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Autore: Yellow Canadair    26/08/2022    1 recensioni
«Esci, muoviti.» disse il secondino dando una spinta alla porta per farla aprire.
Viral si tirò in piedi. «A che cosa devo l'onore…?»
Notò che la guardia si stava sforzando per non ridere.
«Visita coniugale.»
Un boato crebbe dalle celle accanto, un tripudio di fischi altissimi e di cori che quasi non fece far caso all'espressione attonita di Viral.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Viral
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Visita coniugale


Il secondino si fermò davanti alla cella, cercò brevemente tra le chiavi e ne infilò una nella toppa.

Viral a mala pena lo guardò: non era ora di pranzo, non era ora del bagno, non era ora di niente di niente e quindi erano solo rogne.
Probabilmente quello stronzo che aveva pestato la mattina durante l'ora d'aria si era andato a lamentare per quella mezza costola rotta.

Cagasotto.

«Esci, muoviti.» disse il secondino dando una spinta alla porta per farla aprire.

Viral si tirò in piedi. «A che cosa devo l'onore…?»

Notò che la guardia si stava sforzando per non ridere.

«Visita coniugale.»

Un boato crebbe dalle celle accanto, un tripudio di fischi altissimi e di cori che quasi non fece far caso all'espressione attonita di Viral.

«VAI E SFONDALAAAA!!!»

«ROMANTICONEEEEEE!!»

«OLLELLÈÈÈÈÈÈÈÈ OLLALLLÀÀÀÀÀÀÀ FAGLIELO VEDÈÈÈÈÈÈÈ FAGLIELO TOCCÀÀÀÀÀÀÀ»

La guardia non ci fece nemmeno caso. «E quindi abbiamo moglie, eh, bastardo? oppure marito?»

«Fatti i cazzi tuoi.» ringhiò Viral senza rispondere e avviandosi dove lo conduceva la guardia.

 

"Visita coniugale"? che diavolo di storia era? fermo restando che ovviamente era falso, ma cosa stava per succedere? un trasferimento? una condanna? qualcosa che aveva a che fare con il "tribunale" di cui gli avevano parlato i due mocciosi al tempo dell'arresto?

Viral e il secondino, a cui si erano aggiunte altre due grosse guardie, percorsero un corridoio del carcere in cui il prigioniero non era mai stato, e si fermarono davanti a una porta chiusa, con una pesante serratura come quella delle celle di massima sicurezza e una grata per guardare all'interno che però era oscurata da un pannello di legno dall'interno della stanza.

Le guardie avevano un aspetto intimidatorio ed erano robuste, più alte di Viral, che sembrava quasi esile, tra di loro; ma evidentemente i requisiti fisici per diventare secondini a Kamina City non erano gli stessi di quelli per diventare piloti di gunmen.

«Fammi vedere se è pronto!» ridacchiò una guardia, allungando una mano sul pacco di Viral.

L'uomo bestia si chinò fulmineo e gli rifilò una gomitata sul suo, di cazzo.

«Fatti gli affari tuoi, umano.» gli sibilò prima di essere zittito da una manganellata dritta in faccia che lo fece indietreggiare contro il muro per la violenza.

Viral non si scompose per la testa che girava e mise davanti al volto le braccia per parare altri colpi in arrivo, pronto a rispondere appena la sensazione di blackout fosse passata.

«Ehi. Non ci metto niente a ritirarti il permesso di visita, stronzo.» disse un altro secondino, tirandolo su per il bavero della maglia.

La vista dell'uomo-bestia si schiarì, tornando al cupo presente. Lo stronzo che gli aveva messo le mani addosso era nel suo angolo con le mani al cavallo, come meritava. Viral poteva ritenersi soddisfatto.

Stavano per aprire quella maledetta porta quando l'infame, dal suo angolo, ricordò a tutti: «Ehi! è una visita coniugale, no? che diavolo li tiene a fare, i vestiti?»

«Sono d'accordo.» disse una delle guardie, in tono molto accademico.

E senza che Viral facesse in tempo a reagire, la lunga lama del coltello di ordinanza si insinuò tra la sua schiena e la stoffa della giubba e per qualche attimo il pesante silenzio del corridoio fu strappato dal rumore della stoffa che cedeva.

Le guardie risero, Viral trovava veramente pietoso quel divertimento.

«Avete finito? qualcuno aspetta i vostri comodi.» sibilò indicando la porta con un cenno brusco del capo. La camicia ormai logora scivolò giù dalle spalle e finiva sconsolata sui suoi avambracci, senza poter cadere a terra per le pesanti manette che gli serravano i polsi. «Facciamo qualcosa per queste?» incalzò ancora Viral, rivolgendosi a una delle guardie.

Infastiditi dalla mancanza di reazione per quella che credevano sarebbe stata un'umiliazione, le guardie strinsero le spalle e dissero di no. «Cosa vorresti, anche i cioccolatini da portarle?»

La porta finalmente venne aperta, e Viral venne spinto dentro senza una parola.

 

Non c'era molto da vedere in quella stanza: solo un grande letto matrimoniale con un lenzuolo ingrigito che copriva il materasso, un lavabo, un secchio, e lei.

«…Chota?» mormorò Viral muovendo appena le labbra.

Da seduta sul letto, si alzò andandogli incontro. «Finalmente!» soffiò lei. «Come stai?» poi dovette far caso al livido fresco sotto lo zigomo: «Che ti hanno fatto…?»

Viral era attonito per quella presenza, così surreale e così vivida davanti a lui.

Mani delicate e morbide, così diverse da quelle a cui si era abituato nell’ultimo mese, gli sfiorarono il volto, sollecite. Poteva sentire l’odore di pulito, di sapone, che strideva con la cappa di umidità e lerciume della prigione. 

I capelli biondi di Chota le accarezzavano le spalle, la stoffa ruvida della camicia e della mantella nera notte. La bocca si muoveva facendo domande, le labbra lasciavano intravedere i canini, gli occhi sembravano tremare mentre ispezionava la brutta ferita.

«Che diavolo ci fai qui?» disse finalmente il soldato.

«Come, cosa ci faccio? ti sei fatto catturare per difendere Korai… sono venuta a dirti da parte di tutti che stiamo facendo il possibile per tirarti fuori da qui, ma purtroppo… oh, è tutto così complicato! chi è stato?» disse in un soffio.

Le dita morbide e fresche sfioravano la pelle sfregiata dal colpo di manganello. Viral chiuse gli occhi sotto quel tocco e si lasciò condurre docilmente a sedersi sul letto. «Le guardie.» esalò, stanco.

«Te l'hanno fatta qui fuori, vero?» mormorò Chota triste. «Mi dispiace tanto…»

Viral scosse la testa con noncuranza: era abituato. La sua rigenerazione avrebbe riparato il danno entro poche ore, Chota lo sapeva, eppure non smetteva di darsi pena.

«Voi come state? hanno portato tutti in superficie?» chiese roco.

Chota tentennò. «Più o meno. All'inizio hanno portato via tutti quelli della zona delle tintorie, poi Kardo ha scritto un comunicato ufficiale dal tempio, che diceva che per la Sacra Legge nessuno poteva essere spostato dai nostri territori… questa cosa ha messo in difficoltà il Governo di Kamina City, e quindi per ora siamo in stallo finché non decidono cosa fare. Sembra che siano fissati, con le leggi. Kardo dice che stanno cercando un modo per applicare la loro, senza contrariare le nostre.»

«Quindi state bene? tutti?»

«Sì, stiamo tutti bene grazie a te!» si commosse Chota. «Se non li avessi trattenuti tu, con l'Enki-dudu, Kardo non avrebbe avuto il tempo di scrivere tutti quei documenti e fermarli!!»

Viral abbozzò una specie di sorriso di sollievo. Almeno farsi rinchiudere in quel buco di merda non era stato del tutto inutile.

«Dove vai?» chiese stupito, guardando Chota alzarsi. 

Chota si guardava attorno, ma in quel buco di cemento senza finestre non c'era molto da vedere; per qualche attimo Viral pensò che stesse meditando l’evasione, ma Chota scosse la testa tra sé e sé e poi, osservandolo, indicò vittoriosa il cencio che una volta era stata la sua camicia, che era ancora dove i secondini l'avevano lasciata, attorno alle sue manette.

La donna-bestia, con praticità, gliela sfilò finendo di strapparla, e poi con i canini ne tranciò dei pezzi grandi come fazzoletti, irregolari.

Poi andò verso il lavello e cominciò a lavarli brevemente. Ne strizzò un paio e tornò a sedersi accanto a Viral. «Abbassati un pochino, ti pulisco quel taglio.» ordinò pietosa.

Non ce n'era nessun bisogno, ma Viral obbedì, senza replicare.

Chota gli tirò all'indietro i lunghi capelli biondi con delicatezza, e gli pulì il sangue secco dalla guancia, e infine ripiegò la pezza e gliela tenne contro la botta. Era gonfia, Viral sospirò di sollievo e chiuse gli occhi sotto il tocco di Chota; avere un potere rigenerativo non voleva dire provare meno dolore, e il fresco della stoffa bagnata attenuava il bruciore che si diffondeva ormai fin sotto l'occhio destro.

L'odore della donna lo avvolse, e se ne lasciò stordire per qualche istante. Odorava del sapone con il quale lavava i vestiti, e dell'erba che metteva nei cassetti. E lui doveva fare letteralmente schifo, pensò, ma Chota non era mai stata la tipa da farsi scrupoli per un po' di sudore: l'aveva vista affrontare di tutto, armata solo di pazienza e fiducia.

«Chota…?» sibilò il prigioniero.

«Mh…?» mormorò Chota in risposta.

«Mi hanno detto che questa è una visita coniugale.»

Chota lasciò per errore la presa sulla pezza, cercò di riacchiapparla, Viral tentò di non farla cadere per terra, Chota si scontrò con le pesanti manette dell'uomo, lui abbozzò delle scuse, la pezza cadde, lei sollevò la testa, arrossì.

Viral le concesse qualche attimo per ricomporsi, chinandosi a prendere il ritaglio di stoffa.

«È stata un'idea di Kardo.» disse subito la dama-bestia. «Volevamo sapere come stavi, abbiamo chiesto e richiesto, ma non funzionava nulla, non ci lasciavano entrare nel carcere. Così… così Kardo ha scritto un falso atto di matrimonio tra me e te e l'ha datato il giorno stesso dell'attacco a Korai.»

«Perché se figuravamo sposati, tu saresti potuta entrare.» immaginò Viral.

Chota si fece ancora più rossa, fino alle orecchie che le spuntavano dalla cima dei capelli color grano. «No.» mormorò strozzata senza osare guardarlo in faccia. «Perché avendo attaccato lo stesso giorno delle nozze, secondo le leggi di Kamina City, noi non abbiamo ancora consumato… e finché non succede, il matrimonio non è valido.»

Ora Viral si spiegava il letto sul quale stavano.

Chota torturava tra le mani la pezza che le era caduta. D'un tratto si alzò e andò con urgenza a sciacquarla. «Non pensare male, ok…? non dobbiamo fare niente di niente. Te l'ho detto, sono venuta per sapere come stavi, per dirti che ce la stiamo mettendo tutta per tirarti fuori di qui! hai salvato tutti! ti siamo grati!» si girò verso di lui, più sollevata.

Viral ghignò. «Sempre pronta ai sotterfugi, vedo. Non sei cambiata affatto.»

«Sono sopravvissuta egregiamente al primo mese di matrimonio!» ammise Chota strappando una mezza risata al maritino. «Tu, piuttosto…» sospirò in pena. «Come sta andando?» si sentì immediatamente stupida, a fargli quella domanda: Viral era in galera, veniva picchiato dalle guardie, come doveva stare?

«Mi sono fatto qualche amico.» rispose evasivo lui, pensando a gente finita in infermeria con le ossa fracassate e i bicchieri della mensa infilati in gola.

«Compagni di cella?» si fece coraggio Chota.

«Cella singola.» a causa delle risse create. «Ho più spazio.» aggiunse poi.

La conversazione cadde. Chota sapeva che non avrebbe mai confessato alcunché apertamente, ma quello che le interessava glielo leggeva addosso: aveva fame, non usciva all'aperto da un mese, le guardie erano violente, l'igiene scarsa. Lui resisteva perché… oh, perché era Viral, accidenti! Però doveva assolutamente tirarlo fuori di lì.

 

Un rumore li fece sussultare, seguito da alcuni sussurri concitati da dietro la porta.

Viral scoprì i denti e marciò contro la porta, tirò un unico cazzotto contro il battente e grido: «FUORI DAI PIEDI.»

Chota sospirò senza impressionarsi. Nessuno poteva vederli, ma a quanto pare il loro incontro aveva radunato parecchi ascoltatori. Che schifezza, pensò con rassegnazione. Poi, ragionando tra sè mentre Viral le spiegava che in quel posto erano tutti una manica di zozzi pervertiti, capovolse la testa e si scarmigliò i capelli con le dita, e poi, alzatasi, tirò via il lenzuolo dal letto e lo ammucchiò in un angolo, e poi picchiò con i pugni sul materasso, per dare l’impressione che qualcuno, lì, ci avesse dato dentro di brutto.

Viral commentò con un cenno di assenso, poi i due tornarono a sedersi un po’ più vicini.

 

«Quindici minuti!» urlò qualcuno dall'esterno.

«Non so se riuscirò a tornare.» pianse quasi Chota. «Mi dispiace…»

«Hai fatto più di quanto dovevi.» la rassicurò Viral. «Non era necessario venire in questo inferno.»

«Sì che lo era.» mormorò Chota. «Ero abituata ad averti tra i piedi quasi tutti i giorni… mi mancavi.» ammise.

«Hanno deportato tutti i ragazzi da Korai?»

«Quanto sei stupido!» ridacchiò Chota tirando indietro le lacrime. «E non ti fai nemmeno abbracciare, con quelle manette! Potevano togliertele, almeno per la visita coniugale!»

Viral accettò la sfida, sollevò le braccia e disse basso: «Se il problema sarebbero le manette…» e circondò Chota, tirandosela contro di sé.

Lei protestò, imbarazzata, e poi si lasciò andare in quell'abbraccio rude, che non poteva nemmeno stringerla decentemente; doveva proprio pensarci lei: si accomodò sul petto dell’uomo-bestia, posò la testa sulla sua spalla, e lo strinse con affetto, chiudendo gli occhi e godendo di quegli ultimi, strenui quindici minuti insieme.




Dietro le quinte...
Sembra proprio che non ci riesca, a stare lontana da Viral.
L'uomo-bestia condannato a vivere in eterno che sogna una moglie e una bambina.
Beh, mi sono detta, diamoglieli! sono o non sono una scrittrice di fanfiction?? :D 
La storia parte da un prompt, "visite coniugali", datomi da Wired Master, che ringraziamo.
Quanto a Chota, il nome l'ho inventato io, ma il personaggio, anzi, il character design esiste: è la donna-bestia che appare in uno degli ultimi episodi, quando scopriamo il più grande desiderio di Viral: una vita normale, in campagna, una famiglia. 
Vi è piaciuta la piccola storia? c'è ancora qualcuno in questo fandom? D: 
Grazie per aver aperto e letto ♥ 


Yellow Canadair

  
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