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Autore: Stillathogwarts    11/09/2022    0 recensioni
"Restò immobile, totalmente spiazzata, mentre Draco affondava il volto tra i suoi capelli.
Lo sentì inspirare ed espirare profondamente e rabbrividì quando il suo respiro caldo colpì il suo collo, provocandole una sensazione di calore che si diffuse in tutto il corpo.
«Ovviamente dovevi essere tu» sussurrò con voce roca, riconoscendo chiaramente il suo profumo."
(Dal testo)
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STORIA IN 2 PARTI | DRAMIONE.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Disclaimer: I personaggi e il mondo di Harry Potter in generale non mi appartengono. La fanfiction è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


 
Behind The Mask
PARTE PRIMA
 

 
 
 
Il mondo magico post-guerra era un affare alquanto bizzarro.
Almeno, Hermione Granger la pensava in questo modo.
La guerra aveva sortito uno strano effetto su gran parte della popolazione magica.
Sebbene ci fossero alcuni soggetti ancora fermi sulle loro vecchie posizioni, - Hermione sapeva per certo che Pansy Parkinson andava ancora in giro aspettandosi che la gente si prostrasse ai suoi piedi in segno di riverenza -, molti sembravano invece aver fatto oro di quanto avevano imparato durante gli anni bui della Seconda Guerra Magica e cercato di rimediare ai loro sbagli o semplicemente di essere persone migliori.
Questo non rendeva meno strano incontrare Blaise Zabini e Daphne Greengrass nei corridoi del Ministero e salutarsi con rispetto, né trovarsi davanti a un Draco Malfoy perfettamente integrato nel Dipartimento Auror e all’apparenza libero dai preconcetti con cui era stato cresciuto, né la presenza costante di Astoria Greengrass alle cene di famiglia dei Weasley, costantemente avvinghiata al braccio di Ron.
La cosa le dava ancora fastidio a volte.
Quando subito dopo la Battaglia di Hogwarts, il rosso aveva classificato il loro bacio come “un impeto dettato dal momento”, liquidando la faccenda con una risatina imbarazzata e un sarcastico “pensavamo che saremmo potuti morire, in fondo, no?”, Hermione aveva stabilito di averne avuto abbastanza e si era imposta di cessare all’istante di aspettare che il suo amico si decidesse a vederla, senza mettere a rischio la loro storica amicizia.
Rientrata a Hogwarts per il suo ultimo anno, essendo l’unica del Trio ad aver fatto ritorno al castello, aveva trascorso la maggior parte del suo tempo con Ginny, Luna e Dennis Canon, che erano all’ultimo anno a loro volta, e con i pochi che conosceva che avevano fatto ritorno a scuola perché impossibilitati a sostenere i M.A.G.O. l’anno precedente.
Tra questi, Terry Steeval.
Terry si era rivelato una sorpresa vera e propria una volta che avevano iniziato a conoscersi meglio; Hermione sapeva perfettamente che fosse simpatico, perché erano amici già da tempo, ma era stato il suo lato scaltro e curioso e la sua sensibilità a colpirla maggiormente con l’approfondimento del loro rapporto.
La loro relazione era iniziata intorno al periodo di Pasqua ed era durata per ben tre anni.
Nessuno dei due voleva veramente mettere fine alla loro storia, ma quando Terry era stato promosso e inviato al MACUSA negli Stati Uniti, Hermione semplicemente non era riuscita a staccarsi dalla sua vita in Inghilterra per seguirlo.
Non riusciva ad immaginare una quotidianità che non includesse Harry, che era come un fratello per lei, e l’idea di doversi separare una seconda volta dai suoi genitori dopo averli appena riavuti le faceva troppo male per assecondare i desideri del suo cuore.
Non aveva più avuto una relazione, però.
La maggior parte degli uomini che incontrava era di una noia mortale, a detta sua; i loro argomenti di conversazione vertevano o sul Quidditch o su notizie di attualità talmente tanto banali che Hermione finiva per appisolarsi prima di quanto non avrebbe fatto se fosse rimasta a casa a fissare il soffitto con un calice di vino in mano.
Mai nessuno che si dimostrasse interessato alle sue idee per migliorare il mondo magico, né che mostrasse curiosità per livelli di magia più avanzati e complicati come faceva lei.
Dopo un po’, Hermione si era arresa all’evidenza che forse aveva lasciato andare l’unico match possibile per lei nell’intero mondo magico e che così facendo si fosse condannata ad un’esistenza solitaria.
In fondo, aveva dovuto convenire alla fine, non le dispiaceva poi così tanto e quindi aveva smesso di cercare l’uomo adatto a lei.
Nella vita, aveva sempre dato la priorità alla carriera, dopotutto. Se prima o poi fosse sbucato qualcuno di interessante da qualche angolo del Ministero avrebbe valutato la possibilità di allargare i suoi obiettivi futuri, estendendoli eventualmente alla costruzione di una famiglia tutta sua.
*
Cinque anni dopo la Battaglia di Hogwarts, tutti sembravano estremamente indaffarati a dimostrare di essersi lasciati alle spalle quel torbido periodo di storia magica.
Un modo come un altro per non soccombere al ricordo dei terribili eventi che si erano verificati durante la guerra, supponeva Hermione.
Il passatempo preferito dalla società magica impiegata al Ministero era quello di intrattenersi con una successione alquanto vergognosa di serate di gala e balli sfarzosi, anche se l’idea alla base di tali occasioni era quella di favorire le interazioni sociali e l’unità della società magica.
Sebbene Hermione apprezzasse i gala di beneficenza perché li considerava utili, - c’era ancora tanta gente che necessitava di aiuto -, storceva il naso ogni volta che il Ministro Shacklebolt si presentava nell’Aula Magna e annunciava un nuovo evento.
«È solo perché non hai nessuno con cui andarci che non ti piacciono», si premurava di precisare Parvati Patil ogni volta che vedeva l’irritazione sulla sua faccia.
A Hermione sarebbe bastato poter scegliere di non presentarsi, ma il Capo del suo Dipartimento considerava essenziali quelle occasioni per conoscere gente nuova e convincerli ad appoggiare le loro cause.   
Hermione avrebbe voluto ribattere più volte che dopo tre calici di vino elfico nessuno prestava più veramente attenzione a quello che la gente attorno a loro diceva e che durante quegli eventi l’obiettivo dei più fosse semplicemente spegnere il cervello e divertirsi, ma sapeva anche che discutere con il suo superiore sull’argomento non avrebbe portato a nulla, perché lei avrebbe perso in partenza.
Allora stava zitta, stringeva i denti e si presentava a quei maledetti balli.
Quella volta, però, c’era qualcosa di diverso, perché il ballo in questione sarebbe stato in maschera e qualcosa nell’idea di trascorrere la serata nell’anonimato più totale la intrigava enormemente.  
«Potrebbe essere la tua occasione per incontrare qualcuno di interessante!», esclamò Ginny entusiasta, nonostante lo sguardo scettico che ricevette da Hermione in risposta. «Oh, andiamo! Pensaci! Nessuno saprà chi sei e se conoscerai qualcuno non dovrai preoccuparti di capire se è interessato veramente a te o al fatto che sei Hermione Granger.»
«Non sto cercando una storia», le ripeté pazientemente la giovane donna, ma l’amica ignorò completamente la sua precisazione.
«Ci penserò io a sistemarti per quella sera, non puoi lasciarti scappare un’occasione del genere!»
Hermione decise di lasciarla fare, perché tanto non le piaceva preoccuparsi di quel tipo di dettagli e comunque era inutile discutere con Ginny quando si fissava su una cosa; facendolo avrebbe solamente perso tempo e alla fine avrebbe dovuto arrendersi, per cui tanto valeva chiudere la questione e acconsentire in partenza a tutto quello che le sarebbe venuto in mente.
«Cosa farei senza di te, Ginny?»
*
Hermione sussultò quando l’invito ufficiale per il ballo comparve all’improvviso sulla sua scrivania in una fiammata argentea, insieme a una lettera del Ministro in persona in allegato.
Era a metà lettura quando il suo cervello andò in tilt e il colore defluì dal suo volto.
“Per gentile concessione del sig. Draco Lucius Malfoy, dipendente del Dipartimento Auror, Squadra Speciale facente riferimento al Capo Auror Harry James Potter, il Gran Ballo di Halloween del Ministero si terrà presso Malfoy Manor, nel Wiltshire.”
In genere, quegli eventi venivano organizzati presso il Ministero stesso, per cui Hermione aveva dato per scontato che anche quel ballo si sarebbe tenuto nella grande Aula Magna dell’edificio.
Evidentemente, l’idea di un ballo in maschera per celebrare Halloween doveva aver fatto pensare in grande gli organizzatori, - in quattro anni di lavoro al Ministero, Hermione non aveva ancora capito chi fossero -, optando per una location più suggestiva.
Per lei, la prospettiva di trovarsi tra le mura di Malfoy Manor era tutt’altro che allettante.
Guardò Harry con gli occhi sgranati quando lo vide entrare e rispose alla sua fronte corrugata sventolandogli davanti l’invito.
«Ah, sì», disse il Prescelto. «A quanto pare, ora che Malfoy è una presenza ben accettata in società, gli hanno chiesto se fosse possibile tenere l’evento a casa sua e lui ha detto di sì, dato che ha recentemente ultimato la ristrutturazione.»
«E i suoi genitori?»
«Sono in isolamento da qualche parte in Scozia, dove i Malfoy hanno altri possedimenti», rispose distrattamente il moro. «Non andavano d’accordo da un bel po’.»
«Immagino che quando sei un Mangiamorte graziato per un pelo e tuo figlio ha deciso di diventare un Auror e va in giro a catturare i tuoi amici, l’atmosfera a cena tenda ad essere piuttosto tesa.»
Harry annuì. «Soprattutto quando tuo figlio ha anche messo in chiaro di non avere più la minima intenzione di seguire la linea purosanguista e tu sei ancora fermamente convinto della sua validità.»
Le labbra di Hermione si dischiusero leggermente per la sorpresa.
Perché non le aveva mai raccontato quelle cose?
«Non lo sapevo.»
«Sono anni che Draco ha messo la testa a posto, diciamo» affermò Harry. «Anche se a volte i suoi vecchi modi hanno un po’ la meglio su di lui.»
Un angolo delle labbra di Hermione si incurvò all’insù.
«Non posso comunque andarci», esclamò costernata. «Non posso tornare lì.»
Harry sospirò e si accomodò sulla sedia di fronte alla postazione dell’amica.
«Malfoy Manor è molto diverso, ora» le rivelò. «Draco se n’è assicurato. E se ti può far sentire meglio, ho visto i progetti di ristrutturazione con i miei stessi occhi.»
«Non c’entra», sbuffò lei. «Ci sono quasi morta, lì dentro!»  
Hermione si voltò di spalle, serrò gli occhi e deglutì, cercando di regolarizzare il suo respiro.
La mano di Harry si chiuse sul suo braccio e le diede una strizzatina d’incoraggiamento.
«Saremo tutti lì», la tranquillizzò. «Ma se proprio non te la senti, posso firmarti un permesso speciale da rifilare al tuo Capo di Dipartimento.»
La giovane annuì. «Grazie, Harry.»
Qualche ora dopo, Hermione era certa che se avesse tardato un altro po’ si sarebbe addormentata in ufficio.
Rassegnata a lasciare il rapporto a cui stava lavorando a metà e a doverlo finire l’indomani, - una cosa che odiava fare, perché preferiva sempre finire quello che iniziava e non rimandare al giorno seguente -, sospirò, sistemò la sua borsa e si preparò a raggiungere i camini per tornare a casa.
Erano poche le persone che si attardavano così tanto al lavoro, ed erano per lo più coloro che non avevano famiglia o non convivevano, - fatta eccezione per quelli che invece utilizzavano il lavoro come scusa per stare il più lontani possibili da casa.
Com’era spesso capitato durante altre sere in cui aveva fatto tardi, Hermione incrociò una testa biondo platino nell’ascensore per la hall.
«Granger.»
«Malfoy.»
Era il massimo che sapevano fare.
Ogni volta che si incontravano si rivolgevano quel breve e freddo saluto e poi tornavano ad ignorarsi.
L’unica volta in cui avevano tenuto una vera e propria conversazione, seppure breve, era stata una notte di quattro anni prima, quando lei aveva appena iniziato a lavorare al Ministero e lo aveva incrociato per sbaglio nell’atrio.
Che Draco Malfoy fosse stato scagionato da tutte le accuse dopo la guerra non era un mistero per nessuno, vista anche la testimonianza di Harry al suo processo, ma quando il Prescelto le aveva raccontato che si era iscritto al programma di Addestramento Auror, Hermione era rimasta totalmente spiazzata.
Sapeva che Harry aveva ricevuto un chiarimento decente in merito, o non lo avrebbe di certo accolto nella sua squadra, né avrebbe garantito per lui assumendosene la responsabilità, ma non le aveva mai detto niente in merito, sostenendo che la cosa era un po’ troppo personale e che non si sentisse a suo agio con l’idea di riferirgliela.
Hermione non aveva insistito, ma la sua curiosità non si era mai assopita; per cui quella sera, incoraggiata dal sorprendente fatto che lui l’aveva a tutti gli effetti salutata e di sua iniziativa, sebbene sbrigativamente e freddamente, glielo aveva chiesto.
«Tra tutte le cose, hai scelto di diventare Auror?» aveva buttato la domanda lì casualmente, senza preamboli e senza convenevoli.
Draco aveva alzato un sopracciglio. «Tra tutte le cose, hai scelto di lavorare per il Dipartimento per la Regolazione e il Controllo delle Creature Magiche? Se avessi dovuto scommettere i miei soldi su di te, avrei puntato su una carriera più… interessante. Probabilmente quella di Indicibile
Hermione era arrossita leggermente a quella considerazione, soprattutto visto che non si aspettava una risposta tanto articolata da parte sua. «Ho i miei progetti.»
«Ah, il C.R.E.P.A.»
Il tono enfatico con cui lo aveva detto era stato abbastanza indisponente da farle perdere interesse in ulteriori scambi con il biondino, per cui, risparmiandosi una polemica che non avrebbe portato da nessuna parte, aveva alzato la testa e si era congedata.
«Con permesso», aveva detto freddamente, ma sempre educatamente perché alla fine dei conti Draco era ormai un suo collega e al Ministero non si sapeva mai quando si poteva avere bisogno dell’intercessione di qualcuno in un altro Dipartimento, e si era diretta verso un camino.
Era una di quelle serate in cui si era attardata quasi fino alla chiusura delle porte, per cui erano soli nella hall e quando Draco aveva parlato di nuovo, alle sue spalle, la sua voce era riecheggiata tra le pareti, trapassandola e facendola sussultare leggermente.
«Redenzione, Granger.»
Hermione si era voltata verso di lui a quelle parole, con gli occhi leggermente sgranati.
«Mi sembrava la carriera perfetta per rimediare ai miei sbagli giovanili.»
Non aveva commentato in alcun modo, né aggiunto altro, perché lui si era voltato di spalle e si era incamminato nella direzione opposta prima che lei potesse proferire alcuna parola.
Nei successivi quattro anni, tutto quello che si erano scambiati era stato una serie di convenevoli e di saluti distaccati e qualche informazione di lavoro.
Si riscosse dai suoi pensieri solo quando la porta dell’ascensore si aprì con un rumore che, nel silenzio di quell’ora solitaria, risultò quasi assordante.
Prima che potesse fare un passo per uscire, però, la mano di Malfoy le si parò davanti, sbarrandole la strada.
Hermione lo fissò con le sopracciglia sollevate.
Draco si inumidì le labbra, dandole l’idea di essere lievemente a disagio, per quanto poco il biondino lasciasse trasparire delle sue emozioni.
«Volevo, ehm…» disse esitante, deglutendo con forza. «Volevo solo assicurarti che il Manor non è… quello che ricordi.»
Lei schiuse leggermente le labbra sentendo quelle parole inaspettate.
Draco si stava preoccupando di farle sapere che sarebbe stata al sicuro in casa sua?
Forse sentiva che rientrasse nella lista dei doveri del padrone di casa far sì che gli ospiti fossero a loro agio.
Hermione si schiarì la gola. «Veramente», asserì puntellandosi sul suo posto, «io non verrò al ballo. Ma grazie per esserti preso il disturbo.»
«Ah», fece lui. «D’accordo… Figurati.»
Restò qualche istante immobile a fissarla, come se volesse aggiungere altro, ma alla fine non disse niente; sembrò rendersi conto del fatto che Hermione stava aspettando che le liberasse la strada per andare via solo dopo qualche attimo, così ritrasse il braccio con uno scatto.
«Ci si vede allora, Granger.»
*
La sera del ballo, Hermione si sentiva stranamente giù di morale.
Il vestito che aveva comprato con Ginny era appeso all’esterno del suo armadio e reclamava di essere indossato; ovviamente, lo aveva acquistato prima di scoprire che l’evento si sarebbe tenuto a Malfoy Manor e di decidere di non presentarsi.
Il suo anonimo appartamento poco fuori il centro di Londra, però, le stava sembrando altamente deprimente quella sera.
La verità era che Hermione aveva sempre amato i balli in maschera e non andarci le stava pesando più del dovuto.
Sbuffò e si diresse verso il frigo per tirare fuori una bottiglia di vino.
Vuotato il primo calice, Hermione prese una decisione di cui era sicura si sarebbe pentita.
Avrebbe stretto i denti, si sarebbe morsa le labbra se si fosse reso necessario, ma lei sarebbe andata a quel ballo a tutti i costi.
*
Quando il Comitato di Organizzazione Feste lo aveva contattato per chiedergli se potessero usare il Manor come location per il ballo di Halloween, Draco era stato perplesso, ma non se l’era sentita di rifiutare la prima parvenza di normalità nella sua vita dopo anni di emarginazione sociale.
Aveva accettato, perché d’altronde aveva appena ultimato un’epocale opera di ristrutturazione e non avere nessuno a cui mostrare il risultato era piuttosto deprimente.
Voleva dislocare il nome di Malfoy Manor dalla definizione di ‘Quartier Generale dei Mangiamorte’ e, visto che a quanto pareva diventare Auror non era stato a sufficienza, ospitare il più grande evento dell’anno sponsorizzato dal Ministero gli era sembrata una buona occasione.
Non aveva pensato alla Granger quando aveva accettato, a come si sarebbe potuta sentire all’idea di dover tornare a casa sua dopo gli spiacevoli trascorsi che l’avevano coinvolta in prima persona durante la guerra.
Il che era strano, in realtà, perché la Granger era l’argomento a cui pensava maggiormente nel corso delle sue giornate da anni.
Un maledetto chiodo fisso che non faceva che battere nelle sue tempie.
Aveva perso traccia del tempo trascorso a guardarla mentre sedeva da sola a un tavolino della caffetteria di fronte al Ministero, durante la colazione o la pausa pranzo, indeciso se avvicinarsi a lei o meno; desiderava parlarle più di ogni altra cosa.
Parlarle veramente, però.
Non quella sottospecie di saluto che si riserbavano da anni o quegli scambi di battute distaccati che vertevano per lo più su questioni lavorative.
Voleva porgerle le sue scuse, farle sapere che era veramente e profondamente dispiaciuto per il modo in cui l’aveva trattata durante la loro carriera scolastica a Hogwarts, per non essere intervenuto quella maledetta notte al Manor.
Ottenere il suo perdono, magari.
Se poteva darglielo.
Non era mai riuscito a costringere i suoi piedi a raggiungerla.
Hermione Granger e il suo senso di colpa verso di lei erano la base da cui era nato il suo desiderio di redenzione, il motivo per cui una mattina aveva ingoiato l’orgoglio e si era presentato al Ministero per supplicare Kingsley Shacklebolt di dargli una seconda occasione, di concedergli l’opportunità di dimostrare all’intero mondo magico quanto fosse pentito delle sue azioni deplorevoli, ma soprattutto quanto fosse cambiato.
In realtà, gli importava ben poco del parere del mondo magico; Draco voleva semplicemente che lo capisse lei. Se nel mentre poteva anche arrivare a risparmiarsi le occhiatacce quando passeggiava per Diagon Alley, poi, tanto di guadagnato.
Col senno di poi, aveva scoperto che fare l’Auror gli piaceva veramente.
Trascorreva più tempo di quanto fosse effettivamente tollerabile con Potter, certo, ma alla fine erano riusciti a costruire un rapporto abbastanza solido, quasi un’amicizia.
La scelta di Potter di prenderlo sotto la sua ala, per quanto Draco avesse odiato l’idea inizialmente, era stata decisiva nell’accettazione della sua richiesta di ammissione al Programma di Addestramento Auror.
Ci aveva messo un bel po’, anche dopo aver conseguito il titolo, ad inserirsi veramente, - molti erano estremamente diffidenti nei suoi confronti e, soprattutto all’inizio, le frecciatine sul Marchio sbiadito sul suo avambraccio erano costanti -, ma alla fine ce l’aveva fatta, aveva dimostrato loro la sua dedizione al lavoro, alla causa, ed avevano finito con l’accettarlo.
Nella squadra lui era per lo più la testa, lo stratega, ed era un ruolo che gli calzava a pennello, nonché uno dei motivi per cui finiva quasi sempre per fare tardi, la sera.
Pianificare i raid e le missioni nel dettaglio, garantendo la maggiore percentuale di sicurezza dei partecipanti, richiedeva tempo, attenzione e grande impegno, oltre che una dose di responsabilità monumentale, ragion per cui Draco prendeva molto seriamente il suo lavoro.
Quella sera, il Ministero era più vuoto del solito.
Non si sorprese, però, quando vide la chioma familiare della Granger sbucare dalla porta dell’ascensore per la hall.
Deglutì, vedendola entrare abbastanza impacciatamente nell’abitacolo e incrociare il suo sguardo per qualche istante.
«Granger.»
«Malfoy.»
Quel maledetto saluto freddo e distaccato, di nuovo.
Un circolo vizioso dal quale nessuno dei due sembrava in grado di uscire.
Draco, onestamente, non riusciva ad immaginare un singolo motivo per cui la Granger potesse voler fare una cosa del genere, ma lui di ragioni ne aveva a bizzeffe.
La Granger gli diede le spalle e fissò la porta davanti a sé in silenzio.
Draco imprecò mentalmente quando come al solito non riuscì ad impedirsi di far scivolare gli occhi sulla sua figura, sul suo fondoschiena compresso in quella gonna con cui spesso si presentava al Ministero.
Si chiedeva se sapesse quanto il suo look da lavoro la facesse sembrare sexy; se fosse consapevole della quantità di sguardi che attirava o dei commenti lascivi che molti si lasciavano sfuggire indiscretamente al suo passaggio.
Riflettendoci, dovette concludere che dell’ultimo punto la Granger fosse completamente ignara, altrimenti la voce della sua indignazione si sarebbe diffusa in lungo e in largo nel Ministero e nessuno avrebbe più avuto il coraggio di esternare quel tipo di apprezzamenti verso di lei.
Draco odiava sentirli.
E odiava ancora di più non poter agire in merito per zittirli.
Quel giorno la Granger aveva i capelli sciolti e lui ne era immensamente sollevato, specie perché si erano ritrovati da soli in quello spazio ristretto, nel mezzo del Ministero deserto.
Spesso l’aveva vista con i capelli raccolti, tenuti fermi da un aggeggio che Potter gli aveva indicato una volta come ‘matita babbana’, e quella visione, mentre la guardava mordersi il labbro inferiore assorta nei suoi pensieri, gli aveva spesso provocato delle sensazioni scomode all’altezza del cavallo dei pantaloni.
Se poi stringeva dei libri tra le mani, la situazione peggiorava esponenzialmente, perché gli faceva venire in mente la biblioteca di Hogwarts, ma in contesti del tutto diversi da quelli a cui era abituato a scuola.
Gli veniva quasi da ridere ogni volta che pensava a quello che il sé stesso di Hogwarts avrebbe detto se avesse saputo che un giorno avrebbe sbavato dietro alla figura di Hermione Granger, se avesse saputo quanto avrebbe agognato il suo sguardo e quanto avrebbe bramato un contatto di qualsiasi tipo con lei, soprattutto fisico.
Il rumore dell’ascensore che si fermava lo fece riscuotere, rammentandogli quello che aveva intenzione di dirle in primo luogo.
Con uno scatto, le bloccò la strada.
«Volevo, ehm… Volevo solo assicurarti che il Manor non è… quello che ricordi.»
Si maledisse mentalmente per quell’uscita banale e impacciata.
Da quando non riusciva ad articolare frasi di senso compiuto davanti a una bella ragazza?
Come se il problema fosse quello!
Il vero problema era che la ragazza in questione era la Granger e la Granger riusciva sempre a mandarlo in tilt in qualche modo, fin dai tempi di Hogwarts.
Quella, però, era la sua ennesima occasione per dirle tutto quello che aveva desiderato farle sapere in quegli anni e l’aveva appena mandata in fumo, di nuovo.
La sentì schiarirsi la gola, prima di parlare.
«Veramente», rispose sembrando quasi a disagio, «io non verrò al ballo. Ma grazie per esserti preso il disturbo.»
«Ah», fu il meglio che riuscì a tirar fuori, sperando che la delusione non trasparisse dalla sua voce. «D’accordo… Figurati.»
Non ci sarebbe andata perché la location stabilita era Malfoy Manor?
Temeva di rievocare brutti ricordi?
Il pensiero che non si potesse sentire al sicuro in casa sua gli faceva male, per qualche motivo.
Restò a fissarla per diversi istanti, indeciso se indagare oltre o lasciar perdere, se rassicurarla ulteriormente o meno, se cercare di convincerla; valutò persino se inginocchiarsi davanti a lei, invocare il suo perdono e chiederle di andare a quell’evento con lui.
Poi realizzò che probabilmente l’unico motivo per cui non se n’era ancora andata era che le stava ancora sbarrando la strada, così si riscosse e disse solo: «Ci si vede allora, Granger.»
Lei gli rispose con un semplice e breve cenno del capo.
Idiota!”, gli urlò contro la vocina nella sua testa, mentre la guardava dirigersi verso un camino in fondo all’atrio.
Lontano da lui, come sempre, lasciandolo con la sensazione di essere due perfetti sconosciuti.
*
Sapere di potersi godere la serata nell’anonimato più totale gli aveva dato vigore.
La sua maschera non lasciava intravedere molto del suo viso e si era persino scurito i capelli.
Aveva provato con il nero, ma quando si era guardato allo specchio aveva arricciato il naso; allora aveva optato per un biondo cenere, pensando che il rosso non fosse decisamente un’opzione da vagliare.
Draco aveva già concordato con il Comitato di Organizzazione Feste che non si sarebbe mostrato in quanto padrone di casa.  
Voleva godersi la serata in santa pace, come uno qualsiasi dei partecipanti, anche se l’idea di non incontrare la Granger quella sera aveva abbassato di molto le sue aspettative.
Hermione era sempre stupenda durante quegli eventi.
Nella sua semplicità era disarmante e riusciva a rubare l’attenzione persino a quelle ragazze con trucco e vestito talmente elaborati da risultare stucchevoli.
Almeno ai suoi occhi.
Stava parlando con Blaise Zabini vicino al banco dei vini, quando il suo sguardo venne catturato da una figura celestiale che apparve d’un tratto all’ingresso della sala.
Aveva dei capelli castani leggermente mossi, raccolti, con alcune ciocche che ricadevano ai lati e sul volto; il suo abito era elegante, ma semplice, di un azzurro delicatissimo, con la parte superiore fasciata da uno strato di tessuto e delle decorazioni argentee, sorretto da un paio di bretelle quasi invisibili.
Si ritrovò a deglutire come un’idiota, con la gola secca.
Non riuscì a riconoscerla, sebbene avesse un’aria vagamente familiare.
La maschera, però, le copriva ogni tratto riconoscibile del viso.
«D’accordo, amico» sentì Blaise dirgli come da lontano, nonostante fosse letteralmente attaccato al suo orecchio. «Vai.»
«Sei impazzito?» esclamò Draco, sgranando gli occhi. «Come credi che reagirebbe se alla fine scoprisse che si tratta di me?»
Blaise scrollò le spalle. «Magari non le importerebbe del tuo passato, ma solo di chi sei ora. Cosa ne sai?»
Il biondino si voltò a guardarla di nuovo, con le labbra strette tra i denti.
Stava parlando con i Potter.
Avrebbe potuto avvicinarsi a loro con una scusa, farsela presentare…
Ma un battito di ciglia dopo, la sconosciuta dall’aria familiare stringeva la mano a Ernie MacMillan e alla sua compagna.
Draco sbuffò, si voltò a chiedere un altro bicchiere di vino e quando si girò nuovamente a cercarla, lei era sparita.
*
Hermione trasse un respiro profondo e si smaterializzò proprio davanti ai cancelli di Malfoy Manor.
Dischiuse le labbra nel verificare con i suoi occhi quello che Malfoy aveva fatto con la casa.
Il giardino era pressocché uguale a come lo ricordava dai suoi incubi-ricordi, anche se era più colorato e tappezzato di lucine che lo illuminavano e lo rendevano quasi paradisiaco.
C’erano i pavoni; grossi pavoni bianchi che gironzolavano indisturbati tra le piante e le fontane curate.
Anche le pareti del Manor in sé sembravano più colorate, dal poco che riusciva a vedere dall’esterno; c’erano più luci di quanto ricordasse all’interno.
L’enorme faccia che compariva sul cancello e interrogava i visitatori non c’era più, però.
Ad accoglierla era stato un elfo vestito con un completo elegante e persino un piccolo papillon.
Il che significava che era un elfo libero, assunto e pagato.
Non riuscì a reprimere un piccolo sorrisetto.
Gli consegnò il suo invito e poi prese a camminare, sebbene con una certa esitazione, ammirando il poco, - poco solo se in relazione alle reali dimensioni del cortile -, dei giardini che riusciva a scorgere dal viale pavimentato.
Una volta entrata nella maestosa villa, Hermione realizzò che non si era affatto sbagliata: Draco aveva rivoluzionato anche l’interno della casa.
Non c’era niente in quel posto che sembrasse uguale all’ultima volta che ci era stata.
Molti occhi si puntarono su di sé quando fece il suo ingresso nella sala da ballo; ringraziò la maschera che indossava per nasconderle le guance, perché era arrossita immediatamente.
Dopo aver salutato Harry e Ginny e conversato brevemente con Ernie MacMillan e la sua compagna, Hermione prese un calice, senza sapere esattamente cosa contenesse, e si diresse sul grande balcone che aveva visto prima di entrare, desiderosa di dare uno sguardo ai giardini da una visuale più ampia.
Fece un sorso e capì immediatamente che si trasse di qualcosa di alcolico e frizzante, molto simile al Prosecco babbano.
«Ti godi il panorama?»
La voce che la fece sussultare all’improvviso era familiare ed estranea al contempo, ma non riconobbe l’uomo che le si avvicinò neanche dopo aver esaminato la sua figura più da vicino.
«È un bel paesaggio», disse solo lei.
«Sei rimasta dentro solo per pochi minuti» osservò lui, posizionandosi al suo fianco, lo sguardo rivolto ai giardini. «Non ti piace il ballo?»
Hermione avvampò, capendo che l’aveva notata già prima, ma si sforzò di sorridere ugualmente, sotterrando l’imbarazzo da qualche parte dentro di lei. «Non mi piace l’attenzione.»
Lo vide annuire mentre lo studiava con la coda dell’occhio.
«Neanche a me. Ma almeno, questa volta, c’è la garanzia dell’anonimato.»
Lei fece scoccare la lingua. «Cattivo ragazzo?» domandò con un sorriso beffardo della cui provenienza non aveva la minima idea neanche lei.
C’era qualcosa, in quell’uomo, nel suo portamento, che le era immensamente familiare.
Solo che non riusciva a collocarlo.
La sua voce era calda e fredda al contempo.
Si chiese se la stesse mascherando leggermente con la magia, esattamente come stava facendo lei.
Se voleva anonimato totale, non poteva farsi scoprire per una cosa così stupida in fondo, no?
«Ormai, solo una cattiva reputazione», rispose lui. «Temo che mi resterà addosso ancora per un bel po’, se non per l’eternità.»
«Il mondo è restio a dimenticare», commentò Hermione, bevendo un altro sorso.
«Non sai quanto hai ragione, miss…?»
Lei gli rivolse un sorriso sornione. «Non ti dirò il mio nome.»
Quando lui rise, Hermione avvertì qualcosa smuoversi all’altezza del suo stomaco.
Aveva una di quelle risate limpide, quasi contagiose, di quelle che penetravano dentro alle ossa, ma il suo suono era anche leggermente rauco, cosa che le fece supporre che non doveva ridere spesso.
«Qualcosa da nascondere?»
«Solo la mia identità», replicò lei. «Garanzia dell’anonimato, ricordi?»
«Cattiva ragazza?» le chiese allora lui e nei suoi occhi grigi, Hermione ci vide una scintilla fugace.
«Solo un po’ troppo conosciuta, temo» rispose mantenendosi sul vago. «Mi spiace deluderti, nel caso fossi in cerca di una compagna di pazzie per la serata.»
«Oh, niente affatto. Ne ho avute abbastanza di cattive influenze nella mia vita», disse sorridendole.
Aveva il più bel sorriso che Hermione avesse mai visto.
Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, nonostante si sentisse tremendamente sciocca per questo.
«D’altro canto, però, sarei profondamente deluso se mi negassi un ballo.»
L’uomo tese una mano verso di lei e Hermione divenne scarlatta, ma alzò comunque la sua per posargliela con grazia sul palmo.
Le sorrise di nuovo, mentre la conduceva nell’enorme sala della festa e la guidava al centro della pista.
Vide Harry e Ginny ballare in un angolo e Blaise Zabini e Daphne Greengrass dall’altro lato della stanza, di fronte al banco dei vini, parlottare concitati e quasi eccitati da qualcosa.
Faticava veramente a riconoscere le persone.
C’erano anche Ron e Astoria, ora che ci faceva caso, ma salutarli sarebbe stato comunque inutile; alla ragazza, lei non piaceva molto.
I movimenti dello sconosciuto erano eleganti e aggraziati mentre la faceva volteggiare con facilità, quasi come se non avesse fatto altro per tutta la vita; il suo tocco era leggero, ma presente al contempo, e i suoi occhi non si staccavano da quelli di lei neanche per un attimo.
Ballarono più di una canzone alla fine, ma a un certo punto lui si chinò verso di lei e le sussurrò in un orecchio: «hai già visitato i giardini?»
Lei scosse il capo lentamente. «Li ho visti solo di sfuggita.»
«Permettimi di accompagnarti.»
*
Passeggiarono nei giardini, parlando del più e del meno, dei loro interessi, senza mai dirsi qualcosa di specifico che potesse rivelare la propria identità e per la prima volta dopo tanto tempo, Hermione si sentì intrigata da un uomo.
Pendeva dalle sue labbra mentre lo ascoltava parlare, mentre la sua cadenza lenta e seducente si insinuava nelle sue orecchie, facendole quasi le fusa.
I giardini di Malfoy Manor erano di una bellezza antica, ormai rara.
Curati nei minimi dettagli, immensi, con gli alberi più grandi decorati da lucine bianche che gli donavano un’atmosfera intima e rilassante.
Adorava quello che Draco aveva fatto con il luogo; semmai avessero avuto una conversazione decente, gli avrebbe fatto i complimenti.
Forse, quando avrebbe avuto la sua di casa, se fossero mai diventati amichevoli nei rapporti, gli avrebbe chiesto di lavorare al suo progetto.
Che Draco Malfoy avesse gusto non era mai stato un mistero per nessuno.
Peccava solo in fatto di ragazze; Pansy Parkinson non era esattamente un buon modello.
Ora che ci pensava, Malfoy non si faceva vedere al fianco di una donna dai tempi della scuola; Hermione lo trovò curioso.
Adesso si era rifatto un nome nel mondo magico, sebbene qualcuno nutrisse ancora delle remore nei suoi confronti, non doveva essere così difficile per uno come lui trovare una compagna.
O forse, rifletté ancora, i suoi genitori continuavano a premere per una Purosangue di loro scelta e lui evitava la faccenda per non ficcarsi in qualche situazione incresciosa.
«Uno zellino per i tuoi pensieri», le sussurrò lo sconosciuto, chinando leggermente il capo verso di lei.
Hermione arrossì.
Come avesse fatto a perdersi nei suoi pensieri, - pensieri su Malfoy, tra l’altro -, proprio in quel momento le era impossibile da capire.
«Oh, stavo solo pensando che sono meravigliosi, i giardini» disse velocemente. «Quel chioschetto sembra il luogo perfetto per leggere un libro nel pomeriggio.»
Indicò un piccolo gazebo di legno bianco tra l’erba fresca, anch’esso ricoperto di lucine, con un paio di panchine all’interno.
L’uomo le sorrise. «Ti piace leggere.»
Hermione annuì, anche se quella non era una domanda, ma una constatazione.
«Vuoi avvicinarti?» le domandò, tendendole la mano una seconda volta.
Lei la prese e si lasciò condurre verso le panchine, dove si sedettero uno accanto all’altra.
«Hai studiato a Hogwarts?»
Lui fece un cenno d’assenso del capo. «Tu?»
«Sì. In che Casa eri?»
Vide il suo petto venire scosso da una risatina. «Serpeverde. E tu?»
«Ahi», esclamò lei ridendo a sua volta. «Grifondoro.»
Lo sconosciuto fece schioccare la lingua. «E pensare che mi avevi quasi convinto di essere perfetta.»
Hermione rise. «Difficilmente posso definirmi tale.»
Restarono in silenzio per qualche istante e poi un pavone balzò sul rialzamento e spalancò la sua coda reale proprio davanti a loro, facendoli sussultare leggermente; una piuma finì dritta sul viso di Hermione e l’uomo, ridendo, la raccolse tra le sue dita.
Lei arrossì.
Osservarono il pavone aggirarsi attorno a loro per qualche momento e poi recarsi altrove.
Hermione si morse il labbro inferiore, mentre un quesito prendeva forma nella sua testa e dopo un momento di incertezza glielo chiese, iniziando ad avvertire una punta di disagio all’altezza dello stomaco causato dall’ultima parte della loro conversazione.
«Sembri a tuo agio qui» considerò sovrappensiero. «Come se ci fossi stato altre volte. Conosci Draco Malfoy?»
Vide i muscoli di lui tendersi leggermente a quella domanda. «In un certo senso. Tu?»
«In un certo senso», rispose a sua volta lei, in un sussurro. «Di vista, diciamo.»
La studiò per qualche istante, ma quando la musica che proveniva dall’interno si trasformò in un lento, lo vide alzarsi e tenderle nuovamente la mano.
«Posso?»
Hermione sorrise, grata che avesse lasciato cadere il loro precedente discorso, e si rimise in piedi a sua volta, poggiando la mano sulla spalla di lui.
Lo sconosciuto le fece scivolare la mano libera sulla schiena e iniziò a guidare il ballo.
Sotto la luce e nell’intimità del luogo, lo poté studiare meglio.
Anche con la maschera, poteva dire che fosse bello.
Affascinante, se non altro.
I suoi occhi erano familiari, grigi, ma di un grigio simile al ghiaccio; erano particolari e la stava irritando immensamente non riuscire a collocarli.
Persino il suo profumo le sembrava conosciuto: una colonia raffinata e singolare, fresca, quasi inebriante.
Aveva l’impressione di sapere perfettamente chi si nascondesse dietro la maschera, ma ogni volta che si avvinava alla risposta, quella sfuggiva via dalla sua presa.
La musica finì, ma nessuno dei due parve accorgersene; rimasero in piedi, vicini, a ballare, anche se non c’era alcuna nota ad accompagnarli, persi l’uno nello sguardo dell’altra.
E poi lui tese una mano e le sfiorò una guancia con delicatezza, il pollice pericolosamente vicino al suo labbro inferiore; senza che potesse prevederlo in alcun modo, lo sconosciuto chinò il viso sul suo e le catturò le labbra in un bacio casto, dolce, puro.
Hermione si perse in quel contatto delicato, ricambiando il gesto in maniera timida ed esitante, finché un senso di consapevolezza non la colpì in pieno; allontanò il viso da lui lentamente, deglutì e poi arretrò di un passo.
Lei non faceva quelle cose, non sapeva neanche chi ci fosse dietro a quella maschera.
«Scusami», disse subito l’uomo, schiarendosi la gola. «Non avrei dovuto.»
«No, è solo che non sono a mio agio con l’idea di baciare qualcuno che non conosco.»
Lo vide leccarsi le labbra e poi stringere il labbro inferiore tra i denti, come se stesse valutando qualcosa.
«Togliamoci le maschere.»
Il terrore la pervase nel sentire quelle parole. «Che è successo alla garanzia dell’anonimato che tanto anelavi all’inizio della serata?» domandò ridacchiando.
Stava evidentemente andando nel pallone.
«Andava bene, all’inizio» rispose lui, serio. «Ma se non volessi soltanto questa serata? Se volessi rivederti?»
Hermione deglutì.
Da quanto tempo desiderava di incontrare qualcuno che la intrigasse, che catturasse il suo interesse? Un uomo che sfidasse la sua mente e inibisse i suoi filtri?
Da quanto tempo aveva perso le speranze, convincendosi di essere lei il problema?
Da quanto tempo sperava di conoscere un uomo che le facesse provare sensazioni forti come quelle che lo sconosciuto le aveva fatto provare quella sera?
«D’accordo» mormorò alla fine, anche se un velo di incertezza restò pendente sulle sue parole. «Togliamoci le maschere.»
Aveva quasi finito di slacciare l’elastico della sua, quando lo sconosciuto perse la presa sulla maschera che si stava sfilando, lasciandola cadere sul terreno e rivelando il suo volto tutto di colpo.
Hermione sgranò gli occhi e spalancò le labbra, mentre il respiro le diventava corto e il cuore prendeva a palpitare a un ritmo preoccupante.
Perché non era affatto uno sconosciuto.
Quell’uomo era Draco Malfoy.
Il panico la inondò subito.
Si riappiccicò la maschera sul viso e arretrò terrorizzata, cercando di ricostituire il nodo per evitare che le cadesse.
«No, ti prego» disse subito lui, smettendo di camuffare anche la sua voce. «Non te ne andare!»
Ma Hermione si era messa a correre, diretta verso la casa.
Doveva trovare Harry, dirgli che andava via e scomparire il più presto possibile.
Non poteva rivelare la sua identità a Malfoy.
Sarebbe stata una catastrofe.
Draco la raggiunse con un paio di lunghe falcate e le afferrò il polso, voltandola verso di sé.
«Aspetta! Fammi parlare…»
Hermione deglutì a vuoto. «Io… non posso.»
Il biondino corrugò la fronte e le rivolse un’occhiata quasi supplichevole. «Non sono più quello di una volta. Non so quanto e cosa sai del mio passato, ma posso assicurarti che non sono più quella persona.»
Lei scosse il capo. «Tu non capisci…»
«Chi sei?» le chiese disperato. «Non ci conosciamo solo di vista, non è vero?»
Hermione fu scossa da un singulto sentendo quella domanda.
«È tutta la sera che ho l’impressione di averti sempre avuta davanti» aggiunse con un tono così poco da lui che finì per sconvolgerla ancora di più.
Perché Draco Malfoy non mostrava emozioni, mai.
E di certo non supplicava e non chiedeva ‘per favore’.
«Togliti la maschera, per favore.»
Hermione scosse il capo con forza e provò a scappare di nuovo, ma Draco la bloccò una seconda volta.
«Aspetta!» esclamò in un sussurro. «Perché stai scappando?»
Aiuto” pensava Hermione, in preda al panico. “Per favore, aiuto!”
E l’aiuto arrivò, perché qualcuno, dall’interno, riconobbe Draco.
«Sembra che il padrone di casa abbia abbandonato la sua maschera», esclamò il presentatore della serata. «Credo sia giusto a questo punto chiedergli di dire due parole.»
Draco spostò lo sguardo dal palco alla ragazza che stringeva tra le braccia, la quale fortunatamente era nascosta da una colonna.
La lasciò andare con uno scatto, ma continuò a fissarla boccheggiando, incerto su come procedere.
«Signor Malfoy?»
Le rivolse uno sguardo così supplichevole che se il presentatore non lo avesse appena chiamato per nome, Hermione avrebbe creduto di essersi sbagliata e di non avere davvero davanti il suo vecchio rivale scolastico.
«Aspettami» le sussurrò. «Per favore, aspettami.»
Draco si incamminò verso il palco e quando la gente le coprì la visuale, Hermione fece l’unica cosa che poteva fare in quel momento per evitare lo sfacelo.
Corse fino ai cancelli, li attraversò con gli occhi che pungevano e le lacrime che minacciavano di fuoriuscire incontrollate; si sforzò di trattenerle all’interno, finché non si Smaterializzò e raggiunse il suo appartamento, pensando che a Harry sarebbe andato bene anche ricevere un Patronus a fine serata come conferma del suo benessere.
Nell’oscurità del suo salotto, Hermione si lasciò finalmente cadere sul pavimento e diede ai suoi occhi quel sollievo che cercavano, consentendo al pianto di scacciare via il fantasma delle dita lunghe e sottili di Draco Malfoy che aleggiava sul suo viso.
   
 
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