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Autore: SellyLuna    08/08/2022    1 recensioni
«E poi non sono sicuro che a tua madre farebbe piacere. È convinta che io ti abbia rapito.»
«Ah, il mio Ade!» allungò una mano e gli accarezzò il viso, dolcemente.
«Per lei sono io il cattivo, non c’è nessun dubbio» chiuse gli occhi, per assaporare il suo tocco. Le ricordava un gatto, desideroso di coccole. La mano di lui si posò sopra quella di lei, imprigionandola in quella posizione, allungando quella carezza il più possibile.
Sansa percepì in quel gesto la sua paura; paventava che lei se ne andasse di punto in bianco e che non tornasse più. Per lei era un timore insensato, ma lo comprendeva: ogni tanto Tyrion si convinceva di non meritare il suo amore, che era impossibile che lei potesse ricambiare i suoi sentimenti.
«Dipende chi racconta la storia» e gli fece l’occhiolino.
«E nella tua versione, che ruolo ricopro?»
[Sanrion]
[Partecipa alla Greek Mythology Challenge indetta da Coraline sul forum Writing Games - Ferisce più la Penna]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sansa Stark, Tyrion Lannister
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sei la mia primavera

 

 

 

 

Era giunto quel momento dell’anno. Sebbene fossero già tre anni che avevano deciso di organizzarsi in quel modo, Tyrion non si era ancora abituato a vedere Sansa partire.

Sapeva come si comportava con l’avvicinarsi di quella data: diventava più scorbutico e di poche parole, non riusciva a godersi i momenti insieme, perché la sua mente pensava già ai prossimi sei mesi senza di lei. Come avrebbe fatto senza le sue risate che riempivano la casa e che lo mettevano sempre di buon umore? Gli sarebbe mancato svegliarsi ogni mattina con il suo dolce corpo affianco – anche nella sua assenza, avrebbe continuato a cercare il suo calore, trovando però solo lenzuola fredde dalla parte del letto di lei.

Aveva l’impressione che la sua voce diventava sempre più flebile, nella sua testa, nonostante la sentisse abbastanza regolarmente al telefono. Era un’inspiegabile paura, quella di dimenticare la sua voce. Amava sentirla parlare, le brillavano gli occhi quando descriveva qualcosa che le stava a cuore e si infervorava non poco quando gli raccontava delle ingiustizie che qualche suo conoscente aveva subito. Era una persona molto empatica, la sua Sansa. Le piaceva molto cantare, lo aveva scoperto quando avevano iniziato a convivere, perché Tyrion non ricordava di averla mai udita prima. Aveva questa abitudine di cantare sotto la doccia.

Sapeva che quello di cui avrebbe avuto più nostalgia erano i suoi rimproveri – si era lamentata più di una volta del suo disordine: «perché lasci sempre in giro i tuoi libri?», ma gli era capitato più di una volta di trovare fuori posto alcune delle sue cose, tra trucchi, ago e filo e le sue creazioni.

I suoi occhi non sarebbero più stati graziati dalla sua figura, non avrebbe potuto soffermarsi su alcuni suoi dettagli, come ad esempio le sue mani che sfogliavano una pagina di un libro o quelle stesse mani che con maestria e leggiadria cucivano, le sue dita affusolate intorno a una penna mentre scriveva, la sua espressione concentrata che le formava delle piccole rughe sulla fronte, i suoi lunghi capelli ramati che venivano illuminati da un raggio di sole proveniente dalla finestra…

Si era ripromesso di non guastare quell’ultimo mese prima della partenza, ma dalle espressioni che lei gli aveva lanciato in quei giorni, non c’era affatto riuscito.

Non era stato facile capire come leggere e interpretare i suoi modi di fare, perché la giovane sapeva come apparire fredda e lontana. Aveva compreso che quella era una sua arma di difesa: non voleva essere ferita. Tuttavia, una volta conquistata la sua piena fiducia, Sansa offriva un’ampia gamma di emozioni. Era come un libro aperto, il suo preferito.

Silenziosamente, Tyrion si era appoggiato allo stipite della porta della camera da letto. Osservava la fidanzata, mentre metteva le ultime cose in valigia.

«So che sei lì. Ti ho sentito» gli fece presente, senza distogliere l’attenzione dalla sua attività.

«Non te la si può proprio fare» commentò lui, scherzosamente.

Sperò che bastasse per alleggerire l’atmosfera, per allontanare quel peso che aveva sullo stomaco.

Perché per lei è così semplice? O è solo una sensazione?

Seguì un istante di silenzio. Pesante.

«Cosa c’è?» gli domandò lei, perché aveva avvertito che voleva dirle qualcosa. E immaginò che non sapesse come approcciare il discorso.

«È difficile per me, sai, vederti andare via…»

«Lo abbiamo deciso insieme. Mi sembra che eri d’accordo!»

«Certo, non è questo.» Fece una piccola pausa, prima di proseguire. «È che mi mancherai.»

Sansa si fermò e cercò gli occhi verdi di Tyrion.

Lui era così abile con le parole, ne conosceva molte più di lei e a volte sfoggiava quelle più desuete solo per sentirla ridere, poiché le pronunciava con un certo accento. «Nessuno parla più così» era solita commentare, divertita.

Aveva notato che, quando c’erano di mezzo i sentimenti, le sue abilità oratorie venivano meno. Sapeva quanto gli era costato fare un’ammissione del genere.

Ed eccolo lì, il mio fidanzato coraggioso.

C’era ancora chi associava l’aggettivo forte alle abilità fisiche, più visibili, ma Sansa era consapevole che esistevano diverse tipologie di forza. E in quel momento Tyrion non aveva nulla da invidiare all’immagine del cavaliere dall’armatura scintillante sul suo cavallo bianco che affrontava prove e ostacoli per salvare la principessa, l’eroe delle storie che amava da bambina.

«Anche tu mi mancherai. Lo sai.»

Lo sapeva, ma non cambiava le cose. Quella sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco non accennava a sparire.

«Lo faccio per mia madre» continuò lei. «Non ha nessuno vicino. I miei fratelli e mia sorella vivono lontano.»

Come te del resto. A quanto sembrava, era l’unica disposta a cambiare il proprio stile di vita, a sacrificare la propria relazione per stare vicino alla madre sola. Forse, se Tyrion avesse avuto un simile legame stretto con la propria madre o con una figura femminile da considerare come tale – poiché Tyrion non aveva mai conosciuto Joanna, che morì dandolo alla luce – avrebbe compreso meglio la scelta, come figlia, di Sansa.

«E da quando è morto papà, lei è molto triste…»

«Me l’hai detto. Sei troppo buona.»

Lei tornò a occuparsi della valigia. Inserì il beauty case e la chiuse. Trafficò un po’ con le cerniere. La sua borsa sembrava una piccola bomba, pronta a esplodere, non riusciva a farci stare dentro tutto.

«Accidenti!» e si lasciò prendere dalla foga.

Tyrion comprese che era giunto il momento di intervenire. Le si avvicinò, la calmò e insieme riuscirono nell’impresa.

Alla fine alzarono la testa e i loro sguardi si incrociarono.

Stettero così, occhi negli occhi, a leggere le emozioni l’uno dell’altra.

«Sei la mia primavera. Andandotene, la porti via con te.»

Era la prima volta che le confessava come si sentiva, quando lei era a Londra. Poteva immaginare che mesi tristi e grigi sarebbero stati i suoi.

Non svuotava del tutto la casa, perciò non era un addio definitivo, ma nonostante se lo ripetesse all’infinito non era abbastanza per rassicurarlo una volta per tutte. Tutto ciò che prima era colorato e vivo perdeva quelle tonalità accese, assumendone alcune più sbiadite, era come se l’ambiente rispecchiasse le sue emozioni, un po’ come una pianta che si raggrinziva perdendo pian piano linfa vitale.

Sansa avrebbe portato quella gioia e quel calore altrove. E non faticava a immaginare il volto radioso di Catelyn Stark alla vista della figlia.

Per lui sarebbe stato un lungo inverno. E, sebbene fosse la stagione preferita di Sansa, senza di lei non avrebbe saputo apprezzarla allo stesso modo.

«Potresti venire via con me?» gli chiese, conoscendo già la risposta. Ne avevano già discusso.

«Non posso.»

Suo padre, Tywin Lannister, non gli avrebbe permesso di seguirla, perché lo voleva nell’ufficio dell’azienda di famiglia, alla sede centrale di New York.

Non era un uomo avvezzo a regalare complimenti in generale, con Tyrion era particolarmente avaro di buone parole, tuttavia il giovane Lannister riusciva a cogliere nella durezza degli occhi del padre e nell’impercettibile sollevamento delle sue labbra in un piccolo sorriso la soddisfazione per un lavoro ben fatto.

All’inizio gli aveva proposto l’incarico con la convinzione che il suo terzo genito non avrebbe saputo destreggiarsi in quel campo, ma a poco a poco si era dovuto ricredere, poiché Tyrion aveva dimostrato un’abilità innata nella gestione. Inoltre era riuscito a risollevare la situazione, la ditta allora registrava un calo non indifferente.

Non sarebbe servito persuaderlo che la maggior parte del suo lavoro l’avrebbe potuta svolgere tranquillamente anche dall’Inghilterra e che, in caso, avrebbe potuto prendere un aereo per assistere alle riunioni e agli incontri più importanti.

Al momento il padre era concentrato a conquistare più stati possibili dell’America, non si sarebbe sognato di espandersi e approdare in Gran Bretagna.

Era certo, tuttavia, che se al suo posto ci fosse stato Jaime, Tywin avrebbe trovato del tempo per ascoltarlo e alla fine lo avrebbe accontentato. Era chiaro a tutti che era il suo preferito.

Il figlio d’oro.

E Jaime aveva l’ardire di vivere la sua vita, di andarsene in giro, quasi noncurante dell’adorazione del genitore. Era così ingiusto, perché lui e Cersei facevano di tutto per avere anche solo un briciolo dell’attenzione e dell’approvazione che Tywin riservava al fratello.

«E poi non sono sicuro che a tua madre farebbe piacere. È convinta che io ti abbia rapito.»

«Ah, il mio Ade!» allungò una mano e gli accarezzò il viso, dolcemente.

«Per lei sono io il cattivo, non c’è nessun dubbio» chiuse gli occhi, per assaporare il suo tocco. Le ricordava un gatto, desideroso di coccole. La mano di lui si posò sopra quella di lei, imprigionandola in quella posizione, allungando quella carezza il più possibile.

Sansa percepì in quel gesto la sua paura; paventava che lei se ne andasse di punto in bianco e che non tornasse più. Per lei era un timore insensato, ma lo comprendeva: ogni tanto Tyrion si convinceva di non meritare il suo amore, che era impossibile che lei potesse ricambiare i suoi sentimenti.

«Dipende chi racconta la storia» e gli fece l’occhiolino.

«E nella tua versione, che ruolo ricopro?»

Seppure la domanda era stata posta per gioco, Sansa la soppesò seriamente.

«Direi che non sei un cattivo. Sebbene tu possa essere molto vendicativo verso chi ti ha fatto un torto…»

La sua espressione cambiò come se volesse dire qualcosa, come se volesse dissentire, ma poi ci ripensò.

In fondo non avrebbe potuto negare.

«Ma del resto non sei nemmeno il classico buono.»

Non si aspettava un’affermazione simile, non gli piacque molto.

«Saresti un personaggio complesso, uno di quelli che o si amano o si odiano. Hai presente quei personaggi né neri, né bianchi, ma a metà via? I personaggi grigi, quelli che hanno una profondità da avvicinarli alle persone reali. Sono complessi, perché hanno sentimenti, motivazioni e desideri, a volte anche contrastanti. Ne avrai incontrato qualcuno nelle tue letture, no?»

Non era così comune, ma sì, gli era capitato di trovare personaggi caratterizzati così bene da riuscire a immaginarli in carne e ossa accanto a sé, sentirli così vicini come se fossero degli amici, con i quali si poteva fare una bella chiacchierata e con l’umore sbagliato arrivare anche a litigarci.

«Sarebbe divertente leggere un tuo punto di vista, perché non risulterebbe mai noioso» gli sorrise.

L’aveva convinto, non si dispiacque per non essere stato considerato tra i buoni, perché in fondo da quella descrizione una sua ipotetica controparte letteraria sarebbe stata più interessante e oggetto di diversi dibattitti tra i lettori.

«Comunque dovresti ricordare a tua madre che è stata tua la scelta di vivere qui in America. Non ti ho costretto. In fondo non ci conoscevamo ancora…»

«Ma lo sa, le ho raccontato della nostra storia. Mi vede ancora come la sua bambina, non riesce ad accettare fino in fondo il fatto che sia cresciuta, che abbia lasciato il nido per avere una vita tutta mia.»

«Quello che potrebbe rapirti o farti del male in qualche modo, semmai, è quel Baelish…»

«Petyr Baelish, l’amico della mamma? Ma no dai, che dici?»

Credeva fosse una battuta, ma la sua espressione era seria. Le sembrava un po’ esagerata come affermazione.

Era strano come i due uomini, che non si erano mai incontrati di persona, provassero una strana antipatia reciproca. Quando si trovava a Londra, più di una volta Baelish l’aveva ammonita su Tyrion: a suo avviso, sarebbe arrivato presto il momento in cui lui l’avrebbe lasciata, perché si sarebbe stufato di lei. E l’avrebbe fatta soffrire: questo Petyr non l’avrebbe permesso.

«Sono tutti uguali i tipi come Tyrion» sosteneva di continuo l’amico d’infanzia della mamma.  

Sansa si trovava d’accordo su una cosa: avrebbe provato molto dolore per una loro eventuale rottura. Baelish non conosceva affatto il suo compagno, era sicura che non l’avrebbe mai lasciata per un motivo simile.

Se mai avesse deciso di farlo, era sicura che avrebbe messo al primo posto il suo benessere, sostenendo che l’avrebbe fatto per lei, che sarebbe stata la scelta migliore, perché così non avrebbero potuto continuare. Tyrion l’avrebbe lasciata andare, perché convinto che lui non poteva offrirle quello che desiderava e che un giorno avrebbe trovato l’uomo giusto per lei. Questo era più il suo stile.

Ma per arrivare a tanto, significava che aveva smesso di lottare e di credere in loro.

«Da quello che mi hai raccontato di lui, non mi ha fatto una bella impressione. Non mi piace. Non ti fidare troppo, fa’ attenzione. Me lo prometti?»

In effetti, quello era un ottimo consiglio. A pensarci bene, Sansa aveva notato degli atteggiamenti che lì per lì non le erano sembrati sospetti, ma a un’analisi successiva, li aveva considerati quanto meno particolari. Non era chiaro cosa volesse in realtà Petyr Baelish. Forse avrebbe dovuto mettere all’erta la madre circa le sue intenzioni ambigue. Era certa che non l’avrebbe presa sul serio, perché era impensabile, per sua madre, che una persona così distinta come Petyr Baelish potesse tramare alcunché.

Iniziava a credere che Tyrion, dopotutto, ci aveva visto giusto.

«Certo. Non abbasserò la guardia» gli promise.

A queste parole le sembrò che i suoi lineamenti si distesero un po’.

Tuttavia quel sollievo non lo riscontrò nella profondità dei suoi occhi. Erano di quel verde scuro che assumevano ogni qual volta il suo amato era preoccupato o turbato.

Sapeva quasi sempre quando dei pensieri negativi, tristi o cupi gli passavano per la mente.

Aveva fatto del suo meglio per non lasciarsi prendere dalle emozioni, ma in quell’istante realizzò che da lì a poche ore sarebbe salita su un aereo alla volta di Londra e si sarebbe lasciata dietro Tyrion. Per i mesi futuri lo avrebbe sentito solo per telefono, non avrebbe potuto più toccarlo o abbracciarlo, non avrebbero condiviso i pasti insieme, non avrebbero più guardato un film o una serie tv accoccolati sul divano.

Se all’inizio aveva creduto che mantenere una relazione a distanza non era poi così difficile come sostenevano tutti, ora iniziava a sentirne il peso.

Avrebbero dovuto trovare una soluzione alternativa, non era sicura che sarebbe stata in grado di sopportare molti altri anni in questo modo.

Per quanto avesse voluto resistere e lasciargli un’immagine di una donna forte, Sansa comprese che non ce l’avrebbe fatta. Per nascondere le lacrime che erano sul punto di sgorgare, si lanciò tra le sue braccia.

Tyrion l’accolse, come sempre. Poteva contare su di lui, per lei ci sarebbe sempre stato. Era la sua rete di salvataggio.

Non le chiese nulla, ma comprensivo la consolò, ricambiando l’abbraccio. Lo faceva anche per se stesso, ne aveva bisogno. In quella stretta ci mise lo stesso impeto e la stessa sofferenza. Le si aggrappò come un naufrago avrebbe fatto allo scoglio, per non lasciarsi trasportare dalle onde del mare, ne andava della sua vita.

Inspirò il suo profumo per memorizzarlo, scongiurando il timore di dimenticare ogni cosa che la riguardava. Non voleva essere come un puzzle senza un pezzo, quello spazio vuoto che attraeva incessantemente la vista, dimenticandosi così dell’immagine che raffigurava nel suo insieme.

Era leggermente drammatico, se ne rendeva conto, ma da quando Sansa era entrata a far parte della sua vita, non riusciva a immaginare un futuro senza di lei.

Indugiarono più che poterono, stretti l’uno nell’altra, traendo forza dall’altro.

Giunse il momento di separarsi. Sansa si asciugò gli occhi e con voce flebile gli disse: «Ce la faremo. Sei mesi passano in un attimo.»

«Io sono sempre qui. Ti aspetterò» e le sorrise. Non appena lei si voltò, una lacrima gli solcò la guancia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

­­­­­­­­­­

Ciao a tutti!

E dopo un’eternità, ritorno a scrivere. Ne sono molto contenta, perché – tanto per cambiare XD – ero in blocco. Non sono certa di esserne proprio uscita, ma in ogni caso sono riuscita a produrre qualcosina. È un grande passo in avanti. Yey!

La storia partecipa alla Greek Mythology challenge del forum Writings Games -Ferisce più la penna indetta da Coraline.

Ho visto il prompt Ade e Persefone e mi si è accesa l’ispirazione.

Chi altri potevano essere i soggetti se non Tyrion e Sansa? Come sapete la Sanrion è la mia otp.♥

Ah, buon Tyrion appreciation month a tutti! C:

Grazie per l’attenzione.♥

Fatemi sapere cosa ne pensate. :)

Bene, mi ritiro nel mio angolino. ^^

Alla prossima! ;)

Selly

 

 

 

 

 

   
 
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