Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: kamony    27/07/2022    6 recensioni
Un viaggio alla scoperta del cuore e dell'anima di Kuchel Ackerman. Chi è realmente questa giovane donna che fa la prostituta nella città sotterranea, ma che ha il coraggio di crescere un figlio da sola in un bordello? Quali sono le ragioni che l'hanno portata a queste scelte estreme? Ma soprattutto che tipo di rapporto aveva con il suo bambino?
Queste e altre piccole cose vi accompagneranno a conoscere la mia personale versione dei fatti sulla donna che ha scelto di regalarci Levi.
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kenny Ackerman, Kuchel Ackerman, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Nei giardini che nessuno sa

 

1. Paradiso perduto

Kuchel era distesa su un fianco, la testa riposava sul braccio. Stava guardando Noam, supino accanto lei. Aveva gli occhi chiusi e sembrava dormire, ma lei sapeva che non era così.
Era innamorata di quel giovane nobile. Le aveva rubato il cuore fin da subito. Nonostante il padre e la madre fossero due persone molto sgradevoli, Noam era diverso.
Dopo che i suoi genitori erano stati assassinati in circostanze misteriose e Kenny era sparito, si era ritrovata a dover lavorare. Purtroppo nella città sotterranea, dove gli Ackerman erano stati costretti a rintanarsi per la persecuzione che subivano da secoli, non c’erano grosse opportunità di impiego. Kuchel però era stata fortunata: i Lobov
(1) stavano cercando manovalanza nel ghetto. Era piuttosto frequente che i nobili, andassero nella città sotterranea a cercare forza lavoro, e le persone che andavano a servizio da loro ottenevano un permesso per potersi spostare in superficie. I Lobov volevano qualcuno che facesse tutte quelle faccende ingrate che neppure la servitù si degnava di eseguire. Naturalmente, lei aveva accettato subito.
Kuchel non era molto alta ed era molto magra, sembrava uno scricciolino, ma era una Ackerman. Sebbene lei non conoscesse il segreto taciuto del suo lignaggio, ne custodiva in sé la forza fisica e mentale. Era una ragazza determinata e molto risoluta, oltre che dolce e ottimista.
I primi tempi erano stati duri. I Lobov erano davvero incontentabili. Sembrava provassero gusto a tormentare le persone che lavoravano per loro, ma lei non se ne preoccupava, cercava di farsi scivolare tutto addosso. Quel lavoro era troppo importante. All’epoca aveva diciassette anni e aveva tutto l’entusiasmo e la speranza che si può avere a quell’età. Era pronta a mangiarsi il mondo, ma non poteva sapere che, invece, il mondo, si sarebbe mangiato lei.
Un giorno che era stata pesantemente redarguita dalla signora e si era pure presa un sonoro ceffone, mentre era nelle stalle per ripulirle dallo sterco di cavallo, si lasciò andare ad un pianto sommesso. Pensava di essere sola. Invece, poco distante, insieme al suo destriero, c’era anche Noam. Il ragazzo le si avvicinò gentile, le porse un fazzoletto per asciugarsi gli occhi e si scusò da parte di sua madre, lasciandola senza parole.
Era l’unico figlio maschio dei Lobov, l’erede della casata. Nonostante fosse ricco e molto attraente era un ragazzo piuttosto introverso. Non amava la vita frivola dei suoi coetanei: anzi, a dire il vero ne disertava proprio la compagnia, e per questo era la disperazione del padre.
L’amore tra Kuchel e Noam sbocciò come una fioritura in primavera. Erano giovanissimi: lei appena diciassette anni, lui diciannove.
Vivevano di incontri fugaci, baci rubati, mani che si cercavano in segreto. I loro erano sogni tanto belli, quanto impossibili, custoditi in segreto dietro notti stellate.
Proprio come quella sera, che si erano ritrovati dietro le scuderie, distesi sull’erba profumata d’estate. I grilli cantavano e le lucciole apparivano e scomparivano, rendendo magico il manto scuro della sera.
«Kuchel» disse Noam girando la testa verso la ragazza e indagandola con quegli occhi nocciola, così grandi e così intensi.
«Voglio sposarti» e le sorrise, illuminando quella giovane notte appena iniziata.
Quel momento sarebbe rimasto per sempre impresso nella mente e nel cuore di Kuchel, come uno tra i ricordi più belli e ricorrenti della sua triste storia. Un momento che sarebbe potuto tramutarsi in una vita meravigliosamente normale, ma che invece era destinato ad essere solo la sanguinante nostalgia di un miraggio audace.

 

*

 

Kenny ci aveva messo un po’ di tempo a rintracciare sua sorella.
Improvvisamente un giorno era sparita senza dire una sola parola.
Non che i due fossero molto vicini, tra loro c’erano state delle incomprensioni, come le definiva lui, ma non poteva tollerare che si fosse dissolta come inghiottita dal nulla, sfuggendo al suo controllo. Questo lo aveva indotto a vestire i panni del fratello maggiore per prenderla e riportarla a casa, soprattutto perché si occupasse del nonno. Lui di certo non voleva farlo.

Fu il caso a farli incontrare per le strade della città sotterranea. Era mattina, anche se in quel posto umido e buio che sapeva di muffa, ogni ora era caratterizzata dalla solita penombra, a meno che non ci si trovasse vicino ad un’apertura di quella immensa grotta, che si trovava direttamente sotto la capitale Mitras.
Kuchel non si accorse subito del fratello, lui sì. La vide avanzare. Era più formosa di come la rammentava. Indossava un abito lungo con un corpetto che ne enfatizzava il seno, che sembrava improvvisamente prosperoso. I capelli erano ancora più lunghi dell’ultima volta che si erano visti: corvini e lucenti. Il viso appariva stanco, gli occhi cerulei infossati. Poi si accorse del ventre arrotondato. Kuchel non era mai stata così in carne, proprio per questo quell’addome prominente catturò la sua attenzione.
«Ti sto cercando da un sacco di tempo, dove ti eri rintanata?» le chiese adirato, rivelandosi.
«A fare la mia vita. Lontano da te» gli rispose criptica, dopo un primo momento di sorpresa per esserselo ritrovato davanti senza preavviso. «Hai abbandonato il nonno!» le disse cercando di far leva sul suo senso di colpa.
«Se il nonno è ancora vivo è grazie a me. Ogni mese gli mando abbastanza soldi per curarsi e per vivere in modo più che dignitoso» gli rispose asciutta.
«Cos’è quella?» le chiese indicando la sua pancia.
Kuchel istintivamente incrociò le braccia sopra quel ventre di circa venti settimane.
«Cosa vuoi, Kenny?» gli domandò evitando di rispondere.
«Devi tornare a casa e, soprattutto, devi smetterla di fare la cagna 
in calore. Questi sono i risultati» le vomitò addosso indicando proprio la sua pancia.
Kuchel non si scompose. Ormai la vita l’aveva messa di fronte a situazioni ben più terribili delle parole volgari di quell’essere infame che era suo fratello.
«Ti ho visto quella sera» gli disse puntandolo dritto negli occhi. Il suo sguardo era affilato come la lama di un coltello.
«C’ero anche io con Noam. Mi ero nascosta perché credevo fosse suo padre» proseguì.
Lo sguardo freddo e beffardo di Kenny fu attraversato da un lampo di stupore, che stava blaterando?
«Sei ubriaca?» le chiese annoiato.
«Tu l’hai ucciso!» gli urlò contro, con la voce ferita dal dolore di quel ricordo tremendo. «Hai ucciso lui, me e nostro figlio! Tu sei il demonio, Kenny!» gli disse tremando di rabbia.
«Sei pazza!» le rispose infastidito. Eppure il dolore della sorella sembrava così vivo, poteva quasi sentirselo addosso, sebbene gli desse solo un senso di fastidio, senza quasi toccarlo.
«Vuoi negarlo? Bene, non mi interessa. Ora lasciami passare e vattene»
«Kuchel credimi io non conosco questo Noam» si ritrovò a dirle. Era uno che non si giustificava mai. In realtà Kenny era un sociopatico. Un uomo concentrato su stesso, preda della sua smania di potere e della sua voglia di togliere vite, per aumentare il suo malsano senso di onnipotenza. Non era empatico, né sapeva cosa fosse la pietà, ma Kuchel aveva il suo stesso sangue, e benché, a volte, uccidesse anche solo per il semplice gusto di farlo, non voleva che lei gli attribuisse quella colpa, che gli pareva proprio di non avere.
«Hai ucciso talmente tante persone che neanche ti ricordi più delle tue vittime» gli disse con disprezzo «Era il figlio dei Lobov, gli hai tagliato la gola assalendolo da dietro, nelle scuderie della loro casa. Lo hai placidamente guardato morire dissanguato. Hai pulito il coltello e poi, fischiettando, te ne sei andato via!».
Cazzo! Pensò Kenny, ora ricordava tutto. Aveva fatto fuori quel moccioso, dietro un lauto compenso. I Lobov stavano acquistando molto potere, troppo per qualcuno, e così quella era stata la loro punizione, un modo per rimetterli al loro posto.
«Ora ricordo» ammise «Niente di personale, era solo lavoro. Non potevo sapere che avessi una cotta per lui» minimizzò come se fosse una cosa da niente.
Kuchel lo guardò con ancora più disprezzo: «Io lo amavo e aspettavo suo figlio. Dopo averlo visto morire ho perso il bambino» e si interruppe un attimo.
Ricordava ancora le fitte al ventre, come stilettate. Quella vita appena sbocciata, si era seccata come un germoglio su cui era stato versato del veleno. Dopo una notte di spasmi dolorosi, il frutto di quell’amore acerbo si era sciolto in un lago di sangue. Fu una sofferenza così forte che le strappò qualcosa dentro e anche una parte di lei se ne era andata per sempre, morendo intossicata da quel dolore.
«Sei il male Kenny, e ora vattene, non cercarmi mai più!».
Quel dispiacere era così forte e così potente, che riviverlo, ogni volta, le strappava l’anima. Voleva solo dimenticarlo e non pensarci più.
«Vedo che ti sei rifatta, però» le disse beffardo indicando nuovamente la pancia.
Avrebbe voluto schiaffeggiarlo, ma sapeva che era inutile. Se ne avesse avuto il coraggio avrebbe dovuto ucciderlo.
«Chi è il padre? Un altro nobile? Punti in alto eh?» la canzonò. Kenny era così. Incapace totalmente di immedesimarsi negli altri.
«No. Non so chi è il padre. Faccio la puttana» gli rispose sferzandolo con parole simili a frustate.
«Stai scherzando, vero?» le chiese accigliato, colpito da quella risposta così oscenamente semplice.
«Assolutamente no, ed è tutto merito tuo, caro fratello».
«Senti smettila! Ora ti riporto a casa, dal nonno, poi ci occuperemo di liberarci di quel problema che hai nella pancia. Non vorrai mica tenerlo?».
Kuchel aveva voluto gettargli in faccia la verità sperando di colpirlo e magari di suscitare qualcosa in lui, ma era stato tempo perso.
Strinse ancora di più le braccia a protezione del suo ventre.
Poi guardò Kenny con serena determinazione.
«Non tornerò mai più a casa. Io non ho più una casa e tu non sei più niente per me. Questa creatura sarà la mia unica famiglia. Stai tranquillo, continuerò a mandare i soldi al nonno.
Ora mi chiamo Olympia: Olympia e basta. Quindi mi lascerai in pace, e se non lo farai ti andrò a denunciare direttamente ai Lobov. Uno come te non può certo capire, non sei neanche in grado di immaginare che cosa possa fare un genitore a cui è stato portato via un figlio. E anche se sei: Kenny lo squartatore, ti troveranno e te la faranno pagare».
«Credi di farmi paura, ragazzina?» le ringhiò contro.
«No, ma neanche tu me ne fai. Ora me ne torno al mio bordello. Puoi scegliere che cosa fare: lasciarmi andare, o tagliarmi la gola a tradimento, aggredendomi alle spalle. Qualunque sia la tua scelta io sarò libera da te e dal male che semini in questo mondo».
Kenny ebbe qualcosa di simile ad uno scrupolo e si arrese lasciando Kuchel libera di vivere la sua vita.
Del resto, se era una stupida e voleva tenersi un bastardo, vivendo in un bordello, che si fottesse, a lui non importava niente. O quasi.
Quindi si fece da parte e con un gesto di scherno, simile ad una riverenza, come si riserva ai nobili, la fece passare.
«Prego, Olympia, vai pure e goditi la tua bella vita» le disse sorridendo sarcastico.
Kuchel passò oltre, senza neppure degnarlo di uno sguardo e senza voltarsi indietro.
Lui era il passato.
Ora andava verso il futuro.
E quella fu l’ultima volta che lo vide.

 

 

NOTE
- (1) I Lobov sono proprio riferiti al Nicholas Lobov (in questo caso ho immaginato fosse il padre di Noam) che appare in “A Choice with no regrets” capitolo 0,5B dell’anime. In questo mio missing moment, mi è piaciuto creare questo punto di contatto con l’opera originale, in cui ho immaginato che Nicholas Lobov prenda Kuchel al suo servizio, mentre anni dopo, senza saperlo, ne ingaggerà il figlio, sempre nella città sotterranea.
- Il titolo: “Nei giardini che nessuno sa” è anche il titolo di una bellissima canzone del grande Renato Zero ed è
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LE NOTE DELL’AUTRICE
Questa storia è sbocciata nella mia testa tempo fa, all’entrata di un casello autostradale. Un fulmine mi attraversò la mente e mi venne questa idea che poi ho sviluppato e ho tradotto in parole, che ora condivido con voi.
Ho cercato di non essere troppo pesante (e spero di esserci riuscita), dato che già di per sé, nel canon, non è che la storia di Kuchel sia esattamente rose e fiori. Ho preso le pochissime info che ci sono su di lei e ci ho costruito sopra la mia personale versione dei fatti, sperando che risulti gradita anche a voi.
Ringrazio fin da ora chi leggerà e mi piacerebbe conoscere anche le vostre impressioni, per me lo scambio in un fandom è la cosa più bella!
Si accetta tutto, critiche comprese, soprattutto se costruttive
😊
Aggiornerò una volta a settimana ma non un giorno specifico.
See you soon folks!

  
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