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Autore: Autumn Wind    11/09/2022    4 recensioni
[Mini-long in quattro capitoli
Main pairing: Percy Weasley/Hermione Granger]
La guerra è finita oramai da anni e la vita sembra tornata alla normalità per tutti nel mondo magico. O, meglio, per quasi tutti. Hermione Granger, infatti, non ha affatto la vita che si aspettava di avere: Ron l’ha lasciata e lei, dopo aver terminato Hogwarts, si è trovata a dover affrontare l’impossibilità di restituire la memoria ai suoi genitori, oltre alle conseguenze delle torture fisiche e psicologiche inflittele da Bellatrix Lestrange.
Per questo, nella solitudine, si ritrova a fare ciò che sa fare meglio: studiare. E, studiando, si ritrova, a venticinque anni, a lavorare come avvocato delle creature magiche, come ha sempre sognato, anche se la cosa non la soddisfa come pensava. Ed è proprio per lavoro che rivede dopo anni un Percy Weasley decisamente diverso da come lo ricordava …
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Hermione Granger, Percy Weasley
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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1.
Inadempimento o Testamento?

“Che fare? Tipsy non sa cosa fare! Tipsy deve lavorare per suoi figli che devono nascere adesso!” sbottò l’elfo Tipsy, facendo roteare le orecchiette appuntite e sgranando gli occhioni grigi.
Era un placido pomeriggio autunnale, su Diagon Alley: la pioggia grondava da nuvoloni grigiastri e violacei, scorrendo lungo le fughe dei marciapiedi e dei vicoletti e ticchettando sui tetti e sui negozi dai colori sgargianti.
Nello studio dell’avvocato Hermione Jean Granger, le finestre erano aperte a lasciare entrare il profumo dolciastro della pioggia, le leggere tende di lilla che svolazzavano placide alla frescura.
Seduta alla scrivania d’ebano incassata tra pesanti scaffali ricolmi di volumi finemente rilegati, Hermione fissava il suo cactus gonfio e felice con sguardo assente: ultimamente, in barba ai consigli che leggeva in internet, aveva deciso di bagnarlo un po’ di più, ottenendo uno splendido risultato. Probabilmente, nel giro di poco, avrebbe anche prodotto uno splendido fiore come nella figura che c’era sul vasetto in cui l’aveva comprato e che aveva cambiato già due volte …
“Avvocato Granger?”
La voce di Tipsy la ridestò dai propri pensieri, facendole schiarire la voce ed annuire, congiungendo le mani con l’aria di chi aveva fatto quel discorso molte volte. Fin troppe, a dirla tutta. “Mi dispiace deluderti, Tipsy, ma in questo caso il licenziamento si può definire per giusta causa: non hai lavorato per due mesi, è un inadempimento secondo le clausole contrattuali. Ed anche grave.”
“Ma io dovevo andare da mia moglie! Ora lei aspetta i figli di Tipsy!”
“Certo e sono sicura che il signor Tom l’avrebbe capito se gli avessi spiegato perché. Ciò di cui si lamenta è che ti sei assentato dal lavoro senza neanche giustificarti, capisci? Se gliel’avessi detto, te l’avrebbe permesso lui senza problemi, ma il fatto che tu non l’abbia avvisato gli ha creato problemi con i fornitori. Grossi problemi con i fornitori.” sospirò Hermione. “E quindi? Perdo tutto?”
“No, ovviamente no: possiamo provare ad accordarci con il tuo datore di lavoro e cercare di farti riassumere con delle piccole penalità o, nel caso peggiore, che mi auguro comunque di evitare, di ottenere delle buone condizioni di fine rapporto. Tutto qui. Le dimissioni, ad esempio, sarebbero meno onerose …”
“Ma … non è giusto! Tipsy non può dimettersi!” protestò l’elfo. “Infatti era un’ipotesi. Non mettiamo il carro davanti ai buoi … non preoccupiamoci prima dell’ora.” spiegò Hermione, correggendosi all’espressione perplessa dell’elfo. “Dopotutto, non è ancora stato deciso nulla. La prima cosa da fare al momento è parlare con il tuo datore di lavoro. Cercherò di organizzare un incontro qui con Tom, così potremo provare a capire come venirci incontro … d’accordo? Non preoccuparti, riusciremo ad uscirne bene. Ora tu non pensarci: mi farò viva io. Promesso.”
Tipsy annuì, alzandosi dalla poltroncina rossa in cui era sprofondato appena entrato. “Va bene. Allora grazie.”
“Di nulla.” sorrise Hermione, accompagnando l’elfo alla porta. Non appena fu uscito, si lasciò andare in un sospiro di sollievo: era stata una giornata veramente pesante e Tipsy era proprio la ciliegina sulla torta necessaria per renderla quantomeno orrenda. Si passò le mani sudate sulla giacca e sulla gonna nere e sulla camicetta rossa mentre riprendeva posto dietro la scrivania del suo minuscolo studio, costituito da due sole stanze che tanto aveva faticato per ottenere.
Le sembravano trascorsi secoli dalla battaglia di Hogwarts, da quei momenti a Malfoy Manor in cui non pensava di sopravvivere, eppure eccola lì, seduta in un luogo che era pienamente suo ad esercitare la professione per cui aveva faticato e si era impegnata anni ed anni. Avrebbe dovuto essere felice, in teoria. Eppure …
Con un sospiro, sistemò dietro l’orecchio una ciocca di capelli nocciola, ora lunghi, mossi e pettinati con la scriminatura laterale e scosse i pendenti di rubino mentre preparava le carte per Tipsy e si appuntava di chiamare Tom del Paiolo Magico per chiedergli un incontro e cercare di tirare fuori dai guai il malcapitato e disperato elfo che la stava tormentando da settimane con il suo inadempimento contrattuale, peraltro, a suo dire, del tutto giustificato. Doveva andare a trovare la moglie, dopotutto … e chi non mollava il turno perfettamente regolare e ben pagato su due piedi per andare ad una cena a luma di candela con cui festeggiare la notizia che presto si sarebbe diventati genitori?
Hermione si ritrovò a sospirare: negli anni ad Hogwarts non avrebbe mai pensato di ritrovarsi a risolvere contratti, dividere eredità e difendere i diritti delle creature magiche di tutta l’Inghilterra, ma quelle occupazioni si erano rivelate le sole in grado di darle soddisfazione, le uniche adatte a lei ed a quel carattere troppo combattivo e deciso, a detta di molto. Dopotutto, era stata l’unica del suo anno a tornare a studiare per completare la scuola e poi aveva proseguito con un master in legge magica, facendo successivamente praticantato presso il Ministero e solo alla fine, racimolando i soldi che si era pian piano guadagnata aiutando al Ghirigoro nel tempo libero e quelli che aveva ricavato dalla vendita della casa dei suoi, aveva comprato quel piccolo studio a Diagon Alley proprio al piano sotto il minuscolo appartamento che condivideva con Grattastinchi.
Un futuro decisamente diverso da quello che si era sempre figurata, doveva ammetterlo, ma, del resto, l’aveva voluto con ogni fibra di se stessa. Aveva dovuto subire tanto come nata babbana ed aveva intenzione di dedicare tutta se stessa ad evitare che ciò accadesse di nuovo. Aveva scelto legge per questo, per la possibilità di lottare per i più deboli e per chi non aveva voce e garantire un po’ di giustizia in un mondo che sembrava averla persa negli ultimi tempi. Era sempre stato nella sua indole, dopotutto e poco importava se erano stati lunghi anni di sacrifici, tra lavoretti per pagare tutto quel che doveva ed ansie continue, costellati di notti chiusa in camera da sola a piangere, ma ce l’aveva fatta. Era oramai assodato che, a prescindere da tutti gli scossoni della vita, Hermione Jean Granger, in qualche modo, ce la faceva sempre.
Al pensiero, si passò una mano sulla cicatrice ben esposta sul suo avambraccio, dove le lettere che componevano ‘sanguemacio’ restavano ancora ben incise nella carne. Avrebbe potuto rimuoverle, Ginny, Luna e Fleur e persino Harry gliel’avevano anche consigliato, ma lei non voleva dimenticare. Diversamente dagli altri, non riusciva a fare finta che non fosse accaduto niente: ogni volta che chiudeva gli occhi, risentiva l’alito di Bellatrix sulle tempie, il pugnale che le incideva la carne, il dolore ed il freddo …
Si riscosse da quei ricordi, chiudendo gli occhi e respirando a fondo fino a quando non sentì il proprio cuore tornare al suo ritmo abituale. Quando ebbe ripreso il controllo, guardò l’ora, rendendosi conto di quanto fosse tardi: aveva un appuntamento di lavoro e non poteva assolutamente ritardare. Raccolse la valigetta, magicamente strapiena di carte e faldoni sebbene leggerissima e chiuse in fretta l’ufficio prima di infilarsi frettolosamente il cappotto nero e precipitarsi giù dalle scale del palazzo.
Le venne da sorridere al pensiero che un ‘appuntamento’, una parola che per tutti era sinonimo di divertimento, svago, amicizia ed amore, per lei significava solo ‘lavoro’. L’avevano sempre accusata di essere mortalmente seria, dopotutto: stava solo confermando le illazioni dei suoi beoti compagnia di scuola. Arrivata nell’atrio centrale, salutò con il cenno Wilkins, un goblin verdognolo gobbo ed anziano che brontolava sempre e detestava tutti tranne lei ed uscì, mantenendosi sotto le tende ed i tetti dei negozi mentre attraversava un’affollata Diagon Alley. Ai timidi cenni di saluto che riceveva dagli sconosciuti, rispondeva con un lieve sorriso: si era oramai abituata ad essere conosciuta in giro per la Londra magica. Dopo la guerra, i magici si erano abituati a conoscerla come la strega più brillante della sua età, la studiosa e talentuosa amica di Harry Potter senza cui non sarebbe uscito indenne dal suo secondo anno di studi. Poi, era diventata la studentessa modello di Hogwarts e la fidanzata di Ron Weasley, futuro auror e solo dopo pochi mesi, nell’autunno in seguito alla guerra, l’ex di Ron Weasley e l’eroina emarginata del mondo magico. I giornali scandalistici avevano adorato parlare di lei e del fatto che Ron l’avesse lasciata per una ben più disponibile e socievole Lavanda Brown, dipingendola come fredda e dedita esclusivamente alla carriera. Hermione sapeva di non essere così, anche se era esattamente come l’aveva descritta Ron quando l’aveva lasciata. “Perché ti lascio? Perché ti lascio, Hermione? Dannazione, sei frigida come una pietra! Non ti posso neanche abbracciare un po’ più stretta o baciare un po’ più a lungo che sussulti! Pensi solo alla scuola, alla tua stupida carriera di avvocato ed a come riportare i tuoi a Londra, mentre a me, a noi, al nostro futuro, non hai mai neanche accennato. Ed io, quel futuro, lo voglio, perché è quello giusto per me: se non sarai tu a darmelo, pazienza.” aveva sbraitato prima di andarsene dal Paiolo Magico, lasciandola sola ed esterrefatta con le lacrime agli occhi ed il conto da pagare davanti ad una clientela imbarazzata e curiosa al tempo stesso. Non che da allora Hermione si fosse concentrata esclusivamente sulla carriera: aveva studiato e lavorato tanto e duramente, questo sì, ma come aveva sempre fatto, senza favoritismi né eccezioni di chissà che tipo. Nella sua vita c’era spazio per gli amici, anche se molto meno di prima, ma non certo a causa dello studio: la ragione delle sue esigue uscite era quasi sempre e solo Ron. Harry non si era schierato dalla parte di nessuno, ovviamente, ma non potevano più uscire tutti e tre insieme, altrimenti si sarebbe creato un litigio furioso o peggio. Ginny e Luna, invece, com’era ovvio, non facevano che spingerla a riprovarci con Ron, magari dedicandosi meno al lavoro e più a lui. Fortunatamente, ben presto la relazione con Lavanda era diventata seria ed era stata ufficializzata, permettendo ad Hermione di mettere un veto a quelle questioni. “Non voglio sentirne parlare: Ron non era la persona giusta per me. Fine.” diceva sempre a Ginny, perentoria. La cosa sconcertante era che l’aveva davvero capito ed ora ne era convinta: le ci era voluto solo un forte scossone per comprenderlo appieno. Aveva amato Ron per ciò che poteva rappresentare per lei, perché le piaceva l’idea di migliorarlo e di far parte di una famiglia allegra e numerosa come i Weasley, ma la verità era che non avevano assolutamente nulla da condividere. Non avevano interessi comuni, nessun aspetto del carattere che fosse compatibile, né le stesse aspirazioni dalla vita. Era evidente che non ne sarebbe potuto nascere nulla di buono e forse Hermione avrebbe dovuto capirlo prima: le avrebbe risparmiato mesi e mesi di copertine sui giornali scandalistici, dopotutto. E forse le avrebbe permesso di poter ancora visitare la Tana.
Da quando lei e Ron si erano lasciati, non vi aveva più messo piede, pur avendo sempre cura di mandare gli auguri a Molly ed Arthur: sapeva di non essere ben accetta. I signori Weasley le avevano sempre detto di passare a trovarli, nelle poche occasioni in cui li aveva incontrati per strada, ma dall’espressione austera di Molly si capiva fin troppo bene che era una mera frase di circostanza: non aveva alcun piacere ad avere in casa la ragazza che aveva fatto soffrire suo figlio, perché era questo quello che tutti pensavano, anche Molly. Ed Hermione ne aveva decisamente abbastanza per sopportare altre occhiate di puro sdegno.
Entrò al Paiolo Magico con passo risoluto, i tacchi che picchiettavano sul lastricato, confondendosi con il placido fruscio della pioggia. Il locale, scuro ed affollato, emanava una vasta gamma di odori d’ogni sorta, quel pomeriggio, dalla sigaretta al caffè, passando anche per tè e profumi dozzinali. Tom, al bancone, vedendola, agitò la mano per salutarla. “Avvocato …” la prese in giro con un ghigno divertito. “Buonasera, Tom.” replicò lei. “Avrei necessità di usare il camino, è libero?”
“Per te sempre, cara. Dove vai di bello oggi?”
“Al Ministero: devo discutere di un contratto con Kingsley.”
“Sempre cose emozionanti, eh?”
Hermione fece spallucce. “Beh, è il mio lavoro!” si giustificò. “Vero, ma non è che il fatto che lavori automaticamente deve impedirti di fare qualsiasi altra cosa!”
“Oh, ma io dedico ore ed ore ai miei passatempi, Tom …” sorrise: era vero, in effetti. Una volta chiuso lo studio, fatta la spesa e pulita la casa, Hermione adorava passare il tempo guardando film storici con una cioccolata calda tra le mani o leggere fino a quando non le bruciavano gli occhi. Era ancora un’onnivora, dal punto di vista letterario: leggeva di tutto, dai romanzi di qualunque genere ai saggi.
“A proposito.” si interruppe la strega prima di avviarsi al camino. “Dobbiamo fissare un incontro per parlare della situazione di Tipsy.”
Tom alzò gli occhi al soffitto. “Ancora quell’elfo incapace?”
“Sappiamo entrambi che non puoi licenziarlo: sta per diventare padre.”
“E cosa dovrei fare, riprendermi uno che non lavora?”
“Credo che, parlando civilmente e mettendo da parte i rispettivi orgogli e rancori, potreste chiarirvi. Vi aiuterò in tal senso, ma devi passare in studio … fammi sapere quando sei libero.”
Tom bofonchiò un assenso ed Hermione, soddisfatta, raggiunse con decisione il camino. Prese una manciata di polvere e, nel giro di poco, si ritrovò ad uscire da uno dei focolari posti nell’atrio principale del Ministero della Magia. Come sempre, centinaia di maghi, streghe e creature d’ogni sorta sgusciavano lungo corridoi, scale, abbaini, ballatoi ed ascensori in una massa che li faceva assomigliare a formiche tutt’attorno alle enormi statue dorate di un mago, una strega, un centauro ed un elfo domestico, le stesse che erano stata ricostruite dopo la fine della guerra.
Hermione sospirò, avvicinandosi all’accettazione. “Oh, avvocato Granger!” esclamò l’impiegato, sorridendole. “Prego, prego, venga avanti … ha appuntamento con il Ministro, vero? Buona serata e grazie ancora per il servizio reso!”
Hermione gli rivolse un lieve sorriso, passando sotto l’arco che rivelava se qualcuno fosse travestito o tramutato in sembianze non proprie, un gioiellino installato dopo la battaglia per evitare sorprese dagli ultimi Mangiamorte ancora in libertà.
Attraversato l’atrio, si fiondò verso le scale, mantenendosi rasente muro mentre saliva a testa bassa: detestava quel luogo.
A ben pensarci, nonostante quello che le suggerivano praticamente tutti, era stata una vera fortuna non aver accettato il lavoro lì: non avrebbe mai potuto sopportarlo. Tutta quella confusione, quella gente che le sorrideva e si congratulava, chiedendo favori e racconti di cui vantarsi e, soprattutto, burocrazia e corruzione che ancora dilagavano, nonostante Kingsley stesse cercando in ogni modo di combatterle. Harry era fin troppo bravo a resistere tutti i giorni al Ministero … lei non ci sarebbe riuscita, lo sapeva. Era sempre stato un suo limite: Hermione programmava ogni singolo istante di ogni giorno ed aveva bisogno di tranquillità per portare a termine i suoi progetti. Imprevisti e caos erano suoi nemici giurati …
Quando raggiunse il piano corrispondente, si fiondò con decisione all’ufficio di Shackelbolt, salutando con un cenno la segretaria prima di bussare. La porta si aprì da sola, permettendole di entrare in una stanza enorme, disordinata e frenetica.
Kingsley Shackelbolt sedeva dietro una scrivania d’ebano ricoperta di carte e libri, circondato da penne che scrivevano da sole, faldoni d’ogni sorta ed impiegati che correvano su e giù come trottole impazzite. Vedendola entrare, il Ministero sollevò appena lo sguardo dai fogli che stava scrutando, sorridendole e facendole cenno di avanzare. Hermione ubbidì, fermandosi dinanzi al tavolo. “Ciao, Kingsley.” sorrise. “Hermione, almeno una che viene sempre quando la si chiama ed è puntuale!” sospirò lui. “Non voglio essere scortese, non con te, ma è un periodo … frenetico.”
“Tranquillo, capisco.” annuì la strega, guardandosi attorno e ringraziando per l’ennesima volta di non essere una dipendente del Ministero. “Allora, quali erano questi contratti di cui dovevi parlarmi?” domandò. “Nessun contratto.” sorrise Kingsley, allungandole un fascicoletto. “È una questione personale: i miei genitori sono stati dichiarati morti dopo che erano scomparsi durante la guerra. Io e mio fratello siamo entrambi troppo occupati per gestire la loro successione, avevano molti beni, avevano anche lasciato dei legati e fatto delle donazioni …”
“Certo …” annuì Hermione, sfogliando i fogli con attenzione e maestria. “Dunque abbiamo entrambi concordato che fosse meglio affidare tutto a te: sei un ottimo avvocato e sarai perfettamente capace di gestire la cosa al meglio.”
“Ne sono onorata …” sorrise la Grifondoro, chiudendo il fascicolo. “Ma ci sono tante cose da chiarire …”
Kingsley liquidò il tutto con un gesto sbrigativo. “Tu pensa a fare una stima di tutto e calcola che andrebbe tutto diviso a metà tra me e mio fratello, poi, quando hai fatto, contattaci e ne parleremo. Vogliamo risolvere il prima possibile, capisci …”
“Naturalmente. Cercherò di dare priorità al tuo caso. Con discrezione, ovviamente.”
“Eccellente, ti ringrazio.”
“E, comunque … mi dispiace per i tuoi genitori.”
Kingsley sospirò, abbassando lo sguardo, un’ombra che gli attraversava le pupille d’onice. “Presumo che fosse destino: una guerra ha delle vittime ed anche questa le ha avute. E dei tuoi, Hermione? Che mi dici?”
La strega deglutì, sentendosi improvvisamente la gola arsa come un deserto. “Ho tentato in tutti i modi, li ho portati al San Mugo e dai migliori esperti, ma l’oblivion è durante tanto a lungo da essere diventato irreversibile.” ammise, sentendo qualcosa premerle alla base degli occhi ed una profonda nausea scuoterla. “E … hai deciso di …” azzardò Kingsley, turbato. “Di lasciar perdere: sono in Australia, stanno bene ed hanno anche avuto un'altra bambina … si chiama Jocelyn, è bellissima ed è babbana, normale. Non avranno problemi, con lei.”
“Ma mancherà sempre qualcosa nelle loro vite …”
“Pazienza: se perché siano felici dovrò soffrire, lo farò. A me basta che stiano bene … il resto conta poco. E sono abituata a portare pesi sulle spalle, uno in più non farà la differenza.” concluse, abbozzando un sorriso triste a cui non credeva neanche lei. Prima che Shackelbolt potesse replicare, Hermione, però, aveva già serrato il fascicolo in valigetta e gli aveva sorriso di nuovo. “Ti farò sapere appena avrò terminato le perizie del caso. Buon lavoro, Kingsley.” concluse, senza attendere la sua risposta per uscire in fretta dall’ufficio.
Una volta fuori, oltrepassò la segretaria a grandi falcate balbettando un arrivederci e si fiondò lungo il corridoio, ansimando: si aspettava che la questione legale per cui era stata chiamata riguardasse Kingsley in persona, ma non era pronta a parlare dei suoi genitori e di quello che aveva sopportato in quegli anni ... decisamente non lo era.
Al ricordo delle visite e dei test a cui li aveva costretti, costringendoli con la magia ed alle immagini ben vivide di Robert e Jean Granger che giocavano con una bellissima bambina babbana sulla spiaggia dietro casa, felici, al sicuro e finalmente liberi dal fardello della magia, gli occhi le si riempirono nuovamente di lacrime. Le aveva ricacciate indietro per così tanto tempo e tanto duramente che, con tutta probabilità, sarebbero uscite a fiumi dai suoi occhi stanchi, se non si fosse scontrata contro una figura che aveva arrestato bruscamente la sua folle corsa verso l’uscita del soffocante Ministero.
Hermione annaspò mentre barcollava all’indietro e la valigetta le cadeva a terra, producendo un sonoro schiocco sul pavimento. “Oh, accidenti!” esclamò, affrettandosi a raccoglierla ed a controllare che vi fosse tutto il materiale che conteneva. Fortunatamente, sembrava ci fosse tutto …
“Hermione?” domandò una voce stranamente familiare con tono sconvolto, facendola ridestare dalle proprie ansie. La giovane sollevò lo sguardo, timorosa, incontrando con stupore un uomo sulla trentina, alto, con le spalle larghe ed un elegante completo verde militare. I capelli rossi, mossi, corti, ordinati e pettinati all’indietro con maestria e precisione, cozzavano con la pelle chiara e gli occhi blu dall’aria avveduta, coperti da occhiali con la montatura di corno.
“Percy?” boccheggiò Hermione, sorpresa, sollevando le sopracciglia: già le risultava difficile vedere Ginny, figurarsi gli altri Weasley e figurarsi, tra tutti, proprio Percy, quello con cui aveva forse legato di meno, nel complesso. A quanto ne sapeva, non era ancora in termini esattamente amichevoli con la famiglia …
“Come mai qui? Credevo che lavorassi in proprio.” constatò Percy, ricomponendosi dalla sorpresa e schiarendosi la voce. “Sì, infatti è così, ma dovevo curare una questione contrattuale per Kingsley e ...”
“Inadempimento o testamento?”
“Prego?” esclamò Hermione: nessuno interrompeva i suoi sproloqui. Di solito, la gente si limitava ad andarsene con una scusa per non stare a sentire le sue interminabili spiegazioni. “Le questioni personali che riguardano Kingsley possono essere solo inadempimenti contrattuali, fatti o ricevuti da lui, o successioni. Non avrebbe altri motivi per chiamarti.” spiegò Percy con aria risoluta, sfoggiando che la sua leggendaria pignoleria non era affatto cambiata. Hermione annuì. “Sì, in effetti è una successione, ma capirai che non posso dirti di più per il segreto professionale ...”
“Naturalmente, non te l’avrei mai chiesto, sarebbe ...”
“Contro il regolamento, lo so, certo.” annuì la Grifondoro, sorridendo. “Ti trovo … bene. Lavori ancora al dipartimento dei trasporti?”
“Non esattamente: ne sono diventato il capo.” illustrò il terzogenito dei Weasley con un certo orgoglio. “Congratulazioni … non lo sapevo!”
“Non avresti potuto: la promozione risale a ieri. Non lo sa ancora nessuno …”
“Oh!” commentò Hermione: questo sì che era strano. Il Percy che conosceva lei, ambizioso ed orgoglioso com’era, non avrebbe esitato a sbandierarlo ai quattro venti. “Immagino che i tuoi ne saranno felici!” disse, però, cercando di risultare quanto più sincera possibile, sebbene fosse altamente perplessa. “Non lo sanno. Non ancora.” ammise Percy, seppur a fatica: sembrava che ogni parola che pronunciava gli venisse estirpata a forza dalla bocca. Una cosa che, ai tempi di Hogwarts, non era mai successa …
“Capisco, certamente …” annuì Hermione, anche se in realtà non comprendeva proprio un bel niente. “Come … come stanno? I tuoi ed i tuoi fratelli, intendo …” domandò, così, per scacciare l’imbarazzo. “Bene. Bill e Fleur hanno avuta un’altra bambina, George esce con Angelina Johnson e di Ron e Ginny sai già, presumo.”
“Sì, più o meno sì.” annuì Hermione. “E tu?”
“Io lavoro al Ministero: non ho molto tempo libero.” rispose Percy, aggrottando le sopracciglia come se quell’affermazione lo turbasse ben più di quanto desse a vedere. “Nemmeno io, ti capisco! Mi ha fatto piacere rivederti … salutami i tuoi!” sorrise Hermione, imbarazzata, pronta a superarlo ed a riprendere la propria strada per correre il più velocemente possibile a casa a piangere per i suoi genitori e divorare biscotti davanti ad un film strappalacrime.
“Hermione, aspetta!” la bloccò, però, Percy, a metà, stupendola. Si volse, perplessa. “Sì?”
“Mi dispiace per averti fatto cadere la valigetta.” spiegò. “Non c’è problema, davvero, io non …”
“Ho ancora quaranta minuti di pausa: il mio turno ricomincia esattamente alle due meno un quarto. Posso offrirti un caffè? Mia madre non potrebbe mai perdonarmi se venisse a sapere che ti ho urtata e non ho fatto nulla per sdebitarmi.”
Al ‘mia madre’, Hermione sorrise, ricordando com’era puntiglioso Percy, il prefetto perfetto: a quanto pareva, certe cose non cambiavano mai. Anche se Percy sembrava cambiato ed anche parecchio …
“Va bene.” annuì, un po’ perché non aveva voglia di autocommiserarsi per l’ennesima volta, un po’ perché non aveva niente da fare ed un po’ perché era sinceramente curiosa di vedere quanto Percy Weasley fosse davvero cambiato nel corso degli anni.
֎֍֎
In tutte le migliori famiglie c’era sempre una pecora nera e quella pecora, dagli Weasley, era Percival Ignatius Weasley, detto Percy, il terzogenito di Arthur e Molly. I fratelli Weasley, oramai Hermione lo sapeva, pur essendo diversi avevano in comune il saper cogliere il meglio da ogni situazione, il mantenersi sempre positivi nonostante le avversità ed il voler affrontare tutto insieme, con coraggio e lealtà. Questo, tuttavia, non valeva per Percy, ambizioso, pedante, puntiglioso e rispettoso delle regole e delle gerarchie sino alla nausea, il cui unico desiderio era lasciare la vita di ristrettezze in cui era nato per diventare qualcuno, tutti motivi per cui veniva costantemente deriso dal resto della famiglia sin da quand’era un bambino.
C’era stato, tuttavia, un tempo in cui Hermione aveva sinceramente ammirato Percy: era un prefetto, era il primo della classe, eccelleva in tutte le materie, adorava le regole, le rispettava a qualunque costo e sognava una posizione importante al Ministero della Magia, magari per cambiare le cose. Nei primi tre o quattro anni ad Hogwarts, lui ed Hermione erano stati quasi amici, in un certo senso: parlavano delle materie, dei programmi e degli insegnanti, si confrontavano e si trovavano sempre d’accordo. Spesso e volentieri si era anche ritrovata a prendere le sue parti durante gli scherzi e le battute di Fred, George e Ron sulla sua ambizione, la sua assenza di senso dell’umorismo e la sua puntigliosità. Percy era esattamente il modello di studente perfetto che Hermione si era sempre figurata ed aspirava ad essere come lui, seppur con i suoi capelli spesso indomabili ed i dentoni si sentisse tutt’altro che perfetta ed ordinata come invece era lui.
Poi, alla coppa di Quidditch tra il terzo ed il quarto anno di Hermione, Percy aveva condannato senza pensarci due volte la povera Winky e la strega si era infuriata, accusandolo di essere ingiusto e senza cuore ed il loro legame si era inevitabilmente rotto. Anche dopo la guerra, dopo che si era rappacificato con la famiglia, non avevamo mai più parlato come facevano nei primi anni di Hermione ad Hogwarts.
A volte, durante gli esami più difficili, Hermione aveva anche provato nostalgia di quei discorsi che la rassicuravano in qualche modo, facendola sentire meno sola e meno strana.
Forse era per questo che, quel pomeriggio, seduta ad un tavolino davanti alla vetrina di un bar londinese in quel pomeriggio di pioggia, con una tazza di cioccolata calda davanti a sé che sollevava di tanto in tanto a mo’ di scudo, provava un vago senso di déjà-vu mentre ascoltava Percy descriverle nei minimi dettagli in cosa consistesse il suo attuale incarico e quali cambiamenti avesse apportato alla regolamentazione precedente mentre beveva con tranquillità un ben più leggero ed equilibrato tè al limone.
“Il vero problema delle motociclette come quella che ora possiede Hagrid, ma che apparteneva a Sirius Black, come ben sai, è che causano non pochi problemi di classificazione: non possono certo rientrare nei manici di scopa, ma neanche nelle auto volanti. Ho risolto il problema proponendo di creare una categoria apposita, proposta che, inizialmente, non è stata accolta, ma che ha poi suscitato un certo interesse ed è diventata effettiva con il decreto numero centoventidue dell’anno scorso.” raccontò, soddisfatto ed orgoglioso, raddrizzandosi gli occhiali sul naso. Hermione sorrise, prendendo un biscottino che Percy aveva insistito per ordinare, ma che non aveva neanche toccato. “Ho notato quel regolamento, sì e l’ho trovato molto utile: ha risolto svariati problemi di classificazione in fatto di multe, in effetti e mi ha semplificato di molto il lavoro. Sai, creature come i troll hanno la pessima abitudine di farsi multare per ogni cosa …”
“Prevedibile, conoscendo la loro mancanza di neuroni. Ho sentito dire che hai aperto uno studio tutto tuo, a proposito ...” commentò Percy, sviando la conversazione da se stesso, seppur evidentemente lusingato dal fatto che Hermione trovasse tanto brillante il suo provvedimento. “Sì, a Diagon Alley. Mi occupo di tutte le questioni legali riguardanti le creature magiche.”
“Complimenti: non è da tutti raggiungere certi traguardi alla tua età. Ed è senz’altro un lavoro adatto a te, ho sentito parole entusiaste sul tuo operato, al Ministero.”
“I miei clienti esagerano: ho solo avuto la fortuna di vincere le loro cause, ma poteva andare diversamente.”
“Ma non è accaduto perché ti sei adoperata affinché non accadesse e questa è bravura.”
“Suppongo di sì.” annuì lei, abbozzando un sorriso di circostanza. “Devi scusarmi se non sapevo che fossi tornato a lavorare al Ministero, Percy, davvero: non frequento più molto la Tana e, ultimamente, neanche Ginny. Non so più molto di voi …”
“Non preoccuparti, lo immaginavo: da quando la guerra è finita, ognuno ha avuto ben altro a cui pensare, tu soprattutto.” sospirò Percy, giocherellando distrattamente con il manico della tazzina. “Sei l’unica del tuo anno ad aver terminato gli studi ed ad esserti creata una professione, dopotutto.”
“Forse perché sono l’unica del mio anno a cui importava davvero qualcosa di studiare.” constatò Hermione. “Harry e Ron non sono mai stati molto diligenti …”
“Non ne hanno avuto bisogno: il Ministero ha concesso loro di seguire il corso di auror senza neanche aver terminato gli studi … chiaramente un favoritismo. Trovo ammirevole che tu non l’abbia sfruttato.” commentò Percy, gelido. “Grazie.” commentò la ragazza, trovando strano il suo tono tanto distaccato. “Ma lo stesso vale anche per te: ti sei sempre impegnato e sei sempre riuscito ad eccellere in tutte le materie a cui ti sei dedicato. Senza favoritismi.”
Percy si aggiustò gli occhiali sul naso, finendo per assomigliare terribilmente ad Arthur. “Ti ho sempre trovata un esempio da ammirare per la tua dedizione, Hermione e mi dispiace per la storia di Ron. Non meritavi di essere trattata in quel modo … a prescindere da chi avesse ragione.”
Hermione sollevò lo sguardo dalla tazzina, incontrando gli occhi blu di Percy, come sempre mortalmente seri. Per la prima volta, si ritrovò a constatare che non erano di un blu profondo come quelli di Ron, ma di un azzurro pallido che tendeva quasi al ghiaccio.
“Ormai quel che è fatto è fatto.” replicò lei, facendo spallucce e cercando di eludere le sue occhiate inquisitorie. “Ci sono rimasta male a suo tempo, ma adesso è acqua passata. Non m’importa cosa pensa o meno Ron …”
“T’importerà sapere che non è più un auror, però.”
“Davvero?” commentò Hermione, sollevando le sopracciglia, sorpresa. “Ne era così convinto …”
“Era, appunto: a Ron è sempre mancata la costanza per perseguire gli obiettivi che si prefigge. Ora aiuta George al negozio … la soluzione più comoda.” constatò Percy con una certa freddezza che non sfuggì alla strega. “Beh, sarà d’aiuto a George, perlomeno.” annuì lei, controllando l’ora. “Si è fatto tardi, devo proprio andare, ora … è stato un piacere rivederti, Percy. Spero tu abbia successo al Ministero …” sorrise, alzandosi, subito imitata da lui. “Anche tu. È meglio che mi avvii anch’io: ho ancora solo dodici minuti di pausa.” constatò, fissando l’orologio con un’espressione stanca che Hermione non gli aveva mai visto sfoggiare. Mentre frugava in borsa per cercare il borsellino, Percy la bloccò con un gesto, lasciando sul tavolo il prezzo della consumazione di entrambi. “Offro io, ci mancherebbe.” le sorrise. “Grazie.” ricambiò Hermione. Mentre sistemava la valigetta, da essa scivolò fuori un libriccino smeraldo. “Oh, accidenti!” sbuffò. Prima che potesse afferrarlo, però, Percy l’aveva già raccolto. “Ti piace Dickens?” constatò con un sorriso, osservando il tomo. “A dire il vero … beh, mi piace tutto.” arrossì Hermione. “Spendo più in libri che in cibo, credo!”
“Se fossero un po’ più economici sarebbe senz’altro più semplice! A volte anch’io dovrei aspettare l’edizione economica per risparmiare, ma non riesco a trattenermi.” annuì Percy. “A me succede esattamente la stessa cosa, sì!” sorrise la strega. “Qual è il tuo preferito di Dickens?”
“Decisamente ‘Grandi Speranze’.”
“Una scelta curiosa: di solito, dicono tutti Oliver Twist. E con ‘tutti’, intendo quei pochi con cui si può parlare di letteratura.”
“Oh, ma io leggo anche altro: romanzi storici, anche rosa, a volte e gialli.”
“Anch’io … recentemente ho scoperto Stephen King.” annuì Percy. “E non vedo l’ora di leggere la prossima uscita. Anche se la vera regina del giallo, per me, resta sempre Agatha Christie.”
“Concordo!” sorrise Hermione. “Ho letto tutti i suoi libri.”
“Preferisci ‘Dieci Piccoli Indiani’ o ‘Assassino sull’Orient Express’?”
“Decisamente il secondo. Ho amato il finale, anche la sua morale …”
“Anch’io, è decisamente superiore, anche come struttura narrativa …”
Percy si bloccò di colpo, come colto da un’idea geniale. Frugò nella propria valigetta, estraendone un tomo scarlatto e porgendoglielo. “Io l’ho finito stamattina: è un giallo davvero avvincente che secondo me potrebbe piacerti.”
Hermione prese il libro, sfogliandolo rapidamente. “Sembra molto carino …” constatò. “Te lo presto volentieri, se hai piacere.”
“Vorrei, davvero, ma non saprei quando ridartelo, Percy …”
“Non devi venire al Ministero per Kingsley prossimamente? Puoi lasciarlo al mio ufficio.”
Hermione sorrise, porgendogli il tomo di King. “Devi assolutamente provare questo, allora.” affermò, sicura. “Ma non hai ancora finito di leggerlo!” protestò il rosso, aggrottando la fronte. “In realtà l’ho finito stamattina nei tempi morti …” arrossì la Grifondoro, facendo spallucce. “Me lo puoi ridare quando passo al Ministero …”
“Siamo d’accordo, allora. Grazie: è raro trovare qualcuno a cui piaccia leggere, di questi tempi.” sorrise Percy, tendendole la mano. Hermione la strinse con un sorriso. “Grazie a te. Buona giornata e saluta a casa.” disse prima di congedarsi ed uscire nella pioggia pomeridiana con un cuore decisamente più leggero di quel mattino.

Il giallo si rivelò, con sua grande sorpresa, tanto avvincente che Hermione fece le ore piccole per terminarlo e solo tre giorni dopo lo riconsegnò a Percy, presentandosi con un altro libro che pensava avrebbe apprezzato. Rimase quasi sconvolta quando constatò che non solo anche lui aveva terminato il suo romanzo, ma ne aveva portati altri per lei a sua volta.
Nei mesi che seguirono, i loro scambi di libri proseguirono e si intensificarono, arrivando a toccare anche saggi, enciclopedie ed ogni sorta di romanzo. Si vedevano sempre quando Hermione aveva occasione di passare al Ministero per gli affari di Kingsley e, se erano vicini alla pausa pranzo e non avevano troppo lavoro da fare, scambiavano sempre opinioni ed osservazioni sui libri che leggevano. Per Hermione, che vedeva sempre meno persone da quando Ron l’aveva lasciata ed i suoi erano stati dichiarati dispersi, quegli scambi rappresentavano una cortesia di due conoscenti che sapevano di avere in comune la passione per il sapere, la lettura e la dedizione allo studio ed al lavoro. Le sembrava, in un certo senso, di essere tornata ai tempi di Hogwarts, quando aspettava Percy fuori dall’aula per chiedergli cosa ne pensasse del programma dell’anno scolastico o di un determinato metodo didattico. Non parlavano mai di sé o delle loro famiglie, eppure Hermione non aveva comunque detto nulla a Ginny, nelle poche occasioni in cui l’aveva rivista: non se ne vergognava né pensava che vi fosse qualcosa da nascondere, naturalmente, ma, per qualche strano motivo, sentiva che tra Percy e la famiglia Weasley c’era qualcosa che non andava. Non le aveva dato alcun motivo per crederlo, ma aveva notato come si irrigidiva quando nominava un membro della sua famiglia e quanto spesso si sistemava gli occhiali sul naso quando gli chiedeva come stessero, sviando con frasi di circostanza decisamente poco da lui. Non aveva indagato oltre né chiesto alcunché, naturalmente, ma la sensazione tornava sempre, spiacevole ed inquietante, anche se Hermione cercava di scacciarla. Dopotutto, lei e Percy si vedevano soltanto per scambiarsi dei libri e non era neanche più un suo futuro cognato: perché avrebbe dovuto importarle in che rapporti fosse con i Weasley, famiglia che, peraltro, neanche lei frequentava più da anni?
Se lo ripeteva di continuo, ma questo non le impediva di continuare a porsi quelle scomode domande la sera, sola nella sua stanza illuminata dalla fioca luce del caminetto, con un tè ed un libro tra le mani e Grattastinchi a solleticarle il viso sotto la pesante trapunta in cui si avvolgeva per scaldarsi dal gelo dell’inverno.
Ci aveva pensato anche quel giorno, mentre, ferma nel corridoio al terzo piano del Ministero, cercava di estraniarsi dalle ridondanti canzoni di Natale e dalle sfavillanti decorazioni natalizie appese ovunque ed aspettava Kingsley per dargli il risultato della perizia effettuata dal geometra sulle proprietà dei suoi genitori, guardandosi allo specchio e stupendosi nel vedere dinanzi a sé non l’Hermione assillante e saccente di un tempo, che si nascondeva dietro felpe e capelli a cespuglio, ma una giovane donna in carriera, con stivali con il tacco, un elegante cappotto viola, lunghi e morbidi capelli mossi pettinati con un’elegante scriminatura laterale e pendenti luccicanti. Non riusciva più a riconoscersi, dopo tutti gli sforzi che aveva fatto per cambiare, per rendersi più carina e più decisa dopo Hogwarts e non poteva negare di averlo fatto anche per piacere di più a Ron, sebbene se ne vergognasse. Osservando le occhiaie sotto gli occhi nocciola, si chiese come sarebbe stato essere l’ennesima signora Weasley e prepararsi a passare il Natale alla Tana, circondata da doni ed affetto e, magari, scambiandosi i libri con Percy come regalo invece che come passatempo. Pur sforzandosi, però non riuscì proprio a vedersi in quel ruolo che, quand’era una ragazza, aveva agognato con tutta se stessa: possibile che fosse cambiata così tanto? Che ne era dell’Hermione che si chiudeva in dormitorio e non voleva parlare con nessuno per giorni perché sapeva che, qualunque cosa dicesse, sarebbe stata derisa da tutti?
“Ah, Hermione, eccoti qui!” sorrise Kingsley, distogliendola da quei pensieri. Vedendolo avanzare, la strega sorrise. “Ti ho portato la perizia: ne parleremo dopo le feste, ma credo sia comunque giusto che la tenga tu.” disse, consegnandogli un fascicolo tra le mani. Shackelbolt annuì, rivolgendole un cenno di ringraziamento. “Ti ringrazio: la considererò con mio fratello approfittando delle feste. Sarebbe un problema per te se mi facessi sentire io?”
“No, assolutamente.” asserì Hermione. “Anzi: credo sia la cosa migliore. Dopotutto, sei pur sempre Ministro della Magia e so che gli impegni sono fin troppi! Soprattutto di questi tempi …” constatò, gettando un’occhiata eloquente all’atrio sotto di loro, ricoperto da neve finta ed alberi di Natale dove le creature si affollavano come formiche. Shackelbolt la imitò prima di scoppiare a ridere. “Credimi, detesto il Natale!” sospirò, scuotendo il capo. “Con tutti quei brindisi ed il dover ringraziare tutti degli auguri e dei regali … per fortuna che mi aiuta Weasley, è un bravo ragazzo!”
“Intendi Percy?” domandò Hermione, aggrottando la fronte. “Sì, proprio lui.”
“Ma non lavora all’Ufficio Trasporti?”
“Sì, ma mi aiuta a smaltire la corrispondenza quando ne ho troppa: è volenteroso, rapido, preciso e puntuale. Tutto ciò che si potrebbe desiderare da un dipendente ministeriale.”
“Eppure è relegato ai trasporti …”
“Beh, non posso certo passarlo ai ranghi alti!”
“E perché no?”
“Perché era troppo connesso alla politica di Fudge, Hermione, sai come vanno queste cose …”
“Credevo e speravo fossero cambiate, in realtà.” sospirò lei. “Ma, a quanto pare, certe cose non cambiano mai.”
“Non dipende da me.” sospirò Kingsley. “Lo sai …”
“Non dirmi che c’è qualcuno più in alto di te che decide, ti prego: sarebbe davvero ridicolo, nella tua posizione.” lo bloccò Hermione. Shackelbolt sollevò le sopracciglia, dubbioso. “Da quando ti importa così tanto di Weasley? Non mi pare si sia comportato un granché bene con te …”
“Non conta cos’ha fatto, ma cosa fa ora, almeno per me, altrimenti tutti noi dovremmo nasconderci in qualche buco ed infilare la testa sotto la sabbia per l’eternità. E, lasciatelo dire, per quanta stima di te io abbia, sono contenta di non lavorare al Ministero.”
“Non sarebbe stato per te, in effetti.” confermò Kingsley. “Non sei una persona che scende a compromessi …”
“No, infatti. Bene, ora devo proprio andare: buona giornata … e Buon Natale.”
“Buon Natale anche a te e grazie.”
Hermione gli rivolse un debole sorriso prima di voltarsi e proseguire spedita verso le scale, decisa a lasciare il Ministero il più velocemente possibile: sopportava davvero a fatica l’ipocrisia del Ministero e dei suoi dipendenti ed ancor meno quando era condita di falsi auguri natalizi ed un’aria di gioia, pace e fratellanza che scompariva come neve al sole appena terminate le feste.
L’Hermione più nascosta, autentica e che mai si mostrava agli altri amava il Natale, le vetrine illuminate, le famiglie riunite attorno ad un albero ed ad un caminetto, ma detestava la strumentalizzazione che gonfiava una feste tanto importante per il commercio e le relazioni sociali.
Mentre camminava spedita, urtò la spalla di qualcuno, ma, per sua fortuna, questo qualcuno la afferrò saldamente per il braccio, impedendole di ruzzolare a terra o disperdere gli innumerevoli fogli della sua valigetta. “Grazie, mi scusi …” sospirò Hermione, sistemandosi una ciocca dietro l’orecchio mentre sollevava lo sguardo, grata, stupendosi nel vedere Percy. “Sembra che siamo destinati a scontrarci!” azzardò questi, sorridendole. “Sembra di sì … scusami.” ricambiò lei, facendo spallucce. “Non devi, davvero. A tal proposito, ti stavo cercando per … la solita questione.”
Prima che Hermione potesse replicare, Percy aveva già estratto dalla tasca un pacchetto avvolto in carta dorata, porgendoglielo. “Questo è per te.”
“Ma … ma non dovevi, Percy! Non … grazie, ma non …” mormorò, stupita, prendendo il pacchettino tra le mani. “Aprilo prima di ringraziarmi: potrebbe anche essere un regalo che detesti, in fondo!” obiettò lui, sistemandosi gli occhiali sul naso con aria saputa. Hermione fece spallucce, sorridendo. “Anche se non mi piacesse, non lo direi per educazione.”
Le parole le si mozzarono in gola quando si ritrovò dinanzi ad un’edizione regalo delle opere delle sorelle Brontë, con una splendida copertina verde acqua con intarsi argento e le pagine colorate. “Ma … ma è … è bellissimo!” boccheggiò Hermione, sorpresa. “Grazie, Percy! Come facevi a sapere che amo le sorelle Brontë?”
“L’avevo intuito dai tuoi gusti … poi ho visto quel libro in una libreria babbana e mi sei subito venuta in mente.”
Hermione sorrise, sfogliando il volume: era sinceramente sorpresa. Non era da Percy fare gesti tanto eclatanti … o no? Dopotutto, lo conosceva solo come studente o come il fratello sbagliato dei Weasley. Di Percy da solo, come persona, sapeva solo che era preciso fino alla pedanteria, tanto da risultare fastidioso, a volte. Però era stato gentile con lei, più di quanto lo fosse stato il resto della sua famiglia negli ultimi anni.
“Oggi pomeriggio sono stata invitata ad una mostra nella Londra babbana: la cura un mio cliente, un mago a cui ho risparmiato un’ipoteca sulla casa.” disse, così, senza pensarci troppo. “Ti andrebbe di accompagnarmi? È sulle opere d’arte natalizie nella storia dell’arte!”
Percy guardò l’orologio. “Mi piacerebbe, Hermione, davvero, ma oggi è l’ultimo giorno di lavoro prima delle vacanze natalizie e …”
“Appunto: non credo che i trasporti siano la priorità della gente, o sbaglio?”
“Sbagli: bisogna garantirli anche nei giorni festivi.”
“Cosa che immagino tu abbia già abbondantemente fatto nelle ultime settimane …”
“Anche, ma devo sincerarmi che ...”
“Percy, sai che le ferie ed i permessi sono un tuo diritto e non puoi rinunciarvi, vero? Quando ti sei preso ferie, ultimamente?”
“Non le ho mai prese e ci tengo a continuare così: me le potrei far pagare, alla fine.”
“Non potresti. E, comunque, un pomeriggio non ha mai ucciso nessuno …”
“Ho delle programmazioni da rispettare, Hermione e mi stupisco che proprio tu voglia che vi rinunci: dovresti capirmi …”
“Io amo le regole, come te, lo sai, ma penso anche che ci siano cose più importanti e che, a volte, è necessario riconoscerlo.”
Si fermò, osservando il viso mortalmente serio e quasi spaventato di Percy. “Consideralo un modo per ricambiare il tuo regalo … ti prego!” lo implorò, così, sospirando, rassegnata. Il rosso sbuffò, guardandosi attorno e passandosi una mano sul volto prima di aggiustarsi nuovamente gli occhiali. “Devo lasciare delle istruzioni ai dipendenti dell’ufficio, prima: questione di un’ora e sono libero.”
“Ci vediamo alle tre fuori dalla cabina d’ingresso al Ministero?”
“Ci sarò.”
“Perfetto.” sorrise Hermione. Si era già voltata quando sentì Percy gridarle dietro una parola che mai si sarebbe aspettata di sentirgli dire al di fuori delle circostanze dov’era richiesta dalla buona educazione: “Grazie!”
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La mostra si rivelò inaspettatamente interessante, nonostante il curatore fosse una delle persone più noiose che Hermione avesse mai conosciuto in tutta la sua vita. Quando aveva ricevuto l’invito, aveva storto il naso: amava l’arte e le piacevano le mostre ed i teatri, ma, conoscendo il curatore, quella sarebbe stata un autentico supplizio. L’idea di andarci con Percy, a dirla tutta, era stata inaspettata e spontanea, un modo per cercare di rendere più sopportabile qualcosa che di per sé non lo era affatto. Per questo Hermione, per tutta l’esposizione, si sentì tremendamente in colpa a sorridere ed a commentare con il rosso i quadri e le presentazioni: in fondo, l’aveva usato per togliersi da un impiccio e sdebitarsi del regalo allo stesso tempo. Ogni tanto, tra una considerazione e l’altra, le capitava di ripensare a quel tomo delle sorelle Brontë, forse il regalo più azzeccato che le fosse stato fatto negli ultimi dieci anni. L’aveva stupita, semplicemente, così come stava continuando a fare commentando i quadri accanto a lei nel cappotto marrone, gli occhiali che si appannavano ad ogni cambio di temperatura.
Quando uscirono dalla mostra, era oramai sera: il cielo si era tinto di un cupo blu scuro e le vie di Londra, illuminate dai lampioni e dalle lucine natalizie delle vetrine, sembravano vulnerabili e fragili sotto l’immensa volta notturna dell’inverno. Hermione osservò il viavai di gente lungo le strade principali ed i palazzi decorati a festa: le sembrava quasi impossibile che tra soli due giorni sarebbe stato Natale. L’ennesimo da passare come invitata di troppo a casa di Luna e Rolf …
“Per quanto stimi il professor Flaherty, Hermione, devo ammettere che la mostra era … beh, assolutamente orribile.” intervenne di punto in bianco Percy, riponendo gli occhiali in tasca con un sospiro rassegnato. La strega si volse a guardarlo, sorpresa, prima di ritrovarsi a scoppiare a ridere sotto lo sguardo esterrefatto di Percy. “Che c’è di tanto divertente? Non dirmi che ti piacevano quei quadri …” commentò lui, gli angoli della bocca che si incurvavano pericolosamente all’insù. “No, affatto, ma tutti tranne me e te sembrano amarli!” spiegò Hermione, riprendendo fiato. “E, poi … niente, è che, appena uscita da una mostra, nell’aria natalizia … ecco, non mi aspettavo di sentire Percy Weasley parla di qualcosa di così serio dicendo ‘assolutamente orribile’.”
“Ho delle opinioni anch’io, non mi conformo sempre a quelle del Ministero come George, sai?” rise l’altro, guardandosi attorno. “C’è una pizzeria qui di fronte ed è tardi: ti andrebbe di mangiare qualcosa, visto che è già ora di cena?”
Hermione sorrise, annuendo. “Volentieri, sì. Perché non ti sono piaciuti quei quadri?”
“Perché non rappresentano nulla: per l’artista sono le emozioni, ma chiunque li guarda potrebbe dire tutt’altro ed avere comunque ragione. Non sono un fan dell’ambiguità, né dell’astrattismo, di conseguenza.”
“Vale lo stesso per me: non ci trovo niente. Mi emozionano di più i paesaggi …”
“Impressionisti o romantici?”
“Entrambi, ma soprattutto impressionisti: Monet, Manet, Renoir, Degas … sono sempre stati i miei preferiti. Mi emoziona il modo in cui tratteggiano la realtà e la società … il concetto, se ci pensi, è lo stesso degli astrattisti: ognuno ha un’impressione differente del mondo. Ma nel loro caso è tutto molto più percepibile … i paesaggi e le persone ci fanno davvero capire quanto questo sia vero, molto più di una linea o di una macchia che hanno significato solo per chi le dipinge!” spiegò Hermione, seguendolo nell’affollata pizzeria lì di fronte. Presero posto ad un tavolino in fondo al locale prima che Percy replicasse. “Per me, invece, gli impressionisti sono coloro che danno voce a ciò che si dimentica: le ballerine, la donna con l’assenzio … sono tutte figure emarginate di cui nessuno si preoccupa, ma che in realtà hanno ben più da dire di altri, se solo li si sa ascoltare.” illustrò. Hermione sollevò le sopracciglia, sorpresa. “Anche a te piacciono, dunque?”
Percy annuì. “Ti stupisce?”
“Molto. Cioè, so che ti piace la cultura, ma non ho mai conosciuto nessuno che apprezzasse gli impressionisti.”
“Ognuno ha le sue buoni ragioni per amarli. Se ne capisce qualcosa, chiaro: la maggior parte preferisce quello sregolato insieme di linee e macchie. Non solo sono soggettive, ma non rispettano neanche le regole della pittura … se sono state fatte, un motivo ci sarà!”
“Esatto, ma guai a dirlo troppo in giro!” annuì Hermione, sorridendo.
Si ritrovarono a parlare tanto veementemente di arte, libri e musica che il cameriere dovette tornare due volte prima che avessero letto il menù ed ordinato due semplici pizze margherita ed acqua leggermente frizzante.
Sembrarono essere arrivati a corto di argomenti solo a metà pizza, quando si ritrovarono a fissarsi di tanto in tanto da sopra i bicchieri, sorridendo appena. “Allora … dove passerai il Natale?” chiese Hermione. “Alla Tana, come tradizione comanda.” sospirò Percy, affrettandosi a rivolgerle la stessa domanda. Hermione rispose con sincerità, ma trovò comunque strano quel disagio nel parlare della famiglia, soprattutto da Percy, che era sempre stato ben felice di parlare ed esporre. Un po’ come lei, in fondo …
“Ginny mi ha detto dei tuoi genitori: mi dispiace.” disse, ad un certo punto, il rosso. Hermione sentì il cuore galopparle nel petto mentre abbassa lo sguardo ed annuiva. “Ho … ho detto qualcosa che non avrei dovuto? Non intendevo offenderti, scusa. Non ne parliamo più se …”
“Non preoccuparti, Percy: non è colpa tua, anzi, è stato gentile da parte tua. Solo … beh, parlare di loro mi rattrista, ovviamente.”
“Non c’è proprio speranza di riuscire ad invertire l’oblivion?”
“No: è stato troppo lungo. È irreversibile …”
“Se vuoi, posso chiedere al Ministero: conosco molti dipendenti dell’Ufficio dei Misteri, forse …”
“Non esiste persona a cui non abbia chiesto, credimi: sono arrivata ad andare persino in Francia ed in America, ma, semplicemente, un modo non c’è. Ho eseguito l’incantesimo troppo bene, riesci a crederci?” sorrise, amara, allontanando il piatto: improvvisamente, non aveva più fame. “E … e loro sono sempre in Australia?” domandò Percy. “Sì, con l’altra figlia. Mia sorella.”
Il rosso annuì, soppesando quell’informazione. “Non hai mai provato a parlarci?”
“A che pro?” sospirò Hermione. “Stanno meglio così: sono felici, hanno tutto, compresa una figlia normale che non causerà mai loro problemi e non cancellerà loro la memoria. E poco importa se dovrò soffrire un po’: non riuscivo a sopportare di vedere quelle espressioni vuote e confuse ogni volta che non ricordavano nulla dopo un esperimento di restituire loro i ricordi. Mi mancheranno sempre, naturalmente, ma oramai la loro vita e la mia viaggiano su due binari paralleli. Un po’ lo sapevo: le nostre vite si sono separate quando ho scoperto di essere una strega. Ora è solo una fine definitiva.”
Attese qualche istante, lasciando che la tristezza allentasse la presa sulla sua gola e sui suoi occhi prima di sollevare lo sguardo: Percy fissava il suo piatto, assorto. “Posso chiederti una cosa?” gli domandò. L’altro si riscosse, annuendo. “Perché, quando ti domando della tua famiglia, sei sempre … distaccato? Non eravate tornati come prima, dopo la guerra?”
Percy abbozzò un sorriso che risultò colmo d’amarezza, lasciando Hermione interdetta. “Una conto è dire, un altro fare.” sentenziò, lapidario. “Sono tornato a casa e sono stato perdonato, è vero. Ma … beh, non è così semplice.”
“Non riesco ad immaginare i tuoi che ti portano rancore, Percy …”
“Davvero? Strano, perché io ci riesco perfettamente, invece. Ma non sono loro il problema: è tutta colpa mia.” sospirò, passandosi una mano sul volto stanco che lo faceva sembrare più vecchio di quanto non fosse in realtà. “Fin da quando ero piccolo, sono sempre stato quello strano, il fratello noioso e petulante a cui nessuno dava retta. Forse è anche per questo che volevo a tutti i costi dimostrare quanto valessi, che volevo eccellere così tanto … fatto sta che ci sono riuscito, per un periodo, ma a che prezzo? Mamma mi ha perdonato, sì, è vero, ma papà non mi parla quasi mai e solo se deve, Ron e Ginny mi evitano come la peste, Bill non fa che esortarmi ad essere ‘meno Percy’ per non ricommettere gli stessi errori e Charlie … beh, ti basti sapere che Charlie mi ha detto: ‘Sarebbe stato meglio se fossi morto tu al posto di Fred. La morte si è presa il fratello sbagliato’. E la cosa peggiore è che ha ragione: è tutta colpa mia se Fred non c’è più …”
Istintivamente, Hermione allungò la mano e trovò quella del rosso, stringendogliela saldamente. Percy sgranò gli occhi, enormi e forse lucidi, fissandola, sorpreso, senza, però, ritrarsi. “Non devi pensarlo. Mai. Fred non avrebbe voluto che pensassi queste cose: tuo fratello è morto perché un Mangiamorte l’ha colpito. Voldemort e la guerra sono i responsabili del fatto che non sia più qui con noi, non tu, Percy. Hai commesso degli errori di valutazione, ma come tantissimi prima di te, basta pensare a Piton o a Harry stesso! Ma questo non ti rende colpevole di niente … hai saputo ritrovare la strada, alla fine!”
“Ho restituito i regali di Natale a mia madre per anni, ho dato del fallito a mio padre e mi sono rifiutato di parlare con chiunque per anni, per non parlare della lettera in cui sconsigliavo a Ron di stare vicino ad Harry, Hermione … questo non cambia. Non cambierà mai!”
“Ma in quella lettera ti congratulavi con Ron del fatto che fosse diventato prefetto. E ti sei scusato di fronte a tutti, più e più volte, Percy … sei cambiato, lo vedo e lo so. Certo, resti sempre pedante e puntiglioso, te lo concedo …” sorrise appena Hermione. “Ma sei un brav’uomo. E lo pensa anche la tua famiglia … avete solo bisogno di tempo: avete subito una perdita incommensurabile.”
“Perdita che non supereremo mai, né io né loro: Fred era il mio fratellino, era mio dovere difenderlo. Ed invece … ed invece sono stato dalla parte sbagliata per anni e per cosa, poi, per ottenere uno stupido posto di capo dell’Ufficio dei Trasporti? Una cosa talmente inutile che persino Victoire dice sempre: ‘Lo zio Percy è noioso’ quando pensa che non la senta! I miei fratelli hanno tutti ottime carriere ed hanno la loro famiglia, anche dei figli, magari, sono felici e sono riusciti ad andare avanti … ma io? Io non faccio che seguire le regole. Non so fare altro.” espirò. Prima che Hermione potesse replicare, però, Percy le lasciò la mano e si alzò. “Si è fatto tardi, devo proprio andare: domani devo passare in ufficio sul presto, mi spiace. Se vuoi, ti riaccompagno a casa …”
La strega annuì, cercando di eludere la spiacevole sensazione che il discorso di Percy le aveva lasciato. Quel pensiero, però, non svanì neanche sulla via di ritorno a casa, né dopo aver salutato Percy con un cenno e le tenne compagnia persino ore dopo, quando andò a letto, impedendole di addormentarsi sino all’alba del giorno dopo.
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Hermione non rivide Percy per un mese e non certo perché fosse andato in vacanza, anzi: sapeva fin troppo bene che non si sarebbe preso ferie neanche sotto tortura. La vera ragione della loro lontananza era, molto semplicemente, che Hermione non si sentiva di andare a parlargli dopo quello che le aveva rivelato. Era ancora turbata da quelle poche parole che le avevano fatto riconsiderare la sua percezione della famiglia Weasley. Non aveva mai pensato a Percy in quei termini, ma oramai lo vedeva per quel che era: un incompreso, come lo era lei. Era diverso da tutti i suoi fratelli e dai suoi e gli era stato fatto pesare, in un modo o nell’altro: vantarsi di essere il prefetto perfetto, rispettare le regole fino allo sfinimento ed agognare una sfolgorante carriera erano solo modi per dimostrare agli altri che avevano torto. Non giustificava il suo distacco dalla famiglia Weasley, ma capiva perché l’avesse fatto. Quello che le faceva davvero male, però, era vederlo vagabondare senza meta in una vita che sembrava detestare, convinto di essere un autentico fallimento e che tutti lo odiassero. Ed i suoi fratelli di certo non aiutavano …
In quelle settimane, Hermione, approfittando del tempo libero, aveva smaltito parecchio lavoro arretrato, ma la sua mente, volente o meno, correva sempre a Percy ed a come il ragazzino pedante fosse diventato un uomo disilluso.
Al Ministero, cercava di evitare il suo ufficio e non perché non volesse vederlo: semplicemente, la imbarazzava l’aver visto un Percy diverso da quello che mostrava agli altri. E la imbarazzava ancor di più l’essere stata così sciocca e disillusa da avergli regalato un orologio da polso per Natale. Era stato un gesto spontaneo e del tutto sconsiderato, così come lo era stato il farglielo recapitare alla Tana il giorno di Natale, senza nessuna firma. Probabilmente, non aveva neanche capito di chi fosse o non gli piaceva …
Dovette ricredersi quando, un mattino di gennaio, lo incrociò, intento a parlare con Shackelbolt sulle scale. Era il solito Percy, con il completo verde militare, gli occhiali di corno e la cravatta perfetta che parlava con pedanteria e senza sosta di regola e doveri … fatta eccezione per un orologio da polso nuovo. Prima ancora di rendersi conto di quanto questo le facesse piacere, Percy si volse a fissarla e le sorrise come avrebbe sorriso un minatore a rivedere il sole. “Hermione!” esclamò.
Da quel giorno, ripresero a vedersi regolarmente: si scambiavano libri d’ogni sorta in pausa pranzo, nelle sale da tè della Londra babbana, dove nessuno li conosceva, andavano insieme a mostre, cinema e teatri. La cosa più sorprendente, per Hermione, era il ritrovarsi ad attendere con impazienza quegli appuntamenti solo per vedere Percy e ridere alle sue battute: non avrebbe mai creduto che fosse divertente, eppure sembrava condividere con Fred e George l’inclinazione alle battute, nel suo caso ancor più riuscite, forse, perché infilate in discorsi seri.
Man mano che l’inverno sbiadiva nella tiepida e piovosa primavera londinese, Hermione si ritrovò a voler vedere Percy in ogni minuto libero del giorno ed a pensare continuamente a cosa dirgli la notte. Cercava scuse per parlargli, per andare a trovarlo e per vederlo, sentendosi sciocca come una ragazzina alla prima cotta: non sapeva perché si stesse comportando in quel modo a dir poco ridicolo, ma la faceva stare bene e tanto le bastava per staccare il cervello ed agire.

Le cose cambiarono bruscamente una sera di aprile, quando, usciti da teatro, dove avevano appena assistito ad una rappresentazione di Madama Butterfly, Hermione e Percy concordarono per una passeggiata. Era una serata relativamente calda, con i peschi in fiore che contornavano le strade londinesi affamate di vite e le stelle che restavano a guardare, mute e luccicanti.
“Più che Madama Butterfly, sembrava Madame Coccinella.” stava dicendo Percy, facendo ridere Hermione, stretta nel soprabito ottanio. “Ma dai, non essere ipercritico! Ha recitato bene!” rise. “Ma infatti non stavo criticando lei, ma il lavoro della costumista: è uno spreco di soldi pubblici, fidati.”
“Ma va’!” continuò Hermione, scuotendo il capo. Smise di ridere solo quando si accorse che Percy la stava fissando con uno sguardo strano, come brillante. “Che succede?” gli chiese. “Niente. Sei bella quando ridi.”
La Grifondoro sentì il respiro mozzarsi in gola mentre ringraziava, imbarazzata, voltandosi a guardare il selciato che stavano calpestando: quand’era stata l’ultima volta che qualcuno gliel’aveva detto? Mai. Nessuno le aveva mai detto che fosse bella. Carina, forse, ma non era certo Fleur o Ginny. Persino Luna era più particolare della studiosa ragazza con un cespuglio in testa che scompariva nei maglioni di lana e si ritirava a leggere ogni domenica.
“Ho detto qualcosa che ti ha turbata, Hermione?” le chiese Percy, facendola quasi sobbalzare mentre si volgeva a fissarla, incontrando i suoi occhi blu spalancati e timorosi. “No, affatto.”
“Allora …”
“È che non sono molto abituata a ricevere dei complimenti, Percy. Ma li apprezzo, davvero.”
Il rosso annuì, poco convinto, prima di scuotere il capo, calciando un sassolino mentre continuavano a camminare. “Quanto ha influito in questo Ron?” domandò. Hermione sentì la gola seccarsi all’improvviso. “Come?” ripeté, aggrottando la fronte. “Non serve che fingi che non sia successo, Hermione: me lo ricordo, sai? Ti ha lasciata dicendo che non lo amavi abbastanza, che eri frigida e che non ci tenevi a renderti carina per lui. Ed ha scelto Lavanda …”
“Non capisco cosa c’entri questo con me.” deglutì lei, sentendo il cuore accelerare mentre desiderava solo scomparire. “C’entra perché, se sei insicura del tuo aspetto, è colpa di mio fratello, prima di tutto: è stato lui ad approfittarsi sempre di te e dei tuoi sentimenti per lui, sin da quando eravate ragazzini. Non mi pare si sia mai prodigato a farti sentire speciale o semplicemente carina, neanche per il periodo in cui siete stati fidanzati …”  
“È acqua passata, oramai.” lo liquidò Hermione. “No. Lo vedo da come ti guardi riflessa nelle vetrine e da come chini il capo ad ogni domanda personale. In tribunale sei una leonessa, nessuno ti batte nel campo delle conoscenze, ma, quando si tratta di te, del tuo aspetto, diventi timida e timorosa. E questo perché sei rimasta scottata da Ron, ammettilo …”
“Fosse solo Ron!” sbottò lei, alzando gli occhi al cielo con un sospiro. “È da quando ero piccola che tutti mi prendono in giro per come sono, perché studio, leggo e detesto quello che la gente apprezza. Non mi piacciono le feste, la vita sociale, la movida, né ubriacarmi o chissà che altro … io voglio solo godermi il risultato del mio lavoro ed essere apprezzata per quello che faccio. Se sono cambiata, è per me, non perché a Ron non andava bene com’ero …”
“Ma sei cambiata.” replicò Percy. “Per lui o per te, l’hai fatto: vuoi dimostrarti forte, sicura, degna di ciò che hai e vuoi che ti si rispetti.”
“Non è così …”
“Guarda che lo so che è così: io sono identico a te ed ho attraversato questa fase da un bel po’, Hermione.”
“Quindi cosa vuoi dirmi, che sarei dovuta restare quella bambinetta con i dentoni ed i capelli a cespuglio a vita per non compiacere la società? Hai idea di quanto sia crudele la gente se non si ostenta un po’ di sicurezza?” eruppe la Grifondoro, stanca, bloccandosi e fissandolo con gli occhi nocciola che fiammeggiavano. Improvvisamente, la città sembrava deserta, tutti i rumori giungevano ovattati: c’erano soltanto loro ed i petali dei peschi che scendevano, sospinti dal vento. “Sì, ce l’ho.” le rispose Percy. “Ma so anche che non ostenterai mai sicurezza se non sarai al prima a crederci. E so anche che non è facile per te, dopo tutto quello che hai passato …”
Hermione sentì la cicatrice di Bellatrix bruciare sul suo avambraccio. Sanguemarcio … era quello che la definiva più di qualunque altra cosa. Poteva mentire a chiunque, ma non a se stessa: sapeva che, se aveva deciso di lottare per sopravvivere a Villa Malfoy e per diventare un avvocato, era solo e solamente perché non voleva più sentirsi così esposta e vulnerabile. “Ron pensava che dovessi toglierla.” disse, sfregandosi il braccio senza neanche pensarci. Percy la guardò con un’espressione indecifrabile prima di sussurrare: “Ron è un vero idiota.”
Hermione aggrottò la fronte. “Perché lo pensi?”
“Perché una persona intelligente avrebbe capito cosa rappresenta quella cicatrice per te. Perché una persona intelligente non ti avrebbe mai lasciata.”
Solo in quel mentre Hermione si rese conto di quanto vicini fossero: erano una di fronte all’altro, la figura di Percy avvolta nel soprabito beige e gli occhi blu enormi ed acquosi, tanto che la pupilla sembrava quasi aver inghiottito l’iride. La strega fu improvvisamente consapevole del suo profumo, di quella colonia delicata e fresca, così diversa dal profumo di erba fresca di Ron, del tremore delle sue mani e del lieve rossore alla punta delle sue orecchie. A quel dettaglio, sorrise e, prima che potesse dire o pensare altro, Percy poggiò le labbra sulle sue.
Fu un istante, uno sfiorarsi di anime, ma tanto bastò ad Hermione per rendersi conto di quei mesi e di quello che aveva fatto. Si separò, ansimando e, senza dargli il tempo di aggiungere altro, corse via e si smaterializzò, ignorando la voce di Percy che la chiamava nella notte.

Era sbagliato, era tutto tremendamente sbagliato eppure lo voleva.
Seduta sul divano di casa in un’enorme camicia da notte lilla, Hermione fissava il fuoco crepitare nel camino, le fiamme divorare la cenere stringeva le dita tremanti nei palmi. Era stato tutto un errore, un enorme, madornale, errore: come aveva potuto innamorarsi del fratello di Ron, per giunta del fratello che la famiglia Weasley apprezzava meno di tutti? Del fratello sbagliato, in una parola.
Aveva giurato a se stessa che non voleva più avere niente a che fare con Ron ed ora, invece …
Si prese la testa tra le mani, sospirando: in quei mesi, aveva conosciuto un Percy uguale ed al contempo diverso da come lo ricordava, aveva trovato un’anima affine e si era sentita per la prima volta capita, ascoltata ed apprezzata, in modo completamente diverso da come si sentiva con Ron. Ron la definiva pedante, saccente, troppo seria, mentre Percy ascoltava tutto quello che diceva e lo commentava, che fosse d’accordo o meno, era sempre puntuale e composto e non aveva mai fatto scenate come accadeva con Ron. Non avevano neanche lo stesso profumo, solo il colore dei capelli era lo stesso … e perché diamine li continuava a paragonare, ora?
“Stupida! Santo cielo, di tutti proprio Percy?” sospirò, scuotendo il capo: negare il sentimento che provava sarebbe equivalso a mentire a se stessa, lo sapeva fin troppo bene. E mentire era un reato. Sapeva che cos’era quel desiderio di vederlo sempre, di prenderlo a braccetto, di vederlo sorridere e quella voglia irrefrenabile di passargli le dita tra i capelli e di accarezzargli la guancia, ma aveva preferito ignorare il suo cuore in tumulto e fingere che fosse una bella amicizia di Hogwarts con una persona simile a lei, ritenuta noiosa e snobbata da tutti. Ma Percy era di più … Percy era l’unico che la capiva totalmente e pienamente.
Un bussare alla porta la fece sbuffare: era quasi sicura Tipsy con le sue assurde richieste. Andò ad aprire senza la minima voglia di farlo, ma raggelò quando si ritrovò davanti la familiare figura di Percy ed il cuore perse un battito. “Percy?” sussurrò. “Posso … posso entrare, Hermione?” mormorò questi, deglutendo. La Grifondoro annuì, scostandosi: in fondo, era stata pessima ad andarsene. La serata era stata bella, tutto sommato … avrebbe voluto che non fosse l’ultima tra loro, ma cos’altro poteva fare?
“Mi dispiace.” eruppe Percy non appena ebbe chiuso la porta. “No, non è colpa tua … sono io che ho sbagliato, va bene? Tutto questo … tutto questo è sbagliato: io stavo con tuo fratello. Tu non dovresti avere a che fare con me ed io con te.” sentenziò Hermione, scandendo ogni parola con gli occhi chiusi per convincersi che fosse vero. Percy annuì, sospirando. “Lo so. Per questo volevo scusarmi. E, poi … tu non devi stare con uno come me.”
Hermione aprì gli occhi di scatto. “Non è questo …” mormorò. “No, è esattamente questo, Hermione: sei bellissima, sei intelligente, capace, gentile, determinata, forte e talentuosa … io sono solo un grigio burocrate con un passato scomodo ed una vita che odia. Non ti merito.”
“Ron non mi meritava.” replicò lei, senza neanche pensarci. “E non lo dico con presunzione, ma … io volevo sposarlo, volevo una famiglia, volevo … volevo la vita che poteva offrirmi, qualunque essa fosse. Solo, con calma. Ma lui … lui ha preferito la via più breve e più facile, quella della bella Lavanda, meno impegnativa, meno ...”
“Meno te.” concluse Percy in appena un sussurro, alzando finalmente gli occhi a guardarla: erano vitrei, quasi acquosi. Hermione deglutì, sentendo il cuore accelerare e le guance arrossarsi. “Non credo di essere tanto carina, così, sai?” commentò, abbozzando un sorriso. “Infatti non lo sei: sei bellissima, non carina.” mormorò Percy. “E tu sei … sei unico, Percy Weasley. In tutto ciò che fai.” sussurrò Hermione, deglutendo mentre il rosso si avvicinava lentamente, passo dopo passo: avrebbe potuto cacciarlo o andarsene in ogni momento. Avrebbe anche dovuto, forse … ma non lo fece. Era stanca di fare ciò che volevano gli altri. Forse era arrivato il momento di pensare a cosa voleva lei …
“Sai che è sbagliato, vero?” domandò quando Percy si fermò ad un soffio dalle sue labbra. Lui annuì. “Lo so: è contro le regole della fratellanza.”
“E non ti spaventa andare contro le regole?”
L’altro sorrise, accarezzandola la guancia con le dita. “Alcune regole sono fatte per essere infrante … me l’hai insegnato tu.” sussurrò.
In un istante, le loro labbra si sfiorarono di nuovo, ma, stavolta, non ci fu nulla di accidentale. Si cercarono, si sfiorarono e si aggrapparono disperatamente l’una all’altro come se fossero l’unica ancora in mezzo alla tempesta. Hermione si sciolse e respirò a fondo il profumo della colonia di Percy, aggrappandosi alle sue spalle: c’erano solo loro, il fuoco che scoppiettava ed i ricordi. Percy che le spiegava come funzionavano le cose ad Hogwarts. Percy che commentava le bravate di Fred e George. Percy che piangeva e vegliava il corpo del fratello morto. Percy che la faceva ridere. Percy che commentava un libro e le ricordava di essere in ritardo o di aver appena violato un regolamento ministeriale. Mentre le loro bocche danzavano l’una sull’altra e le loro dita si sfioravano, Hermione si ritrovò a sorridere, a lasciare che il cuore le esplodesse nel petto e che il calore di quel sentimento che aveva negato per tanto l’avvolgesse: forse, dopotutto, non era lei ad essere sbagliata. Forse aveva solo avuto in mente per troppo tempo il Weasley sbagliato.

Angolo Autrice:
Ebbene sì, la mia ennesima follia ha preso vita dopo che l'idea mi era frullata in testa per settimane, complice la storia 'Lascia che ti racconti la Storia', in cui si rivaluta il personaggio di Percy. Chi mi conosce sa che apprezzo i personaggi emarginati ed un po' fuori dagli schemi, per quanto autentici, come secondo me è Percy, per quanto detestato da tutti e che non amo la Ron/Hermione. 
Questo esperimento sarà in quattro capitoli e seguirà le vicende di Percy ed Hermione, che ho sempre visto come motlo simili. So che la coppia è bizzarra, ma spero vogliate dar loro una chance, prometto che i prossimi capitoli saranno molto più avvincenti di questo.
Grazie a chiunque passi di qui, se potete, recensite!
A presto
E.

 


 
  
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