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Autore: CatherineC94    11/08/2022    1 recensioni
«Stupida ragazzina» sputa Aberforth, con il volto dipinto da un sorriso sporco.
Augusta non si muove.
«Stupido vecchio» si limita a dire.
Aberforth/Augusta
lPartecipa alla challenge "Perché SanRemus è SanRemus" indetta da GaiaBessie e Ciuscream sul forum Ferisce più la penna
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Aberforth Silente, Augusta Paciock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Il disgusto dell'abbandono
«E con le mani, con  le mani CIAO CIAO»
(La rappresentante di Lista)



Nelle lunghe passeggiate estive, Augusta ha sempre amato quel sapere melanconico di nostalgia.
Il mondo antico, ciò che un tempo è stato sembra quasi riaffiorare ed il binomio a tratti straziante la logora piacevolmente.
La strada verso il fetido pub sembra infinita, ma lei apprezza ogni singolo momento che la distanzia da lui.
Ne avverte nelle narici l‘odore aspro della rassegnazione che pervade il suo corpo, misto a quella voracità insita che tenta di imbrigliare come un mostro selvaggio.
Augusta sa che non può andar bene, non c’è alcuna ragione al mondo a favore di Aberforth Silente. 
Quel tipo strano e rozzo si nasconde in una tana ruvida come la sua lingua, grondante di antichi veleni; eppure lei procede spedita. 
I lunghi capelli si muovono al vento, sono sciolti  lui li stringerà senza pietà, con una forza insolita per un barista affezionato alle capre; lo farà lei è certa di questo.
«Vattene» le dice rabbioso, quando la scorge dall‘uscio.
Augusta punta gli occhi sul suo volto e non lo degna di risposta.
Qualche ora dopo, Aberforth urla il suo nome, mentre lei in silenzio non pensa al volto del suo ragazzo e adora come i suoi capelli orma sono sparsi sulle lenzuola ingiallite.
 
Poco tempo dopo Aberforth la sta ancora osservando, gli occhi iniettati di uno strano veleno che sadicamente si somministra da quando tutto il mondo è crollato su quelle spalle atterrite.
Augusta alza gli occhi, impassibile.
«Che idiozia» gli dice anche se in realtà è un discorso del tutto inutile.
Aberforth non dice una parola, tipico del suo essere, nascondersi dietro ad un dito aspettando che tutto passi, che tutto si trasformi inesorabile.
«Cosa ne sai tu delle idiozie?» grugnisce, per poi grattarsi malamente il didietro.
Si sono trascinati nel pub fetido, oggi chiuso per il mondo ma spalancato per loro due che ne hanno bisogno in un modo o nell‘altro.
Augusta l‘osserva.
Aberforth continua indisturbato, per poi afferrare una salsiccia quasi stantia del giorno prima.
«Dobbiamo parlare, ormai nemmeno la capra può salvarti» asserisce Augusta, specchiandosi nel liquido ambrato che beve poco dopo in un sorso.
Aberforth ancora una volta grugnisce.
«So già cosa vorresti dirmi, ma con me le prediche non funzionano granché dovresti averlo capito. Anche se il tuo bel faccino da saccente arrabbiata mi sveglia di nuovo l‘appetito» le dice malizioso e lei si stringe nell‘abito di seta color pesca che tanto ama.
Nella mente di Augusta sono molte le parole, le frasi che si susseguono ma non profferisce parola; nelle sue labbra rimane un sapore amaro che le sale dallo stomaco.
Lei è in silenzio, rimane ferma e non emmette suono anche perché non potrà mai farlo pienamente.
Aberforth non vuole nemmeno varcare quel limite e rimane impassibile, con la salsiccia che ingurgita assieme alla bile.
«Dovresti andare ora, quell’idiota ti starà cercando».
Augusta la sa bene cosa deve fare, apre la porta.
«Questa tua idea di lasciar perdere, questo sì che si tratta di arida idiozia» gli dice.
Aberforth sghignazza.
 
 
 
«Pensi che sia già mattina?» gli chiede.
Aberforth beve lento dal suo calice e controlla furtivo dalla finestra incrostata della sua stanza.
«Ancora qualche ora» le dice, mentre la sua mano segue il lungo profilo del suo corpo.
Pare riflettere un po', come quando i pensieri si appigliano a qualcosa di distante; il silenzio della stanza lo accudisce, mentre l’odore di Augusta quasi lo riempie.
«Ormai tutto questo mi è estraneo» sussurra.
Augusta chiude gli occhi, meditando una risposta anche se non vuole sapere alcunché di quel che un tempo è stato.
Si limita a fissarlo, i grandi occhi scuri che vogliono leggere in quel mare di rabbia sempre in tempesta; i seni scoperti, i capelli che la circondano ed il niveo braccio che poggia sul capo.
«Perché non parli? Ti limiti a fissarmi, con quello sguardo consapevole, con quel sorriso che vuole essere una trappola mentre invece quasi affogo» sibila Aberforth, facendola arretrare nei grandi cuscini mangiucchiati dalle tarme.
«Voglio venire a vivere con te» dice Augusta.
Lo pensa da tempo, non può negarlo in alcun modo. Da quando ha avvertito la sua energia nociva, mista alla rabbia promiscua che emana.
Da quando i suoi occhi l’hanno incatenata e poi persa in un modo così difficile. Le sue mani, così grandi, così tremanti quando la scoprono nelle notti dove le urla di piacere si mescolano da tempo immemore la perseguitano.
Aberforth si distacca, estraneo.
«Stupida ragazzina» sputa Aberforth, con il volto dipinto da un sorriso sporco.
Augusta non si muove.
«Stupido vecchio» si limita a dire.
E Aberforth ci pensa, davvero lo fa. Per un singolo istante abbraccia davvero quella febbrile luce che sembra emanare quella donna con gli occhi grandi e si promette di sognare; per poi guardarsi allo specchio ammuffito e vedersi per ciò che in realtà rappresenta. L’orco delle fiabe, il mostro reietto nel mondo che non riesce in alcun modo ad inserirsi, in un mondo che non accetta e che ripunga e poi lei, di lato… gli occhi grandi e quei lunghi capelli neri che potrebbero soffocarlo solo al pensiero di quella possibilità.
Aberforth è cosparso dall’acidità, che lo travolge in attimo e si alza di scatto.
«Non starai dicendo sul serio» esclama rabbioso.
«Perché non dovrei? Sembra che ti piaccia in effetti passare del tempo con me, quindi non vedo perché no!» ribatte Augusta.
Aberforth ride gelido.
«Una signorina perfettina come te, rampolla di una famiglia come la tua con me?» la provoca, gli occhi spalancati per l’incongruenza che vede davanti agli occhi.
Augusta si alza di scatto, ormai arrabbiata con la veste tra le mani.
«Che direbbe paparino se arrivassi nel centro del salone con la mia adorabile capra? Che direbbe?» ripete Aberforth ridendo.
«A me non importa! Questa è una tua supposizione a me andrebbe bene!» urla lei.
«Rassegnati, stupida ragazzina. Sei solo un magnifico modo per sfogarmi niente di più» ammette  squallido, mentre il viso di Augusta si chiazza di rosso.
«Che c’è? Ora non ti piacerebbe più vivere con me immagino. Ti capisco, anche se le tue cosce mancheranno più a me e forse anche la tua voce che grida il mio nome. Sposati col damerino, sai dovresti farlo» aggiunge, voltandosi.
Augusta non emette un suono, si veste e prima di lasciare la stanza l’osserva con gli occhi gonfi.
«Sei disgustoso» mormora.
Aberforth aspetta che esca, poi si poggia malamente sul letto. Nelle specchio si riflette solo, l’immagine deforme di un mostro come lui.
Lei non potrebbe mai far parte di quell’immagine. Sente che il filo nascosto che li ha uniti si è reciso, facendo a pezzi quel poco di luce che l’ha inondato per un breve periodo di tempo; lui non è mai stato destinato a quel mondo. Ha lasciato perdere quando suo figlio è morto, perso per sempre; quando l’unica donna che ha amato è andata via, scappata, distrutta da qualcosa di molto più grande. Aberforth ha perso ogni cosa già quando Ariana ha chiuso i suoi occhi, nell’amarezza della sua esistenza ha provato in tutti i modi a ricominciare ma quell’oscurità che lo stringe a volte quasi lo stritola. 
«Lo so» risponde al silenzio della stanza, che poi si riempie dei suoi singhiozzi.
Augusta è già andata via.
 
 
 

Sono viva e come sempre scrivo cose strane. Spero vi piaccia!
 
 
 
 
 
 
   
 
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