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Autore: lithnim222000    29/09/2022    0 recensioni
[Prompt #Gene]
-MEDICO! SERVE UN MEDICO!
[Prompt #Vadoma]
La giornata di Vadoma non stava andando bene.
[Prompt #Olivia]
Accucciata a terra, Olivia guardò con il cuore in gola i piedi davanti ai suoi occhi muoversi avanti e indietro sulle assi del pavimento.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prompt #Vadoma

[Campo Giove, settembre]
  • Labbra insanguinate
  • Un braccialetto d’oro
  • Un difetto incorreggibile
 
La giornata di Vadoma non stava andando bene.
Stava andando divinamente. Il sole splendeva a piena forza in una delle ultime belle giornate prima del freddo, gli uccelli cantavano sopra i tetti dei dormitori e Vadoma era appena riuscita a farsi assegnare un’intera settimana di riposo come ricompensa per il successo della sua ultima impresa.
La ragazza trotterellò fuori dal cortile del principio, stringendo le cinghie dello zaino che aveva sulle spalle. I capelli foltissimi le pesavano sulla schiena, sfiorandole le spalle con un tocco simile alla seta. Erano venuti particolarmente lucidi e puliti, considerato il sangue di Empusa che li aveva ricoperti fino alla sera prima. Chissà se il sangue di mostro aveva qualche proprietà idratante sconosciuta? Avrebbe senza dubbio fatto meglio a riprovare.
Incapace di trattenere l’allegria, Vadoma fece una piroetta.
E fu lì che le cose iniziarono a precipitare. La prima fu il povero succo alla pesca della ragazza bionda a cui la figlia di Laverna finì addosso. Lo sfortunato bricchetto volò in aria e atterrò proprio sul top bianco di Vadoma, inondandolo con il proprio contenuto.
Vadoma si immobilizzò, la bocca spalancata e la braccia allargate, mentre il liquido appiccicoso le colava sulla pancia, minacciando di infilarsi fino alle mutande.
Zlata Nowak, la figlia di Nemesi contro cui era andata a sbattere, balzò indietro e sbottò una rumorosa imprecazione.
-Cazzo! Quella era la mia colazione!
Vadoma alzò gli occhi su di lei, incredula.
-Scusami?
La faccia lentigginosa della ragazza era contratta per l’irritazione.
-Già, fai bene a scusarti. Era anche un succo biologico, accidenti a te.
La figlia di Laverna si lasciò sfuggire una risatina isterica.
-Oh, mi dispiace tanto!- sbraitò acida, cercando di tamponarsi la maglietta con le mani –Beh, questa invece era la mia maglietta, se non te ne fossi accorta!
Zlata gonfiò le guance.
-Se tu avessi guardato dove andavi, avrei fatto in tempo a scansarmi! E comunque, figurati se qualcuno noterà la differenza. Ti vesti così da puttana, Myrcall, che difficilmente una maglietta bagnata ti creerà problemi.
La ragazza ci mise un attimo a credere a quello che aveva appena sentito. Quando si rese conto che Zlata non stava scherzando, il sangue le andò alla testa. La afferrò per le spalle e la spintonò.
-Prova a ripeterlo!
La figlia di Nemesi non si disturbò a mostrarsi spaventata. Riprese l’equilibrio e si sistemò i capelli.
-Ho detto che sei una puttana.- sentenziò chiaro e forte, chinandosi a raccogliere il sacchetto di cibo che le era caduto insieme al succo –Altrimenti detta troia. Altrimenti detta...
Bloccò con un braccio lo schiaffo che la ragazza mollò nella sua direzione. Sogghignò, dietro il polso alzato a coprirsi la faccia. I pendagli dei mille braccialetti che vi portava allacciati tintinnarono come una gioielleria ambulante.
-Vuoi davvero venire alle mani con me in mezzo a tutto il campo di addestramento?
Vadoma le lasciò andare il polso e cercò di riprendere il controllo. No, non voleva. Per odiosa che fosse, Zlata non le sarebbe costata la sua meritata settimana di libertà. Tuttavia, tirò un calcio al bricchetto vuoto di succo davanti ai suoi piedi e lo mandò a rotolare al margine della strada, contro il marciapiede lastricato.
-Va’ a riprendertelo, se ci tieni tanto all’ambiente.- sbottò. Zlata le lanciò uno sguardo d’odio, prima di darle le spalle e andare a raccogliere la confezione.
Vadoma aspettò che fosse sparita dietro l’angolo. Poi aprì la mano con cui le aveva stretto il polso. Un braccialetto d’oro zecchino scintillò nel suo palmo. La ragazza sorrise fra sé.
-Ben ti sta, stronza.- mormorò. Poi si infilò il gioiello al braccio ed estrasse il cellulare, digitando il numero dell’unica persona che avrebbe saputo come farle sbollire la rabbia.
 
Raggiunse Thomas nel sottotetto del dormitorio, che la terza coorte usava come ripostiglio – nel senso meno letterale e più ambiguo del termine, visto che le uniche cose che ingombravano la stanzetta erano un materasso matrimoniale sotto l’abbaino rotondo e un comodino pieno di sigarette e preservativi. Il figlio di Venere la stava già aspettando sul materasso scalcagnato, sdraiato con un braccio dietro la testa di ricci castani, indorati dal sole. Quando la vide emergere dalla botola sul pavimento, si mise seduto con un largo sorriso.
-Ehi.- la salutò –A cosa devo la chiamata d’urgenza? Non che mi stia lamentando, sia chiaro...
Vadoma non lo degnò di uno sguardo. Si tolse lo zaino dalle spalle e lo gettò a terra.
-E se non ti stai lamentando, allora stai zitto.
-Carina la maglietta. Nuovo stile?
La ragazza se la sfilò dalla testa con un ringhio, rimanendo in reggiseno. La gettò dall’altra parte della stanza, rabbiosamente.
-‘Fanculo a questa dannata cosa!
-Whoa.- Thomas sollevò le mani all’altezza del petto –Calma, tigre. Che ti hanno fatto, si può sapere? Ti hanno colpita con un teaser?
-Una stronza mi ha dato della puttana.- Vadoma strinse la mascella e si piantò le unghie nei palmi, gli occhi che guizzavano di rabbia al ricordo -Io non sono una puttana. Pensi che sia una puttana?
Thomas piegò la testa e arricciò il naso, stranito dalla domanda.
-Direi di no. Almeno non più di quanto lo sono io, visto che andiamo a letto insieme.- rispose però senza esitazione -E, onestamente, non ho mai capito il senso dell’insulto. Una puttana è una donna che si fa pagare per fare sesso, giusto? Domanda e offerta, è una legge di mercato. Se io dovessi insultare qualcuno, sarebbero piuttosto quei fessi arrapati che la pagano. È come spendere dieci dollari per un caffè da Starbucks, quando puoi fartelo a casa.
Era un commento insensato e assolutamente fuori tema, ma Vadoma si rilassò un po’. Thomas tendeva a farle quell’effetto e, accidenti a lui, lo sapeva. Infatti la ragazza si era appena chinata a raccogliere la maglietta lurida che lo sentì alzarsi e avvicinarsi a lei da dietro. Il ragazzo la afferrò per i fianchi e la scosse piano di qua e di là.
–Dai, non fare il muso. Me lo dici che ti è successo?
Lei sbuffò forte dal naso.
-Tieni a posto quelle mani, o te le taglio.- avvertì –Non sono cazzi tuoi.
-D’accordo.- ma dal tono del ragazzo Vadoma ebbe l’impressione che sorridesse. Infatti le mani di Thomas, invece di allontanarsi, scivolarono ad agganciarsi ai passanti anteriori dei jeans della ragazza. Simultaneamente un paio di labbra calde le posarono un bacio all’attaccatura del collo –E se il posto delle mie mani è addosso a te?
Vadoma registrò il cambio di atmosfera sulla pelle. Un brivido le scivolò giù per la schiena a partire dal punto che il ragazzo stava ora sfiorando con la punta del naso. Thomas se ne accorse e strinse di più la presa sui jeans della ragazza, facendo salire una mano per premerle il palmo aperto sulla pancia e baciandole la mandibola. A quanto pareva aveva deciso di cambiare tattica per tirarle su il morale, pensò Vadoma. Finalmente. Se avesse voluto uno psicanalista, sarebbe andata a cercare Olivia.
-E come fai ad essere così certo che lo sia?
-Vuoi che le sposti?- le dita del ragazzo giocherellarono con la zip dei suoi pantaloni. Lei fece appello al proprio autocontrollo per non rispondere immediatamente come le sarebbe venuto istintivo. Invece finse di pensarci su.
-No, per il momento no.
Thomas mugolò compiaciuto contro il suo collo e la tirò indietro verso il materasso.
-E allora, ecco come.
 
Mezz’ora più tardi, mentre giacevano entrambi tra le coperte sfatte, cercando di riprendere fiato, Thomas si voltò verso di lei premendosi una mano sulla spalla.
-Mi hai morso.- la accusò, con un lampo di divertimento ad animargli gli occhi azzurri. Spostò la mano e le mostrò il segno rosso di una fila di denti che spiccava sulla sua pelle abbronzata –Hai davvero dei denti da lupo.
Vadoma ghignò.
-Sì, ne vado abbastanza fiera. Stavo pensando di farmeli ricoprire d’oro, sai, come i cantanti trap.- arricciò le labbra, scoprendo gli incisivi e i canini. Thomas scoppiò a ridere.
-Ti prego, prima uccidimi.
-Oh, perché, non mi starebbero bene?
Il ragazzo rotolò dalla sua parte e si alzò su un gomito, sovrastandola con il suo viso. Le sfiorò le labbra con l’indice.
-I tuoi denti mi piacciono così.- commentò –Sono...molto bianchi.
-Papino mi ha insegnato a lavarli per bene, così poi brillano al buio.- la ragazza completò la frase mordendogli giocosamente il polpastrello. Thomas sorrise e si chinò a baciarla.
-Al buio non lo so. Ma di sicuro brillano quando sorridi. È bello da vedere.
-Mm.- Vadoma si allungò pigramente, socchiudendo le palpebre in quel modo che aveva sempre visto fare al suo gatto Quasimodo, a casa. Fece scorrere le braccia attorno al collo di Thomas e lo tirò giù di nuovo verso la propria bocca –Diventi sdolcinato dopo aver fatto sesso.
-Ah.- il ragazzo puntellò i gomiti ai lati della sua testa, tirandole un po’ i capelli e guadagnandosi in risposta un paio di graffi sul retro del collo –È una cosa brutta?
La ragazza inarcò un sopracciglio, con eloquenza.
-È una cosa che di solito non permetto a quelli che mi scopo.- puntualizzò, in tono secco. Poi gli toccò la punta del naso con un dito –Ma tu sei abbastanza carino e non mi hai ancora stancato. Continua pure, se ti diverte.
Un’ombra sembrò attraversare gli occhi di Tomas. Ma fu solo una frazione di secondo, e svanì così in fretta da far pensare a Vadoma di essersela immaginata.
-Allora non placcarti i denti.- la punzecchiò il figlio di Venere, facendole il solletico con il naso nell’incavo del collo –Non potrò più guardarti in faccia senza ridere, se lo fai. Riderò così tanto che non riuscirò nemmeno a scoparti.
-Gravissimo.- sentenziò la ragazza solennemente, anche se l’effetto fu rovinato dalla risatina che non riuscì a trattenere quando Thomas le soffiò contro la guancia come si fa con i bambini. Gli prese la testa fra le mani e lo spinse via, alzandosi a sedere –Peccato però. Placcati d’oro si sarebbero intonati a questo.
Gli mostrò il braccialetto dorato che aveva al polso. Sotto la luce della tarda mattinata, che filtrava dalle tapparelle semi-abbassate, l’oro mandava riflessi liquidi, come se fosse vivo. Ma quando Thomas si sporse per vedere meglio, aggrottò la fronte.
-L’ho già visto.- disse -Non è...- si interruppe –Doma, ma è il braccialetto di Zlata Nowak.
Vadoma sbuffò scettica e ritirò il braccio, serrando una mano attorno al gioiello.
-Ah sì? Io credo che sia mio.
-Gliel’hai rubato?
-Solo perché sono figlia di Laverna hai già deciso che devo averlo rubato?
-Non l’ho già deciso. Te lo sto chiedendo. Ti crederò, se dici di no.- gli occhi azzurri di Thomas sembravano sinceri. Vadoma dovette distogliere i suoi per non addolcirsi troppo.
-Okay, l’ho rubato.- ammise, di malavoglia –Ma lei mi ha rovesciato addosso un succo alla pesca e mi ha pure insultata. Se lo meritava.
Thomas si sedette sui talloni. Il lenzuolo gli scivolò giù dalle spalle, scoprendo la pelle liscia e brunita dal sole e la forma tornita dei muscoli.
-Sembra prezioso.- osservò. Il suo viso era teso, a disagio, come se stesse cercando le parole giuste per dire qualcosa di poco gradito –E credo che lei ci tenga molto. Lo porta sempre.
Vadoma sentì una sensazione acuminata pungolarle lo stomaco. Si irrigidì e strinse gli occhi in due fessure.
-Devi averla guardata parecchio per saperlo.
-Beh, è nella mia coorte.- Thomas tentò di rispondere con calma, anche se, dal modo in cui il suo sguardo guizzò, era chiaro che avesse colto l’accusa implicita –Abbiamo fatto qualche turno di guardia insieme, è simpatica.
-È pure simpatica?
Lui fece una smorfia infastidita.
-Sì, lo è.- replicò, con più decisione –E penso che dovresti ridarle il suo braccialetto. E comunque non capisco cos’hai da essere gelosa. Non ho detto che Zlata è meglio di te, e anche se fosse, noi due non scopiamo e basta?
La ragazza lo fissò per un lungo istante, immobile. Poi balzò in piedi e iniziò ad infilarsi le mutande e i jeans.
-Doma, ma dai!- Thomas si tirò su con un gemito frustrato. Allungò un braccio per toccarla, ma Vadoma gli schiaffeggiò via la mano.
-Levati dal cazzo.
-Ma perché fai così? Sei stata tu a dirlo!- dovette intuire che era l’approccio sbagliato, perché subito aggiunse –Okay, ascolta, mi dispiace. Vieni qui, per favore? Ne parliamo?
-Non c’è niente di cui parlare, è chiarissimo come la pensi.- la ragazza afferrò una camicia verde dal pavimento e se la infilò –Alla prossima, allora. E non disturbarti mai più a farmi complimenti.
-Quella è la mia camicia!
La ragazza agguantò lo zaino e gli mostrò il medio, marciando fuori.
-Vaffanculo, Doma!- lo sentì gridarle dietro, prima di sbattersi la porta alle spalle.
 
-E te ne sei andata così?
Vadoma storse la bocca.
-Che avrei dovuto fare, scusarmi?
Olivia inarcò un sopracciglio ben disegnato e inclinò la testa da una parte, in una chiarissima risposta. Vadoma la guardò storto.
-Prima regola delle scopamicizie. Non si dice grazie, non si chiede scusa.
Olivia non commentò. Raccolse la forchetta da un lato del piatto e riprese a rimestare nell’insalata che aveva davanti, alla ricerca dei pezzi di pollo. Li infilzava con mano rapida e li deponeva da parte, per mangiarseli alla fine. Vadoma la lasciò proseguire nella sua caccia, rifiutandosi di dire qualcos’altro e darle un appiglio per iniziare una ramanzina. Invece si perse ad osservare i dintorni.
Lei e Olivia si erano sedute per pranzare ai tavolini esterni della caffetteria del college, che dava proprio sul chiostro principale dell’università. Un ombrellone bianco le riparava dal sole splendente e consentiva loro di osservare, dall’ombra, il via vai ininterrotto di studenti che affollava la strada, perfino a quell’ora. Alcuni sparivano dentro i cancelli dell’università, la meta di molti invece era proprio la caffetteria, e superavano le due ragazze per entrare all’interno, dove un cameriere dai capelli neri si affannava a trovare posto a tutti.
Si era quasi dimenticata della conversazione, quando Olivia parlò di nuovo.
-Mi dispiace che abbiate litigato. Ma non raccontarmi più di Thomas, per favore.- le disse. Il suo tono era tranquillo, ma c’era un velo di stanchezza sul grigio chiaro dei suoi occhi. Vadoma corrugò la fronte.
-E perché?
-Perché è mio amico da quando eravamo piccoli, e quando te l’ho fatto conoscere non avevo previsto che andasse a finire così.
-Non ti sta bene che facciamo sesso?
-Non mi piace come lo tratti. Ma siete entrambi adulti e vaccinati, perciò non sono affari miei.- Olivia scrollò le spalle –Senti, non è una questione di stato. Io e te siamo diverse in molte cose, e questa è una. Puoi smettere di confidarti con me sulle cose che riguardano Tomi? Così evitiamo di litigare.
Non era una richiesta del tutto in attesa. Vadoma lo aveva intuito già da un po’ che Olivia era a disagio con la faccenda di Thomas. Se non aveva già smesso di parlarne con lei era per la pura, semplice ed egoistica ragione che non c’erano molte altre persone con cui potesse farlo. Jordan non era il tipo da stare a sentire discorsi sulle sue relazioni, Gene non ne aveva il tempo, e Camilla, con il suo scarso interesse per ogni tipo di pettegolezzo, non le dava abbastanza soddisfazione.
Si sporse sui gomiti e le sorrise, innocente.
-È che lo faccio perché ci tengo molto alla tua opinione.
Olivia la fissò con l’aria di non esserci minimamente cascata.
-Fai la ruffiana, sul serio?
-No! Ci tengo davvero.
La ragazza sbuffò, irritata.
-Sei davvero incredibile.
-Perché? È così strano che mi importi del parere della mia migliore amica?
-Doma.- Olivia piantò i palmi sul tavolo. La sua voce era controllata come al solito, ma la sua mascella era serrata. Stavolta sembrava che ne avesse avuto abbastanza –Puoi evitare di pensare solo a te stessa, per una volta? Non voglio che mi racconti di Thomas. Mi fa stare male. E sai perché mi fa stare male? Perché a te del mio parere non frega un accidente, e ti comporti da stronza totale con lui anche se io cerco da un secolo di farti capire che è innamorato di te.
Le sue parole volarono secche ed affilate come coltelli. Vadoma le sentì piantarsi dentro di sé esattamente nei punti giusti, con la precisione dei colpi di un cecchino. E all’improvviso, anche se era stata lei ad insistere e spingere Olivia fino a quel punto, le sembrò di essere sotto attacco.
-Non è vero.- dichiarò, ritirandosi immediatamente sulla difensiva.
-È vero e lo sai.- ribadì Olivia. Ma il suo cipiglio duro si era già allentato –Non voglio dire che te ne faccio una colpa. Non sono la madre di Thomas né la sua guardia del corpo e non sta a me giudicare come voi due gestite i vostri rapporti. Però smettila di rigirare il coltello nella piaga, d’accordo?
Vadoma avvampò.
-Confidarmi con un’amica sarebbe rigirare il coltello nella piaga?- sbottò –Perché non ci provi tu a fare meno l’egoista? Questo per me era un problema serio!
Olivia la fissò incredula.
-Un problema serio?- ripeté lentamente –Quale parte? Che il ragazzo che tratti come un cagnolino non si sia rotolato ai tuoi piedi scoprendo la pancia? Che ti abbia detto di fare la cosa giusta riportando un braccialetto rubato? Oppure che abbia rivolto uno sguardo ad una ragazza che non sei tu? Se anche solo uno di questi tre è un problema serio, forse non sono io l’egoista, Doma.
La figlia di Laverna balzò in piedi. Sentiva il sangue pulsarle nelle orecchie per la rabbia.
-Ritiralo!- ringhiò, minacciandola con un dito.
Olivia non si scompose, se non per un sorriso amaro.
-Non credo proprio. Volevi il mio parere, no? Ecco, questo è il mio parere.- si alzò a sua volta e si tolse una banconota dalla tasca dei jeans, incastrandola sotto il piatto ancora mezzo pieno -Mi è passata la fame. Ci vediamo in giro, quando ti accorgerai che ho ragione.
Tirò su da terra il suo zainetto di cuoio e se ne andò camminando in fretta. A Vadoma parve di vederla asciugarsi la faccia con la manica, prima che il turbinio di studenti la inghiottisse.
Dai tavoli vicini, la gente che aveva seguito di sottecchi la scena abbassò di nuovo la testa sul proprio pranzo. Vadoma guardò l’insalata di Olivia, con i pezzi di pollo tristemente accatastati da un lato e abbandonati lì.
Che giornata di merda, pensò.
 
Eugene la trovò qualche ora dopo nella palestra del college, mentre tirava pugni al sacco da boxe come se volesse sfondarlo.
-Doma? Stai bene?- si avvicinò cautamente –Olivia mi ha detto che avete...
Vadoma aveva il fiatone e la vista annebbiata per la fatica. Era tutto il pomeriggio che si allenava, tentando di stancare la rabbia che aveva dentro abbastanza da riprenderne il controllo, e non ci stava riuscendo. Al sentire il nome della ragazza, vide rosso.
Si voltò e sferrò un diretto dritto al mento dell’amico.
A suo merito, Eugene non cadde. Il pugno gli strappò un grido spezzato e lo mandò a incespicare scoordinatamente all’indietro, tenendosi la faccia con una mano. Una delle sua spalle urtò la parete e il ragazzo vi si appoggiò con tutto il peso, sbattendo intontito le palpebre.
Vadoma si immobilizzò all’istante.
-Cazzo.- sibilò, sgranando gli occhi per l’orrore. Si strappò via i guantoni e corse al suo fianco –Eugene? Cristo, mi- togli le mani, ehi, andiamo, fammi vedere.
-N-non è niente.- il ragazzo scostò la mano con cui si stava tamponando il labbro inferiore. L’angolo della sua bocca sanguinava, scalfito dai denti. Eugene se lo asciugò con le dita, macchiandole di rosso vivo. Si spinse via dal muro e indietreggiò di un paio di passi, evitando di incrociare il suo sguardo. Vadoma gli andò dietro, sentendosi una merda delle dimensioni di Cerbero.
-Scusami, davvero, è che- è solo che è una giornata terrificante e-e lo sai come...come io...- balbettò, la gola che si serrava sempre di più man mano che il senso di colpa cresceva. Tentò di sfiorargli un braccio, ma Eugene si ritrasse.
-Sì, lo so come tu.- replicò, il tono brusco e venato di sarcasmo –Era per questo che ero venuto, volevo evitare che ti facessi del male da sola. Beh...obiettivo raggiunto, n’est pas?
Lei smise di tallonarlo e alzò le mani aperte, lo sguardo supplichevole.
-Mi dispiace. Mi dispiace, non so cosa mi è preso.
-Ti ho detto che non è niente, falla finita.- ma, nonostante a parole sembrasse non essersela presa, il modo deciso in cui le diede le spalle segnalò con chiarezza che Eugene aveva bisogno di un time-out per calmarsi –Sono in infermeria, se hai bisogno di me. Solo, prima...prima vedi di sbollire un po’.
Con questo infilò la porta e se ne andò, lasciandola da sola nella palestra vuota.
Vadoma si infilò le dita nei capelli intrecciati e chiuse gli occhi. Strinse fino a farsi dolere il cuoio capelluto, e soltanto quando le sembrò che la pelle stesse per staccarsi dal cranio lasciò andare la presa, con un ringhio animalesco di frustrazione. Non poteva crederci. Prima Thomas, poi Olivia, ed ora era riuscita perfino a farsi piantare in asso da Gene – per il quale piantare in asso qualcuno era in pratica l’equivalente di urlargli in faccia e prenderlo a calci. E lei se l’era decisamente meritato. Ma cosa accidenti le stava capitando?
Quando riaprì gli occhi, esausta, la prima cosa che vide fu un brillio dorato sopra lo zaino che aveva gettato sulla panca di legno all’angolo. Le sue sopracciglia si sollevarono mentre la risposta alla sua domanda le si delineava chiarissima nel cervello.
Agguantò il braccialetto e lo zaino, si gettò la camicia di Thomas sopra il reggiseno sportivo e si precipitò fuori dalla palestra.
 
Trovò Zlata in riva al Piccolo Tevere, su un praticello in mezzo ai pioppi neri che sovrastavano la riva scoscesa. Teneva un blocco da disegno sulle gambe incrociate e schizzava con una matita i contorni di qualcosa sull’altra sponda. La vide arrivare con la coda dell’occhio e alzò la testa, i capelli biondi che sembravano rossi sotto la luce del tramonto. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma Vadoma la precedette.
Le lanciò il braccialetto accanto. L’oro scintillò come un serpente, rimbalzando sull’erba soffice. Zlata lo fissò per un istante. Poi arricciò le labbra in un sorriso beffardo.
-Lo sapevo che eri stata tu.
-Già, già.- Vadoma agitò una mano con ironia -I figli di Laverna, quella banda di ladri.
-Sì, è più o meno quello che ho pensato.
-E poi ti chiedi perché ti considerano una stronza fascista.
Zlata non commentò se non con una scrollata di spalle. Si allungò e raccolse il braccialetto da terra, osservandolo contro la luce morente del sole. Vadoma aspettò che se lo fosse legato al polso. Quando la vide sistemarlo fra il resto della sua chincaglieria, accarezzandolo dolcemente con l’indice, parlò di nuovo.
-E ora ritira la tua cazzo di maledizione.
Zlata alzò la testa. Sbatté gli occhi e poi li strinse, come se stesse cercando di decifrare un geroglifico.
-Quale maledizione?
-Non fare la finta tonta.
-Non lo sto facendo.
-Evidentemente allora non hai nemmeno bisogno di fingere.- Vadoma gettò le mani in alto in un gesto stizzito –La tua maledizione, Nowak, quella che mi sta facendo litigare con tutti i miei amici. Cos’è, una delle vendette moraliste di voi figli di Nemesi?
Zlata esitò per un attimo, la sorpresa evidente sul suo volto. Poi scoppiò in una risata cattiva.
-Chi è che spara giudizi, adesso?- la sfotté –Io non ho fatto un bel niente.
-Vuoi farmi credere che la giornata di merda che ho appena avuto non c’entra niente con quello che ho fatto a te?
La ragazza ridacchiò.
-No, no. Certo che c’entra. Ma non è a me che devi rivolgerti. È a mia madre.- sollevò il polso e lo scosse, facendo tintinnare il bracciale –Questo è un suo regalo.
Il fiato sfuggì dai polmoni di Vadoma. Il cuore le sprofondò come se l’avessero legato ad una pietra e gettato nell’Oceano. Per tutti gli dei dell’Olimpo, aveva fatto incazzare Nemesi in persona? Oh, porca troia.
-Mi prendi per il culo?- ringhiò in direzione di Zlata, indietreggiando di un passo come per allontanarsi da quella terribile possibilità. Ma già mentre lo diceva, seppe che non era così. Non importava quanto potesse sperare il contrario.
-Temo di no.- replicò infatti Zlata –È la verità.
La ragazza si prese la testa fra le mani e si strinse i capelli. Per la fame e la miseria, no. Questa era l’ultima, dannata cosa che aveva avuto in mente quando aveva rubato quello stupido bracciale.
Beh...non che avesse pensato molto, in effetti. Aveva solo voluto dare una lezione a quella stronza, e non aveva minimamente riflettuto sulle conseguenze.
Lasciò andare i propri capelli e si avvicinò a Zlata.
-Cosa devo fare per far cessare la sua punizione?- sbottò -Dannazione, devi dirmelo. Mi sta rovinando la vita.
Zlata chiuse il blocco da disegno e si alzò in piedi per fronteggiarla. Se la stava chiaramente godendo un mondo e le guance lentigginose erano increspate in un ghigno che non accennava a diminuire. E Vadoma non poteva nemmeno detestarla per questo: al suo posto, si sarebbe comportata esattamente nello stesso modo.
-Come sei drammatica!- commentò, spazzolandosi con calma i pantaloni –Che saranno mai un paio di litigate? Ti è così difficile chiedere scusa?
-Se ho addosso una maledizione non servirà ad un accidente!
-Ma è proprio qui che viene il bello.- la figlia di Nemesi incrociò le braccia –Pensi che mia madre sia una deucola qualunque che lancia giù fulmini dal cielo non appena qualcuno la contraria?
Vadoma si coprì subito la testa con le mani, di riflesso. Sapeva di parecchia gente che era stata fulminata da Giove per molto meno, e per un attimo si chiese se farla morire incenerita insieme a quella piccola stronza di Zlata non fosse il piano di Nemesi, dopotutto. Ma il cielo rimase sereno. La ragazza si raddrizzò con gli occhi sgranati e li posò su Zlata. Ma chi cazzo era quella ragazza?
Lei scrollò le spalle.
-Perfino il re degli dei sa che non è saggio toccare noi di Nemesi.- sentenziò –E sai perché? Mia madre non punisce, Myrcall. Mia madre riequilibra. Fa girare la ruota del mondo e ti restituisce pan per focaccia. Se la tua natura è buona, meglio per te. Ma se sei arrogante, suscettibile e orgoglioso, lei ti darà ciò che ti sei meritato.
-Ma perché proprio i miei amici?- insisté Vadoma  –Io ti ho solo preso un braccialetto, forse te l’avrei anche ridato. Farmi litigare con tutti loro è venti volte peggio!
-Ma non l’ha fatto lei. L’hai fatto tu. - Zlata si infilò le mani in tasca –Lei si è solo limitata a fornirti l’occasione. Scommetto che tutto è iniziato quando hai provato a vantarti del mio braccialetto.
Vadoma ammutolì, per non darle la soddisfazione di avere indovinato. Ma a giudicare dalla sua espressione tronfia, Zlata se ne rese conto lo stesso.
-Vedi?- incalzò –Mia madre può anche essersela presa con te, ma non è lei ad avere colpa della tua giornata di merda. Hai fatto tutto completamente da sola. Sei tu quella da biasimare.
Vadoma reagì a quelle parole muovendo un passo avanti, minacciosa.
-Ehi, resta nel tuo, stronza.
Zlata si limitò a darle le spalle.
-Come ti pare, Myrcall.- commentò annoiata, infilando il blocco da disegno in una borsa colorata di tela che aveva a tracolla -Tieni solo presente che non sono l’unica stronza qui.
Iniziò ad allontanarsi lungo la sponda, la borsa colorata che le dondolava lungo il fianco. Vadoma gemette. Si premette il viso fra le mani per calmarsi, ma non funzionò.
-Aspetta.- la richiamò allora –Va bene, hai ragione, okay? Sono stata una stronza. Ma come faccio adesso a rimediare?
La figlia di Nemesi si voltò di tre quarti. La squadrò con un’occhiata vagamente sorpresa.
-Beh, c’è un modo solo, no? Hai sbagliato. Chiedi scusa.
-E se non basta?
-Magari basta. Immagino che, se sono tuoi amici, saranno persone pazienti.
La ragazza incrociò le braccia e se le strinse al petto, fissando il terreno.
-È che è...è umiliante.
Zlata non rispose niente per un bel po’. Vadoma vedeva le sue scarpe da tennis immobili sul prato. Si chiese perché cazzo glielo avesse detto, e quando la ragazza l’avrebbe sfottuta adesso. Ma alla fine, quando Zlata mollò un sospiro e si avvicinò di nuovo, non fu una presa in giro quella che le uscì dalla bocca.
-Il braccialetto che mi hai rubato apparteneva ad una ragazza che era con me nella squadra di arrampicata della mia vecchia scuola. Era più brava di me e me lo faceva pesare. Un giorno, mentre assicuravo la corda all’imbragatura, si mise a dirmi che ero troppo lenta a fare i nodi, che sarebbe diventata vecchia prima che io avessi finito, e cose del genere. Io finii di assicurarla troppo in fretta e lei, presa dalla sua arroganza, non controllò quello che avevo fatto prima di iniziare a scalare.- fece una pausa –Cadde e si spezzò la spina dorsale. Ora è in sedia a rotelle.
Vadoma si irrigidì. Attese che Zlata continuasse, ma la ragazza non lo fece.
-E cosa c’entra il bracciale?
Lei scrollò le spalle.
-Io sapevo che il nodo non era fatto bene. Ne ero certa. Ma se l’avessi detto avrei dimostrato a quella ragazza che aveva ragione a darmi dell’incapace. Siccome mi sono rifiutata di umiliarmi allora, adesso mi tocca convivere con il senso di colpa. Mi toccherà per tutta la vita.- sollevò il braccio, la mano stretta a pugno. In mezzo agli altri bracciali, l’oro brillava cupamente –Equilibrio. Mia madre ha provveduto che non me ne dimenticassi.
Si voltò e se ne andò, camminando tranquilla sul sentiero fiancheggiato dai pioppi.
 
Vadoma tornò verso i quartieri dove alloggiavano le coorti strascicando i piedi con aria mesta. Sarebbe stato davvero molto difficile e sgradevole scusarsi con tutti e una parte di lei sperava di arrivare il più tardi possibile. Ma la storia che Zlata le aveva raccontato, per terribile che fosse, l’aveva colpita. Era grata almeno che lei, al contrario della figlia di Nemesi, avesse ancora tempo per rimediare ai suoi sbagli. E se scusarsi era il punto di partenza per non portarsi dietro il rimpianto, beh...un’umiliazione per un perdono sembrava abbastanza equilibrato.
Passò per prima cosa al dormitorio della terza coorte, ma Thomas, le dissero, era uscito. Vadoma ci rimase male e fu sul punto di scoraggiarsi. Alla fine, però, si cacciò le mani in tasca, strinse forte i pugni e marciò verso l’infermeria.
Eugene, in jeans e, stranamente data l’aria fresca della sera, maglietta a maniche corte, stava facendo l’inventario dell’armadio bianco nel suo piccolo ambulatorio, una stanzetta minuscola con un lettino, un bagno chiuso da una porta scorrevole e le pareti decorate con foto e biglietti di ringraziamento. Vadoma bussò e, quando il ragazzo alzò la testa, si appoggiò allo stipite, torcendosi le mani.
Ci fu un istante di silenzio. La ragazza non riusciva ad iniziare a parlare.
-Ehi, Doma.- alla fine fu Eugene a farlo per primo. Mise giù la bottiglia di disinfettante che aveva in mano e si avvicinò, con un sorriso incerto. Aveva la bocca un po’ gonfia, ma a parte questo non c’erano altri segni del cazzotto che si era preso –Sono contento di vederti. Va...un po’ meglio?
Lei annuì.
-Il labbro?- chiese.
-Oh, tutto a posto.- lui lo toccò con il dito –Ha già smesso di sanguinare. Non ci è nemmeno voluta dell’ambrosia.
-Meglio così.- la ragazza esitò, cercando le parole giuste. Alla fine strinse i pugni e lo disse e basta –Eugene, mi dispiace. Sono venuta per chiederti scusa.
Il ragazzo aggrottò la fronte in una comica espressione di sorpresa.
-Scusa, come?
-Hai sentito bene.- Vadoma fece una smorfia e distolse lo sguardo –Vadoma Myrcall oggi chiede scusa. E in verità avrei...dovuto farlo anche altre volte, credo. Mi hai lasciato passare parecchie cose da quando ci conosciamo. Ma per oggi, in particolare...mi dispiace. Sia per averti tirato un pugno che per aver cercato di giustificarmi. Anche se ero di malumore, colpire un amico non è accettabile.
Eugene sbatté gli occhi. Era chiaro che il discorso lo avesse spiazzato e che non sapesse bene come reagire. Vadoma avvampò e abbassò la testa, vergognandosi che fosse così strano sentirla scusarsi.
-Grazie.- Eugene si riebbe dallo stupore e la sua bocca si aprì in un largo sorriso -Sono fiero di te. Anche se ti avevo già perdonato.
-Davvero?
-Ma certo.- il ragazzo le toccò una spalla, confortante –Sei la mia migliore amica. Ci vuole altro che un pugno in faccia per farmelo dimenticare.- tossicchiò –Ma per caso pensavi di, ehm, scusarti anche con Olivia? Per la vostra litigata?
Le spalle di Vadoma crollarono.
-Dici, se accetterà mai di rivedermi? Sì. Ho sbagliato a fare la stronza.- borbottò –Lei è stata gentile a cercare di dirmi come si sentiva, invece di arrabbiarsi subito. Non le parlerò più di Thomas, se non vuole. Ma ho intenzione di...di chiarire le cose anche con lui, perciò...
-Sei proprio una reginetta del dramma.
Vadoma si voltò di scatto. La porta scorrevole del bagno si era spalancata Olivia era in piedi sulla soglia. Aveva gli occhi arrossati e la felpa di Gene addosso.
-Era un po’ triste.- spiegò Eugene. Le guardava con un sorriso così grande che minacciava di sfuggirgli dalla faccia –È venuta a tenermi compagnia.
Olivia tirò su col naso.
-Certo che ti voglio rivedere, scema.- sentenziò –Non sei mica così in gamba da cacciarmi via. E poi anche a me dispiace di aver perso la pazienza.
-Quindi siamo...siamo a posto?- Vadoma sgranò gli occhi –Facile così?
Invece di rispondere, Olivia attraversò la stanza e le gettò le braccia al collo, abbracciandola stretta. Vadoma ci mise un attimo a reciprocare, incredula.
-Non siamo a posto.- bofonchiò Olivia contro la sua spalla -Voglio vedere se ce la fai a mantenere quello che prometti. Ma siamo ancora amiche.
La lasciò andare e poi storse il naso, gettandole un’occhiata.
-Per gli dei, però devi farti una doccia. Puzzi come il cassonetto di una palestra.
Vadoma non riuscì a trattenersi dallo scoppiare a ridere istericamente, troppo felice per fare altro.
-E tutto è bene quello che finisce bene.- sentenziò Eugene, allegramente. Poi sembrò ricordarsi di qualcosa –Oh, ehi, a pensarci però non è ancora proprio finita.
Si diresse verso l’armadietto in fondo alla stanza e recuperò qualcosa dallo scaffale più alto con un piccolo saltello. Era una scatolina rivestita di imbottitura verde, come quelle che contenevano gioielli.
-Thomas è passato poco fa e ha lasciato questo per te.- disse, tendendogliela. Vadoma lo prese con entrambe le mani, incuriosita.
-Che cos’è?
-Non lo so. Non l’ho aperto.- Eugene le mostrò un sorriso furbo –Non volevo che mi tirassi un altro pugno.
Vadoma alzò gli occhi al cielo e gli assestò una leggera spallata, facendo sghignazzare Olivia.
-Dai, aprilo.-  la incoraggiò la ragazza –Voglio vedere se è un anello.
-La scatola è troppo grande.- l’amica la guardò storto -E Thomas sa benissimo che perderebbe le palle se solo provasse a regalarmi un anello.
-Ah sì? Ultimamente mi pareva che ci tenessi abbastanza alle sue palle.
La ragazza ignorò la frecciata e aprì il coperchio a conchiglia della scatoletta.
Dentro c’era un braccialetto.
Era molto diverso da quello che aveva rubato a Zlata. Invece che d’oro era fatto di piccole perline di un bianco splendente, forse di alabastro, tenute insieme da una fine cordicella nera. Un gancetto di bronzo completava il tutto.
Vadoma lo tirò fuori e se lo rigirò tra le dita, ammirando il modo in cui le pietre sembravano diventare traslucide quando la luce della lampada le colpiva.
-C’est très beau.- commentò Eugene, sollevando un angolo della bocca in un sorriso.
-Uh?
-Ho detto che è molto carino.
-C’è un biglietto.- notò Olivia, indicandole il bordo della scatola, da cui spuntava un post-it giallo ripiegato. Vadoma lo tirò fuori e tutti e tre si chinarono insieme per leggere la calligrafia minuta.
“Mi dispiace per averti mandata affanculo. Che ne dici di restituire il bracciale a Zlata e tenere questo? So che non è prezioso come l’altro, ma starebbe meglio con i tuoi denti – Thomas”.
-I tuoi denti?- Olivia si tirò indietro, storcendo il naso –Pff. Quel ragazzo è un vero stramboide.
-Non più di te, Livi.- la punzecchiò Eugene –Chi è che usa ancora la parola ‘stramboide’?
-Tu non puoi proprio dirmi niente! Non è più assurdo dei tuoi impronunciabili termini medici.
-Oh, come...dacriocistotomia? Aciltransferasi?
-Ti prego, Eugene, risparmiami.
Vadoma li lasciò battibeccare senza ascoltarli davvero. Sfiorò con un dito le perline bianche del bracciale, incantata, e sentì un’ondata di calore invaderle il petto, fin quasi a farle salire le lacrime. Thomas aveva davvero fatto questo per lei, dopo che lo aveva trattato in quel modo?
D’istinto posò da parte la scatola e si allacciò il bracciale al polso, rigirando la manica della camicia perché non lo coprisse.
Eugene e Olivia interruppero la loro discussione e i loro sguardi si concentrarono immediatamente su quel punto.
-Oh.- disse Gene.
-Oh-oh-oh.- gli fece eco Olivia, sogghignando. Vadoma alzò gli occhi al cielo.
-Chiudete il becco, voi due ficcanaso.- borbottò bonariamente. E poi corse via a cercare Thomas.





Note dell'autrice
Okay, okay, non sto aspettando i vostri prompt. Però mi sto divertendo un sacco. Mai scritto così tanto in così poco tempo.
Spero la one-shot vi sia piaciuta, e siete sempre i benvenuti se volete propormi un personaggio!
   
 
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