spazio sia
separabile in infinita parte. E non credere neppure che sia illimitato, come
similmente molti andavano dicendo. Ché
se così fosse, come potresti dirlo dal resto? O vuoi dunque ammettere che
essere sia non conoscibile? Noi da
questo ci teniamo distanti, poiché invero ci pare naturale e possibile la
conoscenza dell’essenza. Ma se non è
illimitato, sappi dunque che non lo potrai dire neppure immobile; ché infatti,
se fosse fermo e non si movesse non
potresti dirne altra cosa a parte intuirne l’esistenza. Ma non pensare allora
che sia sempre in moto. Difatti, essere per venir conosciuto deve essere come
un cavallo selvatico dell’Anatolia. Essere corre senza fatica e con impeto, si
lascia guidare dal vento delle settanta bocche del ciclo eterno e perfetto.
Eppure, assetato giace sulla riva di un fiume che scorre benevolo nella piana,
per bere. Ti curerai di conoscerlo quando l’assetata bestia nitrisce un’ultima
volta prima di regalarsi il riposo. Non dirai che essere sia molte cose, perché
invero essere è solo essere, e non vi sono altri modi di essere, se non quello
di essere. Affermerai che essere si dice in molti modi, come già a Stagira
si vocifera.dirai infatti che ciò che
diviene è sempre, anche se come forme e tempi differenti. Sosterrai che essere
è esperienza di tutto ciò che vedi, in molteplice forma, ma nello stesso senso.
Dirai però che essere non è esperienza di tutto nello stesso momento. Inoltre,
ti preoccuperai di affermare che essere è solo in merito a te. Se infatti, ti
parleranno di luoghi che non conosci e nei quali non conti di recarti, non
dirai che essi luoghi siano partecipi dell’essere, ché infatti non sono da te
conosciuti se non come esseri fantastici. Ma l’essere fantastico molto si
avvicina alla strada che sostiene che non è, dalla quale per adesso vogliamo
prendere le distanze, sebbene esso sia materia della meravigliosa poesia delle
ninfe della nostra isola e di tutto il Peloponneso. Dirai dunque che troppo
labile è l’esperienza altrui, che da te non può essere conosciuta; sosterrai
dunque che l’essere si dica solo nei molti modi in cui tu lo conosci, nelle
cose molteplici e nelle cose dopo la terra. Negherai l’essenza alle cose che
vedono tua moglie, il fanciullo amato o i figli, poiché tu non le vedi e non
sono nel tuo senso come sono del loro.
Sulla
strada che dice che non è, ci sono molti segnali, e si conviene che tu li
colga; io ti dico infatti che non essere è attimo, atomo, unità di vita senza
senso. Ti insegno che non essere è un cane che si morde la coda, il maestro
scultore che scolpisce invano un aspetto istantaneo del ginnasta olimpico. Non
essere è ampia sensazione senza nome, il catalogo del presente. Tu non tentare
di pensarlo, ché invero lo conoscerai del tutto non appena avrai colto ciò che
si trova sulla strada che dice che è.
Dunque,
su quella strada ci pronunceremo, ma senza l’ausilio di dee e cavalle, giacché
essere non è cosa divina, e neppure troppo lontana. Essere è lucente
meraviglia, essere è stupore e maraviglia inaspettata. Essere è cosa che
investe il senso comune, mentre come vento d’anima amante trascina la sua carezza
a lungo e con poche soste nella tua conoscenza. Essere è esperienza di
presenza, è †††
- Come già evidenziato dall’ anonimo autore del “Perì koleaseos” (si veda il nostro commentario pagg. 3100-3578, edito da Aporie e Potature per piante da interni) l’esperienza dell’Essere in Teofrasto Eolico ( si confronti con il nostro commentario pagg. 7600-7689, “Kant e il problema della metafisica come idea in cucina”, Firenze, 2197) è in netta contrapposizione con quella Parmenidea, che si era essenzialmente preoccupata di trovare una spiegazione definitiva ai fenomeni di ipertricosi nella gioventù greca ( risulta ormai insostenibile l’ipotesi di taluni studiosi che vedevano in Parmenide l’iniziatore della ricerca ontologica). Si avverte chiaramente la preoccupazione di Teofrasto per la pietosa condizione dei cavalli selvatici nell’Anatolia settentrionale, probabilmente accresciuta dai racconti di uno storico greco di cui si sa pochissimo,e che dovrebbe essersi chiamato Erodoto ( si consulti tra l’altro il nostro commentario in merito, “ Erodoto e gli albori della cucina etnica in Grecia”, pagg. 340-350, Firenze, 2201). Su Erodoto tuttavia, si è molto discusso, ma risulta ormai obsoleta l’interpretazione frammentaria che ci è giunta di uno studioso del 21° secolo, Canfora, il quale tra l’altro non cita Teofrasto in alcuna sua opera.
- Il silenzio che da sempre ha penalizzato la figura di Teofrasto è probabilmente dovuto alla posizione assunta dalla Chiesa nei confronti di un altro problema che emerge chiaramente nel suo scritto: l’essere fantastico. Infatti, essere fantastici per la Curia deve aver significato qualcosa di più profondo; tuttavia, noi siamo in linea con quell’interpretazione che vede nel termine “fantastico” il primo esempio di “figosità trascendentale”, e al merito si veda il nostro saggio “ Essere gay ed essere fantastici da Parmenide ad Aristotele”. Tuttavia, il problema resta e molto pressante. Non si riesce con esattezza a determinare in base a cosa Teofrasto teorizzasse l’essere fantastico. Infatti, è chiaramente sbagliato l’interpretazione che si dava di un termine affine in Aristotele, di ispirazione probabilmente vichiana ( si noti che non si conosce alcuna opera di questa filosofa, Vichiana, c’è addirittura chi ritiene che sia in realtà la corruzione di “Di Chiana”, ed indicherebbe dunque uno stretto legame tra Macchia Velli – teorizzatore delle principesche bistecche fiorentine- e l’ignota filosofa ) . Secondo gli studi arcaici, “essere fantastico” sarebbe un termine indicante l’universale in poesia; tuttavia, non potendo determinare cosa sia esattamente quella che chiamavano “poesia”, si resta fermi sull’ipotesi di Teofrasto come “filosofo figoso”, espressione coniata con evidente uso di termini arcaicizzanti dal Kikkoman.
- Vi è un’altra questione in parte irrisolta, e sulla quale a dire il vero non si è discusso molto: la questione dell’essere immobile. È evidente che Teofrasto fosse molto attento al problema della disabilità nell’antica Grecia. Tuttavia, è anche vero che egli nega l’essere alle persone immobili, cioè, disabili. Questa ha spesso spinto a considerare Teofrasto come un precursore del Nazismo, ed in effetti questa interpretazione non è affatto assurda. Tuttavia, noi siamo in linea con quanti hanno detto che Teofrasto avrebbe, nella seconda parte dello scritto, concesso speciali privilegi ai disabili. Quanto all’essere in movimento, è ovvio che Teofrasto doveva aver assistito in qualche modo al collaudo del primo jet a propulsione costruito – è ormai certa questa attribuzione- da Leonardo da Vinci, noto commediografo dell’antica Grecia. ( G. Polpov e F. Rochi, “ Leonardo e Pericle: nascita dell’aviazione nella Grecia post-guerra del Golfo”, Milano, 2214).
- Quanto al tema del riposo dei Cavalli, è ovvio che Teofrasto alludesse alla filiale greca dell’importante azienda Eminflex. Si ritiene addirittura che Teofrasto potesse essere comparso in una televendita di questa nota produttrice di materassi a scopo pubblicitario per la sua opera filosofica. Su questo supposto legame tra Teofrasto e la Eminflex, si è assai prodigato il Feng-Chui-Tzu, le cui fatiche si trovano brillantemente riassunte nello stupendo trattato “ Darwin e Teofrasto: l’evoluzione del Materasso ad acqua”. È chiaro che con la solita tendenza a voler dare ad ogni costo un’interpretazione antiquata ed astrusa, gli antichi avevano spesso inteso l’espressione “riposo” come uno stato ontologico di quiescenza dell’essere. Si legga il nostro saggio “ Giovanni Reale: l’oscurantista del pensiero preistorico, Firenze, 2200 “.
- Infine, l’incredibile problema di Teofrasto e dei “segnali”. In passato si è detta che fosse una reminescenza parmenidea, ma dato che questi frammenti sono stati rinvenuti nel 2034, possiamo star certi che la connessione sia inesistente. E infatti, la ricerca meta-urologica parmenidea cosa può aver a che fare con la questione che si pone Teofrasto? Si è spesso parlato, giustamente, dei Greci come fondatori della civiltà e del senso civico. Sicuramente, in questo lato di Teofrasto se ne trova la prova. Infatti, Teofrasto ha evidentemente voluto sostenere l’importanza del rispetto dei segnali stradali, specialmente sulla via che dice che è (gay, oppure figo, mi si passino i classicismi). Infatti, se l’essere umano vuole sperare di raggiungere la discoteca, qualche segnale dovrà pur seguirlo, o no?
Bibliografia essenziale:
Aristotele “ Sulla buona riuscita dei dolci” Firenze, 2134
Platone “ La Repubblica: teoria del giornalismo” Parigi 2155
M. Heidegger “ Essere o non essere?” Berlino, 2204
G. Machte “ Nietzsche: la nascita dell’idealismo”
F. Roxbury “ Aristotele, Logica: giudizi elefantici”
Y. Sakano “ Star Wars: analisi della trilogia di Aristofane”
R. Ching-mei-long “ Pitagorismo in Cacciari”
S. Santos “ Harry Potter: la rinascita dell’empirismo logico”
Eusebio da Mykonos “ Tre saggi sull’omosessualità”
Kant “ Critica della ragion pura” ( completo di “ Meglio se la diluite con l’acqua”, forse apocrifo)
C. Carlucci “ Balletti ed esibizioni nei locali aristotelici”
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E’ evidente come anche questa interpretazione sia incompleta e corrotta nella trasmissione. Forse è andata in parte perduta durante una guerra. Tuttavia, alla luce delle conoscenze che possediamo oggi, nel 3560, credo sia senza dubbio possibile attribuire lo scritto all’anonimo autore dell’eccellente “ Kierkegaard e le noccioline come aperitivo” , nonché..
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Il testo è….