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Autore: musa07    18/07/2022    4 recensioni
[Tsurune: Kazemai Koukou Kyudo-Bu]
[Tsurune] [Fujiwara Shuu Narumiya Minato Takehaya Seiya. Un po' tutti]
"Shuu sentiva lo sguardo di Seiya su di sé. Sempre!
E sinceramente non capiva perché Seiya pensasse di dover proteggere Minato da lui.
Ma in quel momento quello che sentiva su di sé era lo sguardo di Minato [...]
Ci sarebbe stato il tempo delle risposte. Ora c’era il tempo del dover recuperare quello perduto.
Ecco perché in quel tardo pomeriggio di metà Giugno, quando Minato e Shuu avevano passato la giornata insieme a casa della loro sensei, Minato stava correndo a perdifiato sulle scale della stazione deserta.
- Shuu? -
L’urgenza con la quale Minato l’aveva richiamato fece bloccare Shuu di colpo, con il cuore in gola. Sollevò gli occhi verso l’alto da dove vide spuntare il volto dell’altro, con il fiatone.
- Shuu vuoi mangiare takoyaki? -
- E-eh? -
Minato aveva voglia di passare ancora del tempo con Shuu. Ora sentiva come quei mesi di silenzio, distanti, gli fossero parsi come se si fosse trattata di una eternità. Aveva sempre impedito a se stesso di pensare alla terribile sensazione che gli procurava la lontananza da Shuu[...]"
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciaossu!
Facendo il rewatch di Tsurune
dopo anni dalla prima visione
sono caduta in un baratro senza fine ahahah
mi ha troppo preso
e quindi eccomi qua ad infestare
anche questo fandom.

I titoli sono la mia Nemesi,
veramente tra un po' inizierò
a mettere numeri e lettere a caso.

Ah, già! Come al solito
non escludo che il rating cambierà in corso d’opera.

Enjoy

 

 

 

Il successo è una conseguenza, non un obiettivo

 

 

Prologo

 

Shuu sentiva lo sguardo di Seiya su di sé. Sempre!
E sinceramente non capiva perché Seiya pensasse di dover proteggere Minato da lui.
Ma in quel momento quello che sentiva su di sé era lo sguardo di Minato.

 

A Minato erano sempre piaciute le mani di Shuu.
Le sue dita lunghe ed affusolate.
Era un piacere vedere con quale grazia quelle dita passassero dallo sfiorare la corda dell’arco all’accarezzare la cocca della freccia, il tutto in modo armonioso, che ti incantava. Ma, d’altra parte, era un piacere guardare Shuu tirare con l’arco punto. Aveva una forma, una apertura, che il termine “perfetto” non gli rendeva giustizia. Perché Shuu era grazia, armonia, equilibrio, eleganza, ti emozionava non solo nel momento in cui tirava ma anche in ogni singola forma di preparazione al tiro.
Benedetto dagli dei in ogni cosa, aveva sfruttato il più possibile tale dono, mettendo la regalità, la fluidità dei movimenti, quella armoniosità che gli veniva naturale da dentro al servizio del kyudo, non risparmiando tuttavia nessuno sforzo per migliorarsi sempre di più. Ancora e ancora. Affinando tiro dopo tiro la sua tecnica, la sua maestria. Con la pratica e l’esercitazione, la dedizione e la devozione che gli erano proprie di natura.

L’appellativo di Principe non gli era stato dato a caso e né con cattiveria o invidia alcuna e ben si rispecchiava in ogni suo aspetto, che fosse questo fisico o caratteriale. Perché c’era una regalità nei gesti, nei modi – di sorridere, di guardare, di parlare – che ben rispecchiavano questo appellativo. Anche quando doveva dire qualcosa di spiacevole – sì, perché Shuu non aveva peli sulla lingua, quello che doveva dire, lo diceva - lo faceva in un modo squisito ed aggraziato.
Quando era circondato dagli altri, questi rimanevano travolti, non solo ammaliati, dalla sua presenza.

Era a causa di tutte queste caratteristiche che Minato si era non poco meravigliato quando, rivedendolo dopo tutti quei mesi, Shuu gli aveva detto che aveva bisogno di lui. Serio? Fujiwara Shuu, che era nato per tirare con l’arco e onorare le divinità del kyudo, aveva bisogno di lui? In che senso?
Di certo non erano quelle le parole che Minato si sarebbe aspettato dopo mesi che non si vedevano e non si sentivano. Dopo mesi di silenzio...
Mesi di silenzio imputabili solo ed esclusivamente a se stesso. Sì, perché Minato si era sentito in colpa, in quella maledetta finale del Torneo della prefettura, nei confronti di tutti e due. Di Seiya e di Shuu. Solo che con Seiya aveva avuto modo di confrontarsi, con Shuu non ne aveva mai avuto il coraggio. Ma non perché temeva che questi lo avrebbe accusato di chissà cosa, conosceva Shuu, mai parola cattiva usciva dalle sua labbra anche quando doveva dire la verità, ma perché Minato temeva di averlo deluso. Affrontare quegli occhi di quel viola incredibile, specchiarsi in essi, lo metteva in qualche modo a disagio. Ma non perché temeva di vederci compassione e pietà – non era da Shuu un atteggiamento così meschino – ma perché sapeva di essere scappato. Non solo dalle sue paure ma anche dal kyudo. E da Shuu…
Shuu che, invece, era rimasto lì ad aspettarlo. E in quel benedetto e fatidico incontro Shuu – senza recriminazione alcuna in quel volto perfetto ma anzi: piegando appena le labbra in quel modo che, in chi aveva la fortuna di assistere a quel momento idilliaco (e di solito era rivolto proprio a Minato) era come sentire il fruscio del battito di ali degli angeli – gli aveva semplicemente detto che lo stava aspettando.

Aveva temuto quell’incontro, Minato? Sì! Perché temeva di aver irrimediabilmente rovinato il suo rapporto con Shuu, qualunque cosa volesse significare il loro rapporto. E solo ed esclusivamente per causa sua, per il muro di parole non dette che aveva tirato su. Se con Seiya quel muro non l’aveva elevato era stato sia per la caparbietà di Seiya a non mollarlo nemmeno per un istante, sia per il semplice fatto che Seiya gli abitava di fronte quindi anche volendo non poteva evitarlo, nemmeno murandosi vivo in casa. Sapeva che Seiya non provava compassione o pietà nei suoi confronti perché anche Seiya – pur nei suoi modi garbati – non era uno che ti nascondeva le cose o te le mandava a dire.
 

Si poteva forse dire che Shuu ce l’avesse con Minato? Shuu non era una persona meschina, che cadeva vittima di sentimenti meschini che magari colpivano i più, ma quando Minato aveva scelto un liceo diverso dallo Kirisaki e senza dire una parola, una parte di Shuu era morta dentro. Si era sentito perso. Si era sentito abbandonato. Una parte di lui, dentro di sé, era morta.
Finché ti guarderò le spalle, non perderò mai…
Si era sentito così meschino quando aveva realizzato questi suoi pensieri, questi suoi sentimenti. Ne avrebbe parlato con Minato quando sarebbe venuto il momento giusto. Ora, per lui, era importante averlo ritrovato. Poter gareggiare nuovamente con lui, anche se da avversari. Minato era la ragione per la quale voleva rendere il suo già perfetto modo di giocare ancora più perfetto.

 

Seiya si sentiva in dovere di proteggere Minato? Sì, indubbiamente sì.
Perché? Ecco, questo non lo sapeva, non sapeva dare una risposta, e l’avrebbe aiutato a trovarla la persona più impensata.
Era stato iperprotettivo con Minato anche quando Kaito all’inizio gli lanciava frecciatine. Ma Kaito era il classico can che abbaia non morde o, per dirla, con Nanao uno tsundere fatto e finito. Ma Shuu… ecco, Shuu, parliamone. Quando alle scuole medie gareggiavano tutti e tre insieme – ed erano una triade perfetta – a volte aveva avuto l’impressione che gli fosse impossibile penetrare nel legame che c’era tra Shuu e Minato. Un legame che si era formato proprio grazie al kyudo e al quale lui si era insinuato dentro a forza.
E se le ricordava ancora perfettamente le parole che gli aveva detto Shuu.
Semplicemente perché tu non ami il tiro con l’arco.”
Maledetto Principe! Lui e i suoi modi garbati di dirti anche le cose spiacevoli, quelle verità scomode che di certo uno non si voleva mai sentir dire. Soprattutto dal figlio degli dei. Soprattutto da uno che aveva avuto un rapporto così esclusivo con Minato.
Ok, ok: forse poteva essere che avesse iniziato a praticar il kyudo per avvicinarsi un altro po' a Minato – e per vedere chi fosse questo “ragazzo perfettissimo, bravissimo” che sembrava “un dio sceso in terra” del quale Minato gli parlava sempre e con sempre maggior, ahy-ahy, entusiasmo e foga – ma poi alla fine se ne era veramente appassionato. Vabbé, lui era così: se iniziava qualcosa, vedeva di farla nei migliore del modi. Ed ecco perché, anche al Liceo, era stato eletto rappresentate studentesco.
Era geloso di Shuu? Aveva forse motivo di dover essere geloso di Shuu? Forse sì...

 

Ci sarebbe stato il tempo delle risposte. Ora c’era il tempo del dover recuperare quello perduto.
Ecco perché in quel tardo pomeriggio di metà Giugno, quando Minato e Shuu avevano passato la giornata insieme a casa della loro sensei*, Minato stava correndo a perdifiato sulle scale della stazione deserta.
- Shuu? -
L’urgenza con la quale Minato l’aveva richiamato fece bloccare Shuu di colpo, con il cuore in gola. Sollevò gli occhi verso l’alto da dove vide spuntare il volto dell’altro, con il fiatone.
- Shuu vuoi mangiare takoyaki? -
- E-eh? -
Minato aveva voglia di passare ancora del tempo con Shuu. Ora sentiva come quei mesi di silenzio, distanti, gli fossero parsi come se si fosse trattata di una eternità. Aveva sempre impedito a se stesso di pensare alla terribile sensazione che gli procurava la lontananza da Shuu. O meglio, l’aveva sentita ma imputava quel crogiolo di sensazioni angoscianti, pesanti, che a volte gli mozzavano il respiro in gola, a tutta una serie di cose dovute al suo hayake, al suo abbandonare il kyudo. E pensare a Shuu era doppiamente doloroso. Ed ora… ora voleva in qualche modo recuperare il tempo perduto. Recuperare il suo rapporto con Shuu, che per fortuna non era andato perduto come aveva temuto.
Quel pomeriggio, quando avevano giocato con Souta alla gara di Sumo e lui e il piccolo nipote della sensei si erano coalizzati contro Shuu, Minato avrebbe voluto che quei momenti durassero e si ripetessero all’infinito. Sentire la risata di Shuu, vedere come si impegnasse anche in quel momento, sentire le sue mani su di sé…
Oppure come sulla via del ritorno – poco prima – quando avevano parlato del suo hayake, quando Shuu si era addormentato sulla sua spalla, il calore del suo corpo addoso al suo, il profilo perfetto di Shuu addormentato riflesso sul finestrino dell’autobus. Avrebbe voluto restare con Shuu all’infinito.
Ecco perché, sulla banchina della stazione, quando le loro strade si sarebbero dovute dividere Minato aveva esitato, cercando velocemente una scusa per trattenere Shuu ancora per un po'. E poi, eccola, l’illuminazione. Takoyaki. Shuu ne andava matto, se lo ricordava perfettamente.
Ok, si sentiva patetico per aver trovato una scusa del genere? Per aver cercato di irretirlo con del cibo? Abbastanza, sì… Infatti si guardava nervosamente la punta delle scarpe, torturandosi le mani dietro alla schiena. E il silenzio di Shuu, il suo non avergli ancora risposto, gli faceva sospettare sempre di più che la sua fosse stata una proposta ridicola. Patetica. Ma non voleva demordere.
- È un po'… no, è sicuramente una grande deviazione ma fermati a casa mia. -
Cazzooo! Cioè, ma dov’era il punto interrogativo in quella frase? Minato dentro di sé riprodusse l’urlo di Munch. Come gli doveva esser parso dispotico. E patetico! Gli ricordò una vocina dentro di sé.
Fece per aggiungere qualcos’altro, giusto per non apparire così sfacciato ma quando, finalmente, sollevò il volto e i suoi occhi impattarono con quelli di Shuu e vi lesse in essi dell’autentica felicità e sorpresa, tirò il fiato.
- Lo vuoi veramente? - gli chiese Shuu, sempre così nobile e cortese nei modi.
E Minato non poté che assentire.
- Chiamo anche Seiya. -
Minato lo aveva detto per cortesia, perché in qualche modo Shuu non si sentisse a disagio ad essere loro due da soli. (A proposito, perché Shuu si sarebbe dovuto sentir a disagio ad esser loro due da soli? Si chiese Minato perplesso. Non c’era motivo per sentirsi a disagio ad esser loro due da soli, dato che suo padre sarebbe stato fuori per lavoro quella notte. Non c’era proprio niente per cui sentirsi a disagio, no? Erano solo due amici che avrebbero passato del tempo da soli a casa sua. Da soli… Minato, cazzo ma che hai? Perché ti vengono questi pensieri? Un sacco di volte tu e Seiya avete passato la serata da te quando papà non c’era, non sarà molto diverso con Shuu. Credo…)
Ed era così perso in queste elucubrazioni mentali che non vide il lampo omicida passare negli occhi di Shuu.
- Non serve che chiami Seiya. - proferì questi, mantenendo il sorriso serafico nel volto ma, ad uno sguardo più minuzioso, si sarebbe potuto vedere che la venetta sulla tempia sinistra aveva pulsato minacciosa per un attimo. Shuu non voleva avere Seiya, e i suoi sicuri tentavi di eliminarlo fisicamente, tra i piedi. Voleva passare del tempo da solo con Minato e la proposta di quest’ultimo gli era parsa come un dono alle sue richieste agli dei. Già gli sembrava di esser stato graziato ad averci passato tutto il pomeriggio insieme a casa della sensei e anche durante il viaggio di ritorno ed ora quella richiesta inaspettata gli pareva un vero e proprio miracolo. E figurarsi se quel miracolo lo avrebbe condiviso con Seiya! Si sentiva meschino? Sì! E tanto anche. E inoltre non era da lui essere così egoista ma davvero voleva passare dell’ulteriore tempo con Minato, creare degli altri ricordi, che fossero solo di loro due. E si giustificò con se stesso dicendosi che Seiya aveva avuto Minato solo per sé per tutti quei mesi e anche ora, che loro tre erano in due licei diversi.
Aveva qualcosa da temere da parte di Seiya? Ancora non capiva quanto.

Minato aveva spalancato gli occhi, sorpreso, per poi piegare le labbra in un sorriso a suo volta, vedendolo scoppiar a ridere.
- Avrei meno takoyaki se tu chiamassi anche Seiya. - tentò di giustificarsi, sentendosi ancora di più una emerita merda. Aveva sempre avuto il grande pregio di dire le cose come stavano, anche i suoi sentimenti e le sue sensazioni, quindi figurarsi dover mentire in quel modo, arrampicandosi sugli specchi, per aver in qualche modo salva la faccia. Ma, d’altra parte, cosa poteva dirgli? “Non voglio nessuno tra i piedi perché voglio restare da solo con te”? Sarebbe suonato molto ambiguo. Come lo era in effetti.
Ma Minato non parve scomporsi, perché scoppiò a ridere a sua volta.
- Quanto hai intenzione di mangiarne? - gli chiese questi.
- E tu, quanto pensi di cucinare? - rispose, con una punta di malizia, muovendo un passo verso di lui.
- Fino a quando non mi dirai che ne avrai abbastanza. -
Ok, Shuu dovette istruirsi a non pensare che quelle parole suonassero come una sorta di dichiarazione, anche se ciò non gli aveva impedito di sgranare per un istante gli occhi, sentendo i propri battiti aumentare.
- Bene, allora non te lo dirò fino a quando la mia vita non sarà esaurita. -
E, sì: la sua non è che suonasse come una dichiarazione d’amore, lo era! Minato l’aveva colta? Non lo poteva sapere, ma per renderla ancora più chiara Shuu mosse quell’ulteriore passo verso di lui e l’altro non si mosse. Neppure quando le sue dita affusolate si intrufolarono lievi tra i suoi capelli, soffermandosi quell’attimo in più ad accarezzargli la fronte, non staccandogli gli occhi di dosso.

A Minato piacevano le mani di Shuu. E in quel particolare momento, in quella banchina deserta, gli avevano procurato dei brividi pazzeschi che si erano sprigionati da dentro le viscere più profonde per poi irradiarsi per tutto il corpo.
Stessi identici brividi che aveva provato qualche settimana prima quando, al loro fatidico incontro, Shuu gliele aveva poggiate delicatamente sulla ferita sul fianco sinistro. E lui non permetteva mai a nessuno di farlo. Troppi ricordi. Troppo dolore… Ma le dita di Shuu si erano posate lievi, quasi lenitive, come un balsamo. Per non parlare della sua voce da brivido che, anche questa, si era posata lieve su di lui, in un sussurro, ad assicurarsi sulle condizioni proprio di quella ferita.
Tutto in Shuu aveva sempre avuto su di lui un effetto destabilizzante. Perché Shuu quando ti guardava, ti parlava, quando tirava con l’arco, si posava su di te in modo leggiadro ma che al contempo ti sconvolgeva fin nelle viscere più profonde del tuo essere. Penetrava in te senza che tu potessi far nulla per opporti

Si sentiva, Minato, attratto da Shuu? Beh, chi non lo era? Era impossibile opporsi a Shuu, era come cercare di opporsi alla marea.
Gli bastava questa come risposta?
Forse era proprio arrivato il momento di capirsi meglio.

 

Continua…

 

 

 

*Nota tecnica seria (come ogni volta mi faccio ridere da sola):

nel primo capitolo della seconda novel viene narrato di Shuu e Minato che si ritrovano a casa della loro sensei, così come ci viene raccontato il fatto che Minato chieda a Shuu di fermarsi da lui per mangiare i takoyaki e quando Minato manifesta l’intenzione di chiamare anche Seiya, Shuu gli dice di non farlo. Ora, ditemi voi se qua gatta non ci cova…

Figurasi quindi se non coglievo al balzo questa situazione strasucculenta, immaginandomi i pensieri e le sensazioni l’uno dell’altro MUAHUAHHAUUAHUUUU
Nel prossimo capitolo, quindi, fantasticherò su come sarà andata questa benedetta serata *inserire fluffy e pervy face *

   
 
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