quando il Jonas di mezzo aprì gli occhi, comprese la gravità del suo gesto e si precipitò a scusarsi
con lei. Certo, vedere Joe Jonas che ti corre incontro con l’intento di soccorrerti, non è una cosa
all’ordine del giorno, specie se Anna non fosse stata una persona con le gambe per terra e la testa
ben piantata sul collo e avesse reagito con uno svenimento, facendolo preoccupare ancora di più.
Il moro interruppe bruscamente la sua corsa a metà del giardino, spalancando gli occhi dal terrore,
nel senso lato del termine. Lei, non capendone il motivo, si voltò per vedere e capire.
Una volta seguita la traiettoria dello sguardo di Joe, comprese come mai il ragazzo si fosse fermato
all’improvviso: Denise lo stava guardando e i suoi occhi erano un concentrato di istinti omicidi e
punizioni severe, oltre che di sollievo. Probabilmente aveva visto tutta la scena, e avendo
conosciuto le potenzialità assassine della sua ospite, aveva preferito essere lei a sgridare suo figlio.
-Io… Ecco… - tentò di difendersi il colpevole, prevedendo una sfuriata della madre sulla sua
irresponsabilità e sbadataggine, ma prima che la signora Jonas potesse in qualche modo
rimproverare il figlio, Anna lo difese – La prego, Denise, è stato un incidente; non credo che Joseph
avesse intenzione di colpirmi, dato che il colpo era diretto a Paul Kevin, il quale si è girato appena
prima che la pallonata venisse scagliata. Dubito che sarebbe stato facile per Joseph mantenere gli
occhi aperti durante il lancio, poiché è naturale chiuderli prima di un’azione del genere. Io stessa
avrei tirato il pallone, inconsapevole del fatto che la persona alla quale miravo, si sarebbe spostata.
Non credo che ci sia il bisogno di riprendere qualcuno per l’accaduto, che, ripeto, è stato un
incidente. – la logica non faceva una piega e, dopo uno smarrimento iniziale collettivo, tutti si
rilassarono.
Camminando con compostezza, il mezzano si avvicinò all’ospite, le fece il baciamano e si presentò.
- Joseph Adam Jonas, piacere. Anche se, a quanto pare, sa già chi siamo, i miei fratelli ed io. Ad
ogni modo, mi può chiamare Joe. – disse, sorridendo birichino.
Lei ricambiò con un sorriso aperto e solare, rispondendo all’affermazione del moro – Sì, di voi so
abbastanza di ciò che c’è da sapere, tranne forse le date di nascita di Paul Kevin e tua. E per
anticipare la tua prossima domanda, quella di Nicholas la so, semplicemente perché è nato il mio
stesso giorno, cinque mesi più tardi. E senza offesa, ma anche se la mia amica Annalisa me le ha
ripetute diverse volte, io proprio non me le ricordo, come non mi ricordo il significato del mio
nome.
– concluse, fissando il moro dritto negli occhi e ammiccando lievemente in direzione di Denise.
Quest’ultima sorrise all’accenno del nome, rinunciando definitivamente all’idea di riprendere
Joseph. Appena finita la presentazione di quest’ ultimo, il minore si fece avanti, leggermente
intimorito da quegli occhi freddi e calcolatori, non riuscendo a celare del tutto il nervosismo che gli
attanagliava il corpo e le viscere.
I suoi movimenti, al contrario di quelli dei fratelli, erano rigidi e secchi, quasi non si muovesse da
diverse ore e gli arti gli si fossero indolenziti, rendendo qualsiasi movenza sgraziata. Malgrado
questo, riuscì a fare anche lui il baciamano e a dire, seppur con diffidenza il proprio nome e i
convenevoli.
- Nicholas Jerry Jonas, onorato di fare la sua conoscenza. – ok, forse questo era troppo anche per i
gentilissimi signori Jonas, i quali scrutavano il figlio sorpresi.
- Anna Dal Fuoco per servirla, Sir Jonas – rispose lei a tono, accennando appena un inchino. Non
voleva offenderlo, solo dimostrargli che era rimasta piacevolmente sorpresa.
Alzando lo sguardo dalla sua mano, Nick incontrò per la seconda volta quegli occhi, che avrebbe
addirittura definito mistici, se non fosse per il fatto che la magia era una cosa impura, come gli
aveva insegnato il padre. Ma, accidenti a lei ( non lo avesse mai fatto! ) quello era l’unico termine
che si addiceva perfettamente sia al suo viso, che ai suoi occhi. Tutto, dal taglio di quest’ultimi, alle
sopracciglia, che non erano perfette, ma nemmeno rifatte, semplicemente normali, alle ciglia,
lunghe, chiare verso la fine e scure all’attaccatura, al naso, alla linea del mento, che da
quell’inclinazione a tre quarti era ben visibile, alle fossette che si formavano ai
lati della bocca quando sorrideva, alle labbra. Quelle volte che si soffermava a fissarle, per poco,
dato che non si poteva far vedere da lei, da sua madre e dagli altri, si incantava, seguendone i
movimenti discontinui e irregolari che assumevano per far uscire le parole, piegate alla volontà
della persona cui appartenevano. E poi erano di un colore strano, bello, rosso, non pastello, ma
neanche troppo slavato. Non erano ne carnose ne sottili, una via di mezzo, unica nel suo genere, ma
tutt’altro che comuni; forse era proprio quello, che le rendeva incredibilmente meravigliose e
fantastiche. Ma Nick non sapeva se avrebbe mai voluto baciarle. Sarebbe stato troppo complicato
capire la logica che la mente della ragazza seguiva. Per lui quelle labbra erano troppo diverse,
strane; non riusciva a capirle e capire quello che loro volevano da lui. Non si muovevano in modo
sensuale, anzi, spesso si contraevano in particolari smorfie che non era in grado di decifrare, mentre
socializzava con Bonus.
Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da Joe, che si lamentava di essere affamato, Kevin, che gli
intimava di tacere mentre conduceva lei in sala da pranzo, fra schiamazzi e battute idiote del
mezzano, il quale si era già dimenticato che fosse un’ospite.
Lui rimase indietro con la scusa di dare una sistemata al giardino, pieno di palle e palline e giochi
vari, disseminati dai suoi fratelli e lui. Fece per uscire, quando inciampò nella palla che aveva quasi
spedito al pronto soccorso la giovane “mistica”, appena arrivata. La prese in mano e se la rigirò,
osservandola con grande interesse. Non sapeva come mai, ma tutto ciò che lei aveva toccato, era
quasi caldo sotto il suo tocco. Si disse che erano tutte stupidaggini, che fra poco sarebbe stato
pronto il pranzo, e che a pancia piena si ragionava meglio. Ma comunque il suo cervello gli
suggeriva di fare una cosa che non si sarebbe mai sognato di fare, ma che infondo non era nulla di
male. Quindi, con la palla in mano, si diresse al piano superiore, diretto in camera sua, con l’intento
di mettere l’oggetto nel suo comodino e riflettere su questa novità con calma, nel
pomeriggio. Scese le scale, guardandosi continuamente alle spalle, come se avesse paura di essere
visto e velocemente uscì in giardino per raccattare i giochi che rimise poi nel loro apposito
contenitore. Erano passati appena cinque minuti, quando sentì un tocco leggero sulla
spalla destra. Non aveva sentito che qualcuno era sopraggiunto alle sue spalle, benché avesse un
udito molto sviluppato, addirittura più dei suoi fratelli, quindi la persona che gli si era avvicinata
doveva essere straordinariamente silenziosa e, se due più due fa quattro, non era qualcuno della sua
famiglia, erano tutti dei gran rumorosi. Anna, pensò, rabbrividendo, quando uno sentì uno sguardo
gelato trafiggergli le scapole.
Lentamente si voltò, ritrovandosi di nuovo quelle iridi verdi puntate contro, quasi volessero
trapassarlo. La gola divenne improvvisamente secca, mentre si sforzava di apparire calmo e
rilassato. Che tentativo futile. Lei lo guardò fisso, poi addolcì lo sguardo e sorrise. Nick si sentì
improvvisamente meglio, come se qualcuno lo avesse liberato da uno sciame di insetti insidiosi e
soffocanti, che gli si infilavano nel naso e nella bocca, impedendogli di respirare correttamente.
Sorrise a sua volta, incapace di fare altrimenti, inclinando la testa di lato, come per porgere una
silenziosa domanda. Era incredibile come avesse cambiato così repentinamente il suo umore.
- È pronto da mangiare, Nicholas, tuo fratello Joe sta sbavando nel piatto come un lama – sorrise
ancora, prima di girarsi e tornare, con passi felpati, verso la porta-finestra dalla quale era arrivata,
scomparendo presto dalla visuale del ricciolino.
- Saranno nove, lunghissimi mesi. – sospirò lui, passandosi una mano tra i ricci, sconsolato,
lasciando cadere a terra il dinosauro di Frankie, prima di dirigesi verso la sala da pranzo.
***
Le portate erano tutte deliziose e Anna assicurò che sarebbe stata onorata di poter giudicare ancora
quelle meravigliose pietanze, che le ricordavano l’Italia. Li informò anche del fatto che si sarebbe
volentieri offerta di preparare la famosa pizza all’italiana, che era una cosa che le veniva
particolarmente bene, secondo il suo modesto parere. A quell’affermazione risero tutti; persino
Nick era riuscito a comportarsi da persona normale, dopo la chiamata del pranzo. Era incredibile
credere che i tre fratelli andassero d’amore e d’accordo, senza litigare mai, come facevano sempre
lei e sua sorella, ma decise, per evitare domande alle quali non avrebbe voluto rispondere, di
sorvolare l’argomento.
Denise e Paul scoprirono presto che quella ragazza era autonoma, spiritosa e intelligente, ma anche
sottile, machiavellica e astuta. Non credevano che avrebbe mai fato del male ai loro ragazzi, anche
perché, secondo la sua logica, non ci avrebbe guadagnato niente, quindi era inutile farli soffrire.
Eppure si erano accorti della reazione di Nicholas, al suo arrivo. Non era stato disinvolto come i
suoi fratelli, aveva percepito lo stato d’animo nervoso della ragazza in quel momento, e lo aveva
involontariamente assimilato. Non sapevano se fosse il caso di dirlo a Nick o meno, ma alla fine
optarono entrambi per vedere come procedeva la cosa e, semmai, farglielo notare.
Quando, alla fine, arrivò il dolce, Anna scoprì che si trattava di un fantastico frullato di frutti di
bosco con yogurt, magistralmente sistemato in un servizio di fine porcellana. Lei era entusiasta, e a
giudicare dall’espressione dei presenti, anche loro erano rallegrati da quel dessert. Si chiese come
mai Kevin avesse preparato una pietanza del genere, sebbene non gli piacesse la frutta. Decise di
chiederglielo, evitando così, inutili seghe mentali.
- Se posso chiedere, Kevin, come mai hai preparato un frullato, che a vedersi deve essere speciale,
se non sei un appassionato di frutta? – domandò, assaggiandone un po’ con la punta della lingua.
Era delizioso.
Il maggiore non parve particolarmente colpito da quella domanda, e allegro rispose: - È basato su
una ricetta italiana e, date le tue origini, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere. – concluse.
- Sì, mi pare di riconoscere una punta della cucina delle mie parti, ed è proprio perché non è ciò a
cui tu sei abituato, che vorrei lo assaggiassi. E poi, scusami, lo hai fatto tu, cosa ne so io che non è
avvelenato? – replicò, inclinando poco la testa per cerare maggiore enfasi e sorridendo scaltra.
- Carino da parte tua, Ann , ma ti assicuro che è a posto. Dopotutto lo hai già assaggiato, no? Mi
dispiace, credimi, ma proprio non riesco a metterlo in bocca. – borbottò, facendo il finto offeso, ma
ridacchiando al pensiero di un frullato avvelenato.
- Tsk, balle! Te le camuffo così bene, le fragole o le ciliege, fai tu, che nemmeno capirai che sono loro, magari la
mattina nel caffè, chi lo sa… - disse furba, alzando gli occhi al cielo con l’aria di una santa,
abbandonando il linguaggio forbito, che aveva utilizzato fino a poco tempo prima.
- Oh, ma allora parli anche come una normale diciassettenne! Credevo che mi sarei dovuto sorbire
conversazioni di alto spessore culturale e intrinseco di parole assai di alto lignaggio! – la
punzecchiò allegro il mezzano, mulinando il cucchiaino, quasi fosse un’ arma.
- Bene, ora so che se ti devo far andare via di melone, parlerò come mi hanno insegnato a scuola, al
classico. – rispose lei, alzando appena un sopracciglio e assaporando un'altra cucchiaiata di frullato.
- Per favore no! È già abbastanza complicato parlare alle interviste, dato che ci dobbiamo preparare
le risposte, non ti ci mettere anche tu! – sbraitò lui agitando il povero cucchiaino per aria.
In quel momento, Nick ebbe un’illuminazione.
- Ehm… Ann, ecco, non è che magari ci potresti aiutare con questa cosa della programmazione
delle risposte? Ti abbiamo sentita parlare e credo che se ci aiutassi, ci risparmieresti un sacco di
tempo. Per favore. - domandò il piccolo ricciolino, sfoderando la miglior espressione da cucciolo di
cane bastonato, imitato subito dopo dai fratelli, che trovarono quell’idea degna di un genio.
Lei li guardò uno per uno, dissimulando alla perfezione l’attacco di risa, che si sarebbe scatenato a
breve. Conosceva quel metodo di persuasione, lo aveva usato, quando era piccola, ma ciò non
significava che non era immune ai suoi effetti. Così continuò a fissarli con l’espressione di un gatto
di alabastro, non tradendo la minima emozione. Attese pazientemente che loro cedessero, per dare
una risposta.
Dal canto loro, i tre Jonas non riuscivano a capire come mai la loro tecnica–di–persuasione–da
–cane-bastonato non funzionasse. Nick pensò che, magari, la sua natura mistica la rendeva
immune a certi comportamenti. Si diede dello scemo e cercò di mantenere la posizione dei muscoli
facciali, che si stavano indolenzendo.
Fu Joe a cedere per primo, abbassando la testa e scuotendola rassegnato.
-D’accordo, mi arrendo. – mugugnò offeso, riprendendo a mangiare il frullato.
La resistenza degli altri due venne demolita poco dopo. Solo allora, Anna si ritenne soddisfatta del
proprio operato e aprì la bocca per parlare.
- Ok, vi aiuterò. – disse semplicemente, scatenando un coro di voci sorprese.
- Ma sappiate che se d’ora in poi mi vorrete chiedere qualcosa, non serve che facciate quella faccia
completa di occhioni dolci, perché non hanno alcun effetto su di me, credetemi. Quando lo usava
Annalisa sugli altri era una strage, ma io ne sono completamente immune. Chiaro il concetto? –
Le reazioni furono pressoché simili, tutte sbalordite e shoccate.
- Dato che mi avete chiesto un favore, vorrei chiedervene uno piccolo anche io… - iniziò, con
l’intento di finire, che fu ostacolato da Joe, che nella maniera più carina le disse – Ma già a chiedere
favori, tu? Cioè, fammi capire bene, sei qui da qualche ora e subito chiedi qualcosa? Ma da dove
arrivi, tu, Ann? – fingendo un finto tono da perfettivo, che proprio non gli si addiceva.
- No, Giuseppe, non è una cosa che ti prosciugherà le energie, nemmeno una cosa impegnativa e
impossibile. Vorrei che mi chiamaste Anna, non Ann. – disse, in tono più supplichevole che poté. Il
suo nome le piaceva e non voleva che venisse storpiato in qualcosa che non ci assomigliava
minimamente.
- Ah, ok… ma com’è che mi hai chiamato, prima? – domandò lui perplesso. Non aveva mai sentito
quel nome in vent’anni di vita, ed era curioso come una scimmia. (Che strano...)
- Giuseppe. – ripeté lei tranquillamente, gustandosi in silenzio studiato il suo frappè. Era
consapevole del fatto che sei paia di occhi la stavano guardando con apprensione, in attesa di
dettagli, che puntualmente non arrivavano.
- È la traduzione del suo nome in italiano? – chiese una voce, dopo qualche minuto di silenzio. Era
stato Nick a parlare, notando delle somiglianze tra il nome del fratello e la rispettiva traduzione
nell’altra lingua.
- Esatto, Nicola. – rispose lei, alzando finalmente lo sguardo per incontrare quello del ricciolino. Gli
lanciò un sorriso di sfida da dietro il cucchiaino, alzato a mezz’aria.
- Fico! E qual è la traduzione di Kevin? E quella della mamma? E di Frankie? – domandò
meravigliato Joe, spalancando gli occhi, come un bambino davanti ai regali di Natale.
- A dire il vero, dubito che il nome di tuo padre e di tuo fratello abbia una traduzione, mentre quello
di Denise rimane uguale. Frankie diventa Franco, Adam diventa Adamo, Jerry non si traduce,
mentre Paul diventa Paolo. - illustrò lei, divertita. Non aveva calcolato la possibilità che la
traduzione dei nomi avrebbe appassionato così tutta la famiglia Jonas.
- D’ora in poi mi chiamerete Giuzebbe! – proruppe Joe, alzandosi in piedi, tutto entusiasta del suo
nuovo soprannome.
- Guarda che nella mia lingua si dice Giuseppe, non quella strana roba che hai appena detto tu. –
disse lei in preda ad un attacco di risate, scatenato dalla pessima pronuncia del moro –
Su, avanti, scandisci con me: Giu-sep-pe. – scandì le sillabe, in modo che Joe capisse la pronuncia corretta.
- Giu-sep-pe. – ripeté lui, pronunciandolo abbastanza correttamente.
- Sì, andava meglio, ma perché non ti tieni Joe, che è anche più carino? - domandò Anna, calmando
gli ultimi spasmi involontari, incrociando il suo sguardo.
- Ma Giuseppe mi piace, e poi Joe lo usano tutti ed è da troppo tempo che me lo sento ripetere.
Sono arcistufo. – si lamentò, grattando sul fondo della tazza, nella quale, poco prima c’era il suo frullato.
- Fa’ come vuoi, ma sappi che io non ti chiamerò mai Giuseppe, Malakòs. – lo informò lei, usando
un nome che nessuno aveva mai sentito.
- Mala-che? – chiese Joe, che si era trovato sommerso da parole che non avevano alcun significato
logico.
- Malakòs. – ripeté Anna, calma. Sapendo che la famiglia non avrebbe apprezzato un altro silenzio
carico di tensione, si affrettò a chiarirne l’uso e il significato. – È un termine greco, significa nero.
Mi piaceva, perché ti si adatta, avendo tu occhi scurissimi e capelli color del carbone. Se non ti
piace non lo userò, ma sappi che è solo uno dei tanti soprannomi che ti troverò nel corso di questi
nove mesi. – puntualizzò, sorridendo al pensiero dei vari appellativi, affettuosi o meno, che le
balenavano per la testa. – Non vi preoccupate, che qualcosa lo trovo anche per voi. Datemi qualche
giorno, e avrete degli epiteti da fare invidia a Omero, Virgilio e Dante messi insieme. – disse,
anticipando i sospiri di sollievo degli altri due Brothers, con un ghigno che non preannunciava nulla di buono.
- Dato che la tua mente malvagia si sta applicando nella ricerca dei nostri futuri soprannomi, non è
che tu ne hai uno? Se sì, ce lo diresti, per favore? – chiese Kevin, giusto per sapere qualcosa di più
su quella ragazza che aveva mandato a farsi friggere i poveri neuroni del fratellino riccio.
Certo, anche lui doveva ammettere che Anna gli aveva fatto una strana impressione, quando le
aveva aperto la porta. Quegli occhi verdi, completamente diversi dai suoi, benché dello stesso
colore, avevano un che di strano, quasi magico; mistico. Erano capaci di incantare chiunque,
persino lui, Paul Kevin Jonas II. Non era il suo tipo e non solo per la sostanziale differenza di età,
anche per il fatto che non aveva un ascendente così forte in campo emotivo-sentimentale, su di lui;
credeva che sarebbero potuti diventare molto amici, ma mai una coppia.
- Sì, un soprannome ce l’ho, ed è formato dalle iniziali delle cose che amo fare. Ora che siamo
diventati amici, ve lo posso anche rivelare: Dam. Non vi dirò cosa significa. A
voi l’arduo compito di decifrarlo, baldi giovincelli! – detto questo, si alzò dalla sedia e si offrì di
aiutare Denise a sparecchiare la tavola e mettere tutto in lavastoviglie.
Come aveva previsto, la signora Jonas ne fu lieta e non rifiutò l’offerta.
Avendo capito che non avrebbero cavato un ragno dal buco,
i tre Jonas aiutarono a loro volta la mamma con i resti del pranzo, ammassando i piatti e le tazze del frullato.
Finito di sparecchiare, fece per dirigersi in soggiorno, con l’intento di prendere la valigia e lo zaino
e andare nella sua camera a dormire, ma Joe la interruppe, domandandole cosa aveva intenzione di fare.
- Beh, se non è un problema, pensavo di portare la roba in camera e poi di farmi due orette di sonno.
Dovresti sapere che il fuso orario non perdona, e, benché io sia riuscita a tenere lontana la
stanchezza fino ad adesso, non riesco più a dissimulare il sonno che mi chiude le palpebre,
ponendomi in condizione di addormentarmi in piedi… – disse sbadigliando sonoramente,
vacillando sotto il peso di quattordici ore di fuso.
“Ma parla strano normalmente, allora!” pensò il mezzano sconcertato, sentendola parlare come un
insegnante anche mentre moriva di sonno.
Joe la prese poco prima che cadesse addormentata. La sollevò e chiese silenziosamente a Nick di
portare in camera sua i bagagli. Questi acconsentì, mettendosi lo zaino in spalla e prendendo la
valigia. Quando si voltò, vide la posizione di Anna nelle braccia del fratello: la sorreggeva con un
braccio sotto il collo, mentre l’altro le teneva l’incavo delle ginocchia. Una morsa di gelosia
gli fece contrarre la mascella. Non capiva questa sua reazione; non poteva essersi innamorato di lei
in poche ore, non era umanamente concepibile.
E poi quella ragazza lo confondeva; le espressioni, i sorrisi enigmatici, le labbra, gli occhi; ogni
volta che ci pensava, si rendeva conto che avrebbe potuto stare a guardarli per ore, anche se ciò
comportava un affaticamento mentale, che si ripercuoteva sulla salute del fisico.
In poche parole era masochismo.
Una gomitata nelle costole da parte di Kevin lo riscosse, sorprendendolo imbroccolato davanti alle
scale, con un’espressione ebete e lo sguardo perso nel vuoto. Impulsivamente disse – Kev, noi
dobbiamo parlare. – stranamente, il maggiore acconsentì senza fare domande, prendendogli la
valigia di mano e salendo al piano superiore. Nick scosse la testa e lo seguì.
Non sapeva come, ma suo fratello aveva capito tutto.
Messo piede nella stanza, vide che Anna era già stesa sul letto, con addosso ancora le scarpe e la
felpa, addormentata. Quando dormiva, il suo volto sembrava meno terreno e più innaturale. Le
palpebre chiuse delineavano la linea leggermente a mandorla degli occhi, celando quelle iridi
impossibili e incomprensibili. La linea degli zigomi era leggermente marcata, mentre il mento
sembrava più affilato. Le labbra, ora immobili, non erano più incurvate in strani sorrisi o smorfie,
semplicemente rilassate. I capelli biondo cenere le ricadevano dolcemente ai lati delle testa, sfiorando la guancia.
Essendo girata su un fianco, la linea del profilo del corpo era ondulata
come le dune del deserto, muovendosi ritmicamente ad ogni respiro.
Silenziosamente Nick, disse a Joe di toglierle le scarpe e i calzini, a Kevin di disfare la valigia
(eccetto la biancheria intima, of course) e riporre gli indumenti nell’armadio,
mentre lui provvedeva a sfilarle la felpa.
Entrambi i fratelli annuirono e adempirono alle loro mansioni.
Lui era alle prese con la cerniera della maglia, dato che era stata chiusa.
“Beh Nicholas, devi solo aprire la lampo e sfilarle la felpa, non è così difficile.” Pensò, rendendosi
Conto troppo tardi, che la zip toccava la maglietta che aveva sotto, quindi la pelle. E non una parte
di pelle qualunque…
Ossignoredammilaforza!
Joe era ancora alle prese con i lacci delle scarpe, mentre Kevin era
impegnato a sistemare i suoi abiti negli appositi cassetti e sulle grucce. Sudando come un animale,
Nick, afferrò la cerniera e, lentamente, l’abbassò.
Il Caso volle che la zip s’incastrasse, inceppandosi in un lembo di stoffa all’interno della maglia.
Ora, la cosa non sarebbe stata terrificante se si fosse incastrata verso la fine, ma sciagura volle che
si bloccasse all’altezza del seno, parte del corpo femminile preclusa allo sguardo del ragazzo, causa
un simpatico anellino della purezza. Il povero sedicenne era entrato in una silenziosa crisi di panico,
dalla quale non sapeva come uscire.
O meglio, lo sapeva benissimo, ma le sue santissime manine non potevano toccare quei posti
peccaminosi. Si bloccò riflettendo sulla questione, una mano saldamente ancorata alla lampo, l’altra
sosteneva il peso del busto, chiusa a pugno sul materasso. Doveva spicciarsi, perché la posizione
che aveva assunto non era delle migliori: un ginocchio era poggiato sul bordo del letto, mentre
l’altra gamba fungeva da palo di sostegno. Era storto come uno zoppo, eppure non osava muoversi,
rischiando di svegliarla e farsi beccare in una posa che dire che era compromettente era un
eufemismo. Intanto Kevin e Joe avevano finito, e si congedarono con un rapido cenno della testa,
prima di uscire dalla stanza, lasciandolo solo, alle perse con una cerniera difettosa. Perché aveva la
sensazione che i suoi altrettanto santi fratellini stessero sogghignando? Era mai possibile che si
fossero accorti della sua reazione al modo di fare della ragazza e che fossero così sadici da ridere di
questo? No, non i due purissimi e castissimi Joseph Adam e Paul Kevin Jonas II. Eppure… magari
la vicinanza con la mistica li aveva geneticamente modificati… ad ogni modo, non aveva tempo per pensare a
queste cose, c’era dell’alto da sbrigare al momento, glielo avrebbe chiesto in un secondo momento.
Dopo parecchi minuti passati a chiedersi come poteva risolvere il suo problema, si disse che, anche
se le avesse lasciato indosso la felpa, non sarebbe morto nessuno, dandosi come motivazione il fatto
che così rimaneva al caldo.
C’era solo un piccolo nonché insignificante problema: lei stava sudando come se avesse corso per ore.
“Addio futile motivazione” pensò sconsolato.
Doveva farlo! Dio l’avrebbe perdonato, dopotutto non stava mica infrangendo il suo voto, no?
Prese coraggio e infilò l’indice sotto la felpa, dove la stoffa impediva alla zip di scorrere
liberamente. Con uno sforzo sovrumano, infilò anche il medio e con il pollice fece leva, tirando
contemporaneamente la lampo con l’altra mano.
Nel farlo, le sue dita toccarono appena la maglietta di lei, ma questo bastò a farlo avvampare,
tuttavia non mollò la presa, mentre una gocciolina di sudore gli scorreva sul volto.
Era atterrito e il suo terrore raggiunse l’apice, quando quella gocciolina si staccò dal suo mento e
scivolò sulla guancia di Anna. Fu come se il tempo si fosse fermato: lui, scrupolosamente
immobile, lei, appena infastidita da quella goccia. Durò solo un istante, nel quale Anna mosse
appena la testa, strizzò gli occhi e rannicchiò le braccia al petto. Nick non se ne accorse in tempo e
in men che non si dica, si ritrovò il braccio della ragazza sulla sua mano, ancora saldamente
attaccato alla zip, che la premeva sulle sue curve. Quello fu il colpo di grazia. Il povero sedicenne
sentiva la pelle attraverso la stoffa sottile della maglietta, calda, al contrario della sua, mortalmente
gelida e arrossì oltre l’inverosimile. Ma la cosa che preoccupava maggiormente i suoi neuroni in
preda ad una crisi ormonale, era che in effetti gli piaceva. Trovava quel contatto fantastico, come se
fosse la cosa che avesse ricercato da sempre senza mai trovarla. Non riusciva nemmeno a
vergognarsi di questo pensiero, forse perché sapeva che era la verità.
Ok, stava impazzendo, ma il contatto con la ragazza era così inebriante, che rimase fermo in una
posizione no scomoda, de più, fino a che si fu un attimo ripreso.
“Accidenti Nicholas, datti un contegno! Non puoi pensare queste cose per principio, insomma!
Adesso cerca di venire fuori da questo inconveniente. Ok, ragiona, non ti puoi stendere al suo
fianco, perché potresti incappare nella sua ira e in quella di mamma. Meglio di no. Ma non puoi
nemmeno rimanere qui come un maniaco, altrimenti Anna ti bolla come disgraziato. Cosa mi
invento? Ok, ok non disperare, sfila lentamente la mano e sfilale la felpa. Se minaccia di svegliarsi,
cantale hello beautiful, parlale, accarezzala, ma non farle aprire gli occhi, sennò sei un ragazzo
morto”. Dopo aver stabilito un piano d’azione, era decisamente più razionale. Sfilò la mano con
dolcezza e se la strofinò sui pantaloni per asciugarla dal sudore. Riuscì ad aprire la cerniera e per
poco non urlò di gioia, tanto che dovette mordersi la lingua. Ora arrivava la fase difficile: doveva
toglierle la felpa. Si sgranchì le dita, gesto che aveva ripetuto tantissime volte prima d suonare, ma
quei momenti di nervosismo ie faseano 'na pippa, a quello che stava passando adesso, e le prese
una manica, tirandola il più piano possibile. L’impresa si rivelò meno complicata del previsto, dato
che Anna aveva un sonno molto pesante. Nick appoggiò la maglia sul letto e fece per uscire, quando
si ricordò di avere un conto in sospeso. Fece retro marcia e si avvicinò al volto della ragazza; da lì
poteva vedere la sua pelle liscia e rosea. Sentiva il loro respiro mescolarsi, il suo più veloce a causa
dell'emozione, mentre quello di Anna regolare, come era normale mentre si dormiva. Seguiva il
profilo delle labbra, che ora gli sembravano bellissime e dovette trattenere l’impulso di sfiorarle con
i polpastrelli. Si avvicinò ancora e poté vedere quello per cui era tornato indietro. Alzò una mano e
con estrema dolcezza la posò sulla sua guancia; restrinse ancora la distanza tra i loro volti e fece
scorrere il pollice dal naso fino all’angolo della bocca, asciugando la goccia di sudore che le aveva
lasciato pochi minuti prima.
Conclusa l’operazione, sorrise e si allontanò, chiudendosi la porta alle spalle senza fare rumore.