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Autore: _Pan_    09/09/2009    14 recensioni
Mikan è al suo primo anno di superiori, ma niente si prospetta come lei lo aveva immaginato: tra l'amore, inganni, e addii, la sua permanenza nella Alice Academy si preannuncia molto movimentata.
La storia tiene conto del manga (a tratti da capitolo 51 in su), quindi ci sono spoiler disseminati un po' ovunque. Inoltre, sarà raccontata alternativamente sia dal punto di vista di Mikan che che da quello di Natsume, ma non ci saranno capitoli doppi, nel senso che uno stesso capitolo non sarà raccontato da entrambi.
Coppie principali: Mikan/Natsume, Hotaru/Ruka (accennata)
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hotaru Imai, Mikan Sakura, Natsume Hyuuga, Ruka Nogi
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo 1 - Il maniaco dei mobili
(Mikan)


«Non ho capito.» ammisi, forse per la venticinquesima volta, e lui, per la venticinquesima volta, mi rispose le stesse parole.
«L'hai già detto un sacco di volte, no? Rinunciaci e basta.» alzò le spalle, come se non avesse continuato a offendermi tutto il pomeriggio, e si stese sull'erba. «Dovresti, ormai, esserti rassegnata all'idea di essere stupida, Mikan.»
«Natsume!» protestai, un po' offesa. D'accordo che non ero esattamente ciò che si definisce una cima, ma ero davvero così sciocca? «Beh, diciamo che, se il mio partner si decidesse seriamente a darmi una mano, sarebbe tutto più semplice.» esatto, alle superiori io e quella sottospecie di essere umano dotato di Alice eravamo ancora partner, ciò significava che dovevamo studiare insieme.
«Essere il partner di Imai sarebbe stata una pacchia!» commentò lui, e io lo colpii col libro che avevo in mano. «Vuoi la guerra.» era un'affermazione e, infatti, mi prese i polsi e mi bloccò a terra, dopodiché incendiò il mio libro. E io adesso dove avrei dovuto studiare? «Ti arrendi?» domandò, quindi, mentre si avvicinava sempre di più, facendomi arrossire; era un po' di tempo che facevo pensieri strani su di lui, cose che neanche avrei potuto immaginare qualche anno fa, e quando eravamo così vicini quei pensieri tornavano a passarmi davanti agli occhi. Non mi accorsi neanche che si era sollevato, e, quando lo feci, mi tirai su di scatto, sentendomi un po' stupida.
«Sei scorretto!» gli puntai un dito contro; è vero che ero alle superiori, però ancora non mi ero abituata al mio Alice, figuriamoci a usarlo correttamente. Anche per questo Hotaru mi dà della stupida.
«Ma smettila.» mi disse, chiudendo gli occhi, come se lì insieme a lui non ci fosse nessuno. D'accordo, se voleva ignorarmi, l'avrei fatto anche io, o almeno ci avrei provato. Guardai il cielo: il sole stava per tramontare, e di sicuro Hotaru mi aveva tenuto il posto a cena per almeno dieci rabbit che, al momento, non possedevo, tutto perché li avevo sprecati quasi tutti per fare un regalo a quello sfrontato. Inoltre, ero scoraggiata per gli esami praticamente imminenti e per il fatto che non avevo capito niente degli ultimi argomenti. Neanche quest'anno sarei riuscita a vincere il viaggio a casa per rivedere il nonno, Ruka avrebbe cercato di consolarmi senza successo, Hotaru mi avrebbe picchiato in testa con uno dei suoi strani arnesi, mentre Natsume mi avrebbe fatto notare il gigantesco divario tra i nostri risultati. Tutto come al solito.
«Io vado.» annunciai, alzandomi. Lui aprì gli occhi, probabilmente perché non doveva essere completamente d'accordo.
«Dove?» chiese lui, squadrandomi dalla testa ai piedi, come se stessi andando in chissà che losco posto. Come se fossi io quella che, ogni tanto, sparisce! Certo, lui chissà che andava a fare per conto dell'Accademia, ma chi aveva mai pensato di tradirlo? Tutta qui la sua fiducia?
«A mangiare e a studiare da Hotaru!» risposi, trattenendo a stento la rabbia. «Sai, è tutto il pomeriggio che chiedo aiuto a qualcuno, ma non mi è stato di alcuna utilità. E poi, se non ti dispiace, vado a dormire, sono stanca morta!» cominciai a camminare in direzione del dormitorio delle ragazze.
Ad un certo punto, sentii dei passi dietro di me, e feci per voltarmi, ma non ne ebbi il tempo. Mi passò le braccia intorno alla vita e mi trattenne.
«Dov'è il mio bacio?» domandò, con tono malizioso. Che bacio? Ci saremmo rivisti di lì a due minuti! Detestavo quando faceva così, ma ormai avevo imparato a smettere di mentire a me stessa, quando mi dicevo che avrei potuto evitarlo. Non potevo dirgli di no, una cosa che avevo imparato quando mi aveva baciata la prima volta. Mi strinse un po' più forte, forse perché voleva una risposta.
Mi voltai verso di lui, ed ebbi appena il tempo di rendermi conto che non mi abbracciava più che mi ritrovai tra lui e il muro. «Dovresti smetterla di essere così geloso.» gli dissi. Probabilmente, mi aveva seguita e basta, e il bacio era la prima scusa che aveva trovato.
Lui fece un sorriso, come se fossi completamente sulla strada sbagliata, e non rispose. Tipico suo. Si avvicinò a me, senza darmi il tempo di dire un'altra sola parola, e posò le labbra sulle mie. Chiusi gli occhi immediatamente, e con una mano lo attirai di più verso di me, come succedeva sempre. Mi mise una mano sulla schiena e mi strinse di più a sé, mentre ci appoggiavamo sempre di più al muro.
«Così va bene?» chiesi, spingendolo via. Dovevo assolutamente studiare, quest'anno volevo vedere il nonno, anche se stare lì a sbaciucchiarci era sicuramente più piacevole. Era irritante sapere di voler restare e non poterlo fare.
«Proprio non ti va di restare?» mi chiese, senza guardarmi. Lo faceva sempre, quando era in imbarazzo. Ma non riuscivo a immaginarne il motivo. Non sapevo neanche cosa rispondere, e per un attimo rimasi immobile. Poi pensai che, dopotutto, cinque minuti non avrebbero modificato l'esito di un intero esame e gli accarezzai una guancia per attirare la sua attenzione. A lui non piacevano tutte quelle smancerie, e a volte lo facevo per dargli fastidio e farlo arrabbiare, ma non questa volta.
«Solo cinque minuti.» dissi, e lui mi restituì uno sguardo malizioso e mi ritrovai ad arrossire. Se lui odiava le smancerie, io odiavo le sue occhiatine. Scosse la testa, sospirando scherzosamente e si avvicinò a me, per baciarmi di nuovo. Si dava a certe attività solo quando non c'era nessuno in giro che potesse vederci. Gli chiedevo spesso come mai, ma lui alzava le spalle e cambiava argomento, quindi io avevo smesso di chiedere.
Poco dopo, mi allontanai da lui di nuovo, e la nebbiolina che aveva avvolto i miei pensieri dal momento in cui le sue labbra avevano toccato le mie, si diradò, e mi ricordai dei miei propositi di studiare. «Credo che si sia fatto tardi.» gli bisbigliai, a poca distanza dal suo viso.
Lui mi afferrò il polso sinistro, quello su cui portavo l'orologio. «Non è tardi, se non guardi che ore sono.» mi ricordò, attirandomi di nuovo a sé. Sfortunatamente, non mi serviva una motivazione più valida di quella per cessare le ostilità, e rimanemmo lì a baciarci, stretti l'uno all'altra, finché non sentimmo i primi ragazzi che uscivano dalla mensa per tornare ai loro dormitori.
«Sarà meglio andare.» mi disse, staccandosi da me, lasciandomi con la solita sensazione di vuoto di quando lo faceva. «O butteranno via le nostre porzioni.»
Annuii, cominciando a seguirlo, con il malumore che cominciava a essere l'emozione preponderante; insomma, prima aveva insistito perché restassi e poi si era allontanato come se avessi avuto la peste. Quando entrammo, vidi Hotaru, e la serata cominciò subito a migliorare. Era seduta lì, che mangiava con lentezza, come se non volesse farmi capire che mi aveva aspettata.
«Ehi, Hotaru!» salutai, correndo per abbracciarla. Lei, però, scansò la sedia su cui stava all'ultimo momento, facendomi quasi sbattere con il naso sul muro. «Hotaru?»
«Sei in ritardo, Mikan.» mi fece notare, con la sua solita calma glaciale che a volte mi metteva i brividi, ma senza la quale Hotaru non sarebbe più stata la stessa. Tutto questo, senza smettere di mangiare. Inutile dirlo, Hotaru è sempre la migliore.
«Lo so, però almeno questa volta mi hai aspettata!» le ricordai, raggiante. Pensai che fosse preoccupata per me, non avendomi vista arrivare a mangiare, l'unica cosa che, secondo lei, sapevo fare bene perché non si doveva ragionare più di tanto. Mi sono sempre chiesta se fosse un complimento o un'offesa.
«Stavo lavorando ad un nuovo progetto.» mi spiegò, senza scomporsi un minimo, prendendosi il secondo. «E sono arrivata poco fa. Se davvero ti avessi aspettata, avrei richiesto una piccola ricompensa» mi fece un gesto eloquente con la mano. Soldi. L'avevo immaginato. «Perché avrebbe significato sottrarre prezioso tempo ai miei progetti. E, dopotutto, il tempo è denaro.»
«I soldi valgono più della nostra amicizia?» le chiesi, sperando davvero che non dicesse di sì.
«I soldi sono il motore del mondo, Mikan.» me lo ripeteva spesso, ma non avevo mai capito il senso di quelle parole. «Se non hai soldi, non sei nessuno; se non sei nessuno, non conterai mai niente. Ma non mi aspetto che tu capisca.»
Se lo diceva lei doveva essere vero per forza: le sue massime sui soldi erano sempre vere. A quel punto, capii che cosa voleva dirmi, contrariamente alle sue previsioni. «Quindi, se io facessi soldi...» potei giurare di sentire il rumore del mio cervello che lavorava. «per Hotaru sarei importante quanto loro!»
«Sbagliato.» mi rispose lei, sospirando. Okay, ventimila a zero per Hotaru. «Nessun affetto può sostituire i soldi. È vera da qualunque lato scegli di guardarla. Decidi tu qual è il più importante dei due.»
Ci pensai su. «Stai dicendo che è meglio essere ricchi che essere amati?» domandai, corrugando la fronte. Davvero c'erano persone che preferivano pezzi di carta all'affetto? Davvero Hotaru preferiva essere circondata da yen che avermi con sé?
«Se sei ricco, sei anche amato. Non dico di vero affetto, ma se non è quello che ti interessa...» rispose lei, con un'alzata di spalle. «Scommetto che tu preferisci essere amata, eh?»
«Esatto!» risposi, lanciando un'occhiata verso Natsume, che stava uscendo dalla mensa. Come al solito, non mi aspettava, non mi sorpresi più di tanto, però ci rimasi male. Mi chiesi quando le cose sarebbero cominciate a cambiare; se doveva comportarsi così, perché stavamo insieme?
«L'ho sempre detto che sei una stupida.» mi disse, scuotendo la testa.
Mi rattristai un po' sia per le parole di Hotaru sia per via di Natsume, e mi domandai per quale motivo non dovessi cominciare a vederla come la mia migliore amica. Non sembrava proprio, dopotutto, che lui si desse molto da fare per passare del tempo con me. «Cosa c'è di sbagliato?» domandai, non seppi, però, neanche io a cosa stavo riferendo la domanda, se al mio contorto rapporto con Natsume o alla mia visione della vita. Forse, un po' a tutte e due.
«I soldi, Mikan,» mi disse lei, e raggelai per il suo sguardo di ghiaccio. «non tradiscono e non fanno soffrire.»
All'improvviso pensai che sapesse qualcosa di noi due, e il sangue mi si gelò ancora di più nelle vene.

Sbuffai, mentre mi accorgevo che non avevo portato ciò che mi serviva per cambiarmi. Mi misi un asciugamano addosso e uscii dal bagno. Hotaru lo diceva spesso: «Dobbiamo comportarci bene, siamo sempre sorvegliati.». D'accordo il controllo, ma sorvegliarci ventiquattr'ore su ventiquattro, mi sembrava eccessivo e non è che la cosa mi piacesse più di tanto. Quando le avevo esposto la mia teoria, lei aveva risposto solo con una parola: «Stupida.» ma non ho mai capito perché.
Quando uscii dal bagno, notai subito che c'era qualcosa che non andava: una persona di troppo. «Natusme?» chiesi, stupita. Lui mi dava la schiena, mentre cercava qualcosa sulla mia scrivania. «Che stai facendo?» era normale ficcare il naso nelle stanze degli altri?
Lui si girò verso di me, tranquillo come se non fosse andato a curiosare in una camera non sua. Mi mostrò un libro, con un sorrisetto malizioso che all'inizio non capii. «Scusa, avevi portato via anche questo.» era il libro di matematica, e subito mi ricordai la fine che aveva fatto il mio.
«Per forza.» gli risposi, pensando in quale modo avrei potuto rimediarne un altro. «Il mio l'hai bruciato!»
«Beh, se ti ricordi bene...» mi disse, sventolando il libro sotto al mio naso. «...sei stata tu a cominciare.» d'accordo, era vero. Ma la sua reazione non era stata un pochino tanto esagerata?
«Anche se fosse,» cercai di spiegargli che, comunque fosse andata, senza quel libro sarebbe stata la fine, anche per quell'anno e addio speranze di vedere il nonno. «come faccio io a studiare, senza?»
«Avresti dovuto pensarci prima, ogni azione scatena una reazione, l'abbiamo studiato a fisica, ricordi?» pensai che mi prendesse in giro. Aveva dovuto applicarsi al meglio delle sue possibilità per cercare di farmi capire la fisica. E adesso se ne veniva fuori con quella perla di saggezza?
«Ma tanto a te non serve!» protestai, mettendomi le mani sui fianchi. «Tu non lo userai nemmeno!»
«Comunque sia,» mi rispose, come se la cosa non lo riguardasse neanche da lontano. «non è un problema mio.» poi, distolse lo sguardo, e me ne chiesi il motivo. «potresti almeno coprirti, sai?»
«Eh?» chiesi, ma appena abbassai lo sguardo, capii. L'asciugamano si era piegata verso i lati e aveva lasciato scoperta buona parte delle mie grazie. Mi affrettai a coprirmi, imbarazzata fino ai limiti del possibile, anche se, ormai, Natsume aveva visto tutto ciò che c'era da vedere. Poi ripresi a parlare, in tono offeso. «Non penserai che l'ho fatto apposta, vero?» era girato a guardare verso la finestra.
«Conoscendoti, direi proprio di no.» rispose, senza girarsi. Certo che era proprio facile metterlo in difficoltà: allora anche Mister Freddezza aveva dei punti deboli. Mi chiesi se mi stava offendendo o meno, qualunque cosa fosse, era la cosa che si avvicinava di più a un complimento che mi avesse mai fatto. Poi, rovinò tutto: «Sei troppo stupida per fare di proposito una cosa simile.» mi vennero le lacrime agli occhi, ripensando a ciò su cui ragionavo a mensa.
«Se sono davvero così stupida come dite tu e Hotaru,» cominciai, stanca di sentirmi dire sempre le stesse cose. «perché state sempre con me? Potreste andare dove volete, e invece siamo sempre insieme, io, te, Hotaru e Ruka.» tirai su col naso, sperando di non scoppiare a piangere davanti a un idiota come lui.
Lui si avvicinò a me, e io mi irrigidii, chiedendomi cos'avesse in mente di fare. Con lui non si poteva mai sapere. «Che...» ma non ebbi il tempo di finire la frase: mi sciolse i capelli.
«Lo sai che mi piacciono di più sciolti, vero?» mi disse, lasciandomi di stucco. Non seppi né cosa pensare, né cosa rispondere. Non era mai successo che si comportasse così gentilmente. Cioè non era mai successo che mi desse della stupida e che poi si comportasse così gentilmente. «Secondo te, stupidina, perché ti stiamo vicino?» aspettai che mi desse una risposta, perché non ci arrivavo da sola. «Perché ti vogliamo bene.» avevo sentito bene? Mi aveva appena detto che teneva a me? Non lo sapevo, tutto ciò che sapevo era che avevo il cervello in tilt. «Mikan,» mi disse, più sommessamente, appoggiando la fronte alla mia. «ti amo.» improvvisamente, non avevo più nessuna voglia di piangere. Perché cavolo doveva farmi questo effetto?
Dopodiché, il mio cervello elaborò le ultime parole che aveva detto: fu allora che rimasi completamente spiazzata; infatti, se prima mi era sorto il dubbio che le mie orecchie avessero qualche problema, in quel momento ne ero certa: Natsume Hyuuga non era un tipo romantico, mai.. «Ti... ti senti bene?» gli domandai, seriamente preoccupata. Non è che stava male e non voleva dirmelo?
«Che cosa?» mi chiese lui. Si allontanò da me: sembrava sorpreso, confuso e forse anche deluso. «Fammi capire. Io ti dico che ti amo, e l'unica cosa che sai dire è se sto bene?»
Possibile che non ne facessi mai una giusta? «Ho pensato che...» cercai di dire, imbarazzata. «Insomma... non mi hai mai detto una cosa del genere, e non ti sei neanche mai comportato gentilmente. Poi, ad un tratto diventi tutto il contrario di te stesso, e io devo pensare che sia tutto a posto?»
Lui mi guardò in modo strano, come se non si aspettasse quella risposta, con un sorriso sulle labbra. Mi domandai cosa ci trovasse tanto da ridere. «Pensavo solo che ti avrebbe fatto piacere saperlo.» non ero del tutto convinta della spiegazione, ma io non ero mai riuscita a capirlo fino in fondo, per cui la presi immediatamente per la verità.
«Che cosa... certo che mi fa piacere! Solo... non devi essere diverso.» tentai di spiegarmi, ma la sua espressione confusa mi disse che non ero affatto riuscita nel mio intento. «Voglio dire che... credo che se ti avessi voluto diverso, non mi... ecco...» mi sentivo a disagio, non so se era per quello che volevo dire, o per il fatto che lo stavo per dire con addosso nient'altro che un asciugamano. «...non mi sarei innamorata di te, giusto?»
«Mi piace questa spiegazione.» disse, con quello che io interpretai come sarcasmo. Si prendeva gioco di me o cosa? Si avvicinò, e non ebbi il tempo neanche di muovere un muscolo: mi mise un braccio intorno alla vita e con la mano dell'altro mi sollevò il viso per baciarmi. Cercai di ritrarmi per via del mio abbigliamento, non era proprio il più adatto per certe manifestazioni d'affetto. «Cosa c'è?» mi chiese, a quel punto. Io distolsi lo sguardo, sperando che se ne accorgesse da solo. «Oh,» aggiunse, col tono di chi la sa lunga. Ringraziai il cielo che avesse capito e pregai che non facesse battutine. Poi, però, alzò le spalle, avvicinandosi di nuovo. «non ti preoccupare. Non mi dà fastidio.» non ci potevo credere.
Speravo che fosse una cosa normale il fatto che mi fosse venuta voglia di picchiarlo. «Non è di te che dovresti preoccuparti! Sono io quella in asciugamano!» gli ricordai, sentendo le guance bruciare come se avessi preso un'insolazione. Perché non era venuto un po' prima? Se non altro, mi avrebbe trovata vestita. «Se mi dai il tempo di rivestirmi, andiamo al nostro albero.»
«No.» disse, come se avessi proposto il suo omicidio. Poi cambiò espressione, credo accorgendosi di essere stato un tantino brusco. «È solo che... ecco...» poi sospirò, e non capivo perché. «forse è meglio che vada.» mi domandai se dovevo rinunciare a capirci qualcosa; e non gli chiesi perché, probabilmente neanche mi avrebbe risposto. Però... non volevo che se ne andasse, anche se mi sentivo a disagio. Se mi fossi vestita, sarebbe tornato tutto a posto, no? Doveva solo darmi cinque minuti.
«Sarò veloce come la luce, promesso.» dissi, tentando di convincerlo. «Se non...»
«No, davvero.» disse, addolcendo l'espressione. Mi chiesi se fosse solo lunatico o se avesse qualcosa che lo preoccupava di cui non voleva parlarmi. «Ti ho trattenuta abbastanza,» mi accarezzò una guancia, altro gesto che non compiva mai. Era proprio strano, quella sera. «ti lascio al bagno.» misi una mano sulla sua, chiedendomi perché non volesse parlarmi dei suoi problemi. Mi baciò velocemente. «Buonanotte.» soffiò, a qualche centimetro dalle mie labbra. Così, mi sollevai sulle punte dei piedi per baciarlo. All'inizio sembrava restio, ma poi lo sentii rilassarsi e stringermi. Gli cinsi le braccia intorno al collo, mentre approfondivamo il nostro bacio, e inclinava la testa. Ad un certo punto, però, si staccò.
«Non penso sia una buona idea.» disse lui, allontanandosi quel che bastava per guardarmi in faccia. Respirava affannosamente. Incredibile! Non si era mai lasciato coinvolgere tanto. Quella era davvero una serata strana. Avrei dovuto ricordarmi la data per il prossimo anno.
«Perché no?» gli chiesi, tenendo l'asciugamano, visto che il nodo già poco sicuro che gli avevo fatto si era sciolto.
«Ho diciassette anni, Mikan.» mi disse, e io mi chiesi per quale motivo me lo stesse ricordando dato che avevo speso quasi tutti i miei soldi per fargli un regalo di compleanno che non gli avevo mai visto usare. «Sono con la mia ragazza, che ha addosso solo un asciugamano neanche tanto coprente, se proprio vuoi la mia opinione, in una stanza che ha un letto abbastanza interessante da visitare da vicino, se capisci cosa intendo.» aveva un leggero rossore sulle guance, e sì, avevo capito cosa intendeva.
Arrossii anche io, e lui sorrise. «Te l'ho detto.» disse, col tono di quello che ha sempre ragione. «È meglio che vada.» io mi morsi il labbro, non volevo che andasse via, ma non lo avrei neanche mai ammesso. In questo eravamo simili: orgogliosi fino alla fine. Trovai il pavimento talmente interessante che lui dovette inclinare la testa per vedere che stavo facendo. «Quindi?»
«Quindi cosa?» gli chiesi, col viso che bruciava quanto un fornello acceso.
«Vuoi che me ne vada?» incredibile. Aveva messo in tavola le carte aspettando che facessi la mia mossa: si aspettava che fossi io a chiedere a lui di restare. Doveva davvero essere impazzito.
Il vero problema, comunque, era il fatto che in qualche modo dovessi dargli una risposta, che fosse positiva o negativa. La reazione del primo caso sarebbe stata un sorrisetto e una battuta ironica, che mi avrebbe mandata in bestia, nel secondo caso avrebbe pensato che non mi interessa da quel punto di vista. «Non lo so.» dissi, allora. Lui mi guardò, sconcertato. Forse la via di mezzo era stato anche peggio che dirgli di no.
«Non lo so?» chiese, poi sospirò, e mi sembrò sul punto di scoppiare a ridere, e allo stesso tempo incredulo per via della mia risposta. «D'accordo» lo guardai, confusa. «Accetterò questa cosa senza remore, anche se il mio ego è molto risentito.» mi sentii incredibilmente in colpa. Non volevo offenderlo. Stavo per chiedergli scusa, dato che, quella sera, era stato davvero molto più carino del solito, ma fui interrotta da lui che ricominciava a parlare. Era piuttosto loquace, al momento, avrei dovuto fare un video. «Non posso crederci.» disse e lo vidi che guardava verso il mio cassetto della biancheria, che era malvagiamente rimasto aperto. Perché non richiudevo mai le cose? «Mutande a pallini?» lo sentii ridere sommessamente. «Ho sempre avuto ragione a chiamarti così.» sì, d'accordo, ma perché ora si metteva a curiosare nella mia biancheria oltre che sulla scrivania? Aveva la sindrome del maniaco dei mobili?
Mi diressi verso il cassetto e lo chiusi. «Che ci posso fare se mi piacciono le mutande a pallini?» era di nuovo il mio turno di essere in imbarazzo. Lui lo riaprì e mi porse l'intimo e un pigiama. «Guarda tu se una ragazza con un po' di senno rifiuterebbe una sana notte di insonnia con uno come me!»
«Idiota.» fu tutto quello che dissi prima di entrare in bagno e ringraziare il cielo per la comprensione che aveva dimostrato. Appena fui pronta, uscii.
«Perché compri pigiami di dieci volte la tua taglia?» mi chiese, guardandomi da sotto le coperte del mio letto. Prima la scrivania, poi la cassettiera, e adesso anche il letto. Mi chiesi per quale motivo si trovava lì: non avevamo deciso ''notte di tutto riposo''?
«Non c'era della mia. Era un negozio di taglie forti.» spiegai, e lo vidi alzare gli occhi al cielo. «E poi sono comodi, più grandi!» tenevano anche più caldi, col freddo che faceva a Tokyo a dicembre. «Adesso, dimmi,» scostai le coperte per stendermi. «cosa fai ancora qui?»
«Ehi, quando hai detto di non saperlo, non hai detto che non potevo restare.» mi fece notare, come a dimostrare che a chiederlo, avevo sbagliato di grosso. «Per cui, alla fine, ho pensato che la decisione spettasse a me.» scommetto che la mia espressione trasmetteva tutto ciò che pensavo. «Buonanotte!» e così spense la luce. L'unica cosa che mi lasciava un attimo di sasso era il fatto che il letto fosse a una piazza e mezzo e io di solito mi mettessi nelle posizioni più assurde: anche di traverso; adesso stavo un po' sacrificata, anche perché Natsume si era messo comodo.
«Natsume...» dissi, piano, per vedere se dormiva. «Natsume, dormi?» mi sollevai un po' per vedere se mi sentiva o no.
«Sì.» mi rispose, girandosi verso di me. Aveva un'aria per niente insonnolita. Mi domandai, a quel punto, a che gioco avesse intenzione di giocare. Sospirai, spazientita.
«Puoi spostarti un po' più in là? Non c'entro.» gli spiegai, indicandogli la porzione di letto che mi aveva molto carinamente lasciato.
«Beh, devo dire che il tuo letto non è proprio il massimo, Mikan.» disse lui, come se questo spiegasse tutto e giustificasse completamente il suo comportamento. «Insomma, il mio è molto più grande.»
«Puoi tornarci, se questo non ti va bene!» gli feci notare, sempre bisbigliando, senza neanche capire perché, dato che lì c'eravamo solo io e lui.
«Era solo una constatazione. Volevo dire che sono abituato a spazi più grandi.» mi disse, a rafforzare la sua teoria.
«Questo giustifica il fatto che ti sia preso tu tutto il posto?» gli chiesi. Insomma, era o no il mio letto? Perché dovevo essere io quella che rischiava di cadere a terra? E poi, avrebbe dovuto fare un po' più il cavaliere, altro che prendersi tutto lo spazio disponibile.
«Puoi sempre dormire su di me.» propose lui, facendomi arrivare il sangue fino alle orecchie, che cominciarono a bruciare come se fossero state su una fiamma. «Sono comodo, giuro!»
Lo spinsi via, guadagnando terreno. Così, mi sistemai, lasciandogli esattamente l'altra metà del letto, cosa di cui avrebbe anche potuto ringraziarmi, e invece no. A quanto pareva, aveva davvero intenzione di farmi passare la notte insonne, e cominciò a farmi il solletico per farmi spostare. «Se vuoi un letto tutto per te, c'è il pavimento, o camera tua!» protestai. Quando finii di ridere, tentai di parlare. «Basta, ti prego.»
«Si arrende, dunque, milady?» chiese lui, in tono scherzoso. «Posso dichiararmi il vincitore?»
«Quello che vuoi, basta che ora dormiamo. Ti prego, sono stanca.» gli dissi, per persuaderlo a smettere. «Siete d'accordo, milord?»
Lui sorrise, ma era un sorriso furbo, del genere che veniva sempre seguito da una battuta o qualcosa di imbarazzante, ma solo per me. «Il vincitore richiede un bacio per premio.» disse. Io alzai gli occhi al cielo, ma dopo mi resi conto che non poteva vedermi.
«E va bene...» dissi, come se mi costasse una grande fatica. Appena le sue labbra toccarono le mie, fu come se la colonia di farfalle nel mio stomaco fosse uscita dalle gabbie e la stanchezza, improvvisamente, divenne solo un vago ricordo. Appena si staccò, mi accorsi che, per i miei gusti, mi aveva baciata anche troppo poco.
«Direi che ho stravinto.» mi disse poi. E solo allora mi accorsi che mi aveva spostata di un bel pezzo verso il bordo. Avevo le gambe quasi completamente fuori dal letto.
«Sei un... sei un...» non riuscii subito a trovare l'offesa perfetta. «...idiota!» ma non rese bene il concetto che volevo esprimere.
«Ammettilo.» mi disse, gongolando. «Non ti eri accorta di niente!» era la seconda volta che mi venivano istinti omicidi verso di lui, quella sera. Forse era davvero arrivata la sua ora.
«Beh, forse no, d'accordo.» Lo vidi vagamente inarcare un sopracciglio, nel buio della stanza, come per dire che il ''forse'' era un ''sicuramente''. «Però sei davvero scorretto.»
«È la seconda volta in un solo giorno che me lo dici.» commentò, senza un minimo di risentimento. Sembrava, anzi, divertito. Odiosamente adorabile.
«Sei...» cominciai. «sei proprio...» cercai una parola, una parola che potesse offenderlo come lui offendeva sempre me e fargli smettere di sorridere in quel modo.
«Un mito?» offrì lui, non lasciandomi il tempo di replicare, infatti, mi baciò, sapendo perfettamente, su questo ci metto la mano sul fuoco, che non l'avrei rifiutato. Gli misi una mano dietro la nuca per attirarlo verso di me e mi ritrovai, non so in che modo, sotto di lui, mentre giocava col bordo della mia enorme maglietta. Mi sembrò stranamente un déjà vu, molto simile all'ultimo sogno che avevo fatto.
In effetti, però, le sensazioni erano molto più reali e molto diverse da come le avevo immaginate: era come se, quella notte, avessi vissuto solo per le sue carezze, mentre i suoi baci mi incendiavano la pelle. Quando, poi, il dolore si era mischiato a tutte quelle sensazioni, credevo che quell'attimo non sarebbe finito mai; tuttavia fui subito smentita quando lasciò il posto a un piacere travolgente. Alla fine, era riuscito davvero a farmi passare una notte quasi insonne.
L'ultima cosa che ricordo è che, prima di addormentarmi, ero stretta tra le sue braccia e che era una bellissima sensazione.

  
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