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Autore: Aliseia    03/07/2022    2 recensioni
Fuori il cielo era bianco di neve, ma nella mente del professore si fissò l’immagine vivida e abbagliante di un’estate lontana.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The First Picture Of Summer'
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Fandom: Animali Fantastici e dove trovarli – I Segreti di Dumbledore..
Genere: Romantico
Personaggi: Albus Silente; Gellert Grindelwald
Pairing: Albus/Gellert
Note: Ancora una racconto sul primo soggiorno di Grindelwald a Hogwarts. 1927 post Crimes of Grindelwald. Non tutte le cose sono come sembrano, non tutti i ricordi dicono il vero
Dedica: a Miky. Un week end nel rifugio di Albus e Gellert. Guai, sempre guai. Ma Gellert dichiara di essere innocente… E ti aspetta per raccontare la sua versione, tu sai dove.
A Abby: un po’ di quel retconning che ti accennavo, avevo bisogno di correggere un particolare
Rating: Mature Audience 
Disclaimer: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me ma a J.K. Rowling.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
 
 The First Picture Of Summer
 
It's warm in and out
The pulse of flowing love
Spread the calm to meet the others
Pleasure fills with love 'til dawn

It's warm in and out
The call for sacred hours
The soft chant of new-born singing
The magic force of your feelings

The first picture of you
The first pict
ure of summer
Seeing the flowers scream their joy

The First Picture Of You – Lotus Eaters


 
Era lì tra le sue cose, nel cassetto che aveva riservato a lui, ampolla iridescente piena di un liquido inconfondibile, dalla consistenza argentea. Un ricordo. Per Gellert così caro da conservarlo nell’angolo più nascosto, tra i due libri che portava sempre con sé: le profezie di Tycho Dodonus e la Fiabe di Beda il bardo. Dumbledore sapeva di non doverlo fare, di profanare con quel gesto la sua fiducia… Ma Gellert ancora una volta e come sempre aveva tradito la sua, usando la bacchetta sottomessa per introdursi in biblioteca, per consultare i libri del settore proibito, per trarne ispirazione e scomparire per diversi giorni da Hogwarts e da Nurmengard. Ora il mago oscuro era in ritardo al loro consueto appuntamento, al sabato mattina che si regalavano in barba a ogni divieto e a ogni prudenza. Per fare colazione insieme, per raccontarsi cose e passare qualche ora come una coppia qualunque, preludio di un fine settimana fra letture, sesso, liti e riappacificazioni. Mentre i ragazzi correvano a Mielandia e Minerva si faceva bella per un babbano sconosciuto e molti professori tornavano a casa per due giorni…e il resto del mondo si chiedeva chissà, povero Albus, come trascorreva quei giorni di libertà. In effetti non c’erano grandi avventure per Albus Dumbledore, non di quelle da potersi raccontare. Ma un mondo intero tra quelle lenzuola, le braccia e il petto di Gellert un rifugio molto più seducente di un paesaggio esotico, la sua voce più suadente di qualsiasi musica. Un piccolo privatissimo paradiso, precario magari e certamente segreto, ma tale da compensare Albus di qualsiasi rinuncia del passato. Spesso il professore si chiedeva se fosse quello il segreto del loro aspetto da eterni ragazzi, e se nel caso di Gellert sospettava un uso non proprio ortodosso dell’alchimia, non trovava apparenti giustificazioni al proprio viso intatto, alle guance rigogliose, agli occhi brillanti che ricambiavano il suo sguardo dallo specchio. Ora però un paio d’ore di ritardo mettevano in discussione l’architettura stessa del loro personale paradiso, la fiducia di Dumbledore e il rispetto di cui godeva nella scuola. Ancora nessuno sapeva, ma gli occhi preoccupati di Minerva nel salutarlo sulla soglia del castello, dicevano di una premonizione che era forse più intuito femminile che magia. Dumbledore poi aveva un altro motivo di preoccupazione: il patto di sangue era sparito dalla tasca del suo gilet. Il patto che forse come diceva Gellert era solo un’illusione sentimentale, ma che pure li aveva trattenuti spesso sull’orlo del reciproco tradimento.
Dumbledore strinse il pugno imprigionando la carne tra le unghie come un tempo avrebbe fatto la catenina del gioiello. Non lo aveva più. Gellert era sparito e lo aveva portato via con sé. E ora non restava di lui e dei loro ricordi che quell’intenso profumo di lavanda. Niente Gellert tra le mura antiche di Hogwarts, dove lo cercava da ore, non i suoi occhi tristi che spiavano inquieti tra le sbarre di Nurmengard, dove Albus poteva recarsi grazie a un provvidenziale armadio svanitore. Niente rischi, nessuno scompiglio tra gli studenti di Albus. Nella sua vita. Chiuse gli occhi, inspirò a fondo. Vide con gli occhi della mente le sue cose, sentì il suo odore tra le sue cose. Le sue cravatte tra cui una un po’ lisa e bellissima, che indossava da tanto. I suoi fazzoletti, quell’aroma delicato e inebriante dei fiori violetti. Albus tornò lentamente nella propria stanza, il capo chino gravato dai pensieri. Si guardò intorno con aria sconsolata. Il mondo gli sfuggiva di mano, le sue certezze traballavano una volta ancora. Aprì il pugno che aveva tenuto fin lì dolorosamente stretto su un oggetto. Era l’ampolla dei ricordi di Gellert. Sospirò, esitò solo per un istante e poi ne versò una parte in quello che sembrava un catino d’argento, la prima versione del suo pensatoio. Tuffò il viso nella fresca iridescenza. Fuori il cielo era bianco di neve, ma nella mente del professore si fissò l’immagine vivida e abbagliante di un’estate lontana.
 
*
 
Come se il profumo fosse acqua il ragazzo emerse bagnato eccitato splendente dall’abbraccio dell’altro, che era drago dorato e lo raggiungeva ovunque, dove era esposto e dov’era nascosto, dove aveva sempre desiderato e dove ancora non sapeva di averne bisogno. Gellert spalancò le braccia, aveva pettorali asciutti e tirati, il petto glabro da biondo, solo un sentiero vertiginoso di peluria chiara che scendeva fino al ventre e poi finiva nella selva morbida del sesso. Albus rabbrividì anche se era estate. Era spaventato e fiero, lo temeva e lo voleva dentro di sé, suo, solo suo, in tutto il suo delirio possessivo geloso esclusivo. Sospirò riversò il capo sul cuscino improvvisato, un sacco di cotone dove Bathilda raccoglieva i fiori della lavanda già essiccati e quel profumo si incollò al ricordo, al dolore e al piacere, alla sensazione straniante di non appartenersi più ma di appartenere a lui. Dentro, prima piano poi forte, i suoi occhi che diventavano lucidi. “Sono il primo?” chiese Albus.
“In un certo senso” mormorò Gellert con una smorfia.
“Come… Quale senso?” Albus aggrottò la fronte mentre il suo corpo, già perso nell’estasi e ignaro della sua gelosia, morbidamente si adattava all’intrusione e spavaldamente voleva dettare il ritmo. “In che senso?” gridò.
“Nel senso che prima non era importante” Gellert aveva il respiro affannato, il petto splendente di sudore e altri umori.
“Come?” gemette Albus
“Basta!” ordinò Gellert “Se sarai con me non ti porterai dietro i ricordi, non avrai rimpianti, saremo solo noi. Ci siamo solo noi…”
Due lacrime lasciarono gli occhi azzurri. “Sono il primo?” ripeté Albus con un filo di voce.
“Sì” mormorò Gellert. Poi la stessa domanda uscì dalle sue labbra direttamente sulla pelle bianca e indifesa del suo giovane compagno. “Sono il primo?” chiese Gellert con la sfrontata sicurezza dell’amante esperto. “Sì” Albus rispose senza esitazione ma con voce bassissima.
“Grida” ordinò Gellert.
“Sì.” Sospirò ancora Albus.
“Grida!” ripeté Gellert, spingendo più forte.
“Sì!” Albus odiava e amava la propria resa, ma non poteva farne a meno, avrebbe rinunciato a tutto, anche all’orgoglio. “Sì!” gemette disperato.
“Sono l’unico?” chiese Gellart più piano, chinando il capo e posando le labbra sensuali sull’orecchio dell’altro. Ora era più tranquillo e premuroso, poteva permettersi di rallentare, di giocare sul lobo di quel piccolo orecchio candido con la lingua e con i denti.. per farlo smaniare ancora un po’, per tenerlo deliziosamente in bilico tra desiderio e conforto. Albus da parte sua aveva trovato il ritmo perfetto, dove il piacere superava il dolore in modo esponenziale ad ogni spinta, sentiva che era vicino il momento in cui avrebbe perso ogni ritegno, scivolando nella spirale inarrestabile che lo avrebbe portato al culmine del piacere. “Sì. L’unico. Per sempre” Gellert sorrise inarcando la schiena mentre raggiungeva un silenzioso orgasmo. Lo tenne con sé, allacciato ai suoi fianchi, mentre lo accompagnava stringendo forte con le lunghe dita, chiudendo ogni residuo desiderio nel pugno e poi carezzandolo con decisione una, due, tre volte, finché anche Albus raggiunse il piacere. “Sì.” confermò Gellert, senza chiarire a quale domanda rispondeva. Sono il primo. Sono l’unico. Sarà così per sempre. Disse solo sì, assaporando la s mentre mandava indietro il capo e Albus lo inondava con il proprio seme. Sì, mentre prendeva la sua bocca ancora e poi si perdeva abbandonando il capo tra i riccioli rossi. Albus lo strinse a sé, un braccio teneramente intorno al collo, l’altro abbandonato sulla sua schiena, le dita che sfioravano le natiche del biondo mago tedesco e un po’ premevano in segno di possesso.
Tremavano ancora entrambi quando Gellert, liberandosi all’improvviso dall’abbraccio, si sollevò di scatto per afferrare un coltello dalla tasca dei pantaloni abbandonati ad un gancio sulla parete. “Vieni qui” ordinò.
La cerimonia richiedeva la massima concentrazione per cui furono costretti almeno in parte a rivestirsi, su indicazione di Albus, poiché non potevano interrompere tutto se Bathilda o uno dei suoi coloni fossero venuti a raccogliere un po’ di fieno. A dire il vero Gellert, sempre incauto, avrebbe voluto tutto e subito, mescolare il loro sangue senza neanche buttarsi addosso i vestiti. Albus pallido e delicato ma deciso e calmo nel momento del bisogno, coprì invece le spalle magre con la camicia e persino con il gilet, nascose nei pantaloni di tela quel culo rotondo come una pesca, che più tardi l’altro non si sarebbe stancato di mordere, a lungo e voluttuosamente. Gellert, dal canto suo, era tanto impaziente di suggellare il patto quanto invece era lento e indolente nel riprendere le vesti. Con apparente fatica coprì le larghe spalle da angelo caduto, con deliberata lentezza rivestì le gambe lunghissime e i fianchi stretti, con un sorriso malizioso tentò di addomesticare dentro i pantaloni il sesso di nuovo svettante alla vista delle fragili grazie dell’amante. Non sarebbe stato Gellert, però, se non si fosse preoccupato di un ultimo particolare, la cravatta dai fiori di lavanda (è un simbolo, aveva spiegato ad Albus, è un segnale per i ragazzi come noi) non annodata però ma lasciata slacciata e pigramente abbandonata sulle spalle e sul petto. Non c’erano state parole comprensibili all’esterno, solo una formula mormorata in fretta da entrambi, sussurrata quasi senza fiato, perché Gellerrt aveva fretta di ricominciare a fare l’amore.
Mentre baciava Albus di nuovo, le mani a coppa per godersi la vista di quegli occhi celesti sgranati su di lui, lanciò un’occhiata al manufatto magico creato dal loro incantesimo, un gioiello in cui era incastonata una minuscola ampolla con il loro sangue. Gellert sapeva che nemmeno quello sarebbe stato abbastanza, quando avrebbe rivelato le proprie intenzioni. E, scivolando nell’ennesimo abbraccio, e accompagnando con mille baci sulle tempie il proprio amante nel sonno, lentamente e senza farsi accorgere raggiunse la propria bacchetta. La strada che voleva intraprendere era pericolosa, e non voleva seguirla da solo. Non poteva. In quel patto di sangue c’era qualcosa di più della promessa di non procedere l’uno contro l’altro. C’era una parte delle loro anime, fuse in modo tale che sarebbero vissuti e morti insieme. E forse chissà, vissuti ancora… Con le lacrime che scendevano dai begli occhi un tempo ridenti, quei lunghi occhi dal colore indefinito, uno grigio come un cielo in tempesta, l’altro verde come il veleno, il paradiso e l’inferno in una sola persona, Gellert sollevò la bacchetta sul ragazzo che dormiva. Strinse ancora alla sua la mano ferita. Suggellò nel gioiello la sua cosa più pura insieme alla sua prima maledizione.
*
Albus riemerse boccheggiando dal ricordo, come un uomo che abbia temuto di annegare. Cos’era quello che aveva appena visto? Dunque non si erano amati per la prima volta a Parigi, ma tanti anni prima, quand’erano ancora a Godric’s Hollow? E quel ricordo, come poteva essere vero, non era solo di Gellert ma di entrambi, fondeva le sensazioni di Gellert con le sue, era come un film, il punto di vista di qualcuno che voglia raccontare una storia guardandola da fuori. E insieme era così intimo, le loro sensazioni così profondamente intrecciate che il professore doveva ammettere un turbamento più profondo e vergognoso di quello che si aspettava. Sì sentiva, sì, anche eccitato. Gellert aveva rubato il suo ricordo ma si era anche privato del proprio, relegando le loro memorie mescolate in un’ampolla così come il gioiello aveva raccolto e mescolato il loro sangue. E la natura del gioiello, lo aveva percepito nel ricordo di Gellert, era ben più potente di quella di un giuramento giovanile. E più oscura. Il professore sedette sul letto, prendendosi la testa tra le mani.
 
  
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