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Autore: Capo Rouge    02/09/2022    34 recensioni
Dialogo semiserio in un pomeriggio qualunque, sul finire dell'estate, quando si tirano le somme e si sommano gl'indizi, quasi mai gravi e concordanti.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Oscar François de Jarjayes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Breve storia
Breve storia (triste?)
“Ah, sei tu…che è successo?”.
“Niente”.
“Come niente, hai una faccia?! Dai entra!”.

“Accomodati. Vuoi un bicchiere di bianco? E' bello fresco!”.
“No, non voglio bere!”.
“Sta bene…”.
“E' per la mia faccia o perché t’ho detto che non voglio bere? Tanto non servirebbe”.
“Calmati! Lo dico sempre anch’io che bere non serve, ma ogni tanto non guasta”.
“Fa’ attenzione con questa cosa del vino. Poi i ragazzini prendono a fare come te, e il vino mica lo reggono tutti come te e quell’altro!”.

“Dai, che è accaduto?”.
“Niente”.
“Niente…ossia…niente di vecchio ma di nuovo?”.

Silenzio…

“Racconta dai, non è possibile che vada sempre a finire così, o te le vai sempre a cercare oppure...”.
“Che non mi faccia mai i cazzi miei? E ci ho provato…”.
“Non sai spiegarti allora, lo rammento anche quando eri più piccola alle parole preferivi i disegni!”.
“E credi che non lo sappia?” – occhi strabuzzati e stralunati – “Mica succede solo là dentro. Pure fuori…faccio confusione alle volte e se sbaglio…roba da inquisizione!”.
“Insomma! Se è accaduto di nuovo…e se è per colpa mia?”.
“E’ sempre colpa tua! Che credi? Ma nessuno ci fa niente, io meno di tutti. Scrivo di te…mi va bene così!”.
“Allora…”

La mano allungata a tendere un foglio – “Siccome dici che non so parlare e ogni volta che parlo vengo fraintesa, stavolta ho scritto”.
“See…guarda che se non sai parlare, non sai neppure scrivere! Ci fai poco con un pezzo di carta!”.
“E’ per far prima. Quando ho chiesto di vederci, mi hai detto che non avevi molto tempo, che dopo l’avresti incontrato. E chi sono io per sottrarre tempo a voi due?”.
“Scema…ecco che sei!”.

La mano afferrò il foglio. Gli occhi lessero e poi si sollevarono in segno di sconforto e di stizza.

“Senti se ti va di leggere bene! Non sei obbligata a farlo. Nessuno lo è, ma allora non c’è bisogno di fare facce strane se c’è qualcosa che non ti piace. Se neppure leggi come fai a sapere se qualcosa ti piace o no!! Facevo da me…”.
“No, va bene…dicevo solo che mi pare tutto un po’ troppo melodrammatico…già il titolo poi! Chi vuoi che ti prenda sul serio?! Ormai questa carta te la sei giocata da un pezzo!”.
“Sì ma è da un pezzo che va avanti questa storia, dunque…”.
“Va bene…non ti agitare che ti sale la pressione!”.
“E vuoi mai, ce l’ho sempre avuta bassa, mi sa che quel bicchiere adesso mi farebbe comodo!”.

Breve storia (triste?)
1- Prima premessa: non sono una scrittrice, anche se scrivo e pubblico storie su questo sito e su altri.
Velleità di approdare sulla carta stampata non ne ho, nemmeno di saper interpretare al meglio i personaggi di questo fandom, come di altri. E’ anche possibile che, non avendo io alcuna preparazione tecnica, né specifici studi universitari, né corsi di scrittura alle spalle, nulla di nulla insomma, se non la voglia di leggere - purtroppo solo grazie all’unica sorprendente fonte di luce, quale è il sole, perché con la luce artificiale ormai la fatica è immensa e troppo estrema - la mia sintassi non sia sempre chiara. Ce la metto tutta proprio per evitare equivoci o fraintendimenti.

2 – Seconda premessa: esiste l’amicizia?
Certo che sì, fuori dal fandom e pure dentro, anzi, spesso legami che nascono dentro il fandom imparano a vivere anche fuori, meno spesso il contrario ma può accadere.
Per amicizia si scalano le montagne, ci si trova a bere un buon bicchiere di vino (se si è almeno maggiorenni e non si rischia di finire in coma etilico al PS dopo tre shottini oppure con la cirrosi a quarant’anni), si ascoltano i guai altrui senza pretesa di risolverli, e senza la pretesa che gli altri risolvano i propri e infine, per via dell’amicizia più o meno virtuale che nasce dentro un fandom di scrittura, si lasciano recensioni alle storie delle amiche, si snobbano quelle di chi amico non è (che possono ovviamente non piacere e dunque si scansano come la peste), si bollinano dei più svariati colori le storie di coloro che amici non sono e/o che infastidiscono e/o non accettano di sottostare alle regole delle varie gang del bosco o dei circoli dell’amore (ndr espressione non mia e di cui ringrazio il gentile inventore) che vanno per la maggiore.

3 – Terza premessa. Non faccio parte di alcuna gang del bosco né di alcun circolo dell’amore (esistiti da sempre per carità, non c’è nulla di male) ove si coltivano reciproci scambi di opinioni, recensioni, tagli di capelli invernali, pagelle e vaccinazioni e perché no anche “voti” – accade pure tra politica e società civile seppur per fini meno elevati - ed è certo che per un’amicizia vera (non solo virtuale) chiunque sarebbe disposto a fare di tutto, anche vendersi l’anima al diavolo, anche se, ricordo sempre a me stessa, “l’illusione è il divertimento preferito del demonio”.
Leggo praticamente nulla, non recensisco nulla tranne le storie di un autore grandioso, con cui pure si è discusso.
L’ho fatto in passato – recensire - ma quando – replico per l’ennesima volta – si voleva far passare un ceffone per gesto d’amore. Mi rifaccio alle parole di Ermal Meta: “l’amore non ti colpisce in faccia”. E mai come di questi tempi c’è bisogno di respingere la violenza, sulle donne, sui bambini, sui migranti, su tutti coloro che esprimono un’opinione scientifica e razionale, il dissenso sensato, il desiderio d’essere liberi, che non significa abusare dei propri diritti ma rispettare quelli degli altri. La violenza dunque esiste.

4 – Quarta premessa: scrivo storie nell’intento di raccontare vicende legate al periodo storico del ‘700. Periodo travagliato, di transizione, che non brillava certo per la tutela dei più deboli, delle donne, dei bambini, spesso (ma non sempre) soggetti a violenze efferate, se non addirittura morte. Scrivo storie che non vogliono solo essere “verosimili” ma il più possibile vicine alla realtà. Il bollino rosso è stato messo anche per quello.
Dunque la violenza nelle mie storie c’era, c’è (non in tutte dato che alcune hanno pure indotto commenti poco lusinghieri alla Principessa Sissi), e ci sarà ancora ma – almeno così ho sempre tentato di fare – non con l’intento di scatenare le voglie patologiche di quelli che amano la violenza fine a se stessa, di lettori che indugiano su uno stupro e sulle sue modalità ma  per  spiegare la dinamica interiore della violenza, che fa male, che va respinta e che le cicatrici che lascia vanno curate, ammansite, anche se forse non spariranno mai.
Alcuni lettori mi hanno gentilmente comunicato in privato la propria incapacità ad accettare questo lato delle mie storie. Ho apprezzato la sincerità che viene dalla loro sensibilità. Ho apprezzato perché è corretto essere sinceri fino in fondo, questo credo sia il miglior patto che può scorrere tra autore e lettore.

5 – Quinta premessa: dal mese di luglio 2022 sono comparsi recensori piuttosto critici verso l'ultima storia pubblicata, a prescindere dall’etichetta lasciata.
Il primo, lo chiamerò recensore/bot per comodità, di cui si dubita persino l’esistenza, dato che, registrato sul sito di Epf, il 7 luglio 2022, è riuscito a lasciare un commento al capitolo 28  di Pur, pubblicato il 6 luglio 2022, storia dal rating rosso, nella presunzione che in solo giorno sia riuscito a sciopparsi ben 28 capitoli. Una sola recensione e poi è scomparso, come sono solita dire, inghiottito come la materia dal buco nero.
Si accenna alla debolezza caratteriale del personaggio di Oscar, definendola “tonta” e “infantile”, dove la storia viene tacciata d’essere “un’agonia”, si presume non per l’eccessiva lunghezza, che allora si potrebbe proporre all’amministrazione di aggiungere alla dicitura “storie multicapitolo”, anche la sottosezione “storie agonia” dato che sul fandom ce n’è parecchie.
E dove molto ironicamente si contesta che di questo passo “ci vorranno due anni per tornare in Francia”.
Ho replicato – pur non dovendo un autore spiegare nulla delle proprie scelte narrative, se non ovviamente l’eventuale interpretazione dei personaggi che non gli appartengono e che dunque può variare da lettore a lettore - sul carattere di Oscar, per me verosimile nel frangente della storia.
Ho replicato sul fatto che se si parla di “tornare in Francia” forse il recensore sta leggendo la storia sbagliata o forse si confonde con storie di altri autori (magari la voracità della lettura ha generato indigestione!) che dopo la pubblicazione di Pur, hanno parimenti sfruttato l’idea originale spesa qui per la prima volta, di André che lascia la Francia per andare in America. Un’idea immaginata nel lontano 2018 (non rammento l’input da cui è spuntata in testa) e pubblicata per la prima volta su FNet nel gennaio 2020.
Prima di allora infatti (me ne ero accertata per non rischiare io stessa di plagiare spudoratamente un’idea altrui, dato che purtroppo era già accaduto in passato con le mie storie, utilizzate come un "bancomat") nessun altro autore s’era cimentato in tale scelta, ribadisco azzardata e di certo indigesta, ma a quanto pare solo per quanto riguarda quella della sottoscritta.
Le altre storie – non le ho lette tutte, né ho mai avuto il piacere di uno scambio di vedute con gli autori, quanto meno per disquisire sui reciproci progetti - che parimenti hanno seguito l’onda di questo filone hanno evidentemente avuto più fortuna della mia o forse sono semplicemente inserite nella libreria delle tante gang del bosco e pari circoli dell’amore, per cui nessuna obiezione è stata loro mossa, non tanto sulla scelta di André, che verosimilmente non può essere contestata, quando su altri aspetti, tutti quelli che invece sono presenti nelle mie storie e che dunque ben possono subire critiche del tutto “innocenti”.

6 – Sempre alla quinta premessa: in merito allo stesso capitolo 28 da altro recensore ancora viene giudicato “azzardato” il finale, con una Oscar che, invece di essere “tonta” e “infantile”, riesce a immaginare ciò che è accaduto a André nel passato, senza che nessuno gliel’abbia detto (almeno non esplicitamente). Il mio personaggio non è dotato di poteri paranormali, allora o è tonto oppure è intelligente come il più fervido degli investigatori. Ho parimenti replicato e spiegato, anche se i recensori hanno sempre l’ultima parola, entro il limite della decenza dettata dalla capacità di intendere e volere.
Rispetto la loro opinione, con il che è ampiamente possibile che la percezione di ciascuno nella lettura sia variabile e diverga alle volte in maniera sostanziale, sia che essa sia spinta dalla buona fede sia da chissà quali altre necessità di gioco delle parti.

7 – Sempre alla quinta premessa: sempre allo stesso capitolo 28 un altro recensore molto gentilmente riprende il concetto di “agonia” già usato dal recensore/bot, seppur declinato a quello del sentimento dell’amore. Una bella recensione, seppure s’intuiva la stonatura di fondo, l’accusa di difficoltà nella lettura giunta con stupore da parte di una persona che un tempo mi aveva pure suggerito di partecipare a un piccolo concorso letterario, dunque forse apprezzando doti di scrittrice, che evidentemente ora non sono più tali.
Si ritorna alla premessa numero uno: non sono una scrittrice, la mia sintassi è spesso ripetitiva e sfinente ma questo non mi era mai stato contestato dal recensore in questione.
Non c’è stato modo di intavolare alcun dialogo.

8 – Sesta premessa: giunge al capitolo numero 30 di Pur una recensione neutra, da parte dello stesso recensore che aveva già spiegato di trovare la lettura della mia storia “impegnativa”, persona conosciuta da tempo, a cui devo tutto il mio affetto e la mia riconoscenza per le chiacchiere passate quando forse la mia scrittura la capiva e l’apprezzava.
Il recensore obietta l’uso della violenza in generale sia nelle mie storie precedenti, che aveva comunque messo tra le sue preferenze, e dove, a mia memoria mai era stato obiettato nulla, sia in questa dove afferma essersi consumata l’ennesima violenza ai danni di Oscar.
Rispondo spiegando che nulla di tutto ciò è accaduto, oltretutto un’altra violenza sarebbe stata antieconomica, inutile, sovrabbondante, tale da suscitare effettivamente non solo sdegno ma pure risate.
Ribadisco di non poter negare l’uso della violenza in generale nelle mie storie (fisica e genericamente sociale) visto che si tratta di storie ambientate nel ‘700 e visto che la violenza esisteva, seppure mai inserita a casaccio o senza una finalità.
Il recensore abbozza di aver compreso male, replica, ma la recensione neutra è ancora là, dunque l’incomprensione pare essere stata chiarita ma forse il desiderio di criticare la storia non era poi così tanto legato all’uso della violenza.
E dopo aver cercato di comprendere in privato, anche in nome dell’antico affetto e della stima, senza ricevere alcuna risposta, scompaiono anche le preferenze alle storie.

9 – Settima premessa: nel contempo, alla fine di luglio, compare l’ennesimo recensore che lascia una lapidaria critica neutra a una storia pubblicata in un altro fandom, ormai anni fa: talmente lapidaria che ciò che scrive è il vero e autentico ritratto del personaggio così come l’autrice lo ha sempre visto e tentato di interpretare.

10 – Conclusione alla “Breve storia (triste?)”: la violenza esiste? Sì purtroppo. Esiste fuori ma “anche” qui dentro il fandom - verde, bianca o rossa – non sempre e ovunque s’intende, che le critiche sensate e fondate sono sempre ben accette e anzi è un piacere “scontrarsi” con i recensori che s’indignano alle scelte intenzionali dell’autore.
Esiste dove alla legittima richiesta di chiarimenti all’amministrazione si oppongono strombazzanti proclami d’innocenza.
Esiste nelle parole di scherno, nelle offese travestite da critica, nell’uso di espressioni a sproposito e spropositate, esiste là dove viene criticato ciò che nella storia non c’è, dimostrando d’aver letto male oppure in mala fede, che, neppure una volta che il fraintendimento
viene chiarito, si accetta di tornare sui propri passi, tirare indietro la mano, lasciando il commento che si commenta da sé e soprattutto commenta il gesto stesso di chi lo ha lasciato.
Esiste là dove si oppone il silenzio a una richiesta di spiegazione, finanche all’epurazione dall’amicizia (anche se virtuale) come delle preferenze delle storie.
Esiste là dove si lasciano messaggi o recensioni a cui nessuno risponde, inghiottito come la materia da un buco nero.
Esiste là dove ci si ritrova entro guerre che non ci appartengono, a combattere senza le armi giuste, seppur per battaglie giuste.
Ovviamente nessuno vuole questa violenza ma nessuno è obbligato a subirla.
E’ una violenza sottile, non lascia segni sulla pelle (per fortuna) e consente di continuare a fare la vita di sempre (per fortuna), che giustamente di questi tempi sono ben altri i problemi.
Ma un piccolo segno forse lo lascia, soprattutto impone di domandarsi se si è ancora in grado di conoscere davvero le persone, anche se nessuno deve nulla a nessuno, e spinge a interrogarsi cosa induca le persone a mutare pelle così repentinamente, semmai la pelle che ci era stata mostrata era proprio quella vera oppure di chissà quale tessuto neppure tanto ecologico.
La violenza esiste, non è fatta solo di calci, pugni, ricatti economici, ceffoni, ripicche, occhi pesti, segni sui polsi, ma anche di ricatti stilistici, imposizioni mascherate da proposte, critiche ammalate dall’affiliazione a piccoli gruppi, chiusi di mentalità e respiro, scelte che stridono con il passato e silenzi di cui non si ha nemmeno il diritto di avere la ragione.
Il caso purtroppo non esiste, ma continuo a pensare che siamo un paese libero e liberamente si mutano amicizie, opinioni, casacche. Senza dare spiegazioni a nessuno se non alla propria coscienza.
E questa è l’unica spiegazione che voglio darmi.
Grazie a tutti
Capo Rouge

Nel silenzio il calice appoggiato al tavolo trasudò le ultime gocce di condensa, scivolate senza far rumore.

“Se è per me…puoi anche lasciar perdere. Non mi offendo se decidi di smettere. Tanto se è come scrivi, quello che fai o non fai non interessa a nessuno. Hai provato a capire e t’hanno rimproverato pure quello. Non sei riuscita a far nulla neppure lì”.
“Già…lo credo anch’io”.
"Poi, la questione dei proclami strombazzanti!! Forse è troppo...".
"Tu lo sai bene come sono andate le cose".
"Ti è stato detto di non parlarne".
"Appunto per questo!".

"Passerai per una asociale".
"Io sono asociale, non l'hai letto?".

“D’altra parte, proprio perché a nessuno interessa nulla di quel che fai, che avresti da perdere a restare?”.
“Il senno?!”.
“Carissima!” – un sorriso come a mimare le sbrodolanti profusioni lette altrove – “Ma quello l’hai già perso da un pezzo! Stai qui, da anni, a scrivere storie su di me che neppure esisto, in un luogo che non esiste, dialogando con persone che nemmeno sai se esistono, e probabilmente tre quarti di quelle non esistono davvero, e poi con altre che non hanno il coraggio di accettare un dialogo, di mettersi in gioco, non hanno neppure il guizzo di chiedersi il perché delle cose…dicevi del senno??”.
“…”.

“E allora, che farai?”.
“Beh comunque grazie…almeno tu mi comprendi”.
“Eh…vacci piano! Mica sempre. Anche noi qualche volta ci siamo chiesti che fine ci avresti fatto fare! Non è che quel che scrivi è proprio proprio sempre comprensibilissimo!”.
“Allora smetto?”.
“E basta! E’ andata male, ti sei fidata delle persone sbagliate.
La gente cambia idea, è suo diritto! E' l'id quod plerunque accidit delle persone! La gente fa quello che vuole, non deve rendere conto a nessuno del perché lo fa, delle sue scelte, non puoi farci niente. Un giorno ti sorride e il giorno dopo salta sul carro d'un altro vincitore. Si chiama libero arbitrio. Lo scrivi tu stessa. E tu hai pensato di scrivere un capolavoro e invece sta venendo fuori una ciofeca!”.
“Grazie!!” - ironico.
“Scherzo! Fa ciò vuoi, vai fin dove vuoi arrivare! A me non farai danno se ti metterai a coltivare patate oppure se continuerai a scribacchiare. Se accadrà vedrò di giungerti in sogno, oppure durante un temporale, mentre il cuore ti batterà a mille, e vedrai che capirai se quel che scrivi sarà giusto o sbagliato!”.

“Allora, grazie. Io vado!”.
“Stammi bene ma la prossima volta, tacita questo melodramma che ormai non frega più nulla a nessuno!”.
“E l’ho capito sai! Ma allora…che faccio?”.
“Il senno l’hai già perso, ma il resto? Non ti dispiacerà?”.
“Perdere tutto? Mah! Credo di aver già perso tutto quel che c’era da perdere e da un bel pezzo. Ma scrivere no, quello ci proverò ancora…”.
“Sola?”.

Spallucce…

"Restarai con me?".

Un sorriso - "Veramente questa battuta sarebbe mia. Sono io che la dico...e tu sai bene a chi!".
"Davvero...resterai?".

Un cenno di consenso, un sorriso - "Sempre e per sempre".

"Allora...ciao...magari ci si vedrà di là...".
"Nelle piazzette scrause? Di nuovo?! Lo temi davvero?".

Di nuovo spallucce...
Nessun’altra parola…

Fine della breve storia (triste?).

  
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