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Autore: DDaniele    28/08/2022    2 recensioni
[Byler - What If S5 – Darkfic – Evil!Will]
   Vecna strega Will e gli conferisce dei poteri con i quali alterare la realtà. Grazie ad essi, Will crea una versione alternativa di Hawkins in cui tutte le persone che ama sono al sicuro, ignare dell’esistenza del Sottosopra e dei suoi pericoli, ma allo stesso tempo assoggettate nel ruolo che Will definisce per loro. In particolare, in questo mondo riformato Will corona la sua storia d’amore con Mike.
   Il racconto è una mia previsione, personalissima e autoindulgente, della futura Stagione 5. Per strutturare la trama mi sono ispirato a varie fonti: per l’arco di corruzione di Evil!Will mi sono rifatto alla Black Lady dal manga di Sailor Moon, mentre per mostrare il funzionamento di una cittadina piegata al volere di un antagonista ho seguito il modello di WandaVision e Once Upon A Time.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Hopper, Jonathan Byers, Mike Wheeler, Undici/Jane, Will Byers
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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   Will provò un moto di orrore nell’osservare il panorama apocalittico che gli si parava dinnanzi. Nella radura in cui si trovava, circondata da un fitto bosco, si spalancavano quattro profondi squarci nel terreno che si congiungevano al centro dell’area formando una croce. Dall’interno di questi strappi, che si aprivano frastagliati come delle ferite inferte alla terra, proveniva una luce rossa pulsante che li rendeva simili a guizzanti lingue di fuoco. Dai solchi si sollevava inoltre un denso fumo che saliva al cielo. Una volta in alto, la fuliggine si riuniva in nuvole nere come la pece le quali andavano ad occupare la linea dell’orizzonte come se premessero sulla Terra, generando un senso di oppressione. Immense e compatte, le nubi oscuravano l’azzurro e da queste cadevano fulmini di luce cremisi accompagnati da rombi somiglianti a rauchi colpi di cannone. Fiori dalla corolla gialla erano prima disseminati per la radura punteggiandola con tocchi di colore, ma adesso essi erano avvizziti rapidamente, seccandosi come se si fossero tramutati in cenere. La morte dei fiori gettava un oscuro presagio su ciò che si trovava dall’altro lato delle lacerazioni nel terreno.

   I quattro squarci non erano infatti altro se non un portale che collegava il nostro mondo a quello che Will e i suoi amici chiamavano il Sottosopra, una dimensione parallela alla Terra nella quale regnavano la rovina e la devastazione, un brullo pianeta in cui il paesaggio era nero come il fumo che ne fuoriusciva e come i fiori della radura inceneriti. Questa dimensione era abitata da potenti mostri perennemente in caccia di prede, come il demogorgone, un bipede dal tronco umano la cui testa era sostituita da un bocciolo di una pianta carnivora che, spalancato all’occorrenza, svelava una bocca irta di denti aguzzi che potevano straziare con estrema facilità le carni di un nemico per poi divorarlo. In condizioni normali, il Sottosopra e la Terra esistevano come due parallele che procedevano su altrettanti binari senza incontrarsi, l’una beatamente ignara dell’esistenza dell’altra. Tuttavia Vecna, un giovane uomo dagli straordinari poteri psichici esiliato nel Sottosopra, aveva gettato tra loro dei ponti per consentire a immani orde di creature di irrompere nella cittadina di Hawkins, nello stato dell’Indiana, e da lì espandersi sino ad assoggettare il mondo intero.

   Dire che Will si sentisse sopraffatto era un eufemismo. Se aver visto in azione un demogorgone era sufficiente a gettare nella disperazione perfino il guerriero più impavido ed esperto, Will aveva superato ben di peggio che uno scontro diretto con uno degli abitanti del Sottosopra. Solo pochi anni prima, quando Vecna aveva effettuato il suo primo tentativo di collegare Hawkins alla dimensione parallela in cui dimorava, Will era stato rapito e portato nel Sottosopra, dove era sopravvissuto per miracolo. Lì era stato catturato da un demogorgone che gli aveva impiantato nel corpo delle larve con lo scopo di farne un ospite per la sua nidiata. Allo stesso tempo, Will aveva lasciato un segno indelebile sul Sottosopra, modificandone l’aspetto per renderlo simile a una copia carbone di Hawkins e creando quindi con la sua immaginazione una cittadina statunitense invasa da spore aliene e illuminata da una luce scura e sinistra. Si poteva dunque dire che Will avesse terraformato il Sottosopra. Dopo essere tornato a casa, Will aveva mantenuto una connessione con quel mondo, vedendolo davanti a sé quando meno se lo aspettava come se fosse stato un veggente. Come se ciò non bastasse, durante un secondo tentativo che Vecna aveva fatto per invadere la Terra egli aveva posseduto Will, controllandolo come se fosse stato una marionetta. Will era quindi una vittima designata di Vecna, e ne conosceva sin troppo bene la crudeltà sprezzante ed efferata.

   Malgrado ciò, Will decise di non lasciarsi abbattere. Per ritrovare il coraggio guardò alla sua destra dove si trovava insieme a lui, sul punto più alto della radura a partire dal quale il terreno si inclinava in una lieve pendenza, Mike, l’amico d’infanzia di cui Will era segretamente innamorato. Mike sembrava non meno sconvolto di Will mentre scrutava il portale dalla luce rossastra che conduceva al Sottosopra. Percependo lo sguardo di Will posarsi su di lui, Mike si girò verso il compagno e i due si sorrisero a vicenda per darsi forza. Ora più sicuro di sé, Will scoccò un’occhiata a sinistra per scorgere sua madre, Joyce, e lo sceriffo di Hawkins, Hopper. Si voltò poi alla sua destra dove, a breve distanza da lui e Mike, si trovavano Jonathan, suo fratello maggiore, e Nancy, la sorella maggiore di Mike. Alla stregua di Will e Mike, anche Joyce, Hopper, Jonathan e Nancy avevano già affrontato i nemici provenienti dal Sottosopra, dunque Will sapeva che si sarebbero rivelati alleati preziosi in vista dell’imminente invasione. Infine, Will guardò dritto davanti a sé dove si trovava Eleven, una ragazza dagli immensi poteri mentali la quale aveva bandito Vecna nel Sottosopra e sigillato i portali comparsi a Hawkins fino ad allora. Mike, con cui Eleven era fidanzata, la aveva paragonata a Superman e, se l’umanità aveva una speranza di salvarsi, Eleven incarnava tale speranza.

   D’improvviso, Will avvertì un brivido di freddo corrergli lungo il collo e la base della nuca. Come ormai aveva imparato, questa era la maniera in cui il suo corpo gli segnalava che Vecna stava per colpire. Will fece per mettere in guardia gli altri, ma prima che potesse farlo si accorse che essi stavano rigidi in una perfetta immobilità, come se il tempo si fosse cristallizzato. Fissando lo sguardo su Jonathan, Will notò che il torace di lui non si muoveva come se avesse smesso di respirare, non muoveva gli occhi né chiudeva le palpebre e il vento, che pure soffiava in violente raffiche improvvise, non gli scombinava i capelli mediamente lunghi, che rimanevano invece sospesi in aria. Will notò che anche gli altri sembravano trovarsi nello stesso stato e solo quando si mosse per andare da Jonathan si rese conto che Mike, che prima si era trovato tra lui e il fratello, era scomparso.

   Il cuore in gola, Will chiamò il nome dell’amico:

   «Mike. Mike! Dove sei?» urlò Will mettendo le mani ai lati della bocca per amplificare il suono e ruotando su se stesso perché la sua voce arrivasse in tutte le direzioni. Per un istante che parve interminabile, Will non ricevette alcuna risposta, quando poi sentì:

   «Will, Will. Sono qui.»

   La voce era giunta lontana e attutita dal bosco sul lato opposto della radura superato il portale per il Sottosopra. Inoltre, essa aveva parlato in un tono piatto che non somigliava all’inflessione vitale e giocosa con cui Mike solitamente dialogava. Per di più, Mike avrebbe urlato in modo molto più concitato se fosse stato trasportato misteriosamente da un posto all’altro. Will capì subito che l’immobilità dei suoi cari e la scomparsa improvvisa di Mike erano una trappola. Probabilmente, si disse, Vecna lo aveva irretito in una delle visioni con le quali penetrava nella mente delle sue vittime e ne scandagliava i loro rammarichi più inconfessabili in modo da ucciderle e appropriarsi della loro energia vitale. Nonostante questa consapevolezza, Will non poteva rischiare di lasciare Mike in un potenziale pericolo, così si diresse correndo verso il punto da cui aveva sentito provenire la voce.

   Will superò con un balzo il portale per il Sottosopra e si addentrò nel bosco. Per un paio di minuti seguì un filare di alberi ma poi, repentinamente come Mike era sparito, dal nulla apparve una coltre di pulviscolo nerastro. Essa sembrava formata dallo stesso fumo il quale, esalato dal Sottosopra, aveva dato vita alle nubi oscure che sovrastavano Hawkins. La cortina si spostava con movimenti sinuosi e precisi come se fosse stata dotata di una volontà propria e andò a coprire ogni anfratto del bosco. Il luogo mutò e Will si ritrovò a bordo di un furgoncino della catena di pizzerie Surfer Boy Pizza il quale attraversava a velocità sostenuta il deserto del Nevada. Jonathan era alla guida alla testa del veicolo, mentre seduti davanti a sé nel lato posteriore Will vide se stesso e Mike. Will riconobbe che quello era un evento già accaduto.

   Will rivide la scena svolgersi nel presente. Il suo alter ego prese un rotolo di carta marrone e lo porse a Mike. Questi lo prese e lo aprì, rivelando un disegno che Will aveva realizzato. In esso, Mike indossava un’armatura da cavaliere e portava uno scudo recante lo stemma di un cuore sormontato da una corona. La spada sollevata, Mike guidava la carica contro un drago rosso a tre teste, mentre Will lo seguiva da dietro brandendo il suo bastone da mago, pronto a lanciare un incantesimo su ordine di Mike. Quest’ultimo, strabiliato dalla bellezza del dipinto, esclamò:

   «È fantastico. Lo hai fatto tu?»

   Il Will del passato, lievemente arrossito per il complimento ricevuto, rispose: «Sì. Voglio dire,» si corresse, «mi ha chiesto di disegnarlo El. Praticamente me lo ha commissionato. Mi ha indicato lei cosa inserire.»

   Will mentiva. Aveva pensato lui quel dipinto e tutto quello che rappresentava. Eleven aveva visto più volte Will al lavoro sul foglio, ma non sapeva cosa lui vi stesse raffigurando.

   «Vedi come comandi la carica?» disse Will a Mike parlando in fretta, nel tentativo di coprire la sua bugia spostando l’attenzione dell’amico. «Ci stai guidando. Ci stai ispirando. È quello che fai. Vedi il tuo scudo? Ha un cuore. So che è un simbolismo un po’ sentimentale, ma è questo quello che tiene unito il nostro gruppo. Il cuore. Perché, senza il cuore, non sapremmo andare avanti. Anche El. Soprattutto El.»

   Detto questo, il secondo Will tacque per un momento. Sembrava assorto nei suoi pensieri, come se stesse decidendo se continuare a parlare. Poi riprese: «Negli ultimi mesi, da quando io e lei ci siamo trasferiti in California, El si è sentita persa senza di te. Lei è,» Will fece un’altra pausa per trovare la parola giusta e quando la trovò aggiunse, una smorfia di dolore sul viso, «diversa dalle altre persone. E essere diversi è davvero spaventoso. Quando sei diverso, a volte senti di essere un errore.» Will esitò di nuovo. «Ma tu non la fai sentire così. Le fai sentire che la sua diversità la rende migliore. E questo le dà il coraggio di continuare a combattere.»

   «Se ti sembra che El ti respinga,» proseguì il secondo Will, «lo fa perché ha paura di perderti. E se proprio dovesse perderti, preferirebbe che l’addio fosse veloce, come staccarsi un cerotto. Perché perderti fa male, fa troppo male,” disse Will con un singhiozzo. «El ha bisogno di te, Mike. Avrà sempre bisogno di te.»

   «Lo credi davvero?» gli domandò l’amico.

   «So che è così,» gli rispose Will.

   Mike, visibilmente sollevato, gli sorrise e tornò a osservare il disegno. Will gli sorrise di rimando, ma poi voltò il viso a destra, dove Mike non poteva vederlo. Nascosto alla vista del compagno, Will lasciò scorrere lo sguardo sul deserto che sfrecciava oltre il vetro del veicolo. Poi scoppiò a piangere.

   Il Will del presente comprendeva bene il significato delle sue azioni. Aveva finto di parlare dei sentimenti di Eleven, ma in realtà si riferiva a ciò che provava egli stesso. Era lui a pensarsi diverso e un errore perché innamorato di Mike, era lui che si sentiva speciale perché l’amore per Mike lo redimeva, era lui spaventato di perdere Mike. Si era riferito a Eleven perché lei era una ragazza e dunque il suo amore per Mike era giusto. Will si era nascosto dietro a Eleven per due motivi contraddittori: da un lato voleva dichiararsi indirettamente a Mike nella speranza, taciuta perfino a se stesso, che Mike capisse e lo ricambiasse; dall’altro, riferendosi a El voleva che Mike non si rendesse conto dei suoi sentimenti e che lui rimanesse con Eleven in un gesto che Will avrebbe percepito come un rifiuto. In questo modo Will desiderava che il suo amore per Mike scomparisse, proprio come se si fosse tolto il cerotto di cui aveva parlato. Ma non successe questo. L’amore che provava per Mike non sparì. Al contrario, esso si rafforzò.

   Queste erano le emozioni che Will aveva vissuto durante la sua dichiarazione indiretta, ma ora che aveva assistito a quel dialogo da spettatore aveva riconsiderato le sue azioni sotto una nuova prospettiva. Da una parte si crogiolò in una felicità dolceamara: mascherando i suoi sentimenti per quelli di Eleven, pensava di essersi comportato rettamente perché aveva rinforzato una relazione tra un ragazzo e una ragazza e aveva rispettato i sentimenti di entrambi. D’altra parte, tuttavia, Will si sentì a disagio. Non lo avrebbe ammesso nemmeno a se stesso, ma si sentì un codardo nel celare il suo innamoramento. In un angolo segreto della sua anima, trovava sbagliato sacrificare la sua felicità mettendo al primo posto gli altri.

   Inaspettata, la voce del suo amor proprio gli disse: «lotta per quello a cui tieni. Fatti avanti. Hai diritto di essere amato. Dichiarati a Mike e lascia che sia lui a decidere: se sceglierà te non dovrai sentirti in colpa, avrà stabilito lui che stare con te valeva per lui di più che stare con Eleven. E se le cose andranno così, sarà meglio anche per Eleven. Lei merita qualcuno che la metta al primo posto, e se Mike non prova ciò sarà meglio se si lasciano. Non tradirai nessuno, Will. Mettiti in gioco e quale sarà la decisione che voi prenderete rispetterà il volere di tutti. Ma non sacrificare te stesso.» Will sentì questo moto del suo spirito, ma non gli diede ascolto. Mosso dalla sua moralità intransigente, giudicò egoistico questo desiderio e tentò di sopprimerlo.

   Will si riscosse dai suoi pensieri quando notò che la nebbia di pulviscolo nero era comparsa e il luogo era mutato di nuovo. Adesso Will si trovava nella sala dove lui, Mike e Jonathan avevano allestito alla bell’e meglio una vasca da cui Eleven si era proiettata con i suoi poteri psichici nella dimensione ombra, una zona a metà tra la Terra e il Sottosopra, e da qui aveva attaccato Vecna. Come il dialogo che Will aveva tenuto con Mike, anche questo evento era già accaduto e Will lo vide svolgersi davanti a sé.

   Eleven ingaggiò con il nemico una lotta furiosa. Tuttavia, cominciò ben presto ad apparire sofferente, annaspando come se fosse stata sul punto di annegare, il che lasciava sospettare che stesse perdendo la battaglia. Will, Mike e Jonathan la osservavano al colmo della frustrazione dovuta al fatto che, siccome Eleven aveva ingaggiato un combattimento a distanza, i tre ragazzi non potevano vedere cosa stesse succedendo di preciso. Quando Eleven sembrò sul punto di soccombere, Mike tirò la ragazza fuori dall’acqua e la posò su un tavolo vicino alla vasca, sdraiandovela come se si fosse trattato del tavolo operatorio di una sala chirurgica. Fu Will che sgombrò in fretta il piano per fare spazio a Eleven.

   Per supportare Eleven, Mike tentò di ristabilire con lei una connessione:

   «El, El. Mi senti? El, El!»

   Eleven tossì come se stesse per soffocare. Mike esitò per un momento, come se si fosse arreso. Will gli poggiò una mano sulla spalla dicendogli:

   «Non fermarti. Sei il cuore. Ricorda: tu sei il cuore» gli disse riprendendo le parole con cui gli aveva detto che Eleven avrebbe avuto bisogno di tutto il suo sostegno. Mike, che si era voltato in direzione di Will, riportò l’attenzione su Eleven.

   «El, voglio che tu sappia che sono qui. Sono qui,» le disse per poi esitare un istante. Dopodiché riprese: «Ti amo. Mi senti? Ti amo.»

   Sia il Will del passato che il Will del presente contrassero il viso in una smorfia di dolore nel sentire queste parole.

   «Mi dispiace,» Mike continuò a dire, «se non te lo dico più spesso. È che non mi sono mai sentito così. Mai. E ho paura che un giorno ti accorgerai che non hai più bisogno di me. Ho paura che se te lo dico soffrirò di più quando arriverà quel giorno.»

   Il secondo Will si protese su Mike, gli occhi lucidi.

   «Ma, El, la verità è che non so vivere senza di te. La mia vita è cominciata il giorno che ti ho incontrato. So che ti ho amato da allora, tutti i giorni, sia i buoni che i cattivi. Ti amo con i tuoi poteri, ti amo senza i tuoi poteri. Ti amo esattamente per quello che sei. Sei la mia supereroina e non voglio perderti. Quindi, ti prego, combatti. Devi combattere. Combatti.»

   Non appena Mike ebbe finito di parlare, il respiro di Eleven tornò regolare e le luci nella stanza lampeggiarono, segno che i suoi poteri si stavano riattivando e che la ragazza stava per affrontare Vecna al massimo della sua forza.

   La scena che Will riviveva si stava svolgendo così come era avvenuta, ma poi successe qualcosa di strano. D’improvviso, il Will del passato si voltò di spalle verso il Will del presente e fissò uno sguardo ardente sugli occhi di lui. Il primo Will sussultò facendo un passo indietro. L’altro ansimò pesantemente come una belva assetata di sangue e si slanciò su Will. Preso alla sprovvista, questi cercò di difendersi all’ultimo secondo sollevando le braccia a protezione del viso, ma il suo doppio lo afferrò per i polsi e lo spinse contro il muro dietro di lui, immobilizzandolo contro la parete.

   «Hai visto cosa hai fatto?» gli chiese l’alter ego. «Mike si è avvicinato a Eleven usando le tue parole. ‘Tu sei il cuore,’ eh?» disse l’aggressore in tono canzonatorio. «Tu tieni unito il gruppo? Be’, di sicuro si è riunito a El.» La voce del secondo Will si spezzò.

   «Perché lo hai spronato a parlare con El? Mike stava cedendo. Si stava arrendendo. Se non ti fossi intromesso, Mike sarebbe rimasto in silenzio. Non le avrebbe detto ‘ti amo.’ Invece l’ha fatto. Ha dichiarato il suo amore per El più volte, davanti a noi, che lo amiamo più di quanto lui ami Eleven e più di quanto lei ami lui. È colpa tua. Perché lo hai allontanato spingendolo verso Eleven?»

   Il Will del presente capiva bene cosa provava il suo alter ego. Diamine, sentiva le stesse cose.

   «Se non fossi intervenuto, Mike non avrebbe sostenuto Eleven e lei non avrebbe ritrovato la volontà di battersi. Forse sarebbe morta.»

   «Non me ne frega niente,» urlò il Will del passato avvicinando minacciosamente il viso contro quello dell’altro se stesso. Il Will del presente impallidì davanti alla collera cieca che si impadronì del suo alter ego.

   «Non me ne frega niente,» ripeté l’altro gridando.

   «Se El muore, Mike imparerà ad amare noi. So che lo farà.»

   Mentre prima il Will del presente aveva provato compassione per lo strazio del suo doppio, ora si sentì disgustato per il suo egoismo.

   «Preferisco che sia io a soffrire piuttosto che ferire i miei amici.»

   Il Will del passato lo scrutò con uno sguardo carico di puro odio. La coltre ritornò sulla scena e coprì la camera e gli alter ego di Will, Mike, Jonathan e Eleven. Quando il fumo si diradò, Will si ritrovò immobilizzato per i polsi da dei viticci nerastri, la schiena piantata contro una porta in legno che aveva al centro un rettangolo in vetro con il disegno di una rosa rossa. Ancora confuso dal repentino trasferimento, Will si guardò intorno. Alla sua destra vide una colonna alla quale erano legati, tramite gli stessi rampicanti che gli avvolgevano i polsi, i resti di una bambina. A sinistra notò una seconda colonna alla quale era avvolto tra spire di viticci il corpo di una donna. Più in lontananza, Will scorse un pezzo di muro con una finestra dal vetro rotto dal quale pendeva, inerme, il cadavere di Max. Sconvolto, Will chiamò debolmente il nome della ragazza, ma invano. Questa era morta per un breve periodo prima che Eleven la riportasse in vita, un lasso di tempo sufficiente però affinché Vecna ne convogliasse lo spirito vitale per aprire il quarto e ultimo solco nel terreno e facesse di lei un sostegno per il suo dominio.

   Alcuni lunghi istanti dopo, lo stesso Vecna comparve in lontananza. Questi arrivò camminando lungo il sentiero di terra battuta che conduceva alla sua base, la casa diroccata in cui si trovavano Will e le altre sue vittime. Vecna procedeva a passi calcolati ma ieratici, una lentezza volta a incutere timore nelle persone di volta in volta imprigionate nella sua dimora ultraterrena nel Sottosopra. Quando Vecna si fece più vicino, Will sentì un ruggito basso e gorgogliante e studiò il suo aspetto. Non più umano, Vecna aveva un teschio come viso e il suo corpo appariva di un rosso pulsante, come quello di un essere bruciato vivo. Intorno al collo, egli era ricoperto da viticci rossi simili a grotteschi vasi sanguigni che si contraevano con dei movimenti ritmici come se stessero pompando in lui delle sostanze vitali sconosciute. Nonostante l’aspetto orripilante, Will sostenne lo sguardo di Vecna fino a quando il suo nemico non giunse davanti a lui.

   Vecna scrutò brevemente Will e poi disse, pronunciando le parole in un sussurro gutturale:

   «Sei coraggioso, Will. Non hai esitato a cercare Mike anche quando avevi capito che ti stavo tendendo una trappola. Hai agito come quando ti ho portato qui per terraformare questo mondo spoglio e come quando ti ho inviato il Mind Flayer a possederti e fare di te la mia spia sulla Terra. Riconosco il tuo valore.»

   «Non so che farmene della tua approvazione,» rispose Will. Ora che si trovava di fronte a Vecna, il ragazzo non provava timore ma una rabbia sorda covata negli anni in cui Vecna lo aveva tormentato per piegarlo al suo volere.

   Malgrado Will avesse rifiutato il suo complimento, Vecna inchinò la testa su un lato e sorrise divertito.

   «Siamo uguali io e te, Will. La gente ci chiama diversi, devianti. Io direi piuttosto incompresi ed emarginati. Abbiamo un grande potenziale, ma i mediocri hanno paura del cambiamento che apporteremo al mondo. Quindi ci relegano in un angolo, in uno stanzino, cercano di farci desistere dal portare a compimento la nostra rivoluzione. Ma ritardano solo l’inevitabile. Li schiacceremo e trionferemo.»

   «Ho un’ambizione, Will,» continuò Vecna. Il mostro parlava dedicando una concentrazione assoluta a ogni parola che pronunciava e su ogni periodo che articolava, come se vedesse davanti a sé la realtà che voleva descrivere e solo dopo aver avuto la certezza che quanto voleva esprimere si accordasse con tale visione, parlava. Se non fosse stato un mago oscuro che sacrificava la vita di innocenti per potenziare le sue arti occulte e assoggettare l’umanità, se fosse stato uno spirito caritatevole dedito a servire la comunità, starlo ad ascoltare e condividere il suo sogno sarebbe stata una benedizione; ma le cose stavano diversamente.

   «Ho un’ambizione, Will,» ripeté Vecna con il suo magnetico carisma. «Voglio spazzare via la mediocrità e riformare il mondo a mia immagine e somiglianza. E voglio che tu sia al mio fianco, che mi aiuti a rendere la mia visione realtà.»

   «Se cerco il tuo supporto, è perché so che tu mi capisci. Anche tu sei emarginato. Emarginato da menti piccole che non accettano che tu possa amare un altro ragazzo. Quelle persone sono state allevate dalle classi dirigenti per far sì che si riproducano in modo tale che politici e industriali abbiano più abitanti possibili che spendano e lavorino. Come risultato, gli esseri umani obbediscono in maniera talmente miope all’insegnamento ricevuto da temere che se altri vivano diversamente la loro vita questo sveli loro che delle alternative erano possibili, ma non le hanno colte. Così opprimono gli altri per nascondere il vuoto della loro esistenza.»

   «Questo non riguarda solo i bigotti abitanti di Hawkins: parlo anche dei tuoi cosiddetti ‘amici,’» Vecna si soffermò su questa parola pronunciandola con scherno, «affermano di volerti bene ma non si curano di capire i tuoi sentimenti. Al contrario, ti costringono a guardare mentre il ragazzo che ami bacia un’altra. Ti sembra affetto, questo? Negano la tua felicità come fanno tutti gli altri. Nel loro caso il tradimento è anche peggiore, perché dichiarano di averti a cuore.»

   «Voglio proporti un patto, Will. Unisciti a me. Ribellati. Come io voglio riformare il mondo, voglio dare a te la stessa occasione. Aiutami a condurre il mio esercito sulla Terra e in cambio ti conferirò il potere necessario perché tu possa governare su Hawkins. Avrai il dominio assoluto sulla cittadina e con un solo gesto, con una sola imposizione della tua volontà, tu potrai modificare la geografia del luogo e il comportamento dei suoi abitanti a tuo piacimento. In particolare, ti offro la possibilità di usare i tuoi poteri per farti amare dal tuo adorato Michael Wheeler.»

   Vecna non fece in tempo a finire di pronunciare il nome di Mike che Will gli sputò. Vecna spostò la testa per evitare il grumo di saliva e, quando si voltò di nuovo verso Will con un movimento lento e calmo, sul viso aveva un’espressione profondamente delusa.

   «Vuoi solo manipolarmi per arrivare a Eleven» ribatté Will adirato, «vuoi che io allontani Mike in modo da indebolire Eleven e speri così di poterla sconfiggere. Non lo farò mai. Credi davvero che tradirei la mia amica? Se sei stato nei miei pensieri, se hai letto nella mia mente, sai che non lo farò mai. E non mi imporrò mai su Mike usando dei poteri per costringerlo a stare con me. Quello che mi proponi è il contrario dell’amore, e la tua proposta non la accetterò mai.»

   Vecna scosse la testa incredulo con un’espressione di disgusto che si faceva via via più mesta ad ogni parola che Will pronunciava.

   «Non mi lasci altra scelta,» disse Vecna troneggiando su Will in tutta la sua estrema altezza.

   Vecna aprì una mano ad artiglio, formata dagli stessi rampicanti che si intrecciavano sul resto del suo corpo, e la pose sul capo di Will come se una tarantola avesse spalancato le sue zampe sopra la preda che si preparava a inghiottire.

   Will, convinto di stare per morire, pianse alcune lacrime silenziose che scorsero sulle sue guance.

   «Sta’ fermo, Will. Tra poco sarà tutto finito. Non ti ucciderò: ho in mente un altro impiego per te.»

   Al contatto con la pelle di Vecna, Will si ritrovò proiettato in un’area completamente nera, dove non esisteva un sopra né un sotto né una destra né una sinistra né un nord né un sud. A giudicare dalle descrizioni di Eleven, doveva trattarsi della zona d’ombra. La coltre di pulviscolo apparve dal nulla e danzò ad alcuni metri da Will, materializzando davanti a lui due sue copie. La prima aveva sul viso un’espressione arcigna e teneva tra le mani un frustino che brandiva contro il secondo se stesso. Questo era legato con delle spesse manette di ferro ai polsi da cui partiva una catena assicurata a terra. Il secondo alter ego scrutava il primo con un’espressione frustrata, come di chi volesse attaccare il suo aguzzino ma non potesse farlo. I suoi doppi, capì istintivamente Will, interagivano in un rapporto di ammaestratore e animale. Inoltre, il primo rappresentava la parte più razionale di Will, la sua coscienza che lo spronava a non intromettersi tra Mike e Eleven per non ferire i suoi amici e che prima lo aveva spinto a rifiutare l’offerta di Vecna per non costringere Mike in una relazione che l’altro, se avesse potuto decidere liberamente, forse non avrebbe voluto. In circostanze normali, la coscienza teneva il comando nel guidare Will, il che si notava nel simbolismo creato dalla cortina dal fatto che ella deteneva il ruolo di ammaestratore. Di contro, la copia animale incarnava l’egoismo di Will e desiderava persuaderlo ad anteporre il suo amore per Mike a ogni considerazione circa il rispetto per Eleven e il compagno. In una situazione ordinaria, questo moto del suo spirito si palesava come una tenue voce che la coscienza di Will teneva sotto controllo, da qui l’immagine della bestia ammansita.

   Di nuovo avvenne qualcosa di strano. Dalla catena che teneva fermo il Will animale crebbero dei viticci simili a quelli che avviluppavano il corpo di Vecna. Essi si attorcigliarono sulla catena e le manette fino a raggiungere il doppio bestiale di Will. Il suo sé ammaestratore si allarmò e vibrò alcuni colpi di frusta ai rampicanti, ma senza sortire alcun effetto: questi continuarono a salire lungo il ferro sino a raggiungere le braccia di Will belva. Questi rivolse all’ammaestratore un sorriso sornione, come di chi sapeva che questo momento sarebbe arrivato. Le piante giunsero alla base del collo del Will animalesco, la stessa parte del corpo in cui esse penetravano in Vecna, e penetrarono nel corpo dell’alter ego bestiale. I viticci si contrassero ritmicamente pompando qualcosa nel corpo di Will belva.

   Il vero Will e il Will animalesco furono attraversati da uno spasmo. Il doppio bestiale si gonfiò, gli occhi iniettati di sangue, strattonò con forza disumana le manette fino a farle saltare. Il Will ammaestratore tentò disperatamente di fermare l’animale colpendolo ripetutamente con la frusta, ma senza successo. Il Will belva non si curò di schivare o bloccare gli attacchi, che invece vibrarono sulla sua pelle lasciandolo però del tutto indifferente. Una volta che fu libero, il Will bestiale spostò lo sguardo sull’ammaestratore. Gli saltò addosso e lo morse sulla giugulare, che si aprì in un getto di sangue. Il Will ammaestratore cadde morto in una questione di secondi. Il Will animale aspettò che sotto il cadavere del nemico si formasse una pozza di sangue e dunque, con estrema calma, ne bevve qualche sorso. Infine, sollevò la testa con una luce di soddisfazione che gli brillava negli occhi. Repentinamente come aveva attaccato l’ammaestratore, il doppione si lanciò contro Will. Quest’ultimo sollevò le braccia coprendosi il viso, ma non fu necessario: quando lo raggiunse, il Will bestiale lo attraversò tramutandosi in una nube di fumo.

   Nella testa di Will il continuo vociare del suo conflitto interiore, guidato dalla sua coscienza, cessò di colpo. Si sentì incredibilmente sollevato e chiuse gli occhi beatamente lasciando scivolare le braccia lungo i fianchi.

 

   Will sentì la voce di Mike bisbigliare qualcosa. Aprì lentamente gli occhi. Non si trovava più nella dimensione ombra, ma davanti a sé scorgeva le nuvole nere che si erano addensate sopra la radura di Hawkins. Sentendosi leggero, si rese conto che stava fluttuando in aria con il viso rivolto al cielo, la posa che le vittime di Vecna assumevano quando erano prigioniere delle visioni ordite dal mago oscuro.

   Dal terreno sotto di sé, Will udì Mike intonare i versi di una canzone:

 

   Darling, you got to let me know

   Should I stay or should I go?

   If you say that you are mine

   I’ll be here ‘till the end of time

   So you got to let me know

   Should I stay or should I go?

 

   D’improvviso Will sentì la forza di gravità premere su di lui e cadde a terra. Mike, Joyce, Jonathan, Nancy e Hopper si avvicinarono a Will per assicurarsi che stesse bene. Mike lo sostenne poggiandogli una mano sulla schiena e avvicinò la testa per accertarsi che Will respirasse. Una volta notato che l’amico inspirava ed espirava regolarmente, Mike si rivolse agli altri, che si erano riuniti apprensivi intorno a loro due, dicendo eccitato:

   «Sta bene. Respira e non ha le braccia o le gambe rotte, né gli occhi feriti. La canzone deve aver funzionato e Will deve essere scappato prima che Vecna gli facesse del male.» Mike osservò emozionato le espressioni degli altri farsi più serene. Poi domandò a Will:

   «Will, mi senti? Stai bene, sai dove sei? Ti aiuto ad alzarti» così dicendo, lo aiutò a mettersi in piedi tenendogli un braccio dietro le spalle.

   Will, che dopo un attimo di confusione si era ripreso, provò uno slancio d’affetto per Mike che gli aveva cantato una delle sue canzoni preferite per aiutarlo a sfuggire dal Sottosopra – sebbene Will sapesse che fu Vecna a lasciarlo andare – e ora sembrava genuinamente felice di vederlo sano e salvo. Così gli sussurrò: «Grazie» con le labbra increspate in un raggiante sorriso.

   «Te la senti di dirci cos’è successo? Eleven ha cercato di raggiungerti nella dimensione ombra, ma non ti ha trovato» mentre spiegava questo, Mike fece un cenno con la testa in direzione di Eleven, che era rimasta più a distanza da Will rispetto agli altri, restando più in basso lungo il pendio che conduceva al centro della radura.

   Interpellata, Eleven disse: «Ho provato a fare come con Max e ho cercato di entrare nello spazio mentale di Vecna seguendo la tua traccia, ma non ci sono riuscita. All’inizio ho trovato solo una distesa nera. Poi credo di averti visto, in lontananza, litigare con qualcuno, ma dopo sei sparito, come in una nuvola di fumo» spiegò Eleven riassumendo a cosa aveva assistito più per fare mente locale che per metterne al corrente Will. Non riuscendo a trovare una spiegazione a quanto accaduto, chiese a Will: «Ricordi cos’è successo? Te la senti di parlarne?»

   Mentre si rivolgeva a Will, Eleven cominciò a risalire la china del piccolo avvallamento nella radura per avvicinarsi a lui. Ciò nonostante, ella muoveva ogni passo in maniera lenta ed esitante, come se l’istinto le dicesse di tenersi alla larga da Will e le costasse una grande fatica vincere questo silenzioso impulso per camminare verso il ragazzo. Quando infine si trovò a pochi passi da lui e Mike, Eleven tese una mano per prendere quella di Will e rassicurarlo che tutto andava bene.

   Non appena fece per toccarlo, la coltre di pulviscolo nero, la stessa che aveva trasformato i luoghi visitati da Will nella visione di Vecna, cominciò a ruotare intorno alla mano di Will a mo’ di difesa. La polvere sfiorò le dita di Eleven e le scagliò una breve scarica elettrica dall’aspetto simile a una delle saette cremisi che cadevano dal cielo contaminato dal Sottosopra. La ragazza, sorpresa, lanciò un gridolino di dolore e indietreggiò.

   Mike non vide la nebbia nerastra ma sentì solo Eleven gemere. Non capendo cos’era avvenuto, chiese a Eleven in tono allarmato:

   «El, ti senti bene?»

   In risposta, Will gli disse nell’orecchio, come a volergli svelare un segreto:

   «Non preoccuparti, non c’è bisogno che tu veda.»

   Mike si girò di colpo verso Will. Questi sollevò la mano destra davanti alla sua testa e gli fece scorrere l’indice e l’anulare sopra le palpebre. La cortina seguì il movimento delle dita di Will posandosi sugli occhi di Mike e il ragazzo chiuse le palpebre piombando in un sonno profondo. Will protese la mano sinistra e sostenne il corpo di Mike per evitare che cadesse a terra.

   Joyce, Jonathan, Hopper e Nancy si avvicinarono allarmati a Will. Joyce chiese al figlio: «Will, Vecna ti ha posseduto di nuovo? Cerca di resistere al suo controllo, troveremo il modo di liberarti. Ci siamo già riusciti con il Mind Flayer, troveremo una soluzione anche stavolta,» disse la donna in un tono forzatamente calmo destinato, nelle sue intenzioni, a tranquillizzare Will. Quest’ultimo ghignò sprezzante alle sue parole.

   Eleven, ripresasi dalla sorpresa, sollevò fulminea la mano destra per usare i suoi poteri mentali su Will. Tuttavia, esitò ad agire guardando prima Will e poi soffermando lo sguardo su Mike. Era evidente che temeva di fare del male a Will, con cui aveva stretto un rapporto di amicizia e che era diventato il suo fratello adottivo, e a Mike, il suo fidanzato. Eleven non voleva attaccare Will per non ferirlo e per non coinvolgere Mike in uno scontro.

   Will invece non si fece scrupoli. Sollevò la mano libera in direzione di Eleven. Dal terreno su cui si trovava la ragazza si sollevò una coltre di fumo che la avviluppò. L’aria intorno si caricò di elettricità mentre le abilità di Eleven cercavano di dissiparla con raffiche di vento. Le facoltà di Will e Eleven si combattevano frapponendo energia positiva a energia negativa, come se fossero stati i poli opposti di una batteria. Le loro abilità prendevano la forma dei due elementi complementari di un temporale: i nubi e i fulmini per Will, l’aria e il vento per Eleven.

   Le particelle della nebbia di Will si caricarono e generarono delle piccole saette che colpirono ripetutamente Eleven. Questa gemette, ma sollevò la mano per attaccare Will. Lanciò un colpo che somigliava a un muro d’aria che caricava contro il nemico. L’attacco era sufficiente a scagliare a terra Will senza ferire gravemente né lui né Mike, ma quando il muro trasparente si trovò a pochi metri da Will questi generò un attacco eguale sotto forma di muro d’elettricità diretto dalla parte opposta. I due attacchi si scontrarono annullandosi a vicenda.

   Eleven tentò di generare un altro colpo, ma senza riuscirci. Per un istante, sembrò che la ragazza avesse perduto le sue abilità. Ciò accadde perché Eleven aveva appreso come attingere dai suoi sentimenti positivi, i quali erano collegati in larga parte a Mike, e fu proprio grazie al suo supporto se Eleven era riuscita a sconfiggere momentaneamente Vecna. Ma stavolta la ragazza non riuscì a concentrarsi. Sapere Mike in pericolo le impediva di combattere e le forze la abbandonarono.

   Will ne approfittò per scagliare contro Eleven altri fulmini. Questi colpirono la ragazza ferendola e facendole provare violenti spasmi che la fecero sussultare finché non cadde a terra priva di sensi. Spietato, Will contrasse i muscoli della mano destra per generare un’onda d’urto sufficientemente potente a toglierle la vita. Dalla sua mano protesa partì un colpo così forte da somigliare a un muro composto di elettricità crepitante, più letale del primo. Tuttavia, quando questo arrivò davanti a Eleven i poteri di lei si attivarono seguendo la loro stessa volontà e, sebbene la loro proprietaria fosse svenuta, crearono uno spostamento d’aria che deviò il muro in alto e lo fecero disperdere nel cielo.

   Will gemette di frustrazione. Intendeva sbarazzarsi di Eleven per non avere una potenziale rivale nel mondo che avrebbe creato di lì a poco per sé e Mike. Il ragazzo capì che, come prima era riuscito ad annullare il colpo di Eleven poiché il suo potere era il negativo di quello di lei, le facoltà di Eleven funzionavano allo stesso modo, rendendola in grado di proteggersi. Probabilmente, si disse Will, i fulmini d’energia riuscivano invece a fare breccia nella sua difesa perché si trattava di attacchi rapidi che non lasciavano alle facoltà di lei il tempo di ergersi a mo’ di scudo. Sebbene questo rappresentasse un vantaggio per Will, le saette non gli permettevano di ucciderla, al massimo di ferirla e farle perdere i sensi. Will cambiò dunque strategia e decise per il momento di lasciarla in vita rimandando a dopo il progetto di eliminarla. Per adesso, agitò il braccio ordinando alla coltre di inglobare Eleven. Il pulviscolo la circondò come in un bozzolo sollevandola a mezz’aria.

   Hopper e Nancy impugnarono le pistole puntandole contro Will. Tuttavia, non spararono per non ferirlo ed evitare di colpire Mike. Joyce e Jonathan si frapposero tra loro e Will dicendo: «Fermatevi, è posseduto.»

   Will sorrise divertito nell’assistere alla devozione della madre e del fratello. Con un gesto della mano fece cadere le pistole a Hopper e Nancy e disse, sibillino: «Non preoccupatevi, tra poco tutto questo sarà come se non fosse mai avvenuto.»

   Will accarezzò teneramente il viso addormentato di Mike e ne sorresse il corpo con entrambe le braccia. Dopodiché si erse in cielo insieme a lui e da lì si guardò intorno abbracciando con lo sguardo l’intera Hawkins. Obbedendo alla volontà del suo padrone, la nebbia di pulviscolo nero ricoprì la radura e espandendosi avvolse la cittadina e tutti i suoi abitanti.

 

   Note dell’autore: Ciao a tutti/e e grazie per aver letto fin qui. Immagino che non sia stata un’impresa facile perché, come al mio solito, ho scelto un approccio molto razionale, quasi saggistico, nel trattare la storia che voglio raccontare e questo rende la narrazione spesso complicata. Spero in compenso di averla resa fluida e scorrevole abbastanza da confezionare una lettura avvincente.

   Prima di chiudere il primo capitolo, volevo dedicare due parole a spiegare da dove nasce questo mio racconto. Direi che l’ispirazione mi è venuta da una certa ambivalenza che provo verso la rappresentazione dell’omosessualità di Will.

   Da un lato, amo visceralmente il personaggio. Mi ritrovo tantissimo nel suo sentirsi isolato e incompreso e nel suo rifugiarsi nella nicchia che sia gli altri sia lui stesso si crea per sé. Apprezzo molto come, da un punto di vista narrativo, i fratelli Duffers abbiano reso la sua omosessualità un percorso di comprensione di sé mostrato allo spettatore nella sua gradualità, invece di un dato di fatto che il personaggio elabora fuori dello schermo. Quello che personalmente considero un altro successo della scrittura dei Duffers è il fatto che Will ama Mike per un bisogno di un sostegno emotivo e questa stessa dinamica si ritrova tra Mike e Eleven, dove, ancora, Eleven e Will si presentano come opposti ma complementari, due facce della stessa medaglia, la prima supereroe, il secondo contaminato suo malgrado da Vecna e dal Sottosopra. Il parallelismo che sussiste tra Byler e Mileven è secondo me interessantissimo. Infine, mi piace come la queerness di Will si colleghi alla trattazione più generale del freak secondo la cultura americana.

   D’altro lato, però, da spettatore provo anche una certa insofferenza. Mi addolora vedere Will essere l’ennesimo personaggio queer che si sacrifica mettendo i bisogni degli altri davanti ai suoi. Mi fa arrabbiare vederlo soffrire nell’angoletto in cui si autoesilia. Dati questi tratti, Will mi sembra incarnare lo stereotipo del personaggio gay il quale è vittima di tutto e di tutti, che non può fare altro se non accettare la sua emarginazione e contribuire a renderla ancora più grande, magari sacrificandosi nel finale per il bene comune. Anche qui c’è da dire che i Duffers presentano l’arco narrativo di Will in maniera molto positiva ed empatica, ma ciò non toglie che Will rimanga, almeno fino alla S4, il personaggio queer incompreso e vittima.

   Personalmente provo una forte insoddisfazione per questo stereotipo, dunque ho scritto la storia per cercare, nel mio piccolo, di eliminarlo e, se possibile, addirittura sovvertirlo. Per fare questo, ho espresso la mia gay rage inserendola nella vicenda sotto forma di voce interiore che sprona Will a lottare per essere visto e amato. Il risultato potrà sembrare out of character, ma sento il bisogno di vedere più personaggi queer battersi per la propria felicità, anche a costo di passare dalla parte del villain.

   Certo, quello di Will sarà un percorso problematico. Scegliere di usare dei poteri e imporre quella che è senza troppi giri di parole un’imposizione su Mike è moralmente sbagliato. Questo è un argomento che qui ho soltanto accennato, ma vorrei approfondirlo di più nei prossimi capitoli in cui mostrerò la Hawkins riformata da Will. Spero che mi accompagnerete in questo viaggio.

   
 
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