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Autore: raffy_ndp    07/07/2022    0 recensioni
Se il destino ti rimette davanti l'occasione mancata della tua vita, quale sarà la tua scelta stavolta? Frollo ed Esmeralda, un incontro inaspettato e dieci anni in più sulle spalle... e se tutto si rimettesse in discussione?
E' la mia seconda ff, ancora sulla coppia che mi è più cara... Buona lettura!! PS e anche stavolta il titolo è una citazione di una canzone, quale?:)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Claude Frollo, La Esmeralda
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Tante volte si era chiesta che effetto le avrebbe fatto rivedere quell’uomo un’altra volta. Un’altra volta dopo la terribile notte sulla Place de Grève.
Nei primi anni subito dopo la sua tentata esecuzione avrebbe voluto terribilmente incontrarlo: se se lo fosse trovato davanti, lo avrebbe ucciso con
le sue mani, col suo pugnale, senza nessuna esitazione; aveva speso molto tempo a figurarsi la scena nella sua mente: a volte preferiva l’opzione
accoltellamento a sorpresa, inaspettato e repentino, altre volte tratteggiava uno scenario in cui l’arcidiacono moriva di una lenta e dolorosa agonia
da lei inflitta. Ma ora che quell’uomo terribile era davvero – davvero – lì davanti a lei, pochi metri più in la sul ciglio opposto di una strada qualunque,
improvvisamente nessuna delle sue fantasie di vendetta riusciva a farle muovere un muscolo. Dieci anni di attesa polverizzati in un attimo.
Dieci anni.
Tanto tempo era passato, tanto ma improvvisamente poco.
L’uomo non sembrava essersi accorto di lei; guardava distrattamente alcune bancarelle di vecchi libri usati. C’era la fiera per il Santo Patrono
in quella settimana a XXX e molti ambulanti erano accorsi per vendere le loro merci; accanto ai banchetti tradizionali di frutta secca, tessuti,
utensili in legno o metallo, spezie e droghe, anche chiromanti mediorientali, sedicenti astrologi, guaritori da due soldi, giostrai dalla pelle abbronzata;
in mezzo a quest’ultima moltitudine variopinta ed eterogenea, vera babele di lingue e di tratti somatici, si trovava la carovana di gitani con cui
viaggiava Esmeralda: proponevano spettacoli col fuoco e coi cavalli, che non mancavano di riscuotere sempre molto successo tra gli astanti.
La giovane non ballava più in pubblico però, il suo ruolo era cambiato: zingare più giovani di lei si esibivano tra torce e cerchi infuocati,
lei invece preferiva passare tra il pubblico con un largo cappello per raccogliere le monetine sonanti dei generosi spettatori. Era il nuovo ruolo
che lei stessa aveva scelto per sé, quello; dopo i fatti di Parigi di 10 anni prima non se l’era più sentita di esporsi alla vista di chiunque, così,
sulla pubblica piazza; aveva iniziato a ballare sempre meno fino a smettere del tutto. Ballava solo per sé adesso.
Quanto era cambiata in quegli anni. Era ancora giovane, certo, ma… in un modo diverso diciamo: non più il vigore di una esuberante primavera
ma la composta dolcezza di un giorno d’estate, quando tutto è solido e maturo e chiaro nella luce.
Un rumore di carri la riscosse dai suoi pensieri; il prete infernale era avanzato solo di pochi passi, si era spostato nella bancarella a fianco e stava
acquistando due vecchi volumi polverosi e ingialliti: lasciò qualche moneta al venditore, si mise i volumi in una sacca di tessuto scuro e si accinse
ad attraversare la strada. Alzò lo sguardo verso Esmeralda. Il cuore di lei perse un battito. L’aveva vista?Era dunque arrivato il momento a lungo atteso,
il momento in cui tutto si sarebbe infine compiuto? No.
L’arcidiacono non stava guardando lei; aveva semplicemente levato lo sguardo quel tanto che bastava per attraversare la strada, le era addirittura
passato accanto ma senza prestarle particolare attenzione.
Una leggera folata di vento le portò l’odore di quell’uomo proprio mentre la sfiorava, involontariamente, con l’orlo del suo tabarro: era un odore
che la soffocò di ricordi, un odore maschile di legni e inchiostro, un odore di paura notturna e mani sudate sulla sua pelle; era tutto questo
quell’odore per lei, eppure…
Girò la testa per seguirlo con lo sguardo: era proprio così, non si era accorto di lei. Eppure non era invecchiata troppo: una piccola increspatura
tra le sopracciglia, una luce diversa negli occhi, i primi fili d’argento tra i bei capelli lucenti; del suo corpo poi poteva ancora essere
orgogliosa: non aveva mai figliato, la sua vita era rimasta asciutta e flessuosa come ai tempi spensierati dei suoi 16 anni.
Un’idea balzana le venne dunque alla mente; seguì con passo silente, tenendosi a cauta distanza, l’uomo col tabarro scuro; lo seguì fino a che questo
raggiunse l’ingresso di una modesta casa di pietre e mattoni, poco distante dal luogo della fiera. Quando l’uomo sparì richiudendosi la porta di legno
alle spalle, la giovane posiziono’ rapidamente sul gradino d’ingresso un piccolo foglietto spiegazzato, piegato in quattro. Fatto cio’, sparì anche lei.
Quando Claude Frollo riaprì la porta di casa, qualche tempo dopo, si trovò sotto il piede un foglietto di carta maldestramente piegato: stupito, lo prese;
all’interno vi erano queste parole vergate da una mano incerta: “ Ti aspetto questa sera un’ora dopo i vespri sotto i portici della chiesa di XXX.
Tu sai chi.”
Lui sapeva chi, in effetti.

Alcuni rintocchi lenti vibravano nell’aria della sera. Aspettava già da qualche minuto quando, da una lontananza che credeva ormai perduta,
una figura femminile sottile, non alta, ammantata di scuro, procedeva a passi svelti verso di lui. Era forse solo un fantasma del suo innominabile
passato, ma ora proprio quello spettro, ritto davanti a lui, sollevava appena l’orlo del cappuccio rivelando un volto tutt’altro che spettrale: scintille
di furore illuminavano due occhi altrimenti dolcissimi, un profilo perfetto cesellato da mano d’artista, una piccola bocca di porpora sulla quale
tante volte avrebbe voluto morire.
Quando Esmeralda sollevò il suo cappuccio per guardarlo nessun trasporto particolare traspariva dalla faccia di lui; lo considerò brevemente: non
era cambiato, forse perché le era sempre sembrato vecchio, eppure non era come se lo ricordava. Qualcosa di indefinibile lo rendeva diverso: se
non avesse saputo che era lui lo avrebbe scambiato non per un mostro, un assassino, ma per una persona qualunque, una persona comune.
Eppure Claude Frollo non era una persona comune, e questo lei lo aveva sempre saputo in fondo, non fosse altro che per i racconti del suo
primo marito, quel poeta bizzarro e strampalato di Gringoire.
<< Sapevo che un giorno questo momento sarebbe arrivato. >> disse d’un tratto lui, piano, quasi mormorandolo a se stesso.
<< Dunque sapevate che ero viva? >> chiese lei in un soffio.
<< Sapevo che un gruppo di egiziani, miracolosamente, erano riusciti a salvarti dalle mani del boia con un ultimo disperato assalto sulla Grève.
So che fu un bagno di sangue, ma che il tuo cadavere non fu tra quelli ritrovati. E questo è tutto quello che si seppe di quella ultima tremenda
notte a Parigi >>
Silenzio.
<< E poi? >>
<< E poi nulla. Non ho più saputo né chiesto ad alcuno nulla di te. Per me sei morta quel giorno, sulla forca, a causa mia. >>
<< Perchè allora attendevate questo momento? >>
<< Perchè la vita prima o poi ti rimette davanti i tuoi errori, ecco perchè >> fece quello con voce incolore.
<< ...per esserne puniti! >> concluse la donna.
<< O per potervi porre rimedio >> suggerì lui, e la sua voce per la prima volta da quando si erano rivisti ebbe un’increspatura d’emozione.
Lei lo considerò attentamente, stupita. E che razza di rimedio poteva esserci ora, dopo che lunghi anni erano passati su di loro e sulle loro vite?
D’un tratto l’uomo si lasciò cadere sulle ginocchia, abbassò la testa porgendo alla vista di lei il suo capo scoperto e argentato da pochi capelli,
le larghe spalle curve verso il basso.
<< Ora è il momento in cui tutto si compie. Lo so perché sei venuta. Lo so e ti dico: ti aspettavo. >> riprese lui; << Uccidimi ora, dunque >>.
Immobile, inerme, l’uomo si offriva al suo colpo mortale. Lo accettava e lo attendeva. Forse era questa la giustizia di questo mondo, l’unica
possibile tra loro. L’egiziana in realtà non era pronta a una simile offerta; si era immaginata, tutte le volte che aveva provato a fantasticare
su questo incontro, di dover lottare col prete infernale per poterlo vincere e finalmente punire ma… una resa volontaria no, non l’aveva prevista.
Chi era l’uomo che le stava di fronte? E che cosa ne aveva fatto dell’arcidiacono di Josas, del prete infernale che l’aveva tormentata e perseguitata
con la sua lussuria?
Si guardò intorno: nel buio di quella notte e di quel portico egli avrebbe potuto facilmente trascinarla nell’ombra, lontano dalla strada, e profittare
di lei come già una volta aveva pure tentato. Eppure, non lo faceva. Si inginocchiava quasi supplice dinanzi alla sua mano, in attesa che lei
compisse il suo destino, il loro destino. Esmeralda strinseil pugnale che nascondeva sotto il mantello, poi sfilò lentamente la mano e la levò piano,
la lama luccicante alla luce della luna.
Il miserabile intanto non si muoveva. Ella sapeva che un’occasione così non si sarebbe mai più presentata, ed era in fondo quella che aspettava
da dieci anni or sono: un fendente e tutto si sarebbe compiuto e concluso.
Era il momento.
La mano tremò leggermente.
“Ora”, pensò.
Ora.
Ora…
CLINK!
Un rumore di lama tintinnò sul lastrico.
L’uomo ebbe un sussulto che lo ridestò dalla sua attesa. Sollevò infine lo sguardo: vide il pugnale in terra, l’egiziana ritta davanti a sé,
respiri profondi le sollevavano il petto.
La interrogò con lo sguardo.
<< Non voglio essere un’assassina come te, non voglio il tuo sangue sulle mie mani. Vivere sarà forse per te una punizione peggiore che morire. >>
<< E sia. Forse è più giusto così. Vivere e sapere che non si è destinati alla felicità sarà una espiazione più efficace per il male che ho causato allora. >>
<< Una volta non sareste stato così remissivo, arcidiacono. Chi siete voi >> chiese, fissandolo con occhi indagatori.
<< Non sono più arcidiacono >>
Lo stupore le sbiancò il viso.
<< Dopo essermi miracolosamente salvato dalla caduta dalla torre fui costretto a letto per molti mesi affinché le fratture alle ossa si saldassero.
Ebbi il tempo di studiarmi a fondo e mi trovai folle, privo di raziocinio e di senno, ridotto a uno stato bestiale dai miei stessi istinti che avevano
annebbiato tutto quanto conoscevo di me… Così chiesi e ottenni di essere sospeso dal servizio ecclesiastico. Non ero più degno di farlo e certo
nessuno avrebbe scommesso che sarei sopravvissuto a lungo, in quelle condizioni. Ma il Fato beffardo aveva evidentemente in serbo ancora
qualcosa per me. >> . Si fermò per prendere fiato. << Lontano dalla tua vista e dagli offici a cui in fondo non credevo più da tempo iniziai lentamente
a guarire anche nello spirito. Approfondii i miei studi di medicina e mi curai anche con certe erbe indicate per i disturbi nervosi.
Sono venuto via da Parigi, ho provato a ricominciare. Il tempo ha fatto il resto. >>
L’uomo tacque. I suoi occhi magnetici la guardavano come da una lontananza impenetrabile.
<< Tu mi hai fatto più male di chiunque. >> riuscì solo ad aggiungere lei.
<< Lo so, ma chi è quello che, amando, non vuole avere tutto ciò che ama?1 >>
<< Tu eri un mostro. Ti illudi di essere cambiato ma tale eri e tale rimarrai. >>
<< E dunque ciascuno è condannato a rimanere sempre uguale a se stesso, nel bene e nel male? Voglio credere che non sia vero,
HO BISOGNO di credere che non lo sia... >>
<< Chi nasce tondo non muore quadrato. Io non ti credo. >>
<< Guarda te stessa: sei forse uguale alla fanciulla che correva e danzava per le strade di Parigi dieci anni fa? Un’altra tu sei. >>
La donna si scoprì punta da quelle parole. Era del resto la stessa ragazza che lui aveva conosciuto tanto tempo prima? O era forse mutata,
cambiata, e fino a che punto? Era cambiata fino a essere una che non ha più nulla a che fare con l’Esmeralda che era stata? Era questo
un tipo di cambiamento possibile per una persona, per una come lei, per uno come lui? Ammetterlo avrebbe aperto tutto un ventaglio di
possibilità che lei non era pronta ad accettare.
Il silenzio di lei incoraggiò l’uomo ad ardire di parlare ancora.
<< Sei tu, ma un’altra sei: senza fronda né fior, senza il lucente riso che avevi al tempo che non torna, senza quel canto. Un’altra sei, ma più bella. >>.
Negli occhi di cenere scura passò come un guizzo di brace di quello che una volta era stato fiamma viva. << Non t’ho perduta. Sei rimasta,
in fondo all’essere: sei rimasta come un’età che non ha nome, umana tra le umane miserie e pur vivente
2 di quella grazia divina che mai non tramonta >>
<< E cosa volete dirmi con queste parole? Se pensate di ingannarmi con i vostri incanti vi sbagliate. >> disse la giovane, che nonostante
ostentasse sicurezza iniziava a sentirsi incerta, a disagio in quel dialogo notturno dai risvolti inaspettati. Sentiva dentro di sé qualcosa
di impercettibile vacillare; doveva andarsene al più presto prima che qualche incanto venefico del prete le annebbiasse la mente.
Ora l’uomo si levò in piedi in tutta la sua altezza: era ancora un uomo che promanava una certa austera autorevolezza; “un uomo pieno di ascendente”3
lo aveva definito una volta Gringoire. Forse era ancora l’arcidiacono di Josas, da qualche parte sotto il pesante tabarro.
La donna raccolse da terra il suo pugnale e se lo accomodò al suo posto segreto di sotto al bustino.
<< Non ho altro da dirvi. Se speravate in una specie di perdono da parte mia ebbene non lo avrete. Non sono buona o almeno non più, non con voi. >>
Stava quasi per andarsene quando un improvviso guizzo di vitalità brillò negli occhi affilati dell’uomo.
<< E sia. Accetto. Accetto questa punizione che ora il Destino mi porge per tuo tramite. Accetto la parte che mi spetta a questo mondo,
e che non sei tu. Tutto in fondo è nato da questo: tu eri così felice a questo mondo e io, io come vi ero triste! Ho creduto di poter possedere
la felicità possedendo te. >>
Le si avvicinò di qualche passo finché fu a brevissima distanza da lei. Ora erano uno davanti all’altra, stupiti che il Destino li avesse messi di nuovo
di fronte e a quel modo; dopo lunghi istanti densi di silenzio l’uomo infine allungò la sua mano fino a sfiorare quella di lei, richiuse le sue lunghe
dita e si portò la piccola mano dorata sulle labbra, un casto bacio a suggellare quello strano saluto.
<< Addio Esmeralda. Sei stata la mia ῥοδοδάκτυλος Ἠώς, la mia aurora dalle dita di rosa4 >>, e così dicendo lasciò scivolare via quella piccola mano
dalla sua.
Si tirò dunque svelto il cappuccio scuro sugli occhi e sparì nella notte. Esmeralda non potè impedire a questo pensiero di affacciarsi
alla sua mente: “E’ possibile che le persone giuste si incontrino al momento sbagliato?”. Ma fu un pensiero che ricacciò subito.
Infatti non lo vide mai più.

*Fine*

Note
1= citaz. da "L'annuncio a Maria" di Paul Claudel
2= citaz. da "Mia giovinezza" di Ada Negri
3= citaz. dal romanzo originale "Notre-Dame de Paris" di Victor Hugo
4= espressione usata da Omero


Ciao lettori e grazie per essere arrivati fino in fondo. Spero che questo scorcio su uno dei futuri possibili per i nostri Frollo ed Esmeralda vi sia piaciuto e, perchè no, vi abbia fatto anche emozionare. Personalmente trovo il romanzo di Hugo una fonte inesauribile di ispirazione, in particolare per le domande sul destino, sulla felicità e sul male che inevitabilmente suscita: la cosa che trovo più interessante è che alla fine questa perpetua lotta tra le forze che muovono il mondo si gioca prima di tutto nel cuore dell'uomo che, come diceva l'autore stesso, è infatti per ciascuno di noi l'Ananke suprema. Grazie ancora per l'attenzione che mi avete dedicato, se vi va di lasciare un commento sarei felicissima di conoscere la vostra opinione sulla mia piccola storia. Alla prossima, Raf.
   
 
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